Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Italia dopo la prima guerra mondiale e origini del fascismo, Dispense di Storia

Italia dopo la prima guerra mondiale e origini del fascismo, spiegati in modo semplice e chiaro

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 09/07/2023

giuliausalti29
giuliausalti29 🇮🇹

41 documenti

1 / 3

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Italia dopo la prima guerra mondiale e origini del fascismo e più Dispense in PDF di Storia solo su Docsity! La crisi in Italia e le origini del fascismo Gli esiti della conferenza di pace per l’Italia L'Italia era entrata in guerra con due obiettivi fondamentali: 1. il completamento del processo di unificazione nazionale con la conquista di Trento e di Trieste; 2. l'affermazione del primato italiano nell'Adriatico. Le disposizioni dei trattati di pace consentirono il pieno raggiungimento solo del primo obiettivo; il secondo fu in parte mancato, nonostante gli accordi segreti stipulati a Londra con le potenze dell'Intesa. I nazionalisti, primo fra tutti Gabriele D'Annunzio, parlarono perciò di "vittoria mutilata". Il governo italiano cercò in un primo momento di richiamarsi agli accordi di Londra, senza tenere conto del fatto che l'accettazione da parte degli alleati dei 14 punti di Wilson, dove il principio di nazionalità veniva innalzato a criterio di riferimento per la soluzione dei problemi territoriali sollevati dal conflitto, cambiava i termini della questione, rendendo poco giustificabile l'assegnazione all'Italia di terre, come quelle della Dalmazia dove gli italiani costituivano solo una minoranza della popolazione. In nome dello stesso principio, appariva invece più coerente la rivendicazione della città di Fiume, importante centro portuale situato lungo la costa dalmata. Pur non essendo stato inserito negli accordi di Londra, aveva la maggioranza di italiani tra la sua popolazione. I lavori della conferenza di pace iniziarono per l'Italia sotto cattivi auspici. Britannici e francesi ritenevano infatti che il governo di Roma avesse dato uno scarso contributo alla vittoria, e d'altro canto, la delegazione italiana alla conferenza per la pace di Parigi, guidata da Vittorio Emanuele Orlando, non mostrò grandi capacità diplomatiche. La conferenza di Parigi continuò e al Regno d'Italia venne riconosciuta solo la sovranità sulle regioni del Trentino, dell'Alto Adige, Trieste e sull'Istria. Solo nel 1924, un accordo tra Italia e lugoslavia sancì finalmente l'ingresso di Fiume nel Regno d'Italia. L'insoddisfazione del Parlamento per il modo in cui Orlando aveva condotto le trattative di Parigi portò alle sue dimissioni e alla nascita, nel giugno 1919, di un governo guidato da Francesco Saverio Nitti, economista liberale e sostenitore dell'industrializzazione del Mezzogiorno. Il quadro politico italiano del dopoguerra Il 1919 fu un anno di fondamentale importanza nella vita politica italiana, a causa di due fatti nuovi: 1. A gennaio, per iniziativa del sacerdote Luigi Sturzo, nasceva il Partito popolare italiano (PPI); 2. A marzo, Benito Mussolini diede vita al movimento dei Fasci di combattimento. Nei primi anni della sua attività pubblicistica Sturzo si era distinto per il suo impegno nel meridione. Il suo era un partito per tutti quei cattolici che intendevano impegnarsi direttamente nella vita politica italiana, nonché il primo partito cattolico in Italia. Diversamente dalla fondazione del PPI, che ebbe ampia risonanza nel paese, la nascita dei Fasci di combattimento ebbe inizialmente uno scarso rilievo sul piano nazionale. Si trattava di un movimento politicamente non ben definito, composto da ex combattenti, interventisti, sindacalisti rivoluzionari. Il suo programma era in parte ispirato a principi anticapitalistici. Ma il movimento fascista, come venne poi definito, si presentava anche come un'agguerrita forza antisocialista e la polemica di Mussolini contro il Partito socialista italiano fu violentissima. La verifica della forza effettiva dei singoli partiti si ebbe con le elezioni del novembre 1919, dove il Partito socialista riportò un grande successo. Il PPI risultò il secondo partito, le prime elezioni del dopoguerra videro il successo delle forze che si erano opposte o che comunque non erano state favorevoli all'intervento italiano nel conflitto. Il Partito socialista, all'interno del quale era nel frattempo prevalsa la corrente massimalista guidata da Giacinto Serrati aveva come unico obiettivo la rivoluzione, sbocco inevitabile dei processi economici e sociali che si stavano svolgendo. La nascita del partito cattolico e il rafforzamento del Partito socialista rendevano indispensabile, anche per la destra, dotarsi di una formazione politica che avesse una base di massa. Si attendeva un "uomo nuovo" e in un primo tempo si credette di vederlo in D'Annunzio, un uomo però imprevedibile e poco stabile. Mussolini si rivolse alla media e grande borghesia produttiva, composta da imprenditori, per cercare di ottenerne l'appoggio, presentandosi come possibile portavoce di un capitalismo moderno. Secondo Mussolini, era importante il superamento della lotta di classe e la realizzazione della pacificazione. In realtà l'organizzazione dell'intero sistema produttivo immaginata da Mussolini si fondava su un rigido ordine gerarchico: nella fabbrica e nella società il capitalista avrebbe avuto un ruolo dirigente, mentre all’operaio sarebbe toccata una funzione soltanto esecutiva. La nuova destra trovò una base di massa nei reduci di guerra e nella piccola borghesia. Mussolini capì che era venuto il momento di contrattaccare sul terreno preferito dalle sinistre, trasferendo il confronto politico nelle piazze. II "biennio rosso" e la divisione delle sinistre Gli anni 1919 e 1920 sono stati definiti il "biennio rosso" perché, oltre a vedere il successo dei socialisti nelle elezioni del 1919, furono caratterizzati da frequenti scioperi e dimostrazioni popolari. Nel giugno 1919 si verificò una violenta protesta di massa contro l'aumento dei prezzi. Di fronte alle richieste salariali e normative avanzate dalla FIOM (la Federazione italiana degli operai metalmeccanici), il 30 agosto 1920 gli industriali torinesi risposero con la serrata, cioè con la chiusura degli stabilimenti. Gli operai replicarono alla serrata occupando le fabbriche e il movimento si estese ad altre città. Erano guidati, oltre che dalla FIOM, anche da un gruppo di militanti socialisti raccolti intorno alla rivista torinese “L'Ordine nuovo”, che guardavano all'esperienza sovietica come a un modello. Tra loro spiccavano i nomi di due giovani intellettuali: Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti. Nel gennaio 1921, durante il XVII Congresso nazionale, il Partito socialista italiano si scisse: il gruppo di «L'Ordine nuovo» guidato da Amadeo Bordiga si staccò dal PSI e, seguendo le indicazioni di Lenin, diede vita al Partito comunista d'Italia (PCdI). La crisi dello Stato liberale: Mussolini al potere Molti politici liberali, Giolitti compreso, nutrivano l'illusione di poter utilizzare a loro vantaggio la "piazza fascista" contro la "piazza socialista". Giolitti assisteva all'evolversi della situazione astenendosi dall'intervenire, convinto che il fascismo sarebbe scomparso. Tale strategia trovò una prima applicazione in occasione delle elezioni del maggio 1921, quando i fascisti furono invitati a entrare in liste di coalizione a guida liberale, denominate "blocchi nazionali". I risultati delle urne furono nel complesso deludenti per Giolitti: i socialisti, benché penalizzati dalla scissione del PCI, subirono solo un lieve ridimensionamento; i popolari ampliarono i consensi e i blocchi nazionali ebbero come unico effetto di rilievo quello di favorire l'ingresso in Parlamento di Mussolini. Pochi mesi dopo Mussolini decise di trasformare il movimento in un partito di tipo tradizionale: il Partito nazionale fascista (PNF), fondato il 9 novembre 1921. Il programma appariva differente da quello originario dei Fasci di combattimento: gli accenti anticapitalistici erano ormai del tutto abbandonati e il PNF si presentava nella nuova veste di forza politica capace di garantire l'ordine sociale e politico. A dispetto delle aspettative liberali, proprio nell'inverno 1921-1922 i fascisti intensificarono l'uso della violenza contro i loro avversari politici. Le squadre fasciste, con la neutralità e qualche volta con l'appoggio delle forze dell'ordine, s'impadronirono della maggior parte della pianura padana, della Toscana, dell'Umbria e della Puglia. I tentativi di resistenza furono spezzati con la forza. Nella primavera del 1922, lo Stato liberale appariva vicino a una gravissima crisi, per la pressione esercitata sia da destra sia da sinistra. La situazione precipitò nell'estate del 1922, quando i partiti e i sindacati di sinistra proclamarono uno "sciopero legalitario" che, nelle intenzioni dei promotori, avrebbe dovuto fermare l'avanzata del fascismo. Attraverso la mobilitazione popolare, infatti, essi chiedevano al governo di imporre alle squadre fasciste il rispetto della legge. Lo "sciopero legalitario" si rivelò del tutto controproducente. Mussolini colse infatti l'occasione per sferrare un ulteriore attacco alle sinistre, affermando che lo sciopero era illegale e mobilitando gli iscritti al PNF per farlo fallire. Mussolini proclamò che in Italia esistevano ormai due Stati: quello liberale, ormai vecchio e debole, e quello fascista, nuovo ed efficiente. Nei giorni seguenti le squadre fasciste passarono all'attacco: a Milano fu assalito il palazzo del Comune. Mussolini, il 20 settembre annunciò che l'obiettivo del PNF era ormai la conquista violenta del potere. Il 24 ottobre 1922 pronunciò a Napoli un discorso nel quale disse che avrebbe preferito salire alla guida del paese attraverso le elezioni, ma che la politica del governo lo costringeva a impiegare la forza. Intanto la sinistra continuava a dividersi e al XIX Congresso del PSI, iniziato l'1 ottobre, la corrente riformista guidata da Filippo Turati e Giacomo Matteotti venne espulsa, mentre la CGdL rompeva il patto di alleanza con il PSI. Mussolini non aveva però ancora perduto la speranza di poter conquistare il potere senza ricorrere a una prova di forza, i cui esiti erano incerti, e trattava con il nuovo presidente del consiglio, il giolittiano Luigi Facta, per un inserimento dei fascisti nel ministero. La sera del 27 ottobre, mentre le squadre fasciste confluite da varie regioni d'Italia si preparavano a entrare a Roma, Facta propose al re di decretare la proclamazione dello stato d'assedio. La mattina del 28 il sovrano rifiutò di firmarlo e le colonne fasciste furono lasciate sfilare per le vie della capitale. Convocato dal sovrano, il capo del fascismo giunse a Roma il 30 ottobre per ricevere l'incarico di formare il suo primo governo: la nomina a presidente del consiglio non era ancora l'inizio della dittatura, ma ne costituiva la premessa.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved