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istituzioni politiche del mondo romano- riassunto completo- poma gabriella, Sintesi del corso di Storia

riassunto intero manuale di istituzioni politiche del mondo romano- poma gabriella - cap i-vii

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica istituzioni politiche del mondo romano- riassunto completo- poma gabriella e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! TESTO: “LE ISTITUZIONI POLITICHE DEL MONDO ROMANO” CAPITOLO PRIMO L’ETA’ MONARCHICA La storia di Roma ed in particolare quella delle sue Istituzioni può suddividersi nei seguenti quattro periodi: • monarchico, che va dall’VIII secolo a.C. sin alla fine del V secolo a. C.; • repubblicano, che si spinge fin verso la fine del I secolo a. C.; • Principato, che va da Augusto fino alla fine del III secolo d. C.; • Dominato, che va dal 284 d.C. con Diocleziano fino alla fine (476). I Romani ebbero grandi modelli su cui basare le loro opere, come Erodoto e Tucidide; i modelli storiografici romani sono comunque diversi da quelli greci ed esprimono preoccupazioni tipicamente romane. Diversamente da quella greca, la storiografia romana non iniziò con una tradizione storica orale, il suo stile si basava sul modello secondo cui venivano registrati gli avvenimenti sugli Annali (documenti d'archivio, che narrano i maggiori eventi storici e le catastrofi naturali più rilevanti, che coinvolgono un popolo e si dicono così perché, originariamente, erano ordinati di anno in anno); essi includono una vasta gamma di informazioni, comprendenti documenti religiosi, nomi di consoli, morti di sacerdoti, elezioni di politici, trionfi di generali, importanti fenomeni naturali ecc., sulla vita della città. Nulla di certo si sa su questo periodo, dato che tutte le fonti che ne parlano sono di epoca successiva e hanno un taglio molto leggendario. Secondo la tradizione, gli estremi cronologici di questo periodo sono il 753 a.C., anno della fondazione di Roma e il 509 a.C., quando fu detronizzato, ossia privato della carica, Tarquinio il Superbo e fu instaurata la Repubblica; sempre secondo la tradizione i re furono sette, quali: Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo. La tradizione attribuisce a Romolo la fondazione della città, l’unione con i Sabini e la definizione delle principali strutture istituzionali e sociali della nuova comunità. Romolo suddivise tutta quanta la popolazione in tre ripartizioni, costituite da dieci curie, ed indicate con i nomi di: • Ramnes, che dovrebbero identificarsi con le famiglie romane “autoctone” (appartenenza di qualcosa o qualcuno ad un luogo), guidate dai Latini e stanziate nelle zone pianeggianti; • Tities, cioè le famiglie venute al seguito di Tito Tazio (il quale diventa re di Roma insieme al fondatore, Romolo, come conseguenza dell'episodio del ratto delle Sabine, che è uno degli episodi più celebri; in pratica Romolo, dopo aver fondato Roma, si rivolge alle popolazioni vicine per stringere alleanze e ottenere delle donne con cui procreare e popolare la nuova città, ma al rifiuto dei vicini risponde con l'astuzia ed organizza un grande spettacolo per attirare gli abitanti della regione, così rapisce le loro donne), di origine sabina (i Sabini erano un antico popolo dellItalia centrale); • Luceres, che, secondo Tito Livio, erano di origine incerta. Romolo, chiamò le ripartizioni maggiori tribù, mentre quelle minori le chiamò curie; le tribù erano raggruppamenti sociali in cui erano inquadrati i cittadini romani, mentre le curie erano una suddivisione della sua popolazione (vale a dire le tribù che ne componevano la società) e che fu, in seguito, utilizzata per significare il posto dove le tribù si radunavano per discutere degli affari dello stato. In origine “curia” significò "adunanza di uomini" ed esse, ai tempi di Romolo e Tito Tazio, erano trenta, dieci per ognuna delle tre tribù dei Tities, Ramnes e Luceres. Nella Roma arcaica, il rex era il supremo magistrato, eletto (ad esclusione di Romolo) dai patres, i capifamiglia delle gentes originarie (arcaici clan familiari romani che sarebbero esistiti al momento della nascita di Roma), per reggere e governare la città. Oltre che di “gentes”, si parla anche di “cliens”, ossia “clienti”, che erano, di solito, degli schiavi liberati o dei membri della plebe,ossia della massa dei cittadini romani distinti dai patrizi, che avevano un legame con un padrone benefattore, il quale era un nobile ricco e potente, che assumeva la loro protezione personale, assicurandogli alla fine della supremazia della componente etrusca sulla città e al decadere delle istituzioni monarchiche. La sua fine viene, invece, convenzionalmente, fatta coincidere con la fine di un lungo periodo di “guerre civili” ( conflitti che videro contrapposti eserciti e condottieri romani), che segnò di fatto la fine della forma di governo repubblicana, a favore di quella del Principato (prima forma di governo dell'impero). Quella della Repubblica rappresentò una fase lunga, complessa e decisiva della storia romana: costituì un periodo di enormi trasformazioni per Roma, che da piccola città stato, quale era alla fine del VI secolo a.C., divenne, alla vigilia della fondazione dell'Impero, la capitale di un vasto e complesso Stato, formato da una miriade di popoli e civiltà differenti. Con l’instaurazione della repubblica, il conflitto tra patrizi e plebei entra, per la prima volta, nella storia di Roma; la tradizione afferma che, dopo la cacciata dei re, i patrizi assunsero nelle loro mani tutto il potere, politico e religioso, e lo mantennero con tanta testardaggine che, solo nel 367 a.C. i plebei riuscirono ad accedere al consolato. La chiusura dei patrizi era sottolineata dalla proibizione dei matrimoni con i non- patrizi, o plebei; tale situazione comportò, ben presto, un conflitto, infatti nel 494 a.C., i plebei di Roma effettuarono una secessione, cioè abbandonarono in massa la città, accettando di rientrare solo quando i patrizi avessero dato il loro consenso alla creazione di una carica pubblica, che avesse il carattere di assoluta inviolabilità e sacralità. Fu così istituita una nuova magistratura, quella dei tribuni della plebe (la prima magistratura plebea a Roma), che poteva essere rivestita solo da plebei, con ampi poteri a tutela della classe; questo significava che lo Stato si assumeva il dovere di difendere i tribuni da qualsiasi tipo di minaccia fisica ed, inoltre, garantiva ai tribuni stessi il diritto di difendere un cittadino plebeo messo sotto accusa da un magistrato patrizio. Venne anche creato il Concilio della Plebe, un'assemblea riservata ai plebei all'interno dei Comizi Tributi (una delle assemblee con poteri legislativi e giudiziari). Un importante passo avanti fu anche la redazione da parte dei “decemviri” (commissione di dieci uomini) delle Leggi delle XII tavole, un corpo di leggi compilato nel 451-450 a.C., contenenti regole di diritto privato e pubblico, che rappresentano una tra le prime codificazioni scritte del diritto romano. Esse furono determinanti, anche se si limitavano alla trascrizione dei costumi e delle usanze di tipo giuridico-religioso-sacrale nel ius (parte del diritto romano): prevedevano, per esempio, ancora, il divieto di matrimonio tra patrizi e plebei, divieto che fu abolito nel 445 a.C. con la promulgazione della Legge Canuleia, proposta dal tribuno Gaio Canuleio. Si parla anche di legis actiones (azione di legge), con la quale si indicava il modo di agire in giudizio, secondo forme determinate conformi alla legge, caratterizzato da rigoroso formalismo orale e gestuale. I privati si presentavano davanti al magistrato, che presiedeva il rito, vigilando che fossero pronunciate le parole esatte e compiuti i gesti precisi stabiliti dal diritto, in mancanza dei quali la procedura si arrestava. Dopo questo conflitto degli ordini, ossia questo scontro combattuto tra plebei e patrizi, si stabilì una nuova classe dirigente, la nobiltà, la quale, a differenza del patriziato, riservato ad un numero limitato di famiglie "originarie", era un ceto sociale potenzialmente dinamico, che aveva raggiunto la notorietà avendo ricoperto cariche nei pubblici uffici. Negli anni 320 a.C., tutte le magistrature erano aperte anche ai plebei, così lo status dei due gruppi si andò parificando e, nel frattempo, il numero delle famiglie patrizie iniziò a diminuire. I più alti comandi, come quello dell'esercito e il “potere giudiziario” (potere che permette, in via definitiva e autonoma, di risolvere una controversia di natura civile, penale e amministrativa applicando la legge), che in età monarchica, erano prerogativa del re, in epoca repubblicana, tranne che in poche occasioni, furono assegnati a due “consoli” (magistrati eponimi, ossia che davano il loro nome ad una città, luogo o dinastia), mentre per quanto riguarda l'ambito religioso, prerogative regie furono attribuite al pontefice massimo. Con la progressiva crescita di complessità dello Stato romano, si rese necessaria l'istituzione di altre cariche, quali: • Edili: magistrati di antiche città sabine e latine, tra cui Roma; • Censori: chi esercitava la magistratura istituita nel 443 a.C. e operante fino al 350 d.C.; • Questori: magistrati minori dello Stato, la cui carica costituiva il primo grado dell’ordine sequenziale degli uffici pubblici e richiedeva come età minima 30 anni (28 per i patrizi); • Tribuni della plebe: prima magistratura plebea a Roma. Tutte queste cariche andarono a costituire le magistrature; tra le magistrature più importanti abbiamo: • Il consolato, l'età minima per l'elezione a console era di 40 anni per i patrizi e di 42 per i plebei; i consoli venivano eletti dal popolo riunito nei comizi centuriati e le competenze consolari investivano tutto l'agire pubblico, in pace come in guerra. Ognuno dei due consoli era titolare del potere nella sua interezza e poteva esercitarlo in via del tutto autonoma, salva la facoltà del collega di porre il veto, inoltre i consoli erano eponimi, ossia l'anno di servizio era conosciuto con i loro nomi; • La pretura, intesa quale magistratura distinta dal consolato, che venne istituita nel 367 a.C. La carica aveva durata annuale ed era accessibile solo ai patrizi, infatti fu creata come soluzione di compromesso tra patrizi e plebei allo scopo di controbilanciare l'ottenimento da parte dei plebei dell'accesso al consolato. I due pretori determinavano, per sorteggio, quali funzioni dovessero rispettivamente esercitare; se uno dei due era alla guida dell'esercito, l'altro esercitava le funzioni di entrambi all'interno della città; • La censura, istituita nel 443 a.C. sulla base di una proposta presentata al Senato, per ovviare al problema, sempre più pressante, del ritardo con cui venivano tenuti i censimenti, fino ad allora di responsabilità dei consoli. Tale carica, in origine, poteva essere ricoperta solo dai patrizi, ma dal 339 a.C. le Leggi Pubbliche ( leggi con le quali il concilio della plebe fu riconosciuto, ufficialmente, come realtà istituzionale della Repubblica romana) stabilirono che uno dei censori dovesse essere di estrazione plebea; la funzione di fornire pareri e indicazioni ai magistrati, indicazioni che, poi, divennero di fatto vincolanti; inoltre, approvava le decisioni prese dalle assemblee popolari. Al Senato venne conferito, formalmente, il solo potere consultivo, ovvero il diritto di essere consultato prima di far passare una legge; esso si poteva riunire solo in luoghi consacrati, solitamente nella Curia ( posto dove le tribù si radunavano per discutere degli affari dello stato), che si trovava nel foro romano, situato nella valle compresa tra il Palatino e il Campidoglio, centro commerciale, religioso e politico della città di Roma. Per entrare in senato occorreva aver esercitato una magistratura; dapprima vi furono ammessi soltanto coloro che erano stati censori, consoli o pretori, in seguito il senato fu aperto anche agli ex edili, agli ex tribuni della plebe e agli ex questori. Ogni cinque anni i censori redigevano la lista ufficiale dei senatori, integrando i posti vacanti e, in rari casi, procedendo all'espulsione degli indegni. Riguardo la politica e la religione, queste, a Roma, sono strettamente connesse, vediamo infatti che attributo necessario per comandare l’esercito era l’imperium, la forza congiunta di dei e popolo di Roma. Roma, a differenza di Atene, conquistò territori e sottomise popoli e, fin dal V secolo a.C., dovette affrontare il problema di come porsi, in quanto città vittoriosa, nei confronti dei popoli vinti o delle realtà statuali con cui veniva a contatto. Dopo gli ampiamenti del territorio della Repubblica tra la fine del III e il II secolo a.C., il termine provincia, passò gradualmente a significare non più la sfera di competenza di un magistrato, ma il territorio sul quale questi esercitava i propri poteri. Le province erano governate da magistrati appositamente eletti (pretori) o da consoli o pretori di cui veniva prolungata la carica; nel periodo iniziale vennero considerate soprattutto territori di conquista e sottoposte a tributo e allo sfruttamento economico. Le città conservarono, in grado variabile, la propria autonomia (spesso in relazione all'atteggiamento tenuto nei confronti del vincitore) per concessione, sempre revocabile, da parte di Roma, in forza di un patto. A queste si aggiunsero le colonie di cittadini romani o italici; l'organizzazione territoriale si articolava sulle città già esistenti, soprattutto nelle province orientali, mentre nelle province occidentali, dove le città erano più scarse, il territorio venne, inizialmente, articolato in distretti rurali, a fini essenzialmente tributari. La successiva fondazione sistematica di colonie e la concessione ad altre città dello status di municipio (termine col quale si indicano alcune comunità cittadine dipendenti da Roma), favorì la romanizzazione dei territori conquistati. Il municipio si contrappone alle comunità annesse in condizioni di parità con gli originari di Roma; alle città alleate, che conservano formalmente la loro sovranità; alle colonie. Il governatore esercitava un potere assoluto (imperium) militare, amministrativo, finanziario e giuridico, sia penale che civile; la provincia era suddivisa in distretti giudiziari, ciascuno con il proprio capoluogo. A Roma ed in Italia, accanto ai cittadini romani vi erano persone di condizione giuridica diversa, che andava dalla totale estraneità al mondo romano (i peregrini) all’appartenenza parziale (i cittadini romani senza diritto di voto). Era cittadino romano chi nasceva da giuste nozze tra madre o padre entrambi romani o tra padre romano e madre latina o peregrina, a patto che essa avesse il diritto di connubio (diritto di contrarre matrimonio tra le diverse classi sociali ). Un cittadino romano poteva cessare di essere tale se subiva un cambiamento di condizione giuridica, ad esempio, perdeva il proprio stato di libero per prigionia di guerra, per condanna penale oppure se diveniva cittadino di altra città, in quanto il diritto vietava la doppia cittadinanza; riguardo quest’ultima si parla anche della “cittadinanza senza voto”, che era un livello di cittadinanza della Repubblica romana, che garantiva tutti i diritti di cittadinanza romana, tranne il diritto di voto nelle assemblee popolari. I peregrini non erano cittadini romani, ma appartenevano a comunità straniere. L'ammissione dei soci italici alla cittadinanza romana, avvenuta intorno al 90 a. C., rese applicabile il regime municipale anche alle città che erano state per lo innanzi in condizione di alleate. Si attua per i nuovi municipi un'organizzazione uniforme; invece i municipi più antichi, nonché le colonie, continuarono a dare ai loro magistrati i nomi che avevano portato in precedenza, il che permette di trarre, anche dalle epigrafi d'età imperiale, qualche lume circa la situazione originaria di ciascuna comunità. Nei territori popolati da cittadini romani, ma privi di municipi e coloni, si formarono centri di aggregazione di minore dimensione, chiamati conciliabula e fora; questi erano il punto d’incontro tra abitanti di villaggi e fattorie sparse. All’inizio del I secolo a.C., scoppiò una crisi politica che coinvolse gran parte del mondo italico, in quanto gli alleati cominciarono a richiedere, insistentemente, la cittadinanza romana, grazie alla quale vi era la soppressione del tributo, la partecipazione alle concessioni di grano a basso prezzo, la distribuzione di bottino e terre ed un ruolo attivo nella politica romana. La guerra che ne derivò si concluse con la concessione, attraverso varie leggi, della cittadinanza ai soci e portò ad una nuova organizzazione amministrativa, quale appunto quella del municipio. Dopo aver battuto definitivamente i populares (partiti che sostenevano le istanze del popolo), Silla si fece nominare dittatore con l'impegno di dover scrivere delle leggi e formare una nuova repubblica. Tra i suoi primi provvedimenti spicca quello delle liste di proscrizione, che consistevano in degli elenchi di persone che potevano essere uccise da chiunque volesse farlo e, i loro beni, dopo esser stati confiscati, venivano messi all'asta; queste liste costarono la vita a moltissime persone e fecero arricchire importanti personaggi storici come ad esempio Crasso. Impauriti, i sanniti scomparvero dalla vita politica. In realtà le proscrizioni furono la giustificazione per colpire il ceto dei cavalieri e qualche senatore con lo scopo di rafforzare il potere dell'aristocrazia. Silla emana una serie di leggi : • Con la lex de tribunicia protestate si stabiliva che i tribuni della plebe dovessero presentare la legge prima ai senatori e, solo dopo la loro approvazione, ai consoli; • Con la lex de comitiis centuriatis si tentò di ridar vita ai vecchi comizi, formati prevalentemente dall'aristocrazia; CAPITOLO TERZO L’ETA’ IMPERIALE Ottaviano Augusto, pur volendo restaurare le istituzioni repubblicane, diede l’avvio ad un nuovo ordinamento, quale il “principato”, fondato sul potere politico del principe (primo tra individui di pari dignità). In questa età fu ridisegnato il sistema delle province, fu riformato l’esercito e le funzioni di governo amministrative e militari furono spartite tra senatori e cavalieri. Augusto non prese la corona di re, né la dittatura a vita, ma dal 31 al 23 a.C. rivestì, ininterrottamente, il consolato con colleghi a lui fedeli, facendosi attribuire il titolo di “imperatore”, per indicare che la sua forza stava nel controllo e nella fedeltà degli eserciti. L’anno in cui si può porre l’inizio del nuovo regime è il 27 a.C. Nel 23 a.C. Augusto ricevette l'insieme dei poteri dei tribuni della plebe, che comportava l'inviolabilità personale ed il possibile diritto di veto nei confronti di provvedimenti legislativi (intercessio). Il Senato lo investì a vita anche della dignità proconsolare, conferendogli poteri superiori (il cosiddetto imperium maius) a quelli degli altri proconsoli. L'insieme di queste prerogative, sommate alla carica di console che assunse ben tredici volte, conferì ad Augusto un potere che non poteva più avere alcun elemento di "bilanciamento" nella vita dello stato: un potere che faceva di lui il princeps – come amava essere definito – e cioè "il primo" dei cittadini di Roma. Oltre all'auctoritas, di cui si è detto, deteneva infatti la potestas (cioè l'autorità civile) e l'imperium (cioè il potere di comandare gli eserciti). Nel 12 a.C. venne, inoltre, proclamato pontefice massimo, la più alta carica sacerdotale dello stato, controllando così anche la sfera religiosa e, nel 2 a.C., assunse quel titolo di "padre della patria" che la tradizione aveva fino ad allora assegnato solo a Romolo e a Marco Furio Camillo. Augusto promosse numerose riforme, allo scopo di restaurare l'ordine sociale ed impose l'osservanza delle tradizioni morali, religiose e del costume romano; creò, inoltre, una solida ed efficiente burocrazia imperiale e abbellì Roma con templi, basiliche e portici, trasformandola – come lui stesso dichiarò – da una città di mattoni, in una città di marmo. La rivoluzione dal vecchio, al nuovo sistema politico, contrassegnò anche la sfera economica, militare, amministrativa, giuridica e culturale. Augusto, negli oltre quarant'anni di principato (prima forma di governo dell’impero), introdusse riforme d'importanza cruciale per i successivi tre secoli, tra cui: • riformò il cursus honorum (ordine sequenziale degli uffici pubblici) di tutte le principali magistrature romane, ricostruendo la nuova classe politica e aristocratica e formando una nuova classe dinastica; • riordinò il nuovo sistema amministrativo provinciale, anche grazie alla creazione di numerose “colonie” ( comunità autonome, situate in un territorio conquistato da Roma, in cui si erano stanziati dei cittadini romani, legate da vincoli di eterna alleanza con la madrepatria) e municipi (comunità cittadine legate a Roma, ma prive dei diritti politici propri dei cittadini romani); • riorganizzò le forze armate di terra e di mare ; • favorì la rinascita economica e il commercio, grazie alla pacificazione dell'intera area mediterranea, alla costruzione di porti, strade e ponti; • promosse una politica sociale più equa verso le classi meno abbienti, con continuative elargizioni di grano e la costruzione di nuove opere di pubblica utilità (come terme, acquedotti e fori); • diede nuovo impulso alla cultura, grazie anche all'aiuto di Mecenate (consigliere, alleato ed amico di Augusto); • introdusse una serie di leggi a protezione della famiglia; • riordinò il sistema monetario (23-15 a.C.), che rimase praticamente immutato per due secoli. Uno dei suoi primi provvedimenti fu la riforma del senato; espulse dal senato alcuni senatori per motivi morali, costrinse altri 200 a dimettersi, aumentò a 10.000 sesterzi (moneta romana) il requisito minimo per diventare senatore e accettò il titolo di principe del senato. Augusto non si imbatté in una politica espansionistica, ma consolida i confini e distingue le province imperiali ( province romane, il cui governatore veniva nominato direttamente ed unicamente dall'imperatore; queste province erano, spesso, province di confine, strategicamente e militarmente importanti per la sicurezza dell'Impero o comunque quelle province non del tutto pacificate o nelle quali si erano da poco svolte guerre o rivolte) da quelle senatorie (province romane, il cui governatore veniva nominato esclusivamente dal senato; si trattava generalmente di province lontane dai confini dell'impero e generalmente pacificate). La divisione delle province ebbe importanza anche per l'ordinamento finanziario; fu mantenuto l'aerarium, cioè la cassa repubblicana dello Stato, a cui affluivano i redditi provenienti dalle province e furono costituiti e organizzati il “fiscus”, ossia la cassa delle entrate dell’imperatore, distinto dall'erario militare, del popolo e del senato. Il fiscus nacque dall'esigenza di amministrare le entrate provenienti dalle province imperiali (sottoposte alla gestione diretta dell'imperatore) più ricche e di utilizzarle al fine di coprire la gestione delle spese dell'amministrazione provinciale. Nelle province furono in complesso diminuite le imposte, anche se ne furono istituite delle nuove a favore dei veterani e fu data maggiore importanza al pagamento in denaro dei tributi fissi; per impedire gli arbitri e gli abusi si adottò, invece degli appalti, il sistema dei pro magistrati (persone che agivano con l’autorità e la capacità di un magistrato) e funzionari imperiali stipendiati, soggetti a regolari controlli. Accurate operazioni catastali e di censimento resero possibile una tassazione più equa, potendosi conoscere meglio il reddito delle singole regioni e dei singoli gruppi famigliari. Questi provvedimenti non furono ben visti dalla classe equestre (classe dei nobili); la prima vittima delle leggi emanate da Augusto fu sua figlia Giulia, condannata all'esilio per aver condotto una vita lussuriosa e per aver complottato contro l'imperatore; Augusto stesso affermò in pubblico che Giulia era colpevole di aver complottato contro la sua vita. Riguardo, invece, la repressione dei crimini, gli imperatori procedettero attraverso editti. Con Augusto entrarono in funzione due nuovi tribunali penali, il primo costituito dall’imperatore stesso, con l’assistenza del suo “consiglio”, il secondo formato dal senato sotto la presidenza dei consoli. Agli inizi del principato, i poteri in materia criminale dei governatori variavano a seconda dello stato giuridico di chi aveva commesso il reato: se si trattava di cittadini romani, i reati che prevedevano la pena di morte facevano scattare le tutele riconosciute ai “cittadini” dalla “provocatio” (garanzia riconosciuta al cittadino che, condannato dal magistrato alla pena di morte o al pagamento di una multa superiore a un certo ammontare, poteva appellarsi al popolo, perché fosse questo a emettere la sentenza definitiva, che poteva essere di condanna o di assoluzione), per cui l’accusato poteva essere inviato a Roma per comparire o davanti all’imperatore, o al tribunale senatorio oppure ad un “organo giurisdizionale”; se si trattava di un peregrino, invece, il governatore poteva procedere. Il periodo augusteo rappresentò, anche, il momento di massimo splendore della letteratura latina, con l'opera poetica di Virgilio, Orazio e Ovidio, e la prosa della monumentale Storia di Roma di Tito Livio. CAPITOLO QUARTO L’ETA’ TARDOANTICA Con l’inizio del secolo IV d.C. si aprì il periodo tardantico; in esso si verificarono profondi mutamenti demografici (insediamento dei popoli germanici), economici (crisi del commercio), religiosi (affermazione del cristianesimo), sociali (regresso della vita cittadina) e politici (scomparsa dello stato romano come regno unitario). Nel 284 d.C. il potere passò nelle mani di Diocleziano, un soldato dalmata di umili origini, il quale procedette ad una serie di riforme importanti sul piano istituzionale; ciò che è interessante è la divisone dell’impero in due parti, quali occidentale ed orientale e la suddivisone amministrativa delle provincie, che furono aggregate introno alle diocesi, rette da un vicario (che controllava i governatori delle province) e, a loro volta, rette da un prefetto, ossia da un comandante militare. Diocleziano, ritenendo impossibile riportare lo stato alla condizione precedente alla crisi del II sec., decise di intraprendere la monarchia assoluta, diventando monarca con poteri assoluti. Doveva disporre di un esercito forte e di funzionari fidati e promulgava ed emanava diritti senza doverne rendere conto a nessuno, inoltre diminuì il numero di soldati di ogni legione, aumentando le legioni stesse. L’esercito fu diviso in truppe di frontiera (limitanei), che risiedevano oltre il limes (barriere costruite dall'Impero Romano per difendere i propri confini e i propri territori) e truppe da combattimento, stanziate nelle retrovie, mentre il territorio venne ripartito in 12 diocesi, facendo cadere ogni privilegio dell’Italia; queste diocesi vennero raggruppate in 4 territori, ciascuno governato da un personaggio di dignità imperiale, instaurando una tetrarchia (governo dei 4). Un’importante novità, sul piano amministrativo, operata da Diocleziano, fu la riduzione dell’Italia a provincia, che portò alla perdita della centralità di Roma; del resto, dopo l’editto di Caracalla (il quale stabiliva che chiunque fosse nato nell'impero fosse un cittadino romano), non c’era più ragione che l’Italia e Roma avessero privilegi. Il cristianesimo rappresentava una minaccia e fu perseguitato da Diocleziano che, nel 303-304 d.C., promulgò alcuni decreti che proibiva i riti cristiani, recludeva il clero, distruggeva le chiese e l’esclusione dei cristiani dalle cariche politiche. Il sistema municipale non conobbe sostanziali modificazioni, in quanto le città possedevano un ordo, ossia una sorta di piccolo senato, i cui membri erano chiamati curiali ed erano selezionati in base alla ricchezza ed alle proprietà fondiarie, erano di numero variabile, dai 50 delle piccole città alle centinaia. Fu vietato ai coloni e ai curiali (proprietari terrieri) di cambiare residenza e si fece in modo che, alla morte di un contribuente, ne subentrasse un altro con uguali doveri (il figlio, per garantire entrati stabili nel tempo). Le professioni divennero ereditarie: il figlio del fornaio doveva fare il fornaio e, addirittura, la figlia di un fornaio doveva sposare un fornaio. Dopo l’abdicazione di Diocleziano, prese il potere, Costantino (nel 324 d.C.), il cui programma riprendeva e sviluppava quello assolutistico di Diocleziano. Egli voleva un esercito forte, uno stato efficiente e la fine delle guerre religiose, concedendo la libertà di culto ai cristiani (Editto di Milano, 313 d.C.) emanando leggi a loro favore, convertendosi lui stesso, facendo diventare l’impero e la chiesa strettamente solidali, rendendosi tutore dei cristiani; con questo editto l’imperatore d’Occidente (Costantino) intendeva porre, ufficialmente, termine a tutte le persecuzioni religiose e proclamare la neutralità dell'Impero nei confronti di qualsiasi fede. Nel 325 d.C. inaugurò, come protettore, il primo concilio Ecumenico a Nicea, col quale l’imperatore spera di mettere fine alle dispute tra cristiani, che rischiano di creare gravi difficoltà al suo impero già in via di disgregazione. Fu fondata una nuova capitale, “Nuova Roma”, nota come Costantinopoli. Costantino, per risolvere il problema dell’esercito, arruolò masse barbariche, che costituivano il grosso delle truppe. La gravità del fenomeno si mostrò dopo la morte di Costantino avvenuta nel 337 d.C., alla cui morte prese il potere il figlio Costanzo, dopo lotte con i fratelli. Il tardo antico si conclude con Giustiniano nel 565 d.C.
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