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ITALIA POST-UNITARIA - GOVERNO DI GIOLITTI (riassunti), Appunti di Storia

riassunti dell'italia post-unitaria. cose succede durante il governo di giolitti, analisi del suo comportamento e delle varie posizioni (cattolici, socialisti ecc.) scuola superiore.

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 07/10/2021

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Scarica ITALIA POST-UNITARIA - GOVERNO DI GIOLITTI (riassunti) e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! ITALIA POST-UNITARIA 1861-1876: La "Destra storica” al potere | quindici anni successivi all'unificazione italiana sono dominati dalla cosiddetta “Destra storica”: “Destra” in quanto gli uomini politici ad essa appartenenti erano dei moderati, eredi della tradizione di Cavour; “storica” (come fu chiamata più tardi) perché questo schieramento ebbe un ruolo storico nella formazione dello Stato italiano. In realtà, nello schieramento politico dell'epoca, la Destra storica occupava una posizione di centro, in quanto la vera destra era rappresentata dai clericali e dai reazionari nostalgici dei vecchi regimi pre- unitari. La “Sinistra storica” era invece formata da mazziniani e garibaldini. Gli uomini della Destra storica provenivano prevalentemente dall'aristocrazia terriera. La Sinistra storica, caratterizzata da un'impostazione più democratica, prevalentemente di borghesia cittadina. Il sistema elettorale In realtà sia la Destra che la Sinistra storiche erano espressione di una piccola parte del Paese. Infatti la legge elettorale del Regno di Sardegna (estesa poi a tutto il Regno d'Italia), prevedeva che avessero diritto al voto solo i cittadini che avessero i seguenti requisiti: — essere di sesso maschile; — avere compiuto 25 anni di età; — pagare almeno 40 lire di imposte annue Ne risultava che gli aventi diritto al voto erano una percentuale assai ridotta della popolazione. | Membri del Senato erano invece nominati direttamente dal re. La "piemontesizzazione” dell'Italia Morto Cavour nel 1861, gli succedette il toscano Bettino Ricasoli. Il primo problema che il suo governo dovette affrontare fu la scelta dell'assetto amministrativo da dare al Paese. Le alternative erano: — un modello di Stato accentrato, sull'esempio della Francia, con la sua forte struttura gerarchica che prevedeva un forte controllo del governo centrale sugli enti locali, attraverso i prefetti nominati dal governo. — un modello di Stato decentrato, sull'esempio della Gran Bretagna, dove le varie contee godevano di ampie libertà amministrative e giudiziarie. Venne scelto il modello di Stato accentrato: l'Italia venne divisa in province e il governo nominò per ogni provincia un suo rappresentante, il prefetto. Anche i sindaci dei comuni erano nominati dal governo. Lo Statuto albertino divenne la Costituzione del Regno d'Italia, così come a tutta Italia vennero estese la legislazione e la moneta piemontese, la lira. La situazione del Mezzogiorno La caduta del Regno borbonico seguita dalla spedizione garibaldina aveva fatto nascere nelle masse meridionali la speranza di un rinnovamento non solo politico, ma anche sociale. Questa speranza andò ben presto delusa: le pesanti tasse e il servizio di leva obbligatorio scatenarono la rivolta. Il nuovo Stato italiano veniva identificato come il “nemico” e contro di esso si formarono bande di briganti che assaltavano archivi e carceri. Il brigantaggio fu una vera e propria attività di guerriglia che, nei cinque anni che vanno dal 1860 e il 1865 incendiò diverse zone del Mezzogiorno. A costituire le bande di briganti, composte anche da 400 uomini, spesso erano ex soldati del disciolto esercito borbonico, disertori, contadini, ma anche criminali veri e propri. La risposta dei governi della Destra fu essenzialmente di repressione militare nella guerra contro il brigantaggio. La generale incomprensione dei problemi del Sud da parte del nuovo Stato italiano favorirono il diffondersi di quei fenomeni, come la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta, che ancora oggi devastano il nostro paese. La situazione economica Il neo-Stato italiano era caratterizzato da una pesante situazione di arretratezza: — la povertà era diffusa, soprattutto nelle campagne, accompagnata da fame, malattie, ignoranza; — la mortalità infantile raggiungeva il 20% — il reddito era la metà di quello francese e 2/3 di quello inglese — la rete ferroviaria non superava i 2.000 km Il deficit statale, anche a causa dei pesantissimi costi delle guerre d'Indipendenza era altissimo. Gli uomini della Destra volevano raggiungere a tutti i costi il pareggio di bilancio, in modo tale da rappresentare l’Italia come uno Stato affidabile ed attrarre così capitali stranieri. La ricerca del pareggio di bilancio venne perseguita soprattutto attraverso lo strumento fiscale. Il peso delle imposte aumentò in pochi anni suscitando malcontento e rivolte. Fu soprattutto l'aumento delle imposte indirette (quelle che gravavano sui consumi di tutti i cittadini) a suscitare questo tipo di reazioni: nel 1868 la tassa sul macinato (in sostanza un'imposta sul pane, il principale alimento della popolazione) suscitò manifestazioni di piazza che furono represse con la violenza. |governi della Destra favorirono in tutti i modi il libero scambio: — sia all'interno del Paese, abolendo le dogane interne; — sia all'esterno del Paese, applicando a tutta l'Italia le tariffe doganali piemontesi, tra le più basse d'Europa. Con la pressione fiscale, la Destra era riuscita nel suo intento di ottenere la parità di bilancio, garantendo credibilità e prestigio all'Italia. Tuttavia la sua azione economica aveva avuto anche pesanti risvolti negativi: — la costituzione di un unico mercato interno aveva messo in crisi l'economia meridionale, più debole di quella del Nord; — il libero scambio con le nazioni più avanzate aveva esposto la giovane industria italiana ai rischi della concorrenza straniera, con esiti negativi. Le divisioni nate nello schieramento in seguito a questi risultati contraddittori portarono, nel 1876, alla crisi dell'ultimo governo della Destra storica, presieduto da Marco Minghetti. 1876-1896: La Sinistra storica al potere Caduto il governo Minghetti, nel 1876, il re affidò ad Agostino Depretis da Menelik. L'intenzione di Crispi era quella di riprendere l'espansione coloniale, ma questo progetto non fu accolto dal Parlamento e Crispi fu costretto alle dimissioni (1891). Il primo governo Giolitti Giovanni Giolitti fu il successore di Crispi, il quale dovette subito affrontare un grave problema: la protesta popolare dei fasci siciliani. Il movimento comprendeva operai, artigiani, minatori e contadini che protestavano contro le pesanti tasse e contro i latifondisti, rivendicando una più equa distribuzione delle terre. Giolitti decise di affrontare la questione con prudenza, senza fare ricorso a misure repressive. Ciò lo fece apparire agli occhi di molti un presidente del Consiglio debole. Lo scandalo della Banca romana Si tratta del più grande scandalo politico e finanziario che abbia colpito l’Italia unita. La B.R. era uno dei sei istituti autorizzati dallo Stato a battere moneta. La legge assegnava a ciascuna banca un preciso numero di banconote da stampare e mettere in circolazione. Negli anni ‘80 si cominciarono a notare delle anomalie relative al numero di biglietti circolanti stampati dalla B.R. Nel 1889 un indagine condotta dal senatore Giacomo Alvisi su iniziativa del ministro Luigi Miceli, portò alla luce un fatto gravissimo: esisteva una serie duplicata di banconote che la B.R. aveva messo in circolazione utilizzandola come fondi neri per finanziamenti occulti. La truffa era stata ideata dal governatore della banca, Bernardo Tanlongo: ogni banconota era contrassegnata da una lettera e da un numero; stampando lo stesso numero su due biglietti diversi si era ottenuto il raddoppio della circolazione monetaria. Il senatore Alvisi propose di discuterne in Parlamento. Alvisi morì improvvisamente e misteriosamente. Addirittura l'anno successivo Giolitti propose di nominare Tanlongo senatore. Prima di morire Alvisi, prevedendo l'atteggiamento del governo, disse delle sue scoperte ad alcuni conoscenti che le trasmisero al parlamentare Napoleone Colajanni. Quest'ultimo denunciò alla Camera la questione della falsificazione e dei finanziamenti occulti della B.R. Venne arrestato Tanlongo. Si avviò anche un duro scontro politico tra Crispi e Giolitti. Giolitti, protettore di Tanlongo, non aveva mai ricevuto finanziamenti dalla B.R.; Crispi, la moglie e altri suoi familiari invece sì. Giolitti presentò al presidente della Camera dei documenti che provavano le responsabilità di Crispi, il quale negò tutto con violenza. Sostenuto dal re Crispi tornò a guidare il governo alla fine del 1893. Giolitti fuggì a Berlino mentre dei giudici molto accomodanti assolsero Bernardo Tanlongo. Intanto tutto il sistema bancario venne riformato con la concentrazione delle emissioni in un unico, nuovo istituto: la Banca d'Italia. Il ritorno di Crispi Tornato al potere, Crispi represse militarmente il movimento di protesta siciliano. Successivamente continuò con la politica coloniale con la pretesa che l'Etiopia rispettasse la versione italiana del trattato di Uccialli. Il rifiuto di Menelik portò all'invasione italiana del paese. Per l'Italia la spedizione militare si risolse in un completo disastro. Fu una carneficina: 7.000 italiani rimasero uccisi, 3.000 furono fatti prigionieri. Travolto dalle critiche Crispi fu costretto a rassegnare le dimissioni e a ritirarsi per sempre dalla vita politica. L'Italia fu allora costretta a firmare un nuovo trattato in cui, rinunciando ad ogni pretesa sull'Etiopia, accettava di limitare il proprio dominio coloniale a Somalia ed Eritrea. La crisi di fine secolo Intanto nel Paese dilagava la crisi economica e il popolo cominciava a soffrire la fame. Nel 1898 un improvviso innalzamento de prezzo del pane provocò una'ondata di manifestazioni che percorse l'Italia intera. La più grave si ebbe il 6 maggio 1898, a Milano, quando il generale Fiorenzo Bava Beccaris ordinò ai soldati di cannoneggiare la folla che protestava. | morti furono un centinaio. Molti dirigenti dell'opposizione, soprattutto socialisti, furono arrestati, la libertà di stampa fu decisamente limitata. Beccaris fu elogiato dal governo e dal re Umberto | che lo decorò con un'importante onorificenza militare. Il nuovo capo del governo Luigi Pelloux tentò di far approvare una serie di norme che restringevano notevolmente le libertà di stampa e di riunione, ma il suo progetto fallì grazie alla decisa azione dell'opposizione. Pelloux fu costretto a dimettersi e le nuove elezioni (1900) diedero buoni risultati per l'opposizione, in particolare per i socialisti. Nel luglio 1900 l'anarchico Gaetano Bresci, per vendicare i morti di Milano, uccise, a Monza, il re Umberto I. In questa drammatica situazione il nuovo re Vittorio Emanuele Ill decise di affidare il nuovo governo a Giuseppe Zanardelli, l’autore del nuovo codice penale. A fianco di Zanardelli, come ministro dell'Interno vi era Giovanni Giolitti. ETA' GIOLITTIANA (1901-1914) Dal 1901 al 1914 Giolitti esercitò un'influenza così notevole nella vita politica italiana che questo periodo viene conosciuto come età giolittiana. Salito al potere dopo la grave crisi di fine secolo, Giolitti tentò di attuare una svolta nella politica italiana, avviando riforme finalizzate a favorire l'integrazione delle masse popolari nello stato. Nonostante alcuni importanti risultati, questo obbiettivo non venne raggiunto, mentre si sviluppava nel paese un nazionalismo aggressivo che trovò la sua prima espressione nella conquista della Libia. — 1898: crisi di fine secolo. L'Italia era lacerata dagli scontri sociali e dell'uccisione del re Umberto I. Le distanze tra Nord e Sud apparivano sempre più ampie. Anche l'identità nazionale, lontana ormai dall'epopea risorgimentale, appariva debole, incompiuta. — 1901: si risolve con la formazione del governo liberale di Zanardelli, del quale faceva parte come Ministro degli Interni Giovanni Giolitti. — 1903: guida il governo definitivamente Giolitti, Zanardelli gli dà le prerogative. Tuttavia, L'Italia di inizio Novecento era anche una realtà vitale, in pieno “decollo industriale”: non era più un paese fatto di contadini e di un ristretto ceto dirigente. Si stava formando una classe operaia moderna, era nato un importante partito socialista, cresceva un'opinione pubblica, si stampavano grandi quotidiani. Giolitti fu l'uomo che governò la modernizzazione italiana. Accompagnò l'Italia alla Prima guerra mondiale. Tre erano i cardini del programma giolittiano: 1. modificare l'atteggiamento del governo nei conflitti sociali (industriali- lavoratori): il governo non doveva più schierarsi dalla parte dei proprietari, come era quasi sempre accaduto, ma assumere una posizione di neutralità. 2. rafforzare il parlamento, mirando a integrare nelle istituzioni i parlamentari i “rossi” ovvero il Partito socialista, e trovando punti di incontro con i cattolici (“i neri", come venivano chiamati). Infatti nel 1906 i sindacati delle diverse catgorie di lavoratori si unirono nella CGL (Confederazione generale del lavoro) di orientamento socialista riformista. Sembrava dunque realizzarsi il “compromesso” fra borghesia liberale e movimento socialista. Da Ministro dell'Interno, Giolitti mise in pratica quello che aveva dichiarato: mantenne il governo in posizione neutrale di fronte ai conflitti sindacali. Gli operai del nord e i contadini ottennerono significati aumenti salariali. Un maggiore benessere delle classi lavoratrici portò a un allargamento del mercato interno e dei consumi, oltre che una maggiore pace sociale. *. sviluppare una politica di riforme, già il primo governo Zanardelli- Giolitti varò provvedimenti importanti nella legislazione sociale: tutela del lavoro di donne e fanciulli (età minima per accedere al lavoro venne elevata a 12 anni), miglioramenti dell'assistenza infortunistica e pensionistica, obbligatorietà del riposo settimanale, l'INA (Istituto nazionale assicuraizoni). La statalizzazione delle ferrovie (1905), che appartenevano a diverse società private, con la creazione delle Ferrovie dello stato; una nuova legge scolastica; che avocava allo stato l'istruzione elementare (legge Daneo-Credaro del 1911). La municipalizzazione dei servizi pubblici, che dava ai comuni la possibilità di gestire servizi essenziali come l'acqua, il gas, l'elettricità, i trasporti: la nazionalizzazione delle assicurazioni sulla vita (1912). SOPRATTUTTO l'ampliamento del diritto di voto. Nel 1913 alla scadenza della legislatura, si tennero le prime elezioni a suffragio universale maschile della storia italiana: gli elettori arrivarono fino al 23,2% della popolazione. Giolitti aveva sostenuto questa importantissima riforma democratica, convinto che l'ampliamento della base elettorale fosse necessario alla modernizzazione
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