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La Coscienza di Zeno: Vita e Opera di Italo Svevo, Schemi e mappe concettuali di Italiano

Biografia e analisi letteraria del romanzo 'la coscienza di zeno' di italo svevo. La vita dell'autore, il contesto storico e culturale in cui è ambientato il romanzo, e la sua struttura e tematiche. Il documento illustra come la vita di svevo influisce sulla sua opera, e come il romanzo presenta un nuovo approccio alla narrativa, con una struttura composta da una prefazione, un preambolo e sei capitoli tematici.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

Caricato il 23/01/2024

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Scarica La Coscienza di Zeno: Vita e Opera di Italo Svevo e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Italiano solo su Docsity! 1 ITALO SVEVO Biografia Il vero nome di Italo Svevo era Aron Hector Schmitz. Nacque a Trieste nel 1861 da una famiglia di commercianti ebrei (suo padre aveva una fabbrica di vetrami); la madre era italiana, il padre cittadino austriaco (la scelta dello pseudonimo fu motivata proprio dalle origini e dalla cultura in parte italiana – Italo - e in parte tedesca – Svevo: gli Svevi erano la dinastia imperiale del Sacro Romano Impero Germanico, a cui apparteneva Federico II, l’ultimo dei sovrani a incarnare e realizzare l’unità tra territori germanici e italiani). Fu mandato a studiare in Baviera, dove imparò la lingua tedesca e conobbe gli autori classici tedeschi. Ritornato a Trieste, si iscrisse all’Istituto Superiore per il Commercio e, terminati gli studi, iniziò a lavorare presso la filiale triestina della Unionbank di Vienna, occupandosi di corrispondenza commerciale; nel frattempo pubblicava delle recensioni letterarie su L’Indipendente, suonava il violino e si dedicava alla lettura dei classici italiani, russi, francesi; studiò anche il pensiero di Darwin e di Schopenhauer e si dedicò con passione al teatro, sia come spettatore che come autore. Nel 1892, poco dopo la morte del padre, pubblicò il primo romanzo, Una vita, che non ebbe successo. Negli stessi anni collaborava con il quotidiano di Trieste, Il Piccolo, e frequentava gli ambenti letterari della città. Nel 1896 si sposò con Livia Veneziani, figlia di un grande industriale di Trieste, che aveva fondato la sua fortuna su una vernice per navi dalla formula segreta venduta alla marina austriaca; dal matrimonio nacque una figlia, Letizia. La moglie Livia ha tredici anni di meno, è molto più ricca di Svevo e non coltiva interessi letterari; è una donna sicura di sé e molto pratica, decisamente diversa dal marito, che si sente sempre incapace di adeguarsi al mondo e prova nei sui confronti una tormentosa gelosia (a lei si ispira la figura di Augusta ne La coscienza di Zeno). Nel 1898 pubblicò a proprie spese il secondo romanzo, Senilità; anche questo fu un insuccesso. Nel 1899 Svevo lasciò l’impiego in banca e iniziò a lavorare nella ditta del suocero: il nuovo lavoro molto impegnativo e la delusione per l’insuccesso dei primi romanzi lo spinsero ad abbandonare l’attività letteraria, anche se non riuscì mai a rinunciare alla scrittura; iniziò a viaggiare molto all’estero per ragioni professionali e per questo decise di frequentare un corso d’inglese alla Berlitz School di Trieste, dove ebbe come insegnante James Joyce, con cui strinse amicizia. Negli stessi anni approfondì anche la conoscenza delle teorie psicanalitiche di Freud, con cui era entrato in contatto anche per motivi 2 familiari (il cognato era stato in cura dal dottor Weiss, uno psicanalista triestino, e dallo stesso Freud). Svevo era un accanito fumatore fin dall’adolescenza e tentò per tutta la vita di smettere, senza mai riuscire a farlo e sentendosi, per questo, costantemente in colpa (sigaretta oggetto sostitutivo). Con lo scoppio della prima guerra mondiale l’attività lavorativa di Svevo si ridusse, a causa delle difficoltà dell’industria di famiglia, ed egli poté dedicarsi di nuovo alla scrittura, sollecitato anche dall’amico Joyce: nel 1923 pubblicò a sue spese il terzo romanzo, La coscienza di Zeno; anch’esso fu accolto con indifferenza, ma la presentazione fatta da Joyce, una recensione di alcuni critici letterari francesi e l’interesse di Eugenio Montale, che pubblicò sulla rivista L’Esame un Omaggio a Svevo, fecero conoscere a livello internazionale il romanzo, che in breve acquisì una certa fama, soprattutto a partire dal 1928. In quello stesso anno Svevo morì in seguito a un incidente stradale nei pressi di Treviso. Di lui ricordiamo anche alcune opere teatrali, dei racconti e dei frammenti di un quarto romanzo incompiuto (Il vecchione), anche se alcuni studiosi affermano che fossero una “continuazione” de La coscienza di Zeno. Svevo va considerato più uno scrittore europeo che italiano, capace di intercettare meglio e prima di altri le correnti più moderne del pensiero e dell’arte; in questo fu aiutato dalla conoscenza del tedesco, dall’essere vissuto a Trieste e dalla sua cultura mitteleuropea. Egli investì tutto il suo talento letterario nel genere del romanzo, in un’epoca in cui in Italia la poesia era ancora considerata il genere letterario di maggior prestigio. Svevo seppe creare personaggi complessi e problematici a cui applicò un’analisi psicologica molto profonda, fondata sulla conoscenza di Freud e della sua psicoanalisi; da Freud trasse la convinzione che la psiche dell’individuo è composta da aspetti diversi spesso in conflitto tra loro e seppe dare voce a questa molteplicità introducendo diversi punti di vista all’interno della narrazione (moltiplicazione delle voci). Anticipò, inoltre, un genere letterario di questi ultimi decenni, l’autofiction, in cui l’autore, parlando di sé, incrocia autobiografia e invenzione e, parlando di sé, riesce a dire cose profonde sulla realtà e sulla vita. Importanza di Trieste nell’opera di Italo Svevo Trieste, all’inizio del ‘900, era una città decentrata e secondaria rispetto al resto d’Italia, ma nell’ambito dell’Impero asburgico, di cui ha fatto parte fino al 1918, era di fondamentale importanza, in quanto principale porto dell’impero (dal 1719 “porto franco”, ovvero scalo marittimo libero da dogane e imposte). Per questo la città aveva degli stretti contatti con la cultura mitteleuropea, le cui novità e fermenti arrivavano molto rapidamente alla città (tra questi in particolare la psicanalisi freudiana, che viene diffusa a Trieste da un allievo di Freud, il dott. Weiss). Trieste era inoltre una città multietnica, dove convivevano l’etnia italiana, quella tedesca, quella slovena e una numerosa comunità ebraica. In essa vi erano molti fermenti irredentisti (diffusi nella borghesia che non si sentiva garantita nei propri interessi dal governo austro-ungarico) e non solo nella comunità italiana, che chiedeva l’annessione di Trieste all’Italia, ma anche nella comunità slava, che voleva l’indipendenza dell’area balcanica dal dominio asburgico. Anche sotto l’aspetto sociale Trieste era una città vitale, soprattutto grazie alla tradizionale borghesia mercantile e alla nuova borghesia della media industria. 5 Tuttavia, a differenza delle opere del Naturalismo, l’opera mostra un interesse molto forte per il carattere e la psicologia del protagonista. La trama del romanzo è esile e la narrazione si concentra tutta sul protagonista. La narrazione si svolge in terza persona; l’ordine cronologico dei fatti è rispettato nel racconto; il narratore è esterno, ma si analizza anche la psiche di Alfonso Nitti tramite il monologo interiore; quindi la narrazione si svolge su due piani, uno esterno e uno interno. Il protagonista è un inetto, che sogna il successo sociale e culturale (vorrebbe diventare un affermato scrittore), ma non tenta seriamente di conquistarlo. Egli non riesce a dominare l’esistenza sia per un senso di inferiorità e di inadeguatezza che per un complesso di superiorità (nei confronti ad esempio dei colleghi, ai quali si sente superiore per le sue ambizioni letterarie); questo gli permette di crearsi degli alibi che gli impediscono di cogliere la realtà e di comunicare con gli altri e gli consentono di trovare delle giustificazioni al proprio immobilismo e alla propria inettitudine. Egli ha un atteggiamento contraddittorio: da un lato una volontà di affermazione, dall’altro di annullamento. Alfonso è condizionato da un rapporto ossessivo e morboso con la madre, che blocca la sua maturazione sentimentale. La frustrazione di Alfonso riflette la condizione piccolo-borghese dell’impiegato nel primo Novecento, ma anche l’incapacità di adattarsi a una società in cui sopravvivono solo i vincenti (per questo Alfonso si suicida). Il suo suicidio non è un atto eroico, come quello dei personaggi romantici (Werther, Ortis), ma l’estremo rifiuto che l’inetto oppone al coinvolgimento autentico nella vita. Temi: inettitudine, condizione dell’impiegato, incomunicabilità. Senilità (1898) Trama: La trama (ispirata a vicende autobiografiche, come afferma Svevo stesso) ruota intorno alla storia d’amore tra Emilio Brentani e Angiolina. Emilio, impiegato con velleità letterarie, vive un’esistenza monotona e grigia con la sorella Amalia, quando incontra la giovane Angiolina, di cui si innamora. La donna, tuttavia, fin dal primo istante si dimostra meno coinvolta del protagonista ed è anzi attratta da diversi uomini, tra cui Stefano Balli, amico di Emilio e scultore, di cui è innamorata pure Amalia. Il legame tra Emilio e la giovane, che doveva rimanere libero e disimpegnato, si dimostra invece ben più complesso, poiché Angiolina, donna opportunista e infedele, può controllare i sentimenti di Emilio. Questo, geloso della sorella per la presenza di Balli in casa sua, allontana l’uomo da casa. Amalia si ammala di polmonite, a causa dell’abuso di etere (che assumeva per dimenticare l’infelicità dovuta all’assenza di Stefano), e muore. Emilio interrompe la relazione con Angiolina, non cessando tuttavia di amarla. In seguito, scopre che la donna è scappata a Vienna con un cassiere di una banca. Il protagonista ritorna a vivere la sua esistenza grigia e mediocre in solitudine, ricordando le donne amate, Amalia e Angiolina, unendo nella memoria l’aspetto dell’una con il carattere dell’altra. I personaggi del romanzo formano due coppie antitetiche che richiamano la suddivisione dell’umanità proposta da Schopenhauer: il filosofo tedesco aveva diviso gli individui in lottatori (coloro che combattono per l’affermazione di sé con forza e audacia e si distinguono per la loro volontà) e contemplatori (gli inetti a vivere, i deboli che rinunciano alla lotta e si rifugiano nella malinconia). Nel romanzo Emilio e la sorella Amalia sono i 6 contemplatori, incapaci di conciliare i propri desideri con la vita vera, mentre Stefano (forte, aggressivo, fortunato con le donne) e Angiolina (immagine della vita, della giovinezza e del piacere) sono i lottatori. Emilio è l’inetto che non sa affrontare la vita, l’esatto contrario del modello del borghese attivo e vincente. È come un bambino egoista che viene accudito dalla sorella minore e, contemporaneamente, vive come un vecchio incapace di progettare il proprio futuro e di costruire una propria famiglia. Tuttavia, rispetto ad Alfonso Nitti è più disponibile ai compromessi con la realtà, si adegua alle consuetudini borghesi e alla fine vive in un mondo ideale, in cui riesce a conciliare la realtà con il proprio io: per questo non si suicida come Nitti e l’inettitudine è vista in modo meno tragico. Emilio non sa vivere pienamente l’esistenza ed è sempre troppo cauto nell’abbandonarsi alle pulsioni (la senilità di cui parla il titolo): vorrebbe abbandonarsi al piacere e vivere una relazione senza impegno con Angiolina, ma ne è incapace perché è combattuto tra desiderio e repressione morale. Per questo cerca degli alibi fasulli e giustifica il disimpegno nella relazione con motivi professionali e familiari (ovviamente infondati). Vorrebbe vivere senza costrizioni morali, ma in realtà è un moralista e un perbenista e non può accettare la libertà sessuale di Angiolina: per questo cerca di idealizzarla, nascondendosi la verità (Angiolina si prostituisce), e in seguito decide di educarla e di istruirla (lei è una ragazza del popolo, ignorante e anche un po’ volgare). Ma Angiolina non è controllabile: rappresenta infatti la vita che non può essere bloccata dalla forma (l’educazione che Emilio vuole impartirle). Perciò Emilio la lascia rinchiudendosi in una dimensione esistenziale di senilità (il titolo infatti non si riferisce all’età del protagonista ma al suo modo di vivere e di essere, alla sua stanchezza esistenziale), in cui si costruisce un ricordo idealizzato di Angiolina, che unisce la bellezza esteriore della ragazza alla bellezza interiore e alla sensibilità della sorella morta. La figura di Angiolina sarebbe ispirata ad una ragazza triestina, Giuseppina Zergol, con cui Svevo ebbe una relazione, ma anche a Livia Veneziani, la moglie dell’autore. La figura di Stefano Balli, invece, richiama quella dell’amico pittore di Svevo, Umberto Veruda. Per la condizione che affligge Amalia, pare che Svevo abbia fatto riferimento agli studi del medico francese Jean-Martin Charcot sull’isteria. Il racconto rispetta l’ordine cronologico e la narrazione avviene in terza persona. Il discorso indiretto libero esprime i pensieri di Emilio, mentre il narratore analizza le parole e i comportamenti del protagonista, ne evidenzia gli autoinganni e le giustificazioni morali e le smentisce. Temi: inettitudine, condizione dell’impiegato, Trieste. La coscienza di Zeno (1923) Il terzo romanzo di Svevo nasce in un clima storico e culturale cambiato: Trieste non appartiene più all’impero asburgico e attraversa una grave crisi economica (il suo porto in Italia rappresenta uno sbocco di secondaria importanza), mentre l’Italia si avvia verso la dittatura fascista; al Positivismo si è sostituito il Relativismo filosofico e psicologico (Freud). 7 Le due novità culturali che hanno influenzato maggiormente questo romanzo sono la psicanalisi di Freud e l’idea del tempo come “durata” di Bergson. Struttura Il romanzo ha una struttura del tutto nuova e molto lontana da quella tradizionale: è composto da una Prefazione (Dottor S.), un Preambolo (Zeno) e sei capitoli tematici. Il protagonista è Zeno Cosini, un ricco commerciante, all’apparenza un uomo di successo, che però non ha mai aderito ai valori dell’alta borghesia alla quale appartiene; egli, ormai vicino alla vecchiaia, decide di ricorrere alla psicanalisi per curare una nevrosi di cui ha sempre sofferto. Su consiglio dello psicanalista, il Dottor S., scrive una sorta di autobiografia che ricostruisce alcune fasi importanti della sua vita, allo scopo di capire le ragioni di alcuni suoi comportamenti. Zeno consegna al dottore queste memorie contenute in un manoscritto. Ad ogni fase della vita è dedicato un capitolo tematico del romanzo: - Il fumo - La morte di mio padre - La storia del mio matrimonio - La moglie e l’amante - Storia di un’associazione commerciale - Psico – analisi Zeno, dopo aver scritto questa specie di diario, abbandona la terapia psicanalitica; il dottor S. allora decide di pubblicare “per dispetto” il manoscritto senza l’autorizzazione di Zeno, riservandosi di dividere con lui i guadagni che ne deriveranno, ma solo a patto che lui riprenda la terapia. Ogni capitolo è dedicato a un tema o a un aspetto della vita del protagonista; l’opera non segue, perciò, l’ordine cronologico ma un principio analogico: la memoria di un fatto ne richiama altri analoghi. Questo tipo di ordine riproduce il funzionamento della memoria ed è affine alla modalità con cui la psicanalisi cerca di far riaffiorare i ricordi nel paziente. Trama: Innovativa è la struttura del romanzo, costruito ad episodi e non secondo una successione cronologica precisa e lineare. Il narratore è il protagonista, Zeno Cosini, che ripercorre sei momenti della sua vita all'interno di una terapia di psicoanalisi. La Coscienza si apre con la Prefazione del dottore psicoanalista (identifica dall'ironicamente beffarda etichetta di "dottor S.", con un sotterraneo richiamo al cognome dell'autore reale) che ha avuto in cura Zeno e che l'ha indotto a scrivere la sua autobiografia. Il protagonista si è sottratto alla psicoanalisi e il medico per vendetta decide di pubblicare la sue memorie. I sei episodi della vita di Zeno Cosini sono: Il fumo, La morte di mio padre, La storia del mio matrimonio, La moglie e l’amante, Storia di un’associazione commerciale e Psico- analisi. Ogni episodio è narrato dal punto di vista del protagonista, e il suo resoconto degli eventi risulta spesso inattendibile; egli presenta la sua versione dei fatti, modificata e resa come innocua in un atto inconscio di autodifesa, per apparire migliore agli occhi del dottor 10 che viene definito “tempo misto”, una sintesi di passato e presente: il presente del narratore e il passato del protagonista sono uniti nell’idea di “durata” definita da Bergson; il passato viene rievocato e rivissuto alla luce del presente. Il tempo è quello della coscienza del protagonista che sovrappone passato e presente con anticipazioni e retrospezioni: manca un ordine cronologico lineare e all’interno dei capitoli vengono ricordate le varie epoche della vita di Zeno sotto aspetti diversi. Ad esempio nel capitolo Il fumo si parla del vizio di Zeno e del tentativo di smettere nei vari periodi della sua esistenza; alcune di queste fasi della vita vengono ripercorse nel capitolo La moglie e l’amante ma in chiave diversa, cioè per analizzare le relazioni sentimentali di Zeno: accade così che la narrazione vada continuamente avanti e indietro nel tempo e torni più volte sugli stessi periodi della vita del protagonista. Il tempo si articola in: • tempo della storia: la successione naturale degli avvenimenti narrati • tempo del racconto: la successione degli eventi come viene presentata nel romanzo, con frequenti anticipazioni (prolessi) e flashback (analessi) • tempo della narrazione: il presente in cui Zeno scrive la sua autobiografia All’interno dei singoli capitoli, la velocità del racconto è molto varia e dipende dall’importanza degli eventi che non è un dato oggettivo, ma dipende dalla percezione che di quegli eventi ha o ha avuto Zeno. Questa dimensione del tempo, vicina a quella di Marcel Proust, dimostra che tutte le certezze sono crollate e che anche il passato non è un serbatoio da cui recuperare i ricordi, in quanto, con il trascorrere del tempo, li dimentichiamo o li modifichiamo alla luce di altre esperienze. L’evoluzione dell’inetto L’inettitudine di Zeno non è tragica come quella di Alfonso Nitti o malinconica come quella di Emilio Brentani: l’inettitudine in questo romanzo viene rivalutata come capacità dell’individuo di resistere all’alienazione imperante, come protesta contro i modelli umani imposti dalla società. Zeno è più allegro e leggero degli altri due protagonisti ed è dotato di grande ironia; egli è un antieroe, uno che non si adatta alla realtà circostante; ma questa è la sua forza, perché gli permette di non omologarsi ai modelli imposti dalla società, tra i quali c’era anche il superuomo. La sua malattia, la nevrosi, sintomo dell’inettitudine, diventa così l’elemento distintivo dell’individuo che non si piega all’omologazione e ai valori dominanti. Zeno è un individuo che non ha sviluppato capacità particolari in un campo o nell’altro e quindi è in grado di evolversi, trasformando la propria inettitudine in duttilità da applicare a situazioni e contesti diversi; la sua incompiutezza finisce per essere la sua forza, soprattutto alla fine del romanzo Zeno è un personaggio con una personalità indefinita e sfuggente. La sua malattia è il disagio del vivere, che porta alla sfiducia negli altri ma anche nelle proprie risorse (insicurezza, inettitudine); egli è caratterizzato dalla debolezza della volontà che gli impedisce di smettere di fumare, nonostante i ripetuti tentativi. Egli non aderisce alle regole e alle convenzioni dell’alta borghesia alla quale appartiene; è sempre in bilico tra buoni propositi e pulsioni che non riesce a reprimere, per le quali cerca sempre delle autogiustificazioni. Sull’inettitudine si innesta la nevrosi, che si manifesta con - somatizzazioni (dolori, zoppia) - menzogne verso sé e gli altri per giustificare la propria inadeguatezza 11 - gaffe, lapsus, sviste, errori, atteggiamenti stravaganti, atti mancati (azioni che vogliamo compiere razionalmente, ma non siamo in grado di realizzare perché il nostro inconscio ce lo impedisce (l’esempio tipico è l’ultima sigaretta – U.S. – la promessa di smettere di fumare a cui Zeno non riesce a tenere fede). L’origine della nevrosi di Zeno sarebbe, secondo la diagnosi del dottor S., un complesso edipico, cioè un conflitto irrisolto con il padre rivale, una segreta ostilità nei confronti del genitore che lo ha fato sempre sentire inadeguato (si veda l’episodio della morte del padre e dello schiaffo dato a Zeno). Alla fine del romanzo e del suo diario, Zeno riconosce che la sua malattia, l’inettitudine, lo ha portato ad affidarsi alla casualità dell’esistenza che, nonostante la sua mancanza di volontà e la sua incapacità di gestire la vita, lo ha trasformato in un personaggio vincente. Egli inoltre afferma di aver capito di essere guarito grazie alle casuali circostanze della vita che gli sono state favorevoli, anzi, di non essere mai stato malato: è la vita in sé ad essere malata. Zeno arriva alla consapevolezza che ogni tentativo di curare la sua presunta malattia, quindi anche la psicanalisi, avrebbe penalizzato la sua personalità, in quanto lo avrebbe ridotto a un uomo banale, un borghese con le sue piccole sicurezze. Egli scopre che il “sano” è colui che non riflette sulla propria esistenza, non si interroga su se stesso (la moglie Augusta, emblema della “salute”) e si è adeguato alle convenzioni della società che lo circonda; il “malato” è invece colui che usa la malattia come un’occasione per comprendere più profondamente la propria natura. L’inetto risulta in tal modo superiore all’uomo affermato e di successo; egli, con le sue molteplici sfaccettature psicologiche positive e negative, è in grado di evolversi, a differenza dei solidi borghesi cristallizzati in una forma immutabile. Svevo conclude il romanzo con un certo pessimismo, in quanto afferma che la vita è malata, la civiltà umana è malata; secondo lui l’unica possibilità di guarigione potrebbe venire da una totale autodistruzione provocata dagli “ordigni di morte” costruiti dagli uomini per compensare la loro debolezza (riferimento alla prima guerra mondiale). La psicanalisi Svevo apprezzò la psicanalisi come strumento di analisi dell’interiorità umana, non come terapia; egli, infatti, non la riteneva efficace come metodo terapeutico (drammatica esperienza personale: il cognato, dopo lunghe cure psicanalitiche dal dottor Weiss a Trieste e dallo stesso Freud, si suicidò). Le stesse conclusioni a cui arriva Zeno alla fine del romanzo mostrano una certa sfiducia nei confronti della terapia psicanalitica. L’autore, inoltre, riteneva che i disturbi psichici analizzati da Freud (“psicopatologia della vita quotidiana”) contengono un alto potenziale narrativo. Temi: inettitudine, psicanalisi. Stile e lingua Svevo aveva una conoscenza dell’italiano puramente scolastica; nello studio e nel lavoro aveva utilizzato prevalentemente il tedesco e in casa parlava il dialetto triestino. Quindi la lingua da lui usata nei suoi romanzi aveva una sintassi e un lessico modellati sul tedesco 12 (uso di germanismi) e talvolta delle influenze dialettali. Il suo stile era molto lontano da quello ornato e ricercato di D’Annunzio. Ciò gli procurò molte critiche (fu accusato di non saper scrivere in italiano corretto), ma in realtà rappresenta il suo pregio e rende la narrazione vivace e dinamica; la sua lingua risulta efficace e concreta. Il romanzo presenta inoltre un’altra importante caratteristica: l’ironia e l’autoironia del protagonista.
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