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Italia: anni Cinquanta, Appunti di Storia Dell'architettura

La situazione dell'Italia nel secondo dopoguerra, con particolare attenzione alla ricostruzione urbana e alla pianificazione territoriale. Si analizzano le normative e gli strumenti utilizzati per la ricostruzione delle città distrutte dalla guerra, come i Piani di Ricostruzione e i Piani Regolatori Generali, e si evidenzia il fallimento della pianificazione urbana italiana degli anni '50. Vengono citati alcuni esempi di Piani Regolatori Generali realizzati da importanti architetti ed urbanisti, come Albini, de Carlo, Marconi, Piccinato e Ridolfi.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 26/01/2022

camilla.martino
camilla.martino 🇮🇹

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Scarica Italia: anni Cinquanta e più Appunti in PDF di Storia Dell'architettura solo su Docsity! IL DOPOGUERRA IN ITALIA In Italia il secondo conflitto mondiale ha portato alla distruzione di una buona parte del costruito: le più colpite sono state le infrastrutture, mentre le residenze riguardano solo il 5%. A tale situazione si sommano problematiche legate a gravi carenze edilizie dovute a secoli di arretratezza economica e territoriale: il regime autoritario fascista al governo dal 1922 al 1944 aveva bloccato e direzionato molte scelte ed interventi, le cui conseguenze riemergono in questo periodo. Nel momento in cui crolla la gestione totalitaria si verifica uno spaesamento a livello istituzionale, collettivo, ma anche costruttivo e urbano che si cerca di risolvere nel periodo che separa le due guerre e soprattutto nel secondo dopoguerra. Al termine della guerra, l’Italia, rispetto agli altri paesi europei (Francia, Inghilterra), non prevede alcuna normativa che regolarizzi la ricostruzione o alcuna istituzione di ministeri. L’unica norma presente è la Legge Urbanistica n. 1150 del 1942, la quale prevedeva una revisione dei territori comunali, vincolando ogni comune all’elaborazione di un Piano Regolatore Generale (PRG) per la definizione di una serie di elementi, quali le reti infrastrutturali e l’articolazione del territorio in zone (zoning) in base alla loro destinazione d’uso. Se i piani degli anni Trenta cercavano di riunificare il piano di ampliamento per le espansioni, il PRG era destinato ad una nuova organizzazione del territorio in risposta all’accelerazione dell’inurbamento e dell’ammodernamento delle aree centrali. Nell’immediato dopoguerra, però, questa legge risulta troppo complessa e ostile allo sviluppo e alla ripresa veloce che il paese necessitava. Si sceglie quindi di mettere in campo dispositivi più semplici che potessero far fronte alla situazione di emergenza, come i Piani di Ricostruzione (PdR), legiferati con il Decreto del 1 marzo 1945 e diventati immediatamente operativi. A differenza dei Piani Regolatori Generali, i Piani di Ricostruzione riguardavano solo le aree distrutte dalla guerra e che necessitavano di interventi di ricostruzione: essi si componevano di due tavole, una rappresentazione delle preesistenze e una delle parti danneggiate. Gli unici casi in cui il Piano di Ricostruzione assume un valore maggiore sono quelli di piani elaborati da architetti o urbanistici rilevanti, i quali sono in grado di svolgere un’analisi e una progettazione più elaborata e coscienziosa: si ricordano il Piano di Pescara (1946) di Luigi Piccinato e il Piano di Terni (1944) di Mario Ridolfi. Dal 1949, al discorso della ricostruzione, si aggiunge un intervento su scala nazionale: il Piano INA Casa che prevede il rilancio del tema del quartiere, scavalcando gli enti locali e i piani esistenti e realizzando nuovi quartieri in zone distanti dai centri urbani. STRUMENTI E NORME PER LA COSTRUZIONE DELLA CITTÀ – (1950-1960) • Piano di Ricostruzione di Firenze (1947), ricostruzione di Ponte Vecchio, distrutto dalle truppe tedesche in seguito all’occupazione della città • Piano di Ricostruzione di Pescara (Luigi Piccinato, 1946), ricostruzione dell’area del torrente • Piano di Ricostruzione di Terni (Maria Ridolfi, 1944), ricostruzione dell’intero contesto abitato La città di Milano fa eccezione con l’attuazione del Piano Architetti Riuniti (AR), elaborato nel 1944 da un gruppo di architetti lombardi che parte dai principi e dagli assunti dei CIAM, dando priorità a infrastrutture, collegamenti, aree produttive, residenziali e verdi e cercando di combattere la forte speculazione in atto in quegli anni. Milano, per la sua complessità di funzioni, è la prima città a dotarsi di un Piano Regolatore Generale staccandosi così dall’inerzia generale. Nel 1945 viene bandito il concorso per l’elaborazione del Piano, adottato nel 1948, ma istituzionalizzato solo nel 1953. Il PRG si basa sul Piano AR sottolineando l’importanza delle infrastrutture e dell’espansione verso il nord della città, ma riduce notevolmente lo spazio dedicato alle aree verdi. Sin dagli anni Cinquanta si può proclamare il fallimento della pianificazione urbana italiana che lascia libero arbitrio alla proprietà fondiaria e alla speculazione edilizia, rimarcata dalla carenza di alloggi dovuta in parte alle distruzioni belliche e in parte al riversamento nei centri urbani della popolazione. Nel 1955, su 310 comuni interessati, vengono solo 23 PRG vengono approvati e 39 adottati. • Piano Regolatore Generale di Reggio Emilia (Franco Albini, Giancarlo de Carlo, 1948-1949) cristallizza il centro storico esistente e definisce le aree di sviluppo industriale, terziario e di espansione • Piano Regolatore Generale di Verona (Paolo Marconi, 1949-1951) cristallizza il centro storico e definisce le principali direttrici di espansione • Piano Regolatore Generale di Matera (Luigi Piccinato, 1952) prevede il risanamento dell’area dei sassi, lasciata abbandonata e caratterizzata da abitazioni estemporanee e improvvisate • Piano Regolatore Generale di Firenze (1951-1953) cristallizza il centro storico e prevede le nuove direttrici di sviluppo industriale e residenziale • Piano Regolatore Generale di Ivrea (Ludovico Quaroni, 1952-1955) • Piano Regolatore Generale di Terni (Mario Ridolfi, 1955-1960) I pochi Piani Regolatori Generali realizzati, affidati alle qualità progettuali di importanti architetti ed urbanistici, sono accumunati da un processo di zonizzazione che suddivide in diverse aree il territorio interessato: • Residenza è la funzione prevalente, con aree destinate ai servizi e al verde pubblico • Centri storici non vengono considerati, rimandando ai Piani di Dettaglio degli anni Sessanta L’incapacità delle amministrazioni locali di governare i processi di espansione edilizia e la superficialità dei Piani portano alla formazione di aree periferiche non collegate alle aree centrali. Tale speculazione è data dalla tumultuosa e incontrollata movimentazione di popolazione verso le grandi città: tra il 1955 e il 1971 si sono registrati gli spostamenti di 9 milioni di abitanti. Il processo di migrazione in atto nel secondo dopoguerra coinvolge due parti: • Zona di esodo, in cui la scarsità della popolazione causa danni economici e compromette l’equilibrio ecologico e ambientale • Zona di concentrazione, in cui l’eccessiva presenza di abitanti genera problemi di carenza di alloggi, servizi, trasporto, inquinamento Questa situazione porta negli anni Sessanta ad una serie di valutazioni per risolvere il problema della gestione delle città e delle aree industriali. LA RISCOPERTA DELLA TECNICA In questo periodo post-bellico lo sviluppo dell’architettura e la ricostruzione delle città si deve al fervore degli architetti rivolto verso la tecnica delle costruzioni e alle nuove tecnologie, agevolato anche dai finanziamenti forniti dagli alleati (Stati Uniti). Sono proprio gli Stati Uniti i responsabili dell’elaborazione del Centro Nazionale delle Ricerche (CNR) il quale si occupa della stesura del Manuale dell’Architetto (1946), ovvero un compendio di norme tecniche che mira alla standardizzazione e alla codifica di tutti gli elementi architettonici. VIA BARCA (BOLOGNA, 1957-1962) Tra il 1957 e il 1964 si sviluppa una seconda fase di sperimentazione di questi quartieri. Un esempio è il Quartiere INA Casa di via Barca a Bologna, realizzato sotto la guida di Giuseppe Vaccaro. Le unità residenziali vengono disseminate sul territorio, collegate da percorsi dinamici: vengono eliminate la serialità e l’anonimicità, caratteristiche dei precedenti casi. L’edificio a spina porticato diventa il luogo della socializzazione, assumendo la funzione di coinvolgimento della popolazione, in mancanza di una piazza in cui poter svolgere la vita sociale. QUARTIERE GALATINA (LECCE, 1958) Altro esempio architettonicamente interessante, ma privo di collegamenti con i nuclei urbani è il Quartiere Galatina a Lecce, realizzato nel 1958 dal Gruppo Cicconcelli con la partecipazione di Luigi Pellegrin. La particolarità di questo esempio è l’orientamento delle unità abitative a 45°. QUARTIERE FORTE QUEZZI (GENOVA, 1956) L’esempio più interessante è il Quartiere Forte Quezzi, realizzato a Genova da Gruppo Daneri. Il quartiere viene posto su di una collina, composto da cinque corpi di fabbrica che seguono l’andamento delle curve di livello, adattandosi alla topografia del sito: si tratta di un chiaro riferimento al Piano di Algeri di Le Corbusier. Ancora una volta si sceglie una struttura in cemento armato con delle strade interne pedonali e carraie, alcune esterne ai blocchi, altre passanti tra i pilotis che garantiscono la sopraelevazione del blocco (Unitè d’Habitation). Anche in questo caso si sottolinea la mancanza di collegamenti con il centro urbano, se non per un bus che collegava con la città di Genova. Negli anni successivi il complesso è stato però dotato di tutti i servizi necessari. BBPR (BANFI, BELGIOIOSO, PERESSUTTI, ROGERS) I BBPR hanno dato un grande contributo alla cultura architettonica milanese nel periodo tra le due guerre e quello immediatamente successivo. I componenti, Ernesto Nathan Rogers, Enrico Peressuti, Gian Luigi Banfi e Lodovico Belgiojoso, si erano cosciuti in ambito universitario elaborando insieme la tesi di laurea presso il Politecnico di Milano nel 1932. Ognuno con una sua caratteristica e particolarità, hanno dato origine ad un forte team: all’epoca non esistevano delle specializzazioni nel campo dell’architettura, quindi la loro progettazione andava dall’oggetto di design alla scala urbana. EDIFICIO IN VIA MANIN (1935) Negli anni Trenta realizzano l’edificio in via Manin per il signor Felrinelli, a ridosso dei Bastioni di Porta Venezia a Milano, affacciato sul Parco di Porta Venezia. Proprio l’affaccio su un’area verde e la committenza di alto livello determinano una serie di scelte e una possibilità di ricerca materica e tecnologica rilevanti. Viene scelta una struttura in acciaio che garantiva flessibilità sia nella disposizione delle piante degli alloggi che nell’introduzione di altri elementi tecnologici: finestre continue (quasi a nastro) in leggero aggetto rispetto al prospetto principale (bow window) che permette di godere la vista sul parco antistante. Questi elementi combinati conferiscono al progetto una complessità interessante per gli anni Trenta. MONUMENTO IN RICORDO DEI CADUTI NEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO (1946) Il Monumento in ricordo dei Caduti nei campi di concentramento rappresenta un progetto monumentale anti-monumentale. Realizzato all’ingresso del Cimitero Monumentale di Milano nel 1946, viene dedicato in modo particolare a Gian Luigi Banfi, morto l’anno precedente nel campo di Mauthausen. Posta su un basamento in pietra, si costituisce di un’intelaiatura metallica cubica impostata sulla sezione aurea, inizialmente in ferro povero verniciato, al centro della quale era posta l’urna con le ceneri dei caduti. Dopo la fine della guerra i BBPR mantengono il nome, nonostante la perdita della figura di Banfi. Lo studio in via dei Chiostri rimane un pilastro importante nella formazione delle generazioni successive. MUSEI CASTELLO SFORZESCO (MILANO, 1956) Negli anni Cinquanta lo studio BBPR si occupa del restauro e del riallestimento dei Musei del Castello Sforzesco, danneggiati in seguito alla guerra. Il loro obiettivo era quello di aprire le arti al grande pubblico, creando dei percorsi: il percorso doveva illustrare e far capire a tutti la scultura medievale lombarda esposta. I primi pezzi esposti non erano del tutto integri e quindi viene predisposto un sostegno e una base più consistente, elementi che si perdono nelle sculture successive che diventano un tutt’uno con la sala e il suo sfondo Nel percorso si trovano diversi elementi: • Parti della città: ghiera della Pusterla dei fabbri, ovvero di una porta un solo fornice appartenente alla cinta medievale, posta in corrispondenza dell’attuale Piazza Resistenza Partigiani • Stele, iscrizioni monche e frammentarie • Statua equestre di Bonino da Campione dedicata a Bernardo Visconti • Pietà Rondanini di Michelangelo (il non finito michelangiolesco), posta in una sala buia e scura, illuminata solo da luce artificiale, a cui si arrivava attraversando una discesa di scalini e ruotando attorno ad un setto di pannelli in calcestruzzo armato EDIFICIO PER UFFICI IN PIAZZA MEDA Negli anni Sessanta i BBPR realizzano un edificio per uffici in Piazza Meda, luogo cruciale per via della sua vicinanza con la Chiesa di San Fedele, Piazza Scala e San Babila. L’edificio diventa una sorta di cerniera tra i diversi flussi di traffico che attraversano l’incrocio antistante, almeno per come era la situazione all’epoca. La struttura riprende l’elemento curvo dell’abside della Chiesa di San Fedele, attestandosi però con un’altezza inferiore per non togliere importanza all’edificio sacro. Inoltre, prende in considerazione anche la configurazione del costruito circostante riprendendone l’orizzontalità. La struttura viene realizzata con pilastri a Y in acciaio che permettono la realizzazione del curtain wall e la copertura in rame. TORRE VELASCA (MILANO) Torre Velasca è un edificio a torre per abitazioni, uffici, negozi con autorimessa sottostante. Viene realizzata dal gruppo BBPR in collaborazione con l’ingegnere strutturista Arturo Danusso. La torre, che fa parte di una risistemazione di un comparto urbano di 9000 mq su cui insistevano case e palazzotti della vecchia Milano quasi interamente distrutti dalla guerra, costituisce il nucleo centrale di volumetria complessiva di 126 mila mc, inferiore del 12% a quella che l’utilizzazione dell’area (secondo il regolamento edilizio) consentiva. Per questa ragione, il Comune concesse l’eccezionale spinta verticale di 87.5 metri in cambio di un’area libera da destinare a parcheggi di 1650 mq. La Società Generale Immobiliare, nonché committente, aveva acquistato tutto l’isolato tra via Velasca, via Pantano e il corso di Porta Romana, richiedendo due soluzioni alternative: • Costruzione di corpi di fabbrica bassi con più cortili • Torre Vengono presentate varie soluzioni progettuali che richiedono otto anni di lavoro, per poi arrivare ad un confronto finale: • Soluzione a paravento • Soluzione a torre con struttura metallica Al termine delle valutazioni si arrivò alla conclusione che la struttura in acciaio sarebbe costata il 25% in più di quella in calcestruzzo armato che prevalse. La struttura finale prevede 29 livelli (27 fuori terra, 2 interrati) così organizzati: • Piano terra → negozi, ingresso • Piano primo → raccordo (tipo Lever Building) tra l’edificio verticale e il quartiere • Nove piani → uffici • Sette piani → bilocali con studio • 18° piano → impiantu • Otto piani → appartamenti vari, retti da puntoni e tiranti Le piante si sviluppano intorno ad un core centrale in calcestruzzo armato con funzione controventante che continue gli elementi di distribuzione verticale (ascensori, scale). Al piano terra la pianta è organizzata sull’asse centrale, con l’avancorpo di accesso e l’atrio con i due corpi scale e gli ascensori, mentre il perimetro si
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