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Italo Svevo: la figura dell'inetto in Una vita, Senilità, La coscienza di Zeno., Appunti di Italiano

Svevo: biografia e visione del mondo. Componente filosofica (Schopenhauer, Darwin, Nietzsche, Marx, Freud) e letteraria ('bovarismo' da Flaubert, Zola, Bourget). Una Vita: inetto come categoria esistenziale e struttura dicotomica tra inetto e rivale. Senilità: il 1° romanzo psicologico. La coscienza di Zeno: struttura e riassunto, funzione della memoria, relatività dei concetti di salute e malattia. Analisi cap 3-il fumo, 6-la moglie, 8-conclusione (finale apocalittico = spunti per esame).

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 08/07/2022

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Scarica Italo Svevo: la figura dell'inetto in Una vita, Senilità, La coscienza di Zeno. e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! ITALO SVEVO (1861 Trieste - 1928 Motta di Livenza) UD 1: Profilo Bio-critico La fisionomia di Svevo appare diversa da quella del tradizionale letterato italiano, anche a causa dell'ambiente in cui egli si forma. Trieste (che sino al 1918 non fa parte dello Stato italiano) è una città di confine, molto ricca ed economicamente vivace grazie alla presenza del porto franco, con una penetrazione culturale molto intensa in cui convergono tre civiltà: italiana, tedesca e slava (oltre al consistente apporto ebraico). Lo scrittore stesso, adottando lo pseudonimo letterario di Italo Svevo, vuole segnalare come in lui vengano a confluire la cultura italiana (=nome Italo) e quella tedesca (=cognome Svevo). Non va poi trascurato che Svevo, pur non essendo religioso, era di famiglia israelitica, e che le radici ebraiche hanno un peso inconscio nella sua fisionomia culturale: è stato anche affermato che nella figura dell' «inetto», centrale nella sua opera, si proietta la condizione dell'ebreo nella civiltà europea. L'ambiente in cui opera consente quindi a Svevo uno stretto rapporto con la cultura mitteleuropea (cioè quella dell'Europa centrale, di cui l'Impero asburgico era il fulcro). - Aron Hector Schmitz nacque a Trieste, allora territorio dell'Impero asburgico, da un'agiata famiglia borghese. Sia il padre che la madre erano di origine ebraica ( →componente ebraica importante per la visione del mondo). - Ha sempre avuto una vocazione letteraria, Gli studi del ragazzo furono indirizzati dal padre verso la carriera, persiste romanticamente in lui il desiderio della gloria poetica, però il padre avendo una sua impresa impone ai figli studi di carattere commerciale. - Nel 1873 fu mandato in collegio in Germania, a Segnitz, dove si impadronì della lingua tedesca. Allo stesso tempo però l’amore per la letteratura lo portò a dedicarsi anche ad appassionate letture di classici tedeschi, tra cui Schiller, capostipite dello Sturm und Drang, gruppo di intellettuali che avrà grande influsso sul movimento artistico romantico. - Nel 1878, a diciassette anni, ritornò a Trieste, dove completò gli studi presso l'Istituto Superiore per il Commercio "Pasquale Revoltella", tuttavia la sua aspirazione era di divenire scrittore: cominciò così a comporre testi drammatici, che non avranno fortuna, e, a partire dal 1880, collaborò al giornale triestino "L'Indipendente" di orientamento liberal-nazionale e irredentista. - Nel 1880, in seguito ad un investimento industriale sbagliato, il padre fallì: Svevo conobbe così l'esperienza della declassazione. Fu costretto a cercar lavoro e si impiegò presso la filiale triestina della Banca Union di Vienna, presso cui rimase poi per diciannove anni, facendo due vite: di giorno lavorava come impiegato, lavoro per lui ardo ed opprimente, per cui la sera cercava un'evasione nella scrittura. - Nel 1892 con lo pseudonimo di Italo Svevo, pubblica il suo primo romanzo Una vita. ➢ Svevo traspone la sua esperienza in quella del personaggio di Alfonso Nitti, il quale fa il suo stesso lavoro e ha come sogno nel cassetto scrivere un romanzo. Egli rappresenta un primo esempio della figura dell’inetto come categoria esistenziale, elaborata da Svevo stesso: l’inetto è colui che non riesce ad avere un rapporto diretto, o meglio ad integrarsi, con la realtà, vive cioè in un mondo non dedicato all’azione ma alla in-azione, un mondo parallelo creato dalla sua immaginazione, che quindi si scontra con la realtà quotidiana e la logica dell’interesse e dell'accumulo che domina la società borghese. L’inetto è un borghese che ripudia se stesso, che critica la società a cui appartiene, perché si sente estraneo ai valori di quella classe. La struttura di Una vita, come quella degli altri romanzi di Svevo è dicotomica tra inetto e il rivale: ○ inetto= categoria esistenziale dell’uomo che non è adatto a vivere; ○ rivale= personaggio che gli fa da contraltare, il vincente secondo l’ottica borghese, perché egli aderisce in maniera perfetta ai valori borghesi; nei confronti del rivale però l’inetto da una parte lo guarda come modello, dall’altra come un nemico da abbattere. - Nel 1895 morì la madre, a cui lo scrittore era molto legato. Al suo capezzale incontrò una cugina, molto più giovane di lui, Livia Veneziani, e se ne innamorò, fidanzandosi con lei nel corso dello stesso anno. Il matrimonio segnò una svolta fondamentale nella vita di Svevo, al livello economico ed esistenziale. In primo luogo, sul piano psicologico, I'«inetto», roso da infinite insicurezze, si sente integrato nella cultura borghese e poteva arrivare a coincidere con quella figura virile che corrisponde al rivale. Ma mutava radicalmente anche la condizione sociale dello scrittore: per uscire dalle ristrettezze in cui viveva, abbandonò l'impiego alla banca ed entrò nella ditta dei suoceri, superando così il declassamento. I Veneziani infatti erano facoltosi imprenditori, proprietari di una fabbrica di vernici antiruggine per navi, inseriti nel mercato internazionale. Fu un salto di classe sociale: Svevo si trovò proiettato nel mondo dell'alta borghesia; ma soprattutto da intellettuale si trasformò in dirigente d'industria, occupato a trattare un giro d'altari di grandi proporzioni: con lo scoppio della 1° guerra mondiale sarebbe diventata una potenza industriale, dato che in guerra vi era un vasto uso dei sommergibili. - Nel 1898 pubblica il secondo romanzo Senilità. ➢ All’epoca non aveva suscitato alcun interesse, oggi invece è stato rivalutato dai critici e (considerato forse superiore a La coscienza di Zeno), ripropone la stessa struttura del primo (dicotomia tra inetto e rivale): il protagonista Emilio Brentani è alter ego di Italo Svevo, è un inetto con struttura psicologica più complessa. - Dopo l’insuccesso di questo secondo romanzo, divenuto ormai uomo d'affari e dirigente industriale, decise di lasciare l'attività letteraria, guardandola come qualcosa che poteva disturbare la sua nuova vita attiva e produttiva. In realtà il proposito di abbandonare la scrittura letteraria non fu osservato con rigore.: il bisogno di scrivere riaffiora sotto il pretesto del fine pratico di «capirsi meglio», ma accanto alle annotazioni diaristiche, lettere, appunti, compaiono anche scritture inequivocabilmente letterarie, alcuni racconti, i drammi come “Un terzetto spezzato”. - Gli interessi letterari, mai completamente spenti, riaffiorano in lui grazie a due incontri chiave: 1. con James Joyce: questi, esule dalla sua Irlanda, insegnava a Trieste presso la Berlitz School, e Svevo prese da lui lezioni di inglese, lingua di cui aveva bisogno per i suoi viaggi. Tra il giovane scrittore irlandese e l’ industriale triestino nacque una stretta amicizia, fervida di scambi intellettuali e destinata a durare nel tempo. Joyce sottopose a Svevo le sue poesie e i suoi racconti di Gente di Dublino, Svevo fece leggere a Joyce i due romanzi pubblicati, ottenendo l'incoraggiamento a proseguire l'attività letteraria; 2. con la psicoanalisi, che avvenne verso il 1910: il cognato aveva sostenuto una terapia a Vienna con Freud, e questo fu il tramite attraverso cui Svevo venne a conoscenza delle teorie psicoanalitiche. ➢ A differenza degli altri italiani, poté leggere Freud in lingua originale: sebbene Svevo non crederà mai alla psicoanalisi come terapia, la ritiene importante da un punto di vista letterario perché attraverso gli strumenti della psicoanalisi si può comprendere meglio la complessità del personaggio. - Nel 1923 pubblica La coscienza di Zeno. Come già era avvenuto per i due romanzi precedenti, ancora una volta l'opera non suscitò alcuna risonanza. Esasperato per questo silenzio, Svevo mandò il romanzo a Parigi all' amico Joyce che, riconosciutone immediatamente lo straordinario valore, si adoperò per imporlo all'attenzione degli intellettuali francesi. L'unica eccezione in Italia fu il giovane Eugenio Montale, che all’epoca recensiva romanzi. - Nel 1928 ebbe un incidente d'auto a Motta di Livenza e due giorni dopo morì, in conseguenza delle ferite riportate. UD 2: Visione del mondo Componente filosofica 1. Lettura di Mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer, dal quale riprende: misticismo irrazionalistico (inteso come via di salvezza al dolore), tema della contemplazione e della rinuncia alla volontà di vivere: per S. ognuno si illude circa la propria volontà di scelta, in realtà esiste una volontà superiore ( →Voluptas), che domina le singole volontà (→ «carattere effimero e inconsistente della nostra volontà e dei nostri desideri»). 2. Lettura de L’origine della specie di Darwin, dal quale riprende la teoria evoluzionistica, basata sui concetti di “lotta per la vita” e “selezione naturale”, trasponendola nella società: Svevo presenta il comportamento dell’inetto come prodotto di leggi sociali immodificabili; quindi l’inetto nella lotta per la vita è destinato a soccombere per la sua mancanza di volontà ( → influsso di Schopenhauer, negatore della libertà di scelta). 3. Lettura dei testi di Nietzsche, direttamente in tedesco (senza mediazione dannunziana), da cui riprende l’idea del soggetto non come salda e coerente unità, ma come pluralità di stati d’animo in continuo divenire ( →concezione di soggetto come flusso in divenire); quindi l’inetto è piuttosto volubile, cambia spesso comportamento, anzi vivendo in un universo parallelo si auto-illude e auto-inganna proponendo un’immagine diversa di se stesso, cioè inventando nel suo mondo parallelo anche un'identità parallela, formata sulla lettura dei romanzi. 4. Pensiero marxista, da cui trae la chiara percezione dei conflitti di classe, che percorrono la società moderna, ma soprattutto la consapevolezza del fatto che tutti i fenomeni, compresa la psicologia individuale, sono condizionati dalla realtà dal contesto socio-economico: così i conflitti e le ambiguità profonde degli eroi di Svevo sono i conflitti e le ambiguità del borghese di un determinato periodo della storia sociale. Il nuovo romanzo, a differenza del precedente, si concentra sui quattro personaggi centrali; non sono più altrontati, secondo il modulo del romanzo realistico, i problemi di natura sociale, l'intreccio romanzesco, la descrizione di ambienti fisici e sociali hanno poco rilievo: la priorità dell’autore è l’indagine della dimensione psicologica del protagonista. Emilio Brentani è un «inetto», che ha paura di affrontare la realtà e per questo si è costruito un sistema protettivo ( →si oggettiva nella chiusura entro il nido domestico, che si compendia nella figura materna della sorella Amalia), conducendo un'esistenza cauta che gli garantisce calma e sicurezza, ma implica la rinuncia al godimento, la mortificazione della vita (→una sorta di sospensione vitale, che il titolo definisce «senilità»). Però, nonostante il rifugio in questo sistema di rinunce, resta in Emilio un'inquietudine, che nasce da un desiderio irrefrenabile di godimento. La vita e il piacere assumono ai suoi occhi le sembianze di Angiolina, che diventa per lui un simbolo di «salute» e di pienezza vitale. Con lei Emilio assapora per la prima volta il piacere, esce dal nido e viene a contatto con il mondo esterno, ma questo a sua volta fa venire alla luce l'inettitudine di Emilio ad affrontare la realtà. Questa inettitudine è soprattutto immaturità psicologica, fissazione ad una fase infantile dell'evoluzione psichica. Nonostante il suo proposito di godere di un'avventura «facile e breve» con il cinismo di un dongiovanni, Emilio ha paura della donna e per questo sostituisce alla donna di carne, una donna ideale, trasformando nei suoi sogni Angiolina in una creatura angelica e purissima, chiaro equivalente della madre. Il possesso fisico lo lascia insoddisfatto e turbato, perché contamina quel puro ideale. Se da una parte nel rapporto con lei Emilio rivela un bisogno di dolcezza materna, dall’altra maschera ai propri occhi la sua immaturità psicologica costruendosi fittiziamente quell'immagine virile che non sa incarnare nella realtà, e si compiace di recitare un ruolo "paterno" nei confronti di Angiolina. In realtà l'immaturità infantile messa in luce nel rapporto con Angiolina denuncia come Emilio non riesca più a coincidere con una certa immagine virile, “individuo" borghese quella dell'uomo forte, sicuro, capace di crearsi il suo mondo con la sua iniziativa e la sua volontà, entro la sua sfera d'azione, costituita dalla famiglia e dal lavoro produttivo. Quella figura era entrata in crisi in quell'età di intense trasformazioni, col trionfo dell'assetto monopolistico e della società massificata, che distruggevano l'idea tradizionale di individuo. Emilio incarna esemplarmente questa crisi: in lui l'impotenza sociale del piccolo borghese declassato, frustrato da una condizione alienante e spersonalizzata, si traduce in impotenza psicologica ad affrontare la realtà esterna al nido domestico. Per questo Emilio si appoggia all'amico Balli, «uomo nel vero senso della parola», forte, sicuro di sé. In realtà anche Balli, dietro l’apparenza della forma, cela un'intima debolezza. I due personaggi incarnano due risposte diverse ma complementari alla stessa crisi dell'individuo: Emilio rappresenta il chiudersi vittimistico nella sconfitta e nell'impotenza, Balli rappresenta il tentativo di rovesciare l'impotenza in onnipotenza, mascherando la debolezza con l’ostentazione della forza dominatrice. ➔ Svevo riesce a ritrarre con mirabile acutezza la struttura psicologica di un tipo sociale rappresentativo, l'intellettuale piccolo borghese di un periodo di crisi. L'analisi sveviana porta poi alla luce gli schemi filosofici e politici attraverso cui Emilio e politici filtra l'esperienza. In lui sono ravvisabili residui positivistici (→Darwin), in quanto si atteggia a scienziato che studia freddamente Angiolina, convinto che i comportamenti umani siano deterministicamente regolati dalle leggi di natura, ma manifesta anche un pessimismo filosofico di matrice schopenhaueriana, che si mescola con un approssimativo superomismo nietzschiano (o meglio vitalismo dannunziano), in quanto egli si sente «uomo immorale superiore». A ciò si aggiunge la sua ideologia rivoluzionaria in politica ( →Marx), poiché vagheggia idee socialiste, intrise di umanitarismo sentimentale e al tempo stesso di determinismo positivistico e di un vago utopismo. Ma in Emilio tutte queste tendenze culturali sono ridotte a stereotipi, a vuoti luoghi comuni, anzi tutti questi principi filosofici e politici sono anche falsi. L’ideologia che guida Emilio nel suo agire effettivo è del tutto diversa da quella professata: - se l'eroe ama atteggiarsi a scienziato che studia i comportamenti di Angiolina, si rivela poi un romantico sentimentale, che idealizza la donna trasfigurandola in angelo. - se si presenta come «uomo immorale superiore», che disprezza la morale comune, appare invece schiavo di un moralismo tradizionale e perbenista, per cui si scandalizza della libertà sessuale della ragazza del popolo ed è dominato in forma maniacale dall'idea della fedeltà della donna, dal culto della rispettabilità e del decoro esteriore, dai princìpi della «famiglia» e della «carriera». - il suo pessimismo filosofico schopenhaueriano non è che diffidenza e paura della realtà, una paura neppure nata dall'esperienza, ma «succhiata dai libri», come è proprio di tutti coloro che «non vivono». - il suo socialismo rivoluzionario non è che il sogno evasivo di un «letterato ozioso», che non sa mai passare all'azione e che cela in realtà un aristocraticismo classista, sprezzante e sdegnoso verso il popolo. Ciò che l'analisi di Svevo mette in luce è che i principi filosofici e politici professati da Emilio sono solo maschere che il personaggio indossa per occultare ai suoi stessi occhi la sua debolezza, per costruirsi immagini di sé più gratificanti e consolanti. Così in Emilio lo scrittore rappresenta impietosamente tutta la miseria e le contraddizioni di un ceto sociale in crisi, che non sa guardare lucidamente in faccia la propria realtà. L’atteggiamento critico di Svevo verso il suo eroe si manifesta in piena evidenza attraverso i procedimenti impiegati per costruire il discorso narrativo. Anche Senilità, come Una vita, è un romanzo focalizzato quasi totalmente sul protagonista (solo per brevi tratti il punto di vista adottato è quello di Amalia o di Stefano, mai comunque quello di Angiolina). I fatti sono filtrati sistematicamente attraverso la sua coscienza e sono presentati come li vede lui. Ma poiché Emilio è portatore di una falsa coscienza e si costruisce continuamente maschere, alibi, autoinganni, la sua prospettiva è deformante, il suo punto di vista è inattendibile. Questa inattendibilità viene denunciata da Svevo fondamentalmente attraverso tre procedimenti narrativi: 1. In primo luogo la voce del narratore, dotato di una lucidità superiore a quella del personaggio, interviene con commenti e giudizi a smentire la prospettiva di Emilio, che si autoinganna, e quella del narratore. Questi interventi espliciti del narratore tradiscono l'atteggiamento critico di Svevo verso il suo personaggio "inetto". 2. Ma spesso, dinanzi alle menzogne e agli alibi di Emilio, il narratore non interviene direttamente per denunciare la falsa prospettiva del personaggio: basta il contrasto che si viene a creare tra le mistificazioni di quest'ultimo e la realtà oggettiva, quale scaturisce in piena evidenza dal contesto narrativo. quando Emilio si presenta ad angiolina, il narratore non introduce alcun commento diretto, ma la convinzione che ha Emilio di essere una persona «abile» ed esperta della vita si scontra in modo ridicolo con l'immagine, fornita dalle pagine precedenti, di un uomo sempre vissuto nel chiuso del nido domestico, ignaro e timoroso della realtà esterna ( →ironia implicita). 3. Il terzo procedimento per denunciare le mistificazioni del personaggio è la semplice registrazione del suo linguaggio, sia nel discorso diretto, sia nel discorso indiretto libero, che appare stereotipato come le idee che Emilio veicola, zeppo di espressioni enfatiche, melodrammatiche, ad effetto e al tempo stesso banali: Svevo mima con perfida abilità il linguaggio caratteristico del suo personaggio, che è lo specchio più diretto della sua cultura, della sua ideologia e della sua psicologia. La coscienza di Zeno STRUTTURA L’opera ha una struttura esterna composta da 8 capitoli di diversa misura: ● il 1° costituisce la prefazione dello psicanalista S, che probabilmente sta per Sigmund, il quale dichiara i motivi per cui pubblica le memorie che ha scritto il suo paziente Zeno Cosini; ➔ Uno psicanalista non si permetterebbe deontologicamente mai di pubblicare ciò che il proprio malato abbia scritto ( →primo scarto rispetto alla tradizione). ● il 2° capitolo è un brevissimo preambolo di Zeno scritto dal paziente stesso riguardo le proprie memorie; ● i capitoli dal 3° al 7° sono le sue memorie vere e proprie che si fingono scritte tra il 1913 -14, cioè prima che Zeno scelga di andare in terapia; ● il capitolo 8° è un diario tenuto da Zeno dopo la terapia datato quindi tra il maggio del 15 e il marzo del 16 in cui sono esposte tra l’altro le motivazioni per cui ha interrotto la propria analisi e abbandonato il dottor S. Allora si capisce la volontà del dottor S, implicita nella prefazione, di voler vendicarsi di questo abbandono tramite le memorie del suo assistito → così la psicoanalisi entra nella narrativa italiana. Questa struttura esterna ci permette di cogliere la cornice, che è la vicenda di un contrastato rapporto di terapia psicanalitica avente come protagonisti Zeno e il dottor S. Zeno Cosini si sente malato e decide di ricorrere alle cure di uno psicanalista che gli suggerisce, prima di iniziare l’analisi, di scrivere le proprie memorie a scopo terapeutico. Dopo averle scritte e aver sperimentato per sei mesi la terapia, Zeno ritiene opportuno interromperla: prima perchè si sente malato più di prima, poi perchè si crede invece guarito, ma non per merito della terapia, bensì per merito della guerra e certi affari che gli danno quella sensazione di forza, decisione e vitalità la cui mancanza, secondo lui, costituiva uno degli aspetti della sua malattia ( →Svevo non crede nella psicoanalisi a scopo terapeutico, ma come indagine letteraria del personaggio, infatti Zeno si sente guarito per fattori esogeni la terapia). Egli ha compreso di essere guarito perché ha maturato la convinzione che la malattia di cui ha sofferto sia connaturata alla condizione umana stessa, ha scoperto di essere malato in un mondo di malati. Possiamo su questa base capire le principali funzioni e strutture narrative del racconto. Il dottor S è nello stesso tempo sia editore sia destinatario (essendo medico) delle memorie e del diario di Cosini. Quest’ultimo assume dal cap 2 al 7 la funzione di narratore interno, che ricorda tramite la memoria ( →Bergson e il tempo soggettivo come durée), e ha come oggetto del suo scrivere se stesso, quindi si sdoppia tra io-narrante (=Zeno vecchio che scrive memorie per lo psicanalista) e l’io-narrato (=Zeno nell diverse fasi della sua vita, protagonista della narrazione dai cap 3 al 7): questo rimanda allo sdoppiamento dell’identità ( →Pirandello). Le memorie, che coprono gli anni dal 1870 al 1914 di Zeno, procedono non in ordine cronologico, ma per species. Questa divisione dei capitoli per temi complica ulteriormente la struttura temporale del testo: nel corso di una medesima pagina seguendo il filo tematico o tramite delle associazioni mentali l’io-narrante rievoca periodi e stati di coscienza di epoche lontane e diverse tra di loro. I grandi blocchi tematici analizzati capitolo per capitolo sono i seguenti. III CAP → IL FUMO: Zeno narra come abbia contratto il vizio del fumo e come abbia cercato più volte di liberarsene anche tentando una cura di disintossicazione, ma soprattutto scrive come questo vizio sia diventato per lui un alibi per crogiolarsi nella propria condizione di malattia. IV CAP → LA MORTE DI MIO PADRE: Zeno ha rapporto conflittuale con la figura paterna a tal punto che spera che egli muoia il prima possibile; il padre poco prima di morire tanto era malato che in un sussulto forse inconscio schiaffeggia Zeno che ne prova vergogna e rimorso. V CAP → LA STORIA DEL MIO MATRIMONIO: dopo la morte del padre, pur rinnegando una figura paterna, trova un padre nel potente banchiere Giovanni Malfenti, che inconsciamente elegge a proprio secondo padre, e conosce le sue 4 figlie, di cui ammira la bella Ada. Quando scopre che sposandone una diverrebbe quasi un figlio di Malfenti, e quindi ne dividerebbe la sicurezza economica e di cerchia, decide di innamorarsi di Ada e le fa la corte. Tuttavia quando la madre di Ada gli chiede di ritrattare le proprie visite, Zeno ha una grave crisi e comincia a zoppicare: questo non è un fatto fisiologico, ma ha origine psicologiche, in quanto il suo zoppicare è legato al momento in cui, dopo esser stato rifiutato a casa Malfenti, incontra un suo amico che zoppica, a quel punto scatta in lui una forma di identificazione per esprimere il dolore dell'esclusione. Conosce anche il suo rivale Guido Speier, il fidanzato di Ada: gli appare un uomo dotato di perfetta salute e sicuro di sé, un vincente, non un inetto come Zeno. Dopo varie vicende una sera chiede la mano di Ada, che è già fidanzata, quindi lo respinge. Pur di entrare a far parte di casa Malfenti, Zeno comincia allora a chiedere la mano alle altre tre sorelle: ad Alberta, seconda figlia, dalla quale ottiene un rifiuto, e ad Augusta, a cui confessa le precedenti richieste; nonostante tutto Augusta, che è la più brutta tra le sorelle, accetta e quindi si sposa. VI CAP → LA MOGLIE E L’AMANTE: narra la vicenda degli anni di matrimonio e in particolare il rapporto con sua moglie. Zeno scopre di amarla non in quanto Augusta, ma in quanto essa rappresenta per lui la “salute” personificata. Per Zeno “salute” significa vivere in un mondo di certezze, avere una visione del mondo sicura e chiara e la capacità della volontà che è tipica della classe borghese. Allo stesso tempo però sceglie un’amante Carla, che diventa per lui innanzitutto un oggetto di beneficenza (Carla aspira ad essere una cantante quindi lui, che intanto è entrato nell’industria di Malfenti, le regala un pianoforte, le paga le lezioni di canto, etc.). A lei si lega con un rapporto estremamente contraddittorio che oscilla tra il gusto per il peccato, il senso di colpa per tradire Augusta e il proposito, che per lui diventa ossessione, di redenzione, che, come per il proposito di smettere di fumare, vive come frustrazione, ma anche come soddisfazione, cioè come un dipendente che riconquista la “salute” = la certezza borghese. Quando poi Carla decide di lasciarlo fa di tutto per impedirglielo finchè una sera…(next cap). VII CAP→ STORIA DI UN’ASSOCIAZIONE COMMERCIALE: con il rivale Guido Speier, che intanto ha sposato Ada, è un grandissimo imprenditore, uno che osa e che vince; la sua impresa però è fallimentare: Zeno ha scoperto che il perfetto Guido negli affari è un vero e proprio incapace e che finora ha guadagnato solo per la fortuna che ha avuto giocando in borsa. Una volta però perse tutto a tal punto di dover inscenare un finto suicidio per ottenere soldi dalla famiglia della moglie. Un’altra volta perde in borsa, un’altra volta inscena un secondo suicidio, che per volere della sorte si realizza e quindi Guido non volendo muore. Zeno inconsciamente è felice di tutta questa morte, anche se apparentemente appare addolorato, a tal punto che compie un “atto mancato". ➔ Secondo Freud, deriva dall’inconscio, che si comporta in maniera diversa rispetto all’io e a volte rivela la vera sostanza del personaggio. Il giorno del funerale di Guido Speier egli sbaglia funerale: invece di andare al funerale del cognato, segue un altro funerale e se ne accorge solo quando vede intorno persone che non conosce. Dopo la morte di Guido, Zeno gioca anche lui in borsa, riguadagnando tutti i soldi che aveva perso il cognato. E’ a questo punto che Zeno si caso di malattia, e infine la fede, per lei l’unica salvezza quando si è in procinto di morte (fede che Zeno non ha). - “io sto analizzando la sua salute, ma non ci riesco perchè mi accorgo che, analizzandola, la converto in malattia”: Zeno comincia a maturare il concetto di malattia negli altri, inizia a chiedersi se quella saluta non sia in realtà una malattia anche quella e che abbia bisogno di una cura. Ma è lo Zeno vecchio, quello di adesso che è giunto alla fine della sua vita a rendersene conto, perché quando le era stato accanto per tanti anni, mai aveva avuto tale dubbio. - Durante il matrimonio Zeno “stava collaborando alla costruzione di una famiglia patriarcale” e diventava lui stesso “il patriarca che avevo odiato e che ora [nell’ottica che egli segue di Augusta] mi appariva il segnacolo della salute”: per questa sua nuova consapevolezza di essere il patriarca nel viaggio di nozze mimava talvolta “l’atteggiamento della statua equestre” (=somatizzazione della malattia), però appunto Zeno può solo imitare il patriarca perchè è un inetto: per esempio quando durante il viaggio di nozze era andato con la moglie a visitare un museo, era norma tra i borghesi dover “passare per tutte quelle innumerevoli sale”, ma lui si ferma alla prima sala, per la sua svogliatezza. - “nella vita manca la monotonia dei musei”: si contraddice con quanto detto precedentemente, che ogni giorno è uguale all’altro nel matrimonio. - “la nostra fu una relazione sorridente perchè io risi di lei” e non a lei: perchè c’erano delle piccole fissazioni in queste certezze, che facevano sembrare Augusta ridicola a volte. - Zeno d’altro canto innanzitutto ha paura di tutti gli ignoti possano essergli nemici (“potevo essere assaltato, insultati e soprattutto calunniato”), e poi come seconda malattia ha paura di invecchiare: Zeno quindi si sta creando una serie di nevrosi, espressioni nel suo inconscio → è sempre polarizzato su se stesso. - Quando Zeno esternò quest’ultima sua paura alla moglie, dicendole che presto quel viaggio di nozze l’avrebbe rifatto con un altro, Augusta si mette a piangere: allora lui si chiede se quel suo pianto era stato provocato dalla disperazione per la visione esatta di quella sua “salute atroce”, così definita perchè piena di certezze, ma in realtà inconsistente. Se così fosse stato, afferma lo Zeno di adesso, “tutta l’umanità avrebbe singhiozzato in quel pianto”. Capitolo III, Il fumo Zeno è consapevole di essere un inetto (non ha concluso gli studi, non lavora, non sa far altro che sognare e strimpellare il violino), ma deve cercare un alibi che lo giustifi: lo trova nella presunta malattia di cui è convinto di essere affetto, la cui causa è da lui individuata nel fumo, che avvelena il suo organismo. Egli però afferma di aspirare ( →volontà illusoria perché inetto è malato di Voluptas schoperoniana) ad essere un uomo forte, equilibrato, padrone di sé, produttivamente inserito nella società borghese, quindi si ostina nel proposito di smettere di fumare, destinato a non realizzarsi. Già da qui si capisce che quella del fumo non è una innocente mania, ma ha le radici nel nodo centrale e aggrovigliato della sua personalità. Senza avvedersene, Zeno indica anche le cause remote e profonde del suo vizio e quindi della sua cosiddetta malattia, quando racconta come ha contratto l'abitudine di fumare: rubando al padre prima i soldi delle sigarette, poi i mezzi sigari accesi da lui e lasciati in giro. Il gesto indica il tentativo del ragazzo di appropriarsi della forza virile del padre, sottraendola al detentore e sostituendosi a lui. Per questo si obbliga a fumare nonostante il disgusto e il malessere fisico: fumare è un rituale di iniziazione che deve sancire la sua dignità di uomo, schiacciata e inibita dalla figura paterna, con la quale è entrata in contrasto: questo rappresenta secondo Freud il principio di autorità, grazie al quale si dà una giustificazione psicanalitica a questo senso d’odio che Zeno prova nei confronti del padre. ➔ Come ha fatto notare il critico Gioanola, il sigaro inizia il vizio del fumo rimanda al membro virile, quindi il fatto che rubi al padre il sigaro da un punto di vista psicoanalitico può significare che l’inconscio di Zeno adolescente voglia annullare la figura del padre per sostituirsi accanto a quella della madre (=complesso di Edipo). Questa nevrosi può segnare un’intera vita, bloccando le attività della maturazione dell’uomo. Ma la rivalità virile col padre implica impulsi aggressivi nei suoi confronti, che si ritorcono in sensi di colpa, i quali prendono forma nel divieto che Zeno vuole apparentemente imporsi. Fumare diventa dunque un gesto ambiguo, duplice, rivendicazione di libertà e ricerca di un motivo per essere punito (o punirsi). E’ il senso di colpa che induce Zeno a vedere nel fumo la causa della malattia e dell'inettitudine a vivere. Non fumare più vorrebbe dire non solo essere innocente da ogni colpa, ma soprattutto non essere più dipendente dal fantasma introiettato del padre, essere un uomo nel vero senso della parola, autonomo, maturo, padrone di sé. Oscuramente, Zeno avverte che il vizio del fumo è dipendenza infantile, esistenza virile bloccata a uno stadio del tutto immaturo, incapace di scelte e di vere e proprie responsabilità. Capitolo VIII, la pagina conclusiva - In questa ultima pagina di diario, summa di tutto il romanzo, è condensata la visione pessimistica dello Zeno guarito perché ha capito che la società è malata: “La vita attuale è inquinata alle radici”. - “La vita somiglia un poco alla malattia”: fa coincidere vita con malattia, però a differenza delle altre malattie la vita è sempre mortale: “Morremmo strangolati non appena curati” infatti “Qualunque sforzo di darci la salute è vano”. - “Ma l’occhialuto uomo inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. [...] Ed è l’ordigno che crea la malattia con l’abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice”: secondo la legge della selezione naturale solo i più forti trasmettono i loro caratteri ai discendenti. Nella civiltà del falso progresso, l'uomo con le macchine ha cancellato tale legge, consentendo la sopravvivenza anche ai più deboli; non il più forte domina, ma colui che ha più ordigni. Di conseguenza, dato l'indebolimento generale dell'umanità, si moltiplicheranno malattie e ammalati. - Nella prospettiva pessimistica di Zeno non si dà alternativa a questa degenerazione se non attraverso un'apocalisse distruttiva, che purificherà il mondo dalle malattie. La corsa agli ordigni sboccherà nella costruzione di un “esplosivo incomparabile”, che per la follia di qualche uomo “più ammalato degli altri” provocherà “un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma nebulosa errerà nei cieli privi di parassiti e di malattie”→ finale apocalittico senza via d’uscita→ eliminazione del cosmo nella sua interezza perché se la vita umana è malattia, solo la scomparsa dell'uomo potrà eliminare la malattia dalla terra. SPUNTI PER L’ESAME. Questa visione apocalittica è certo suggestionata dallo sviluppo della civiltà delle macchine, che proprio nei primi decenni del Novecento tocca il culmine, generando diffidenza e paura nell'uomo, che si sente minacciato e oppresso dal suo incombere. La conclusione del romanzo assume un'inquietante valenza profetica e presenta forti tratti di attualità, per noi che abbiamo conosciuto il potenziale distruttivo degli armamenti militari del XX secolo e l'incubo delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki.
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