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Italia fascista-Paul Corner, Appunti di Storia Contemporanea

Risposte alle domande del professore Fabio degli Esposti di Storia contemporanea

Tipologia: Appunti

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Scarica Italia fascista-Paul Corner e più Appunti in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! Italia fascista-Paul Corner 1. Che cosa si intende con l'espressione "Fascismo reale", calcolo della proverbiale dicitura"Socialismo reale"? Ci è familiare l'immagine di sé che il fascismo organizzava e proponeva al mondo, mentre ignoriamo molti aspetti della vita quotidiana, sappiamo delle celebrazioni, ma molto meno di quanto avveniva quando queste finivano e la gente tornava a casa. Eppure, era proprio questa-l'esperienza quotidiana della dittatura-la realtà effettiva vissuta dalla popolazione sotto il fascismo, piuttosto delle parate o delle reazioni alla propaganda e agli atteggiamenti del Duce nelle occasioni speciali. Perciò se per l'Unione sovietica e i suoi satelliti, usiamo il termine "socialismo reale" quando ci focalizziamo sulla grigia realtà dell'esistenza quotidiana sotto il regime comunista piuttosto che sugli altisonanti discorsi dei leader e sulle immagini esaltanti frutto della propaganda, allo stesso modo potremmo parlare di un "fascismo reale",per indicare l'azione quotidiana del regime e il modo in cui la popolazione interagiva con esso. Infatti era proprio il fascismo reale quello con cui la gente comune aveva a che fare ogni giorno, un fascismo che nel corso degli anni Trenta, quando cioè il regime assunse pretese e modi di agire di carattere sempre più totalitario, si insinuava negli aspetti "normali" della vita,nella sfera pubblica come in quella privata. Dalle organizzazione giovanile a quelle del dopolavoro e del tempo libero, dai sindacati agli uffici di collocamento, agli enti di politica sociale, la gente aveva rapporti quotidiani con il regime reale, soprattutto tramite le organizzazioni locali. 2.​Quali sono le caratteristiche salienti, all'inizio degli anni venti, del cosiddetto "fascismo provinciale"? Il primo fascismo era composto da una serie di movimenti costituiti su base locale, concentrati in una città o al massimo in una provincia, i cui obiettivi potevano spesso differire notevolmente a seconda della situazione locale. Inizialmente perciò il movimento era frammentato e privo di coesione, c'erano insomma molti tipi di fascismo. Nonostante ciò è possibile individuare anche caratteristiche comuni:ad esempio la brutale strategia squadrista, contro coloro che erano visti come “nemici” ,attuata in gran parte delle province dell'Italia settentrionale e centrale e anche in Puglia, l'unica regione del Mezzogiorno in cui si sviluppò, prima della marcia su Roma.A Trieste l'improvvisa e vorticosa espansione del movimento fascista nella primavera del 1920 fu dovuta alle acute tensioni fra l'elemento italiano e quello-"nemico"-slavo,che emerse già alla fine della guerra. Nello stesso modo, anche a Ferrara, nell'autunno, il fascismo ruotava intorno a un "nemico" locale facilmente identificabile, rappresentato dall'organizzazione socialista che dominava il contesto bracciantile, mentre in un'altra zona rurale non lontana dal Ferrarese come Cremona i fascisti si volsero contro la forte organizzazione locale dei lavoratori agricoli di ispirazione cattolica, considerata una minaccia dai proprietari locali. Altro elemento che diede una certa “coesione” al movimento fu la denuncia della "vecchia" politica di Giolitti,la dura polemica nei confronti dei partiti, accusati di non saper far altro che dividere la nazione fra discute perenni, e anche l'attacco all'istituzione parlamentare. Il primo fascismo fu poi una rivolta contro Roma, considerata un covo di corruzione e di inefficienza. Esprimendo disprezzo verso le macchinazioni che avvenivano a Roma, i fascisti provinciali della prima ora si vantavano di saper affrontare i problemi con metodi assai più diretti:le armi usate, più che le parole, erano i manganelli, le pistole e pugnali. Così il movimento della prima ora, nonostante la propaganda richiamasse ripetutamente temi patriottici nazionali, esprimeva in realta' una forte carica di sovversione nei confronti dello stato e delle autorità centrali. I capi locali erano fieri di definirsi fascisti, proclamavando il proprio rispetto nei confronti della figura di Mussolini-anche se di solito si trattava di un rispetto puramente formale-ma facevano poi quello che sembrava loro più opportuno per affrontare le particolari condizioni del proprio contesto locale. Visti i successi ottenuti dalle azioni squadriste soprattutto nella pianura Padana conto gli agrari, i dogmi dell'azione, della violenza, del conflitto e dell'intolleranza vennero fatti propri dal movimento nel suo insieme. Possiamo dunque affermare che, sotto molti aspetti, fu il movimento locale a condizionare il modo in cui quello nazionale si presentò al mondo negli anni successivi. 3.​Quali soluzioni vennero adottate da Mussolini nella seconda metà degli anni Venti per ridimensionare il potere dei fasci locali? La crisi apertasi nel movimento fascista in seguito all'assassinio di Matteotti mise in luce la necessità di una ridefinizione delle relazioni fra centro e periferia, tra Mussolini e i boss di provincia. All'indomani della marcia su Roma il leader fascista aveva tentato di rafforzare la propria posizione allargando la base politica, facendo appello all'opinione pubblica moderata italiana nel nome della "normalizzazione",e prendendo così le distanze dalla violenza dei ras di provincia.Ma la reazione del paese all'assassinio dell'esponente socialista aveva mandato in fumo il progetto della normalizzazione:Mussolini aveva visto crescere nel paese l'opposizione nei suoi confronti e verso il fascismo.A questo punto si vedeva costretto a fare i conti con i suoi luogotenenti, che minacciavano di prendere iniziative autonome. Sebbene l'omicidio non fosse di per sé opera dello squadrismo di provincia, esso ebbe comunque origine dallo stesso disprezzo per la legalità e dall'attitudine alla violenza di cui gli squadristi avevano dato prova in ogni circostanza. La reazione all'assassinio ebbe come effetto di confermare il fascismo di provincia nella sua propensione all’ omicidio politico come prassi normale, e di mettere in chiaro come le situazioni periferiche non erano mai state messe sotto controllo dagli organi centrali. La fondazione del PNF nel novembre 1921, rappresentò indubbiamente una manovra volta a incanalare e controllare gli impulsi centrifughi del fascismo provinciale, ma non fu mai coronata da un pieno successo; e anche la marcia su Roma aveva avuto piuttosto l'effetto di ribadire il ruolo chiave dello squadrismo. Mussolini comunque cercò di agire in modo cauto perché non poteva fare a meno dell'ala intransigente, capeggiata da Farinacci,dato che senza di essa avrebbe rischiato di essere soverchiato dalla marea degli oppositori. In più egli era in posizione di debolezza anche rispetto al partito, non disponendo di un corpo di SS da usare contro i ras della provincia e contro l'ala intransigente. Mussolini decise allora di nominare Farinacci come segretario del partito per ristabilire uno stretto controllo sul partito dopo le incertezze durante la crisi Matteotti. La guerra africana offre un ulteriore punto di vista per valutare l'atteggiamento popolare nei confronti del regime:non c'è dubbio che in alcuni momenti, soprattutto al momento della sua conclusione vittoriosa, la guerra fosse vista con entusiasmo da ampi settori della popolazione, traducendosi in un successo rilevante sia in termini di operazioni militari sia di diplomazia internazionale, e in grado di imprimersi, almeno nel breve periodo nell'immaginario popolare. Tutti consideravano gratificante l'idea di un'affermazione del paese e, per quanti non avevano né terra né lavoro, il miraggio generato dalla creazione dell'impero era molto avvincente. L’atteggiamento popolare era in realtà una componente del gioco diplomatico.In realtà, l'opinione pubblica non aveva alcun peso reale nelle decisioni del regime, ma era di grande importanza nel contribuire all'immagine del fascismo che si voleva dare al mondo esterno;era ad esempio necessario, nella fase acuta della crisi, tra la fine dell'estate e l'inizio dell'autunno 1935, presentare un quadro di unità:il duce era ben deciso a dimostrare alle potenze europee di poter contare sull'appoggio della nazione, come se quella in corso fosse una guerra voluta dal popolo. Il quadro presentato dalle fonti ufficiali di un popolo italiano inebriato dal fervore patriottico era una parte del programma del regime, e non una sua conseguenza. Ciò non significa ovviamente che non ci fosse anche un entusiasmo genuino, ma risulta difficile distinguerlo da quello montato dalla propaganda. Sia i prefetti sia i funzionari del partito riferivano che l'opinione pubblica era tutt'altro che convinta della necessità della guerra. Era diffuso invece un senso di inquietudine e di disappunto. La gente, evidentemente, dubitava della missione civilizzatrice dell'Italia. C'erano poi perplessità sull'entità delle risorse che l'Etiopia avrebbe potuto offrire l'Italia. Ma ad essere diffusa era soprattutto l'impressione che si trattasse di un'aggressione costosa ed ingiustificata, basata su futili pretesti, e che rischiava di scatenare una conflagrazione Europea. Non va dimenticato che l'Italia era già in guerra:la Libia era stata conquistata nel 1911-12, ma non era mai stata pienamente pacificata, le operazioni erano ancora in corso all'inizio degli anni 30; lo stesso può dirsi a proposito dell'Eritrea. Si voleva invece mostrare al mondo che il popolo italiano era schierato compattamente dietro al proprio Duce e che le resistenze straniere alle pretese del fascismo era un'offesa l'intera nazione. Così l'adunata generale nazionale del 2 ottobre per introdurre la campagna d’etiopia al popolo fu organizzata fin nel minimo dettaglio. Si voleva mostrare al mondo che il popolo italiano era schierato compattamente dietro al proprio Duce e che le resistenze straniere alle pretese del fascismo era un'offesa l'intera nazione. Molti dei rapporti di fiduciari fascisti provenienti da Roma e delle province sottolineano l’entusiasmo “spontaneo” delle folle, sia durante l’affluenza alla piazza sia durante il discorso di Mussolini.Tuttavia molti si erano presentati all'adunata perché avevano paura di bastonate o di rappresaglie. Stesso atteggiamento si tenne anche nella giornata della fede del 18 dicembre 1935, quando l'Italia fascista sembrava nuovamente preda di una frenesia patriottica perchè le donne fecero la fila per donare le loro fedi nuziali. Tuttavia vennero messi in atto tutta una serie di stratagemmi per evitare la consegna degli anelli nei giorni precedenti il 18 dicembre; pare fosse fiorito un vero e proprio mercato basato sulla produzione e vendita di anelli di lega. La prassi ebbe una diffusione tale da costringere il governo a emanare disposizioni che proibivano agli orefici di fondere gli anelli e li obbligavano a tenere un registro di tutte le operazioni in cui trattavano oro. L'annuncio di Mussolini alla conquista di Addis Abeba fu accolto con comprensibile entusiasmo. Il fervore iniziale di avere un impero italiano però sembra sia stato piuttosto passeggero e trascorso il momento del trionfo i vecchi problemi riemersero, Molti italiani furono probabilmente fieri che l'Italia avesse un impero, e non c'è dubbio che il prestigio di Mussolini crebbe notevolmente in conseguenza di questo successo, ma a livello locale il fascismo continua a vivere di piccole rivalità, nepotismo e clientelismo, di corruzione e ingiustizia, e l'impero non cambió nulla:quello che fece fu semmai stimolare aspettative che non potevano essere realizzate e, ancora più direttamente, di aumentare il prezzo dei prodotti di base. Gli entusiasmi furono probabilmente raffreddati anche in seguito alle notizie che filtravano dai soldati e da quanti lavoravano in Etiopia. Le condizioni di vita erano dure, le malattie frequenti e le lettere inviate a casa manifestavano riserve sulle caratteristiche fisiche del nuovo Paradiso africano e facevano riferimenti agli stessi tipi di ingiustizie subite in Italia. Nonostante la vittoria e la creazione dell'impero, l'autorevolezza del partito non era cresciuta. 5.​Quali erano nel corso degli anni 30, i principali motivi di scontento e sdegno nei confronti della "casta "fascista? Le guerre condotte dal fascismo- l'Etiopia e la Spagna- si erano rivelate molto dispendiose e, già nel 1938, si erano manifestate spirali inflazionistiche con effetti negativi su salari e risparmi e mentre il popolo lavoratore soffriva sotto il peso di questa pressione, c'era ancora gente che sembrava passarsela piuttosto bene:da una parte una ristretta cerchia di persone gonfie di tutto,cui tutto è lecito, dall'altra la maggioranza chiamata al continuo sacrificio, sgonfie di ogni cosa, per soprammercato sottoposta ad una disciplina opprimente, non chiedono insieme di controllo inopportuni.La popolazione diede la colpa di tutto ciò ai vertici del partito per via della loro indifferenza verso gli abusi dei gerarchi locali che come sempre erano accusati di badare solo a se stessi, alle proprie famiglie e ai propri amici, e di disinteressarsi di tutti gli altri. Si potrebbe fare un elenco interminabile di camerati, amministratori e gerarchi, riconosciuti inidonei, disonesti oltre che incapaci, generalmente malvisti, pubblicamente detestati e deprezzati a cui però non accadeva nulla:essi, la nuova casta intoccabile, rimanevano al proprio posto. I rapporti facevano coro nel sottolineare il solco sempre più profondo tra gerarchie e popolo. Le critiche ai gerarchi andavano ormai ben al di là di quelle relative alle uniformi ridicole o alla loro personale arroganza:il tema centrale era la giustizia sociale e quella morale. Nella fase di crisi economica che l'Italia si trovava ad affrontare nella prima metà del 1939 la cosa più comune mossa ai gerarchi era infatti quella di corruzione e di peculato. La voce più comune era che i funzionari, a tutti i livelli, prendessero tangenti per contratti, concessioni, permessi e così via.A offrire tangenti erano coloro che venivano chiamati “appaltatori”, cioè gli intermediari che organizzavano le transizioni da fare, stabilivano gli accordi e conoscevano come farsi strada nei meandri degli uffici governativi. Diventava così del tutto intollerabile la retorica mussoliniana sulla giustizia sociale, sulla solidarietà che avrebbe caratterizzato il regime fascista, perché il popolo percepiva la situazione in modo esattamente opposto. Il paese nel 1939, aveva raggiunto livelli di corruzione senza precedenti. I funzionari fascisti, a livello sia centrale sia locale, erano considerati i corrotti, arroganti e tesi a fare il proprio interesse:l'ostentazione e i privilegi non meritati non contribuivano certo a fungere da collante della comunità. Per molti, il fascismo è divenuto sinonimo di sfruttamento, ingiustizia e nella fase totalitaria di quegli anni, anche di un regime sempre più oppressivo:si temevano l'azione delle spie e le conseguenze di una denuncia assai più di quanto avvenisse dieci anni prima. 6.​ Per quali motivi negli anni 1939-1940 si acutizzò la disaffezione verso il regime? Nel 1939 gli italiani si trovarono a confrontarsi con scarsità di beni di consumo ,con la disoccupazione e con una classe politica quasi da tutti disprezzata. Inoltre, l'impero si era rivelato una delusione, non avendo portato alcuno dei benefici promessi. Mussolini riuscì a evitare di essere accusato di quanto veniva imputato ai suoi seguaci, di tutti i livelli della scala gerarchica.Ma la crisi del 1939 costrinse anche ai fascisti militanti a guardare in modo critico al culto del Duce e le crescenti minacce di una guerra europea cominciarono a sottoporre il suo mito a un esame severo. Il periodo della non belligeranza,fra il settembre 1939 giugno 1940, contribuì ben poco a dissipare i dubbi espressi, a quasi a tutti i livelli, sulla strada imboccata da Mussolini. Una delle costanti riferite nelle relazioni informative era che l'Italia fosse impreparata per una guerra europea, che le forze armate fossero mal equipaggiate e addestrate e, che non fosse stato preso alcun provvedimento ,o quasi, per garantire la difesa della popolazione civile dagli attacchi aerei. Ci si chiedeva perché l'Italia fosse impreparata e dove fossero finiti i proventi e tutte le tasse pagate. La risposta che ci si dava era sempre la stessa:i gerarchi che avevano sottratto il denaro per sostenere il loro lussuoso stile di vita. Le critiche si indirizzavano alla burocrazia fascista, considerata non solo arrogante inefficiente, ma anche irrimediabilmente corrotta. Riguardo alle organizzazioni del “welfare”, che erano un po' il fiore all'occhiello del partito, si diceva che si fosse rubato a milioni:si parla della scoperta di enormi abusi e malversazioni, si dice che dei milioni che il partito incassava a titolo di contributi assistenziali solo una minima parte arrivava a destinazione a beneficio dei poveri. Inoltre, arroganza, corruzione nepotismo, abitualmente associate alle amministrazioni locali fasciste, erano ora collegati al partito, teso a seguire i propri interessi piuttosto che quelli della popolazione. Il bersaglio principale, anche se sicuramente non l'unico, era il segretario del PNF, Achille Starace, che un po' tutti consideravano responsabile di aver gettato il partito nel ridicolo a causa delle istruzioni che mandava quasi quotidianamente, e nei confronti del quale c'era risentimento per l'infinito numero di regolamenti che aveva varato con il proposito di cambiare i costumi e le abitudini degli italiani:l'uso del “voi” al posto del “lei” era solo una di queste misure. Molti fascisti lo accusavano di superficialità ed eccessiva attenzione per le apparenze. Starace si era distinto anche per la sua posizione favore dell'alleanza con la Germania, che gli attirò ulteriori critiche.
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