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Itinerari di Pedagogia del'infanzia - Pedagogia dell’Infanzia e della Famiglia, Dispense di Pedagogia dell'infanzia e pratiche narrative

Sintesi del libro "Itinerari di Pedagogia del'infanzia" per la materia Pedagogia dell’Infanzia e della Famiglia della prof. Giuseppina D'Addelfio

Tipologia: Dispense

2021/2022

In vendita dal 08/06/2022

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Scarica Itinerari di Pedagogia del'infanzia - Pedagogia dell’Infanzia e della Famiglia e più Dispense in PDF di Pedagogia dell'infanzia e pratiche narrative solo su Docsity! ITINERARI DI PEDAGOGIA DELL’INFANZIA Sommario PRIMA PARTE: Volti e protagonisti – uno sguardo storico-critico sulla pedagogia dell’infanzia.......................2 SUGGESTIONI PEDAGOGICHE A PARTIRE DAI “CLASSICI” DELLA PEDAOGIA DELL’INFANZIA........................2 COMENIO (1592-1670).............................................................................................................................2 JOHN LOCKE (1632-1704).........................................................................................................................4 JEAN-JACQUES ROUSSEAU (1712-1778)...................................................................................................5 JOHANN HEINRICH PESTALOZZI (1746-1827)............................................................................................7 FRIEDRICH FRÖBEL (1782-1852)...............................................................................................................9 ROSA E CAROLINA AGAZZI e PIETRO PASQUALI......................................................................................11 MARIA MONTESSORI (1870-1952)..........................................................................................................13 SUGGESTIONI A PARTIRE DA CONTRIBUTI DI ALTRE SCIENZE: psicoanalisi, psicologia dell’età evolutiva e sociologia....................................................................................................................................................15 IL CONTRIBUTO DELLA PSICOANALISI ALL'EDUCAZIONE INFANTILE...........................................................15 DAL COSTRUTTIVISMO AL SOCIO-COSTRUTTIVISMO..............................................................................23 PIAGET....................................................................................................................................................23 VYGOTSKY...............................................................................................................................................24 BRUNER..................................................................................................................................................26 LA NUOVA SOCIOLOGIA DELL'INFANZIA.................................................................................................29 SECONDA PARTE: I contesti educativi per l’infanzia.......................................................................................34 INTRODUZIONE...........................................................................................................................................34 NIDI D’INFANZIA.........................................................................................................................................36 SEZIONI PRIMAVERA E SCUOLE DELL’INFANZIA..........................................................................................46 TERZA PARTE: Le parole-chiave della pedagogia dell’infanzia........................................................................52 INTRODUZIONE...........................................................................................................................................52 CONTINUITÀ EDUCATIVA............................................................................................................................53 CURA...........................................................................................................................................................56 CURRICOLO.................................................................................................................................................59 FAMIGLIA....................................................................................................................................................64 GIOCO.........................................................................................................................................................69 GRUPPO DI LAVORO, COORDINAMENTO, SUPERVISIONE, FORMAZIONE CONTINUA................................74 IL GRUPPO DI LAVORO............................................................................................................................74 IL COORDINAMENTO PEDAGOGICO.......................................................................................................77 LA SUPERVISIONE...................................................................................................................................79 LA FORMAZIONE CONTINUA...................................................................................................................81 PROFESSIONALITÀ EDUCATIVA: osservare, progettare, documentare, valutare........................................83 RELAZIONE EDUCATIVA..............................................................................................................................88 PRIMA PARTE: Volti e protagonisti – uno sguardo storico-critico sulla pedagogia dell’infanzia SUGGESTIONI PEDAGOGICHE A PARTIRE DAI “CLASSICI” DELLA PEDAOGIA DELL’INFANZIA COMENIO (1592-1670) Con COMENIO si delineano in maniera organica e sistematica alcuni dei problemi più rilevanti della pedagogia: dagli elementi di progettualità sociale e culturale che devono guidare il maestro agli aspetti più generali e specifici della didattica per finire alle strategie educative e relazionali relative ai diversi indirizzi dell'istruzione, a partire dalla prima infanzia. La sua opera fondamentale - La Scuola Materna, poi Schola Materni Gremii e Scholae Infantiae - denuncia apertamente la convinzione che si dovesse iniziare l'educazione umana fin dalla più tenera età, con mezzi e metodo appropriati, e senza differenze di genere, di età o di condizione sociali. Comenio, quindi, immaginava l’educazione come principio universale e prefigurava per la sua attuazione un'idea di scuola (anche dell'infanzia) ispirata da una sua metodica specifica, la DIDATTICA, fondata su principi razionali chiaramente identificati. Il PRIMO di tali assunti poggia sull'idea di una natura umana già predisposta verso l'apprendimento a patto che l'artificio dell'insegnamento non ne mortifichi i tempi e non ne forzi i dinamismi evolutivi. In base a questa concezione il successo formativo è condizionato dal rispetto di principi normativi di carattere universale che Comenio lega alle seguenti condizioni di possibilità: se incominceremo per tempo, prima che la mente si guasti; se l'istruzione è accompagnata dalla necessaria preparazione dell'animo; se si procede dal generale al particolare; dalle cose facili alle difficili; se non si aggrava nessuno con troppi compiti scolastici; se da per tutto si procede di pari passo; se non si costringono gli ingenui ma si avviano a ciò che desiderano fare spontaneamente; se si insegna qualunque materia, ponendola immediatamente sotto i sensi; se si mostra l'utilità immediata; se tutto si insegna con un solo metodo. Comenio; oltre che teorizzare le condizioni generali dell'educabilità umana, si mostra interessato anche ad entrare nello specifico dei media dell'insegnamento immaginando, già nella Didactica Magna, un dispositivo insegnativo capace di fare fiorire la curiosità del bambino e, su di essa, innestare i primi apprendimenti simbolici e gli artefatti culturali che sono alla base degli apprendimenti formali: soprattutto della lettura e della scrittura. Questo libro avrà 3 SCOPI FONDAMENTALI: 1. rafforzare le impressioni delle cose; 2. invogliare le menti ancora tenere a cercare cose piacevoli in altri libri 3. invogliare le menti a imparare a leggere più facilmente (poiché infatti le singole immagini avranno scritto sopra i rispettivi nomi, potrà di qui cominciare l'insegnamento della lettura) In Locke la SALUTE non costituisce un fine in se stesso ma è un presupposto funzionale per il disciplinamento etico dell'intera personalità. L'uomo è incline a contrarre abitudini: il vero problema è incentivare l'acquisizione di abitudini positive e disincentivare l'acquisto di quelle negative rimarcando il valore associativo tra ciò che è fisico e ciò che diviene psichico ed infine morale. Accanto al gioco educativo e all'attività ludo-matetica, infine, Locke riconosce la VALENZA DELLO SVAGO E DEL TEMPO LIBERO estendendone il valore anche all'infanzia. Lo svago è necessario quanto il lavoro e il cibo; bisogna permettere ai bambini non soltanto di divertirsi, ma di farlo a modo loro, purché innocentemente e senza pregiudizio per la salute. Altro elemento moderno del pensiero di Locke, infine, concerne il tema della PEDAGOGIA DIFFERENZIALE e gli aspetti connessi all'individualizzazione delle attività educative. L’animo di ogni uomo ha qualcosa di particolare che lo distingue da tutti gli altri, e non si trovano due bambini che possano essere allevati con lo stesso preciso sistema. Di qui, da un lato, la critica ad un metodo educativo precostituito e, dall'altro, il bisogno di legare osservazione, temperamento ed interesse: se potete scoprire qualche sua [dell'alunno] particolare tendenza, cercate di svilupparla quanto più potete, e servitene per spingerlo al lavoro, e per stimolare la sua attività [poiché] dove non c'è desiderio non c'è attività. La possibilità di incidere positivamente nei processi formativi nasce da una mente concepita sì come tabula rasa, ma anche potenzialmente produttiva perché capace, a contatto con l'ambiente, di sviluppare pensiero, intelligenza, ragione. Di qui il valore dell'esercizio , del rinforzo delle abitudini positive acquisite (sane, proattive, costruttive) minimizzando lo sforzo attraverso una didattica di tipo ludimorfo. Di straordinaria rilevanza è inoltre l'attenzione che Locke riserva alle differenze individuali, rilevate attraverso l'osservazione educativa, che costituiscono peculiarità non da eliminare ma da potenziare al massimo, costituendo esse stesse quell'espressione basilare su cui fondare il processo educativo. JEAN-JACQUES ROUSSEAU (1712-1778) Con ROUSSEAU e l'Illuminismo si restituisce centralità all'infanzia quale specifica stagione della formazione umana. Il suo assunto di base è l'ORIGINALE BONTÀ della condizione umana, bontà che degenera nelle mani dell'uomo. Tale affermazione comporta:  da un lato, il criterio del tassativo rispetto della natura originale del bambino secondo il principio dell'educazione genetico-funzionale (non anticipare gli apprendimenti, non forzare le acquisizioni con esercizi pedanti ed intempestivi)  dall'altro la nozione dell'educazione negativa, consistente nell’eliminare qualsiasi intervento che soffochi la spontanea manifestazione dell'essere in sviluppo. Ciò significa, per Rousseau, che al bambino va proposto soltanto ciò che è utile alla sua età. Tali parole suffragano una serie di considerazioni che saranno sviluppate da tutta la pedagogia successiva, fino al Novecento:  prefigurano un'educabilità umana radicale, a partire dalle prime età della vita: «l'educazione dell'uomo comincia già dalla nascita; prima di parlare  disegnano uno sviluppo fondato sull'esperienza, sui sensi e sulla motricità anticipando la lezione piageriana secondo la quale, nel bambino piccolo, l'intelligenza si manifesta come movimento, coordinazione e dissonanza rispetto a schemi cognitivi già consolidati: «è solo per mezzo del movimento che impariamo che vi sono cose diverse da noi stessi; ed è col movimento che giungiamo ad acquisire l'idea di estensione  accreditano il valore intrinseco dell'infanzia, appare dunque nell'Emilio la convinzione di una perfezione nella fanciullezza, una perfezione contraddistinta da una sostanziale alterità dallo stato adulto. Per educare, occorre pazienza, bisogna sapere osservare la crescita e l'evoluzione del bambino; per conoscerlo occorre tempo e per permettere al fanciullo di conoscersi occorre lasciargli il tempo di scoprirsi;  corroborano il valore di un'infanzia da "coltivare", circoscrivere in un àmbito, il materno, che svolge una funzione di filtro, sostegno affettivo, ambiente accogliente delle cure primarie;  rimarcano la dignità del bambino nella dipendenza dall'adulto prefigurando un'attenzione completa del secondo rispetto ai bisogni del primo  avvalorano il gioco come forma specifica di manifestazione dell'umano, senza subordinazioni didatticistiche, intenti pedagogizzanti  accreditano una teoria dell'azione educativa fondata sull'intenzionalità e l'osservazione: «se agite prima di sapere ciò che bisogna fare, agirete casualmente, sarete soggetti a sbagliarvi,  additano la pedagogia come luogo della riflessione antecedente l'azione. Non a caso Rousseau è stato definito padre della pedagogia moderna, fautore della stessa esistenza della pedagogia come disciplina autonoma, avente un proprio oggetto (la formazione, l'educazione e l'istruzione dell'uomo) ed un propria problematica. Affermati tali presupposti, dai quali si dipartono i più fruttuosi itinerari di ricerca esplorati dalla pedagogia contemporanea, il fulcro del ragionamento pare risieda nel concetto di pedagogia negativa. Rousseau sostiene un ambiente in cui il bambino possa fare il più possibile da solo, a diretto contatto con le cose e con la natura. Un bambino, quindi, libero di muoversi (Rousseau è ad esempio molto critico con l'uso del tempo di fasciare i neonati), né troppo coperto né troppo nutrito (inutili eccessi affettivi), capace di esplorare e di esercitare i suoi sensi. Ciò avvalora l'idea che l’Emile sia anche corpo e corporeità fatta di bisogni, di sviluppo organico, di attività. Bisogni di moto, di esplorazione, di gioco, anche, di libertà. Questa proattività corporea costituisce addirittura condizione necessaria sebbene non sufficiente per l’educazione dell'Emile: Rousseau, infatti, ascrive l'educabilità soltanto al bambino in salute: «Emilio è sano: una buona salute e una certa robustezza sono essenziali per una buona educazione. Lo sfondo per l'educazione di Emilio è dunque la campagna, luogo ideale per l'incontro di 3 ordini di maestri: la natura, gli uomini, le cose. Sulla base di questa tripartizione, Rousseau immagina un educatore che rimane sullo sfondo ed un'educazione che accetta incondizionatamente la lezione della natura (educazione naturale), respinge quella fornita dagli uomini (educazione negativa), utilizza quella delle cose per renderla il più possibile coerente con la prima. Quest'ultimo procedimento si può considerare come una forma particolare di educazione (e di didattica) indiretta. Rousseau attribuisce al "nuovo" bambino il compito di riconciliare il cittadino con l'uomo, e l'uomo con la natura. Questo progetto deve però procedere su basi nuove, rispettose del principio di educarsi nell'innocenza della sua bontà originaria. JOHANN HEINRICH PESTALOZZI (1746-1827) PESTALOZZI sostiene un'EDUCAZIONE UNIVERSALE e CONCRETA prospettando l'esigenza di un metodo didattico di carattere universale poiché psicologicamente fondato. L’educazione presenta come fattore centrale il fatto che, senza alcuna guida o supporto culturale, il potenziale umanizzante dell'esistenza è destinato a rimanere inattuato. Senza un progetto pedagogico di umanizzazione, dunque, la società nel suo complesso non può prendere forma. Di qui la doverosità dell'educazione che assume i contorni di una missione universale. Il punto di partenza della visione di Pestalozzi rimane l'ideale dell'educazione e della formazione dell'uomo concepite come autenticazione del soggetto nella sua singolare individualità. Pestalozzi concepisce come costitutiva la relazione educativa, in primis quella familiare, ma poi anche della scuola e della comunità, prefigurandone gli aspetti morali prima che quelli psicologici o di socializzazione. Fondamentale è dunque lo SPIRITO DELLA FAMIGLIA quale arte diventata natura, ovvero quale preoccupazione primaria, cura, amore pensoso rivolto al bambino dalla madre educatrice: la sicura, tranquilla e costante soddisfazione dei bisogni fisici è quella che vivifica e sviluppa nel poppante sin dalla sua nascita i primi germi di facoltà morali; così è la sacra cura materna. Il bambino nella famiglia viene curato e custodito, i suoi bisogni hanno un ordinato soddisfacimento e l'impulso del suo Io (l'impulso a svilupparsi) viene favorito. Quindi centrale per Pestalozzi è la RELAZIONE EDUCATIVA TRA MADRE E FIGLIO (si parla di temi quali l'attaccamento e lo sviluppo dell'autonomia) ed è naturale che la madre pensi a questo momento di distacco con grande ansietà, perché verrà il giorno in cui ella dovrà rinunziare a guidare ogni passo di suo figlio e di vigilarne e sorreggerne i progressi, proverà sempre un doloroso sentimento di vuoto. Ma una MADRE RIFLESSIVA coglierà per tempo l'occasione di riflettere intorno alla necessario introdurlo in un mondo che, senza essere artificioso, sia convenientemente semplificato. I doni mirano a soddisfare questa esigenza, permettendo al bambino esercitazioni non solo all'altezza delle sue capacità e dei suoi bisogni, ma anche complete, cioè tali che realizzino quella unità e quella armonia senza cui non c'è educazione. Ecco l'esatta successione dei DONI FROEBELIANI e la loro caratterizzazione funzionale: 1. Una palla di stoffa, con sei palle minori dai colori dell'arcobaleno, e un supporto per farle dondolare La sfera è la forma primitiva, punto di partenza di tutte le altre perchè rotonda, clastica, mobile; quindi può essere posta come base di un sistema di giuochi matematicamente filosofico, e perciò anche rigorosamente logico. Si fanno esercizi riguardanti la forma della palla, il colore, il movimento, si procede con essa ai giochi più svariati, in classe, all'aperto e liberi, finché il bambino arriva a familiarizzarsi con le sue proprietà. 2. Una sfera, un cubo e un cilindro di legno, con dimensioni-base uguali Fröbel desidera che i giochi fatti con il 2° dono siano accompagnati da alcuni versi, cantati per lo sviluppo dell'udito o della parola e anche perché ogni cosa ha il suo muto linguaggio che il bambino non sarebbe in grado di comprendere senza l'intervento della maestra. È utile il confronto con qualche cosa di opposto, e qui, nel caso nostro, tutte le impressioni sulle particolarità della sfera (rotondità, moto) si fisseranno mediante l'osservazione del cubo che rappresenta il riposo, perchè le sue ruvidezze ne ostacolano il movimento. Dopo i vari esercizi con queste 2 forme si attira l’attenzione del bambino sulla forma intermedia, il cilindro, sul quale si ripetono tutti gli esercizi fatti sulla sfera e sul cubo. 3. Un cubo scomponibile in otto piccoli cubi Fröbel vuole che in ogni costruzione siano impiegati gli 8 cubi perché ciascuno venga considerato parte integrante di un tutto in rapporto con esso. Serve inoltre a dare l'idea della divisibilità dei corpi, e a fissare quella di forza e di grandezza. 4. Cubo diviso in 8 mattoni mediante tre divisioni orizzontali e una verticale Il 3° e il 4° dono sono riuniti non solo perché il bimbo possa meglio paragonare cubi o mattoni, ma perché meglio si renda conto della loro diversa utilità pratica. Occorre tener presente che un principio generale guidò il Fröbel nella successione di questi doni, ed è precisamente quello che ognuno sia l'opposto e il simile del precedente. 5. Un cubo scomponibile in 27 piccoli cubi Il nuovo elemento che qui entra a far parte è la divisione in linea obliqua 6. Un cubo scomponibile in 27 piccoli parallelepipedi Esso si riannoda strettamente al 4° dono ed è la naturale progressione del 5°; Gli esercizi matematici qui si moltiplicano, facendo osservare, contare, paragonare facce spigoli, angoli. Con questi 6 doni il bambino ha acquistato l'idea dei solidi nelle loro 3 DIMENSIONI: altezza, larghezza, lunghezza. La teoria dei doni costituisce l'aspetto unanimemente più controverso e debole del pensiero di Frobel. Essa nega, infatti, il nesso tra libertà e formazione indirizzando l'attività educativa lungo percorsi eccessivamente precostituiti e codificati. Il materiale dei doni non dava spazio all'iniziativa, alla scelta del bambino, costringendolo alla ripetizione meccanica di gesti e parole che spegneva ben presto quel qualsiasi interesse che i doni avessero potuto destare in lui. Ecco una specifica descrizione delle ATTIVITÀ PREVISTE NEL KINDERGARTEN: 1. PRIMO GRADO (fino a 3 anni): trascorso interamente nella famiglia. La madre diverte il bambino coi canti e coi movimenti, racconta facili fiabe, insegna a contare con le dita fino a 10, lo esercita a divertirsi con i primi 3 doni, essa lo fa giocare con la sabbia, disporre conchiglie, lo occupa nel giardino; 2. SECONDO GRADO (dai 3 ai 5 anni): il programma comprende racconti e fiabe, apprendimento di poesie e canti, contare fino a 20, le costruzioni col 3° e 4° dono; il giardinaggio; i giochi di movimento. 3. TERZO GRADO (dai 5 ai 7 anni): comprende racconti di storia naturale, la numerazione arriva fino a 100 e vi si aggiungono gli elementi del calcolo; si eseguono costruzioni con il 5° e 6° dono ROSA E CAROLINA AGAZZI e PIETRO PASQUALI Il pensiero delle Agazzi e del Pasquali trova la sua esatta contestualizzazione storica di fine 800. Le SORELLE AGAZZI contestavano al froebelismo italiano di fine 800 di essersi tramutato in «una punizione che ha tutta l'apparenza del gioco», in un metodo fattosi aprioristico e distaccato da quella "dottrina del gioco" che andava invece professando esteriormente ; una degenerazione responsabile della «geometrizzazione del cervello infantile. Per contro, le Agazzi propongono una SCUOLA ATTIVA che sollecita, stimola ed esercita l'attività autentica del bambino, che crea le condizioni favorevoli all'azione, che fa agire, fa acquisire le abitudini tramite le azioni attraverso una didattica che pone al centro l'intuizione, la concretezza, il fare, l'espressività, l'autocorrezione, la ricerca, l'esplorazione ambientale. Tali elementi meglio si intendono rispetto ad alcune idealità metodologiche: 1. Dare all'educatrice il vero carattere di madre cosciente nell'adempimento più elevato dei suoi doveri; 2. Raggiungere il massimo sviluppo armonico del bambino; 3. Ispirare il rispetto e la dignità personale, il senso del vero e del giusto; 4. Sviluppare la socievolezza, lo spirito di fratellanza, il senso morale 5. Insegnare l'esercizio della naturalezza e della libertà individuale; 6. Promuovere l'iniziativa spontanea; 7. Fare acquisire le abitudini d'ordine, di precisione, di operosità; 8. Elevare il sentimento della natura; 9. Irradiare la civiltà nelle famiglie Si avvalora dunque una tradizione popolare che inscriverà la scuola materna prima e dell'infanzia poi in quelle istituzioni ad alto coefficiente democratizzante. Anche la famiglia costituisce per la scuola e la società un ente educabile. Propone una figura diversa e nuova da quella di pestalozziana di «madre modello», quella dell'educatrice «MADRE COSCIENTE», impegnata a continuare l'opera dell'asilo e della scuola. Fondamenti scientifici del metodo Agazzi sono l’educazione di tutto l'uomo, quindi nessun aspetto del suo essere e della sua personalità dev'essere ignorato o trascurato; unificazione dello spirito educativo della famiglia e della scuola; passaggio dalla spontaneità alla consapevolezza; educazione come rapporto e comunione di vita e di elevazione fra bambino e educatrice nello spirito d'amore e della maternità. Le sorelle Rosa e Carolina Agazzi iniziarono la loro opera a Brescia, nella frazione di Mompiano, per desiderio di PIETRO PASQUALI. La loro proposta pedagogica pone al fondamento del suo agire il bambino, attraverso un'EDUCAZIONE che si fa promozione DALL'ESTERNO: viene incoraggiata l'attivazione del bambino da parte di un contesto affettivamente stimolante che valorizza la sua curiosità e dunque la maestra deve predisporre uno spazio-tempo adeguato, didatticamente intenzionale, pianificato, predisposto. Il TEMPO DIDATTICO, dove c'è il ritmo adeguato dell'incontro fra azione e reazione, proposte e risposte, è un tempo sintetico ed intensivo, fatto di una sequenza non dilazionata di osservazione- problematizzazione-concettualizzazione-applicazione, che non sopporta ritardi e eccessi. Altro cardine della scuola agazziana è il TRATTO MATERNO della sua caratterizzazione didattica, materno perché costruito sul modello dei rapporti familiari, si riveste dei principi didattici improntati alla naturalezza ed alla gradualità delle esperienze infantili. Proprio attraverso la valorizzazione del GIOCO-LAVORO si dispiega il potenziale dell'intuizione agazziana che mira a «dare forma educativa alle aspirazioni fisiche e spirituali del bambino» in modo che, inconsciamente, egli si faccia maestro di se stesso. Fondamento di tale progetto è il gioco colto in tutte le sue modulazioni organizzative, didattiche, antropologiche, che deve essere libero, senza artifizi didascalici, ma vigilato e le lezioncine sono condotte con il sussidio delle «cianfrusaglie senza brevetto». Proprio attraverso il gioco le Agazzi procedono per sviluppare un percorso euristico guidato, in cui didattica indiretta ed occasionalità esperienziale si intrecciano nelle domande dei bambini, producendo gioco simbolico, attività di logica. Nasce il MUSEO DELLE CIANFRUSAGLIE che si fonda sulla racconta dell'informale quotidiano. Il principio cardine del modello agazziano è l'idea di ORDINE come principio fondamentale: ordine della vita fisica ed igienica, ordine dell'intelligenza, ordine della moralità, ordine estetico, ordine del lavoro, ordine sociale, ordine generale. Ordine che si traduce in 3 MODALITÀ DI DOMINARE LO SPAZIO ED IL TEMPO EDUCATIVO:  quella dei contrassegni, finalizzati a distinguere spazi e proprietà privata da ciò che è invece comune; maneggiare in una ambiente proporzionato alle forze del bambino, minimizzando con questo l'intervento della maestra. Nelle teorie della Montessori restano sì, nell'ombra, aspetti importanti dell'educazione infantile (come il carattere essenziale dell'immaginazione e dell'attività ludica, e della loro importanza funzionale ineliminabile per la genesi dell'attività artistica; il legame tra processi cognitivi e socializzazione), tuttavia si caricano di luce nuova aspetti mai prima così bene descritti (la ricerca di senso già nell'infanzia; il bambino quale soggetto di DIRITTI; il diritto all'inclusione sociale dei disabili psichici e sensoriali; tensione a rendere più scientifico il lavoro dell'educatore e dell'insegnante). SUGGESTIONI A PARTIRE DA CONTRIBUTI DI ALTRE SCIENZE: psicoanalisi, psicologia dell’età evolutiva e sociologia IL CONTRIBUTO DELLA PSICOANALISI ALL'EDUCAZIONE INFANTILE Sigmund Freud, giovane medico viennese, scopre l'infanzia attraverso i racconti delle sue pazienti adulte che, con un cammino a ritroso, ritornano nel corso della nuova terapia fondata sulla parola, a momenti sempre più precoci della loro vita, non solo ricordando ma anche rivivendo, in rapporto alla figura dell'analista, le relazioni importanti della loro infanzia. Freud trova, dunque, il bambino nel paziente e ricostruisce per questa via, caratteristiche dell'età infantile del tutto diverse da quelle della tradizione: il bambino come essere pulsionale, dotato di un precoce desiderio di conoscere (impulso epistemofilico), attraversato da sentimenti contrastanti e contraddittori, con una ricca vita fantastica e immaginativa. Caratteristiche che egli ritrova anche in alcuni bambini "reali" - il piccolo Hans, il suo nipotino Ernst - che ha modo di conoscere e che confermano la bontà delle sue ipotesi. A partire da Sigmund Freud e dalla figlia Anna il tema dell'infanzia sfocia in un filone di PSICOANALISI INFANTILE, che all'approccio clinico affianca un interesse per l'educazione dei bambini, supportato da esperienze concrete. Va tenuta presente un’importante svolta della teoria psicoanalitica, avvenuta a partire dagli scritti di Melanie Klein, quando alla teoria pulsionale propugnata da Sigmund Freud e dalla figlia Anna, si contrappone un nuovo modello, la TEORIA DELLE RELAZIONI OGGETTUALI, che mette in primo piano gli aspetti relazionali dello sviluppo . Nella formazione della personalità, la dimensione affettiva si elabora attraverso la relazione con le persone importanti per la vita del bambino a partire dalla nascita – i suoi genitori - attraverso vicende complesse il cui esito non è scontato. Selma Fraiberg illustra il farsi della personalità infantile dalla nascita ai 6 anni: descrive la crescita come un processo di "umanizzazione" la cui chiave di volta è la relazione che si instaura a partire dalla nascita, tra adulti e bambino. Funzioni materne e oggetti transazionali È soprattutto Winnicott a sottolineare l'importanza e l’indispensabilità della relazione con il caregiver, cioè chi si prende cura del piccolo in maniera continuativa. Il bambino senza madre non esiste intendendo non solo che senza qualcuno che procuri le cure fisiche necessarie il neonato non sopravviverebbe ma anche che le modalità con cui la figura materna offre l'assistenza al piccolo è fondamentale per la formazione di una personalità sana. Il piccolo ha bisogno di relazione , ha bisogno di un ambiente (e all’inizio la madre stessa è l’ambiente) che gli consenta di non essere travolto dalle emozioni violente dovute alla sua immaturità psichica e che si scatenano quando il piccolo è esposto a frustrazioni precoci eccessive (cioè ripetute e intense) determinando situazioni di esperienza intollerabili (agonia psichica). Ha bisogno di una madre sufficientemente buona che, nell'offrire le cure, dimostri devozione, un atteggiamento generalmente spontaneo nelle madri, che, nei primi mesi di vita del piccolo, si ponga in sintonia empatica con il figlio, ne riconosca i bisogni e li sappia soddisfare tempestivamente. Questa capacità che Winnicott chiama «PREOCCUPAZIONE MATERNA PRIMARIA» sì sostanzia in alcune funzioni materne indispensabili alla crescita emotiva e psichica del bambino:  HOLDING (contenimento, letteralmente "tenere in braccio"): sostegno fisico e psichico che viene fornito ad un soggetto non ancora in grado di funzionare autonomamente. La madre si fa carico sia delle esigenze fisiologiche e psichiche del bambino. Si tratta di un processo che fa sentire il bambino "esistente" facilitando il processo di integrazione (sentirsi un'unita) senza la quale il neonato sperimenta una situazione intollerabile di angoscia.  HANDLING (manipolazione): indica l’insieme delle azioni specifiche in cui si sostanzia il contenimento: le cure fisiche, i giochi corporei e le affettuosità. Lo handling facilita il processo di unità psico-somatica (corpo e psiche sono sentiti come un tutt'uno).  OBJECT PRESENTING (presentazione dell’oggetto al bambino): denota il modo con cui la madre presenta sé stessa e, più in generale, il mondo al bambino, una presentazione che avviene in modo graduale in modo che il bambino possa sostenerne psichicamente il peso. Queste funzioni materne permettono la crescita psichica del bambino, attraverso un percorso che va dalla dipendenza assoluta (situazione nella quale il lattante non sa di dipendere), alla dipendenza relativa (il piccolo assume consapevolezza dei propri bisogni e della propria dipendenza) fino all'indipendenza. Si tratta di un processo nel quale il bambino, a partire da uno stato iniziale di non integrazione psico-fisica, arriva a distinguere tra sé e il mondo esterno, a costituirsi come unità psico-fisica con una propria embrionale identità, a organizzare la propria esperienza attraverso un "io" che si consolida sempre di più. Il percorso avviene in 2 momenti: 1. la madre "illude" il bambino di avere egli stesso creato ciò di cui aveva bisogno, base di un senso di onnipotenza che il piccolo percepisce come padronanza, come sensazione di esistere e vivere con pienezza 2. Il secondo periodo si caratterizza per la progressiva riduzione, da parte della madre, dell'accudimento in relazione alla percezione che ella ha della capacità del piccolo di sopportare la frustrazione. Significa che la madre si allontana dal bambino per periodi sempre più lunghi e le sue cure non sono più così tempestive come nel periodo neonatale. Winnicott chiama questo momento delicato «svezzamento». L'esperienza della separazione e dell'insoddisfazione sta alla base dell'esperienza della realtà, poiché la frustrazione propone l'attesa, il crollo dell'onnipotenza, la percezione della dipendenza. È in questo momento di passaggio che appaiono i cosiddetti «FENOMENI TRANSIZIONALI», cioè oggetti (il lembo di una coperta, un giocattolo morbido) e suoni (gorgogli del bambino, lallazioni) che hanno per il bambino un significato particolare: tramite essi il piccolo si acquieta, riesce a fare a meno della madre, sperimenta la separazione senza traumi. L'oggetto transizionale ha per il bambino tutte le caratteristiche della figura materna: non può essere sostituito, deve mantenere nel tempo le medesime caratteristiche, tattili, di odore...; il bambino lo sente come animato, vivo e al tempo stesso lo percepisce come un oggetto reale, un "non me"; il bambino lo tratta con affetto ma al tempo stesso lo tormenta perché l'oggetto deve dimostrare di poter sopravvivere all'odio. Oltre ad essere un calmante per il bambino, l'oggetto transizionale inaugura, secondo Winnicott, un'area di esperienza particolare che perdurerà per tutta la vita: il GIOCO, base del senso dell'esistere con pienezza. Come l'oggetto transizionale il gioco si colloca in quella area intermedia tra me e non-me, tra ciò che si pensa di aver creato e ciò che fa parte del mondo esterno; è un’area di esperienza che consente di rivestire la realtà con la propria soggettività animandola e dando ad essa significato. Esso può essere condiviso con un'altra persona, a patto che ci si metta in sintonia. Si rende così possibile una comunicazione, tra terapeuta e paziente, tra adulto e bambino, dei bambini tra loro, di tipo particolare, nella quale si sospende il giudizio su "ciò che è reale" e ciò che è soggettivo, e ci si addentra in un territorio intermedio tra la realtà interiore dell'individuo e la realtà condivisa del mondo, che è esterna agli individui. Si tratta del territorio non solo del gioco ma anche della creatività e della cultura. CHE COS'È L'ATTACCAMENTO? Un altro sfondo concettuale che mette in luce la natura relazionale dello sviluppo è quello della TEORIA DELL'ATTACCAMENTO. Si tratta di una teoria che prende spunto dagli:  studi etologici sull' imprinting di Lorenz e Tinbergen  studi sulle scimmie Rhesus condotti da Harlow che dimostrano la tendenza innata dei cuccioli a seguire e mantenere il contatto con una figura protettiva. Per il bambino la figura di attaccamento funge da "base sicura", da cui allontanarsi in attività di esplorazione e a cui ritornare per ricevere rifornimento affettivo e conforto. L'attaccamento, secondo Bowlby, è una questione di discriminazione e di scelta: non tutti gli adulti sono ugualmente preferiti. Più delle cure fisiche prestate al bambino, a promuovere e rinforzare il comportamento di Le fiabe parlano al bambino dei problemi che lui stesso avverte come pressanti e ne prospettano soluzioni utilizzando un linguaggio simbolico , il linguaggio dell'inconscio . Tramite esse il bambino può affrontare i suoi "lati oscuri" e inoltre, non danno suggerimenti diretti su come comportarsi di fronte alle difficoltà o ai dilemmi morali e lasciano liberi di identificarsi con l'uno o l'altro personaggio e di apprezzare o meno le soluzioni prospettate. Date le forti emozioni che la fiaba suscita occorre che l'adulto che racconta sia una figura di cui il bambino ha fiducia, che si metta in sintonia con il registro emotivo del bambino e sappia empatizzare con le sue emozioni, modulando con la voce e l'espressione il coinvolgimento e l'eccitazione del bambino. Se a narrare la storia è un adulto fidato, il bambino ha la sicurezza che le sue stesse fantasie, che la fiaba rappresenta, sono approvate anche quando rappresentano lati oscuri e sentimenti negativi. AMBIENTAMENTO E FIGURE DI RIFERIMENTO Al nido troviamo bambini molto piccoli, in un momento nel quale stanno consolidando i legami di attaccamento, per i quali la sfida maggiore è costituita dal processo di separazione e dalla conquista di una sempre maggiore autonomia. Anche i bambini che vanno alla scuola dell'infanzia si trovano a fronteggiare problemi di separazione. Dalla teoria sull'attaccamento di Bowlby possono essere tratte conseguenze sul piano educativo. In primo luogo l'importanza del MOMENTO DELL'INSERIMENTO O AMBIENTAMENTO caratterizzato:  dall'ingresso in un ambiente nuovo  dal contatto con figure sconosciute  dalla separazione, seppur temporanea, dalle figure di attaccamento primario (genitori) Il successo dell'ambientamento dipende da quanto ogni singolo bambino percepisce:  il nido e la scuola dell'infanzia come luogo sicuro  le educatrici come persone fidate  l'ambiente come risorsa personale Le educatrici e le insegnanti devono avere la consapevolezza di potersi costituire come figure di attaccamento secondario per il bambino, senza sostituirsi a quelle primarie, ma sentite dal bambino come altrettanto affidabili. È il bambino che "sceglie" le figure di attaccamento in funzione della modalità affettuosa e ludica con cui queste ultime si pongono nei suoi confronti. Anche i compagni possono svolgere la funzione di figure di attaccamento secondarie, ma per questo occorre promuovere tra i bambini un clima sereno e collaborativo tenendo presente che il primo modello per il bambino sono gli adulti stessi. Il legame affettivo che si stabilisce tra adulto e singolo bambino del gruppo è una condizione importante affinché il bambino estenda, a partire e per mezzo di questa "base sicura", la propria rete relazionale e, in particolare, interagisca con i compagni. L'adulto si configura per i bambini come il "capo del gruppo" e questa sua funzione riconosciuta può essere utilizzata da lui per facilitare le relazioni e le interazioni tra compagni; perciò occorre:  prestare attenzione e monitorare il processo di costituzione dei nuovi attaccamenti e quello più in generale dell'ambientamento  riconoscere l'importanza del rapporto tra figure di attaccamento primarie e secondarie, cioè tra educatori e genitori, riconoscendo a questi ultimi il valore della loro dedizione e delle loro preoccupazioni. È importante che il bambino senta che tra i due tipi di figure non c'è competizione o rivalità rispetto a lui stesso, ma al contrario c'è solidarietà e cooperazione. Solo in seguito al consolidarsi di una fiducia reciproca tra i genitori e educatrici, il bambino potrà iniziare a godere delle risorse offerte dal nido e dalla scuola dell'infanzia. LA RELAZIONE EDUCATIVA Il legame affettivo tra educatrice-bambino è essenziale, ma tale legame va governato consapevolmente perché possa costituire una relazione che aiuta la crescita. Risultano interessanti a tal proposito le considerazioni di alcune psicoanaliste storiche che si sono occupate di contesti educativi: Anna Freud e Vera Schmidt. Ambedue sottolineano come l’essere scelti dai bambini come figure di attaccamento è un processo inconscio che coinvolge ambedue i partner, bambino e adulto. Di tali dinamiche inconsce l'adulto deve divenire consapevole attraverso un lavoro su di sé che la Schmidt chiama «piccola autoanalisi»: l’educatrice deve avere lo stesso atteggiamento di benevolenza di fronte a tutti i bambini e deve dedicare a ciascuno di essi quel tanto di attenzione che richiede la loro peculiarità. Anche nella pratica quotidiana con i bambini può accadere che l’educatrice, sotto il dominio di processi inconsci, distolga improvvisamente tutto il suo interesse dai bambini e lo concentri su sé stessa perdendo il contatto con essi. In casi del genere i bambini diventano lunatici e impazienti e l'educatrice non riesce a capire cosa stia loro capitando perché non è cosciente della variazione del suo comportamento. Soltanto dopo che sarà riuscita, attraverso la riflessione, a rendere cosciente a sé stessa la causa del suo stato, anche l'umore dei bambini migliorerà rapidamente. Anna Freud, avvalendosi dell' esperienza educativa delle Hampstead Nurseries , centri per bambini senza famiglia, sottolinea che chiunque si prenda cura in modo materno per un certo periodo di tempo di un bambino, può facilmente diventare la vice-madre scelta da quest’ultimo. Ma i bambini scelgono le vice-madri anche quando nessuna precedente azione da parte della persona adulta ha provocato questo processo. Uno studio dimostra che questi attaccamenti apparentemente spontanei dei bambini sorgono in realtà in risposta a un sentimento presente nella persona adulta , di cui quest'ultima spesso non era consapevole all'inizio. È essenziale per chiunque lavori e viva in stretto contatto con dei bambini rendersi conto dell'esistenza di queste tendenze emotive in sé stessi e, con consapevolezza, acquisirne il controllo. Le funzioni materne di cui parla Winnicott (contenimento, manipolazione e presentazione dell'oggetto) seppur declinate diversamente in funzione della presa in carico di un gruppo di bambini, interessano anche educatrici e insegnanti nel loro lavoro di affiancamento alle figure genitoriali. Il modo con cui un bimbo piccolo è cambiato, come è imboccato, come è aiutato nei primi passi, come è accolto, è essenziale per la crescita dei bambini del nido; ma il tono della voce, la delicatezza dei gesti, l'ascolto di quello che il bambino ha da dire, il contenimento e il conforto sono fondamentali anche per il bambino più grande. Occorre infine sottolineare che l'ascolto e la gestione della dimensione affettiva nei contesti educativi per l'infanzia è il presupposto a partire dal quale il bambino si muove nelle sue conquiste intellettuali: solo in un ambiente sicuro e fidato il piccolo si avventura nell'esplorazione del mondo circostante. IL GIOCO E I PROCESSI SIMBOLICI Winnicott e Bettelheim dimostrano l'importanza dell'attività simbolica nello sviluppo psichico e nella formazione della personalità infantile. Ambedue sottolineano che il gioco comporta un lavoro di messa in forma , un’elaborazione: attraverso la rappresentazione simbolica i moti pulsionali e gli affetti vengono modulati e modificati. Nell’accezione di Winnicott, il gioco è ciò che consente una ricostruzione del mondo vivificata . Nell’accezione di Bettelheim il gioco è lo strumento principe con cui il bambino affronta i problemi della sua crescita, arricchita in questo dalle fiabe come espressione simbolica di desideri e conflitti e affiancata da altre attività simboliche spontanee come il disegno, la narrazione, la danza. Ma sia Winnicott che Bettelheim sottolineano l'importanza che l'adulto/educatore che sta col bambino crei condizioni adatte perché i bambini possano giocare al nido e alla scuola dell'infanzia e sia anche in grado di condividere con i bambini il piacere di creare mondi immaginari e dare spazio alla fantasia: occorre VALORIZZARE, SOSTENERE E PARTECIPARE AL GIOCO DI IMMAGINAZIONE al nido e nella scuola dell'infanzia.  VALORIZZARE nel senso di porsi in attesa delle manifestazioni simboliche infantili, riconoscerle, avvicinarle con curiosità, dimostrare che le si apprezza.  SOSTENERE nel senso della creazione e del mantenimento di situazioni che favoriscono l'insorgere e la prosecuzione delle attività simboliche attraverso un ambiente in grado di offrire tempi, occasioni, opportunità. Il gioco dovrebbe occupare una parte sostanziale della giornata al nido e alla scuola dell'infanzia e non essere compresso a favore di attività ritenute più produttive. Anche il disegno, la narrazione, il movimento sono attività che vanno sostenute come il gioco, per il loro valore simbolico, come veicoli di espressione ed elaborazione di aspetti del mondo interno.  PARTECIPARE al gioco dei bambini senza snaturarne la funzione è possibile se si rammenta che per giocare coi bambini occorrono empatia, pazienza e mettersi in sintonia con gli imprevedibili percorsi della fantasia e dell'immaginazione infantile. Doti che possono esser coltivate con un lavoro su se stessi e un recupero del proprio modo di vedere infantile. Non è però ridiventando bambino che l'adulto può partecipare al gioco dei bambini, ma ponendo al servizio dei bambini stessi le sue capacità di riconoscere le emozioni sottese al gioco, di contenimento nel modularle, e di renderle pertanto passibili di esplorazione e di elaborazione. Sovrapponendo la propria area intermedia di esperienza con quella dei bambini; senza perdere la propria funzione di "base sicura", l'adulto dimostra ai bambini che è possibile esprimere e venire a patti col proprio mondo interno. sviluppo cognitivo ha luogo tramite l'interazione con altre persone . Tutte le funzioni umane superiori (linguaggio, attenzione volontaria, memoria) hanno origine come rapporti tra individui; solo successivamente e in seguito a tali scambi, ciò che è stato acquisito nell'interazione con altre persone viene internalizzato diventando così un potente strumento di organizzazione cognitiva: ogni funzione, nel corso dello sviluppo culturale del bambino, fa la sua apparizione due volte su 2 piani diversi , prima su quello sociale tra le persone come categoria interpsicologica e poi su quello psicologico all'interno del bambino come categoria intrapsicologica. Il linguaggio è uno degli esempi più tipici: inizia e viene appreso dapprima con una funzione sociale, finalizzata al contatto e alla comunicazione con gli altri; successivamente diventa una funzione intra-psichica, uno strumento di aiuto alla soluzione di problemi cognitivi interni: una parola evoca situazioni e persone non presenti, costituisce uno strumento di rappresentazione che rende possibili operazioni logico-concettuali. Ciò che Vygotsky sottolinea è la natura sociale dello sviluppo: i "significati" che vengono scambiati nell'interazione sociale non sono proprietà esclusiva degli individui ma fanno parte del patrimonio culturale di una società. Pertanto lo scambio interpersonale, che consente all'individuo in crescita di apprendere, è una forma di mediazione rispetto alla cultura di appartenenza: l'individuo più competente trasmette, nello scambio, gli strumenti di cui la propria cultura dispone. Il CONCETTO DI ZONA DI SVILUPPO PROSSIMO mette in luce l'importanza, nella promozione dello sviluppo, di un processo sociale nel quale un membro più esperto offre aiuto a uno meno competente nella soluzione di un problema o nell'acquisizione di un'abilità. La "zona di sviluppo prossimo" è definita come la distanza tra il livello di sviluppo attuale (ciò che un bambino sa fare da solo) e il livello di sviluppo potenziale o zona di sviluppo prossimale che può essere raggiunto con l'aiuto di altre persone (l'area, diversa da individuo a individuo, relativa a ciò che il bambino può fare se aiutato da persone più competenti). La zona di sviluppo prossimale definisce quelle funzioni che non sono ancora mature ma che sono nel processo di maturazione, che matureranno domani ma sono al momento in uno stadio embrionale. Queste funzioni potrebbero essere chiamate i "boccioli" o i "fiori" dello sviluppo. L'idea di area di sviluppo prossimo sottolinea ancora una volta l'importanza dell'interazione sociale: tratto fondamentale dell'apprendimento è risvegliare nel bambino una serie di processi di sviluppo interiori che sono in quel momento possibili per il bambino soltanto nell'ambito della comunicazione con l'adulto e della collaborazione dei compagni, e che una volta interiorizzati, diverranno una conquista interiore del bambino. Il gioco è posto in rapporto con l'idea di area di sviluppo prossimo. Caratteristica essenziale di qualsiasi tipo di gioco, a partire circa dai 3 anni di età, è la creazione di situazioni immaginarie che consentono la soddisfazione di tendenze che non possono essere gratificate immediatamente. Ma la situazione immaginaria contiene un’unica regola: mantenere la verosimiglianza. Ad esempio, in un gioco nel quale il bambino "fa" il bambino e la madre "fa" la madre, o quello di due sorelle che giocano "a sorelle". Giocando a quest'ultimo gioco le due bambine comprendono il significato dell'essere sorelle, un rapporto che è diverso da quello che intrattengono con qualsiasi altra persona: « ciò che per il bambino passa inosservato nella vita reale, diventa regola di comportamento nel gioco». Nel gioco va comunque sottolineata non solo l'importanza della regola ma anche quella della situazione immaginata. Il bambino nei primi anni di vita è dominato nelle sue azioni e nei suoi comportamenti dalla percezione: un tubo è qualcosa in cui infilare qualcosa d'altro; un buco è da riempire. Solo quando è in grado di liberarsi, tramite l'immaginazione, dalle pastoie situazionali della primissima infanzia, accede a un mondo di significati. Egli opera una separazione tra l'oggetto e il suo significato e manifesta il primato di quest'ultimo sul primo. Ma qual è il collegamento tra gioco e zona di sviluppo prossimale? Sono 2 le grandi acquisizioni evolutive che il gioco immaginativo consente: 1. il fatto che nel gioco il bambino svincola il significato dall'oggetto e diventa consapevole del mondo dei significati. Può così accedere a un pensiero astratto di tipo rappresentativo e attivare anche forme di pensiero divergenze ricombinando i significati in maniera creativa. 2. il controllo degli impulsi che avviene in maniera singolare: attraverso il seguire regole autonomamente scelte, il bambino nel gioco fa ciò che gli piace e che ha autonomamente deciso, ma al tempo stesso si sottopone alla regola che è un aspetto costitutivo del gioco, e rinuncia pertanto a comportarsi in modo caotico e impulsivo. Il gioco è dunque uno strumento potente di autoregolazione in quanto è l'unica esperienza dell'infanzia nella quale il bambino si sottopone alle regole di sua spontanea volontà (si autolimita e si autodetermina). È per questi motivi, che hanno a che fare con la sfera sia cognitiva che emotiva, che il gioco crea la zona di sviluppo prossimo. Nel gioco il bambino è sempre al di sopra della propria età media, del proprio comportamento quotidiano: è come se egli crescesse di un palmo. BRUNER Riferendosi al pensiero di Vygotsky, in particolare all'idea che lo scambio sociale sia il fattore evolutivo più importante, Bruner propone di considerare lo SVILUPPO COME APPRENDISTATO: il bambino, come novizio, apprende abilità e conoscenze partecipando ad attività culturali con partner più competenti. È osservando il comportamento degli adulti o partecipando ad attività routinarie con loro che i bambini apprendono i significati, i valori e gli strumenti della propria cultura. Vi è un'influenza reciproca tra l’appropriazione della tradizione da parte dei giovani e l'innovazione culturale. Il processo di apprendistato è collegato al concetto di scaffolding (letteralmente impalcatura), termine coniato da Bruner per indicare il sostegno offerto da un individuo competente ad uno meno competente nel corso di attività condivise finalizzate alla soluzione di problemi. Lo scaffolding ha il compito di aiutare nell'esecuzione il soggetto meno esperto e fornirgli gli strumenti per imparate ad imparare. Alla fine del processo, infatti, l'impalcatura viene tolta solo quanto il sostegno è stato interiorizzato. È evidente la connessione tra scaffolding e area prossimale di sviluppo : l'individuo più competente (il maestro) sostiene il meno esperto (l'allievo, l'apprendista) agendo nell'area di sviluppo prossimo di quest'ultimo, aiutandolo quindi a conseguire quei risultati che da solo non sarebbe in grado di raggiungere e così trasformando l'area di sviluppo prossimo in un'area consolidata di sviluppo attuale. L'aspetto più innovativo del pensiero di Bruner a questo proposito consiste nell'aver individuato le strategie che permettono questo passaggio, condensate nel termine TUTORING. Le strategie di tutoring vengono messe in atto in situazioni che hanno le seguenti caratteristiche:  Disparità di competenze (uno scambio tra due partner, di cui uno più competente, l'altro meno competente): la dissomiglianza dei partner si basa sull’abilità non sul potere  Un’attività condivisa (un'attività condivisa che coinvolge entrambi i partner ): L'apprendimento ha luogo nel corso di attività che sono significative per entrambi i partner. Si tratta di un apprendimento "nel contesto" che risulta motivante sia per l'apprendista sia per il più esperto in quanto ambedue si trovano in una condizione di partecipazione attiva.  Soluzione di problemi (un problema da risolvere la cui soluzione non sia scontata): Le attività che vengono condivise tra adulto e bambini, tra partner più o meno competenti, si configurano per l'apprendista come situazioni problematiche la cui soluzione non è scontata. Il partner meno esperto tenta di comprendere il significato dell'attività condivisa e di padroneggiare il compito. Il partner più esperto sostiene il meno esperto guidandolo verso la soluzione senza sostituirsi a lui.  Zona prossimale di sviluppo (la capacità del partner più competente di agire nella zona di sviluppo prossimale del meno esperto svolgendo funzioni di tutoring ): Il sostegno del più esperto deve collocarsi entro area di sviluppo prossimo del meno esperto.  Tutoring (la capacità del partner più competente di svolgere un compito di mediazione culturale fornendo al meno esperto esempi di uso di strumenti culturali ): L’aiuto fornito al meno esperto consiste nel guidare il percorso in modo da sollecitare l’autonomia di esecuzione e il processo cognitivo. Il maestro offre un’impalcatura selezionando, sorreggendo, canalizzando gli sforzi del partner e permettendogli così di concentrarsi sugli aspetti del compito che sono alla sua portata. Ciò ha luogo attraverso particolari strategie che tengono conto delle implicazioni sia emotive che intellettuali delle situazioni di:  Reclutamento: Il maestro ha il compito, nella fase iniziale del processo, di motivare il bambino all'attività; la medesima funzione va svolta lungo tutto il corso dell'attività condivisa  Riduzione dei gradi di libertà: Ha a che fare con la semplificazione del compito  Mantenimento della direzione: Consiste nell'indirizzare il partner verso la soluzione o nel guidarlo nell'esecuzione mantenendo sempre l'attenzione sull'obiettivo dell'attività condivisa  Evidenziazione degli aspetti cruciali: una strategia mediante la quale vengono fornite al partner indicazioni su ciò che è rilevante e su ciò che non lo è per il raggiungimento dell'obiettivo in modo che il bambino possa concentrarsi sugli aspetti cruciali del compito o del problema. SOCIETÀ. Le teorie che vengono criticate sono 2 :  quella FUNZIONALISTA Il principale esponente è Émile Durkheim che concepisce l'EDUCAZIONE COME SOCIALIZZAZIONE, che ha luogo in prima istanza nella famiglia, e ha come scopo quello di trasmettere le norme e valori della società. L'educazione come socializzazione ha pertanto la funzione di garantire la riproduzione sociale, e il bambino è visto come un soggetto del tutto passivo, che deve uniformarsi e conformarsi. Anche l'adulto non è libero, vincolato alla trasmissione dei valori e dei costumi sociali. Il bambino va addestrato poiché egli rappresenta per la società una minaccia selvaggia da controllare, direzionare, modellare. L'addestramento comporta l'acquisizione di habitus (atteggiamenti, modi di fare...) socialmente apprezzati, che predispongono ad agire e a vedere le cose secondo prospettive date e si attivano spontaneamente attraverso il coinvolgimento continuo e prevedibile nel mondo sociale. La nuova sociologia dell'infanzia mette in luce gravi elementi di debolezza di questa concezione funzionalista, in primo luogo il fatto che vengono sottovalutate le capacità di intervento e innovazione, sia del bambino che dell'adulto, e, come conseguenza, che vengono sottostimate anche le possibilità di trasformazione culturale della società e l'apporto dei bambini in questo processo.  quella della PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO Per Piaget il bambino è un soggetto attivo, desideroso e capace di apprendere che, interagendo con la realtà fisica e sociale, elabora concetti modificando progressivamente le proprie strutture mentali; lo sviluppo è inteso come acquisizione progressiva di capacità intellettuali attraverso una serie di stadi successivi. Diversamente per Vygotsky lo sviluppo è un processo sociale, non individuale: è attraverso lo scambio con gli adulti e coi pari, mediato dal linguaggio, che il bambino si appropria, in maniera attiva, dei significati della propria cultura e degli strumenti che essa mette a disposizione interiorizzandoli. Ogni funzione dello sviluppo viene acquisita dapprima nell'interazione sociale e solo successivamente diventa intrapsichica. In questo processo il bambino è attivo. Le critiche mosse a questo modello si incentrano in primo luogo sulla banalizzazione e su un uso acritico dei risultati, come ad esempio, l'idea, piuttosto diffusa, che i bambini si sviluppino secondo un percorso definito, diretto dall'adulto, misurabile o che la partecipazione del bambino alla realtà sociale avvenga solo una volta compiuto il processo di "internalizzazione". Ma la critica di fondo riguarda la concezione dell'infanzia come realtà in divenire che considera l'immaturità come mancanza (vulnerabilità, incompiutezza, incompetenza) e che vede la maturità come tappa finale del percorso verso cui l'adulto ha il compito di accompagnare il bambino. Secondo la nuova sociologia dell'infanzia questo modello presenta essenzialmente 2 limiti: da un lato non consente di cogliere il bambino come membro attivo della società, considerandolo solo come un essere "in divenire" e "in potenza" che solo con la maturità potrà diventare a pieno titolo un attore sociale, sottovaluta l'apporto dato all'arricchimento dell'esperienza dalla relazione tra pari. In sintesi, il modello evolutivo presenta i seguenti limiti:  considera il bambino solamente come individuo e non come attore sociale,  stabilisce dei modelli di sviluppo che propone come universali, senza tenere conto delle differenze socio-culturali,  si concentra troppo sugli esiti dello sviluppo insistendo sull'incompetenza del bambino a confronto dell'adulto, non riconoscendo adeguatamente la complessità della partecipazione sociale e delle attività collettive dei bambini. L'infanzia come categoria sociale Secondo la nuova sociologia dell'infanzia, L'INFANZIA È UNA CATEGORIA SOCIALE per 2 ragioni:  l'infanzia subisce le medesime influenze sociali dell'età adulta;  i bambini, al pari degli adulti e insieme a loro, contribuiscono alla costruzione della società e all'elaborazione della cultura. In sintesi, i nuovi sociologi dell'infanzia, anziché porre l'attenzione su che cosa diventeranno i bambini in un futuro, PRESTANO ATTENZIONE ALL'INFANZIA NEL PRESENTE e al contributo concreto che i bambini apportano nell'attualità. Le routine culturali e la "riproduzione interpretativa" I bambini si appropriano della cultura adulta, la rielaborano e vi apportano un contributo personale partecipando a routine culturali, cioè a situazioni sociali prevedibili, con caratteristiche costanti. I bambini non sono passivi ma rielaborano quanto ricevuto dagli adulti in maniera personale, cercano di dare un senso a ciò che osservano e a ciò che produce in loro confusione e dubbio. I bambini trasformano le informazioni tratte dal mondo adulto per rispondere alle preoccupazioni del proprio mondo; la cultura degli adulti viene interpretata. Corsaro ne parla in termini di «RIPRODUZIONE INTERPRETATIVA» intesa come appropriazione creativa, da parte dei bambini, di informazioni e conoscenze provenienti dal mondo adulto. Il concetto di riproduzione interpretativa si oppone a quello di socializzazione , così come proposto dal paradigma riproduttivo classico, e all'idea di sviluppo lineare per fasi e tappe predefinite, attribuendo al bambino un ruolo attivo nella riproduzione culturale. Corsaro prospetta che la riproduzione interpretativa abbia luogo attraverso 3 tipi di azioni dei bambini che possono susseguirsi una dopo l'altra oppure verificarsi parallelamente: 1. appropriazione creativa di informazioni che provengono dal mondo degli adulti (attraverso la partecipazione alle routine culturali in famiglia e fuori dalla famiglia); 2. elaborazione e partecipazione a "culture dei pari" (interagendo con i compagni nelle istituzioni educative); 3. riproduzione e ampliamento della cultura degli adulti Le "culture dei pari" Snodo fondamentale della teoria di Corsaro è il concetto di «CULTURA DEI PARI» intesa come insieme stabile di attività e di routine, di valori e di interessi prodotto e condiviso dai bambini nelle interazioni reciproche. Si tratta di vera e propria cultura in quanto, come quella adulta:  ha una relativa stabilità,  è prodotta e scambiata socialmente,  è collettiva e pubblica  è costituita da valori, norme, risorse (materiali e simboliche), attività e routine: I bambini piccoli producono tale cultura nei contesti educativi per l'infanzia (asili nido, scuole dell'infanzia) dove passano insieme un tempo ragguardevole della giornata, e ha pertanto un carattere locale. Le culture dei pari, come quelle adulte, si caratterizzano per aspetti simbolici e materiali. Per cultura simbolica infantile Corsaro intende le diverse rappresentazioni o simboli con i quali i bambini esprimono credenze, interessi e valori, le cui fonti principali sono i media (cartoni animati, film), la letteratura (fiabe...) e le figure mitiche (Babbo Natale, la Befana, la Fatina dei dentini...). Queste rappresentazioni, cui i bambini accedono nelle routine culturali dell'ambiente famigliare, vengono poi usate e trasformate nelle culture dei pari. Della cultura materiale fanno parte l'abbigliamento, i libri, gli strumenti di produzione artistica e letteraria infantile (matite, carta, pennarelli...) e, soprattutto, i giocattoli. Avvalendosi di queste risorse i bambini sviluppano amicizie e alleanze, dirimono conflitti, attribuiscono significati, creano e partecipano a routine condivise. Dalle osservazioni svolte da Corsaro emergono rituali, come la cantilena, un canto tonale che i bambini eseguono mentre discutono con i compagni» e forme ritualizzate di gioco, elaborate dai bambini stessi, a cui partecipano con grande piacere e coinvolgimento. Le culture dei pari svolgono funzioni importanti dal punto di vista sociale ed affettivo, in particolare quella di acquisire maggiore controllo sulle proprie vite e di condividere tale controllo. La relazione con gli adulti secondo Corsaro genera incertezza e talora confusione e le interazioni con i pari offrono opportunità per una migliore comprensione della realtà adulta e di una sua rilettura condivisa, e possono costituire un «rifugio» rispetto ad esperienza negative vissute in famiglia. I giochi sono anche contesti nei quali i bambini mettono in atto comportamenti contrari alle regole dettate dagli adulti, opponendosi o creando una cultura sotterranea, spesso sconosciuta agli adulti, ad esempio a scuola il passaggio di bigliettini sotto i banchi, linguaggi segreti che gli adulti non comprendono, o, più semplicemente, "rivolte di gruppo", ad esempio il rifiuto di fare il sonnellino pomeridiano. Secondo Corsaro si tratta di una condotta universale delle culture infantili: in tutte le culture esistono infatti giochi di "sovvertimento dell'ordine". Nelle loro culture i bambini assimilano le norme proposte dagli adulti ma le sfidano anche e le modificano. Essi creano autonomi sistemi di regole. In sintesi, la cultura dei pari: educativa specifica, portatrice di rappresentazioni di infanzia e di famiglia, di cure di educazione, di apprendimento e di curricolo. Affermando il diritto di tutte le bambine e i bambini a pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco, la Legge 107 pone come obiettivo generale l’estensione dell’educazione prescolare su tutto il territorio nazionale, la valorizzazione dell’esperienza educativa dei bambini nei primi sei anni di vita e la sua continuità. La scelta dell’ottica “ zero-sei ” è l’elemento fondante che ridisegna il sistema dei servizi riunendo l’intero arco dei primi 6 anni sotto un unico sistema integrato che si colloca all’interno di una visione organica del sistema di istruzione e formazione. Il SISTEMA INTEGRATO definito dalla Legge 107 si caratterizza per alcuni principi fondamentali:  la partecipazione delle famiglie alla definizione degli obiettivi educativi e alla verifica del loro raggiungimento  lo stretto legame tra cura ed educazione negli interventi rivolti ai bambini  adeguati rapporti numerici tra personale educativo e bambini accolti nelle diverse fasce di età Un'importante novità riguarda la qualificazione a livello universitario e la formazione continua di tutto il personale educativo (e non solo degli insegnanti della scuola per l'infanzia). Una particolare attenzione viene riservata anche alla continuità del percorso educativo e scolastico del sistema integrato, che viene sostenuta nella sua attuazione anche attraverso la costituzione di poli per l'infanzia, con la funzione di raccordare più servizi educativi e scolastici per bambine e bambini da 3 mesi a 6 anni. Sono inoltre indicate le funzioni di competenza dei diversi livelli istituzionali (Stato, Regioni, enti locali) nel regolamentare, programmare, gestire e monitorare l’offerta educativa in prospettiva "zero-sei". Lo sviluppo dello "zero-sei" ha seguito alcuni criteri guida di carattere pedagogico e politico proposti dall'Unione Europea. Molti sono infatti i documenti, le Raccomandazioni, le Risoluzioni dell'Unione che puntano allo sviluppo di un sistema di servizi di qualità per l'infanzia come impegno concreto, necessario e urgente nei confronti dei diritti dei bambini, come sostegno fattivo al loro sviluppo e assunzione di responsabilità verso il futuro della comunità europea. L'asse attorno al quale si articola la progettualità è l'immagine di bambino visto come soggetto competente e ricco di potenzialità, che interagisce intenzionalmente fin dai primi giorni di vita con gli adulti e con l'ambiente che lo circonda. A comprenderlo e a promuoverne uno sviluppo integrale sul piano psicofisico è un approccio olistico che integra cura ed educazione e assume questo binomio quale fondamento della professionalità di tutti gli operatori e le operatrici che lavorano nelle istituzioni educative per l'infanzia. Tale approccio personalizzato nei confronti dei bambini sostiene una progettualità educativa contestualizzata attenta alle potenzialità di sviluppo di ogni bambino, lontana da un'idea di curricolo incentrata su obiettivi predefiniti. Crescente è divenuto anche l'investimento sulla qualità e sull’efficacia dei servizi educativi e di cura per l'infanzia perché poter contare su servizi di buona qualità a costi accessibili costituisce un diritto per i bambini e un fondamentale supporto alle loro famiglie, specie nelle situazioni di maggior difficoltà e bisogno. Le evidenze di ricerca mostrano che solo servizi per l'infanzia di qualità elevata possono favorire la riuscita scolastica dei bambini negli anni successivi, mentre servizi di scarsa qualità possono persino danneggiare lo sviluppo infantile. Un altro aspetto rilevante a cui il sistema dei servizi per l'infanzia rivolge una speciale attenzione è la corresponsabilità dell'azione educativa tra tutta l'équipe di lavoro e le famiglie. Il genitore diventa così co-protagonista di cambiamento, portatore di risorse e competenze, interlocutore nell’individuazione dei contenuti e degli obiettivi degli interventi educandi. Si concretizza cosi l'impegno per la promozione di una genitorialità diffusa e di alleanze tra servizi e famiglie, per la crescita del senso comune di responsabilità verso la cura, la crescita e l'educazione delle nuove generazioni, la coesione e la solidarietà. Il concetto di integrazione implica la creazione di nuove sinergie tra servizi, potenzia quelli esistenti e tuttavia richiede l'elaborazione di modi nuovi di pensare il rapporto tra bambini, famiglie, istituzioni e comunità. La prospettiva del sistema integrato per l'infanzia porta inevitabilmente con sé la coesistenza di una pluralità di modelli organizzativi e riferimenti pedagogici, i quali dovrebbero appunto trovare armonizzazione attorno ad alcuni criteri condivisi. La presenza di proposte differenziate, sia dal punto di vista organizzativo che da quello del progetto educativo, può concorrere a un potenziamento della fruibilità delle offerte educative. È fondamentale che un servizio non nasca solo dalla risposta immediata a un bisogno o alle richieste della committenza, ma che strutturi un pensiero pedagogico, sia sostenuto da solidi impianti teorici e tenga sempre alto il piano della riflessività e si avvalga di autentici processi valutativi. Solo in questo modo è possibile parlare di servizi educativi pedagogicamente fondati, da cui la cura educativa e la qualità dell'offerta formativa conseguono. NIDI D’INFANZIA La STORIA dei servizi educativi per l'infanzia in Italia risale alla metà dell'800 e ha origine in quel periodo di grandi transizioni sociali che hanno portato al passaggio dalla società contadina a quella industriale. Il processo di urbanizzazione (cioè la concentrazione delle giovani famiglie presso le aree industriali urbane, lontane dalle famiglie d'origine rimaste per lo più in campagna) e l'ingresso della donna nel mercato del lavoro pongono con urgenza la questione della custodia dei bambini piccoli in spazi diversi da quelli familiari. In particolare le famiglie più povere economicamente e svantaggiate sul piano culturale vivono le difficoltà maggiori nella cura e custodia dei figli: lo dimostra l'aumento in quel periodo di bambini ricoverati negli ospedali, abbandonati nei brefotrofi e affidati alla «ruota degli esposti». Per far fronte a questa situazione nel 1890 viene emanata la Legge n. 6972 che promuove i primi interventi di assistenza pubblica a supporto dell'infanzia, istituendo le sale di custodia per bambini lattanti e slattati. Queste sale erano caratterizzate da una chiara finalità sanitaria e assistenzialistica, poiché le pratiche del personale che le gestiva si incentravano sostanzialmente sulla diffusione di norme igieniche (i bambini venivano lavati all’ingresso e in uscita, e ai genitori era vietato entrare nelle sale) al fine di ridurre la diffusione di malattie e la mortalità infantile. A fine 800 vengono aperti i primi nidi di fabbrica, per limitare l'interruzione del lavoro da parte delle donne a seguito della maternità. Nel 1925 con la Legge n. 2277 lo Stato fascista istituisce l'Onmi (Opera Nazionale Maternità e Infanzia) un ente morale organizzato in federazioni provinciali e comitati di patronato comunali, col compito di sostenere la maternità e prevenire le malattie infantili, quindi per favorire l’incremento delle nascite, attraverso una serie di interventi di assistenza alle madri e ai bambini. Le strutture dell’Onmi sono caratterizzate da grandi stanze disadorne, quasi del tutto prive di giochi e analoghe a quelle ospedaliere; il personale indossa una divisa bianca ed è formato nelle scuole per puericultrici, a forte impronta infermieristica; le giornate sono scandite da orari rigidi in ingresso e in uscita, incentrate su attività di igiene, custodia, pulizia, sonno, alimentazione: Praticamente assente la cura educativa e l’attenzione allo sviluppo psicologico e affettivo dei bambini. Eventuali interventi personalizzati, in risposta ai bisogni specifici dei singoli bambini, sono lasciati alla discrezione delle singole operatrici e formalmente non richiesti. La legge n. 2277, confermando parte degli orientamenti della Legge precedente:  consolida su tutto il territorio nazionale interventi di igiene e profilassi per madri e bambini;  getta le basi per la futura tutela dei diritti delle donne lavoratrici e madri; per la tutela della maternità e il sostegno alle famiglie indigenti;  prevede che l'ONMI vigili sull'applicazione delle leggi e delle norme relative all'assistenza e alla tutela degli illegittimi abbandonati, nonché alla mutualità scolastica. Nel 1950 la Legge n. 860 istituisce le Camere di allattamento presso le imprese, in risposta alle esigenze delle donne lavoratrici impegnate nelle attività produttive aziendali. La Camera di allattamento consisteva in una stanza destinata alla custodia dei lattanti tra i 2 mesi e 1 anno di età dove le madri si recavano 2 volte al giorno in orario di lavoro per allattare i propri figli. L’incremento dell'occupazione femminile, in concomitanza col fermento politico, sociale e culturale degli anni 60 e 70, porta:  alla Legge n. 1024 del 1971 sulla tutela delle madri lavoratrici  all'istituzione degli ASILI NIDO PUBBLICI (a gestione comunale) con la Legge n. 1044 del 1971 (prevedendo entro il primo quinquennio l’edificazione di quasi 4.000 asili nido)  al definitivo superamento degli asili Onmi nel 1975 Con la Legge n. 1044 lo Stato si assume il compito e la responsabilità di intervenire nel sistema dei servizi educativi per la prima infanzia a supporto e promozione «di una politica per la famiglia. Tuttavia, in continuità con la logica sottesa alla creazione dei servizi realizzati dall'Onmi, lo Stato affida le competenze di gestione dei nidi al Ministero della Sanità, ribadendo in questo modo la natura assistenziale e custodialistica del servizio piuttosto che il suo valore educativo. La gestione diretta dei nidi è affidata ai Comuni che rappresentano la realtà più vicina ai cittadini quindi in grado di coglierne i bisogni. A contrastare gli investimenti a favore di questi servizi (il piano quinquennale è ancora disatteso per carenza di finanziamenti da parte dello Stato, il che porta Regioni e Comuni, sulla base dei fondi disponibili e delle scelte amministrative, a perseguire politiche per l'infanzia e la famiglia diversificate, sbilanciando ulteriormente il sistema nazionale di servizi per l'infanzia) contribuisce l’acceso e pluriennale DIBATTITO tra quanti ritengono il nido un diritto per l'educazione dei bambini e di supporto all'organizzazione familiare e quanti invece intendono riservare alla famiglia, e in particolare alla madre, il compito di occuparsi della cura e dell'educazione dei figli nei loro primi anni di vita. Questa contrapposizione finisce per tenere in ostaggio per decenni il nido come servizio pubblico a domanda individuale. laurea triennale in Scienze della formazione, riconoscendo la dignità culturale e sociale del lavoro educativo e l’importanza di una sempre maggiore qualificazione professionale di chi opera con i bambini piccoli nei servizi per l'infanzia. Nuovi temi di ricerca e prospettive evolutive della cultura del nido Accanto ai filoni di ricerca e sperimentazione appena menzionati, la storia recente dei nidi d'infanzia ha visto intensificarsi l' attenzione in molteplici ambiti di studio , che hanno articolato e arricchito pratiche e saperi di pedagogia della prima infanzia. È in atto un rilevante cambiamento all'interno della cultura e dell'organizzazione dei nidi, così come nei suoi rapporti con i contesti. Si va sempre più definendo e affermando l'importanza di un'educazione di alta qualità per la prima infanzia, sia in ambito nazionale che internazionale, in grado di stimolare le politiche per le famiglie e i possibili interventi per lo sviluppo di servizi educativi rivolti a bambini e bambine nei primi anni di vita. Negli anni il NIDO si è rinnovato diversificando la proposta educativa in relazione ai contesti di ubicazione che hanno condizionato e caratterizzato anche le attività e gli approcci educativi. Lo spazio, le dimensioni, l'ambiente circostante possono essere infatti una chiave di lettura con cui leggere le diverse tipologie di servizi per la prima infanzia:  Nidi aziendali  Agrinido  Nidi nel bosco  Nidi domiciliari o nidi-famiglia  Nidi appartamento Nei primi anni del periodo post-bellico, in quelle zone del nord Italia in cui sorgono le prime fabbriche e le industrie manifatturiere, vi è una forte richiesta di manodopera femminile. Pertanto si presenta il problema della custodia e della cura dei bambini piccoli, ovvero dei diritti delle lavoratrici madri. Per questo motivo viene emanata la Legge n. 860 del 1950 che sancisce l'obbligo per i datori di lavoro di istituire una camera di allattamento o un asilo nido per l'allattamento o dei nidi aziendali (o interaziendali qualora rappresentino l'investimento di più aziende tra loro coordinate), nelle adiacenze dei locali di lavoro. Hanno origine così i primi NIDI DI FABBRICA per i quali è obbligatoria la presenza di personale idoneo per la custodia dei bambini durante le ore di lavoro delle madri, ma il loro carattere assistenziale ne esclude tuttavia ogni valenza educativa, anche perché spesso il personale non è qualificato e i nidi sono caratterizzati da logiche custodialistiche (es. nidi Onmi). Dopo queste prime esperienze, tra cui si distinguono anche esempi particolarmente significativi come l'asilo nido di Borgo Olivetti, i nidi di fabbrica saranno gestiti dai Comuni e verranno quindi reinterpretati secondo un modello organizzativo, un'idea di cura/educazione e di benessere infantile lontana dalla matrice assistenziale originaria. In seguito a metà degli anni 90 riprende da parte delle aziende l'interesse e l'impegno a creare servizi di nido per i figli dei dipendenti, ai quali nella maggior parte dei casi accedono anche le famiglie del territorio. I nidi di fabbrica tornano dunque a diffondersi in anni recenti con il nome di NIDI AZIENDALI O INTERAZIENDALI. Anche se non costituiscono una realtà numericamente rilevante e incisiva nel panorama dei servizi per l'infanzia, i nidi aziendali esprimono e realizzano quella responsabilità sociale a cui sono chiamati i soggetti produttivi istituzionali e concorrono a offrire una risposta concreta al problema della conciliazione dei tempi di vita familiare e lavorativa, ponendosi al fianco delle famiglie in una complessità sociale sempre più difficile da sostenere. Sperimentati in Paesi europei come la Danimarca e la Svizzera, circa agli inizi degli anni 2000 vengono inaugurati in Trentino e in Piemonte i primi agrinido e agriasilo. Un nuovo modello di nido (e di scuola dell'infanzia) è rappresentato dall’AGRINIDO e dall’AGRIASILO, realtà educative ubicate all'interno di aziende agricole oppure in campagna cioè in un contesto nuovo rispetto a quello cittadino dei servizi per l'infanzia tradizionali. L’agrinido accoglie bambini fino a 3 anni, mentre l’agriasilo si rivolge ai piccoli dai 3 ai 6 anni e in genere queste strutture sono frequentate da un numero limitato di bambini rispetto ai nidi e alle scuole dell'infanzia tradizionali. In questi contesti all'aria aperta è possibile imparare a riconoscere i ritmi della natura, coltivare piante, socializzare con gli animali, apprezzare i principi di una alimentazione sana. Offrono un ambiente didattico informale assunto come dimensione privilegiata delle esperienze di apprendimento, vicino alle modalità di ricercare e conoscere dei piccoli che esplorano e conducono ricerche personali facendo esperienza di libertà e spontaneità. Gli asili in fattoria diffondono dunque tra i bambini una cultura di attenzione alla qualità della vita e alla sostenibilità ambientale. I bambini hanno bisogno di natura, soprattutto perché siamo di fronte alla prima generazione che cresce sin dall'asilo immersa in una dimensione virtuale, di fronte a bambini che crescono in genere iperprotetti, con pochi fratelli e sorelle. Agrinido e agriasilo stanno diventando una realtà sempre più presente e diffusa sul nostro territorio nazionale, s egnano un passaggio importante nel processo di rivalutazione culturale e di recupero della funzione sociale del mondo agricolo e offrono anche molteplici vantaggi in base alla loro localizzazione: nelle aree montane e svantaggiate, dove esiste una particolare necessità di servizi educativi per la prima infanzia, permettono ai bambini di frequentare luoghi di socializzazione e di apprendimento; e nelle aree periurbane consentono alle famiglie di perseguire con soddisfazione la ricerca di quei valori primari di cui il mondo rurale è ancora garante. Dal nord Europa è arrivata la proposta di NIDI E ASILI NEL BOSCO della scuola nel bosco (Skoubarnehaue in Danimarca, Waldkindergarten in Germania, Forest kindergarten e Forest school nel Regno Unito), una tipologia di istituzione educativa senza una rigida organizzazione che ha come principale peculiarità lo svolgimento delle attività a diretto contatto con la natura, in modo continuativo, per un periodo di tempo esteso e regolare a prescindere dalle condizioni atmosferiche, permettendo così loro di familiarizzare con l'ambiente naturale. Il legame con la natura, specialmente nella prima infanzia, è considerato importante sia sul piano educativo sia per la qualità della vita, non solo per far crescere bene e in salute le bambine e i bambini, ma anche per responsabilizzarli e incoraggiarli a proteggere il pianeta. I diversi asili/scuole nel bosco attivate in Europa sono raggruppabili in 3 tipologie:  radicale: i bambini trascorrono tutta la giornata nel bosco o in mezzo alla natura (in un'area specifica e con confini circoscritti) a prescindere dal tempo. Questi contesti educativi non hanno un edificio vero e proprio, ma un rifugio nel bosco o al suo margine in cui ci si può riparare in situazioni d'emergenza o quando le condizioni meteorologiche sono fortemente limitanti (temporali forti e grandinate).  integrata: è un luogo che ha edifici e stanze proprie, i bambini trascorrono la mattina nel bosco e il pomeriggio nella struttura scolastica.  le esperienze in natura si inseriscono con regolarità in contesti pedagogici più tradizionali: per integrare l'ambiente naturale nella quotidianità di nidi e scuole dell'infanzia tradizionali, vi sono situazioni in cui si propongono ai bambini giornate regolari e sistematiche nella natura (1 giorno a settimana stabilito vanno nel bosco con qualsiasi condizione meteorologica). Ci sono poi altre situazioni in cui la scuola organizza «progetti nel bosco» per cui i bambini per qualche settimana vengono coinvolti in attività all'aperto di mattina o pomeriggio. Gli educatori degli asili nel bosco osservano come i bambini interagiscono con l'ambiente naturale e organizzano la giornata scolastica sulla base degli interessi dimostrati dai bambini, valorizzando le esperienze e le percezioni dei piccoli. Alcuni studi hanno documentato gli effetti che queste proposte educative hanno sullo sviluppo dei bambini, rilevando un incremento dell'autostima e della fiducia in se stessi, una crescita nell'esercizio della propria indipendenza/autonomia, un miglioramento delle abilita sociali, un incremento della cooperazione, uno sviluppo del linguaggio e delle abilità comunicative, un miglioramento della motivazione all'apprendimento e dell’attenzione, potenziano e affinano le abilità fisico motorie e acuiscono la capacità di osservazione e la fantasia. Tra i servizi integrativi sperimentali alcune Regioni hanno promosso NIDI-FAMIGLIA o NIDI DOMICILIARI, gestiti da un’EDUCATORE DOMICILIARE, che si realizzano tramite l'accordo tra alcune famiglie con bambini di età inferiore ai 3 anni, che mettono a disposizione uno dei loro domicili, uno spazio domestico adeguato/organizzato, per l'affidamento dei figli in modo stabile e continuativo. Questa proposta è fondata sull'auto-organizzazione delle famiglie che decidono di affidare collettivamente la custodia e la cura dei propri figli ad un educatore qualificato, per un massimo di 40 ore settimanali. Queste proposte nascono allo scopo di valorizzare le esperienze di soggetti privati, fornire risposte ai bisogni dei bambini e alla richiesta di flessibilità e vicinanza territoriale delle famiglie. I requisiti minimi del personale variano in base al numero dei bambini iscritti:  con una frequenza di meno di 5 bambini è richiesta la presenza di un educatore e di un’altra figura (anche senza titolo) reperibile in caso di necessità.  da 5 a 7 bambini per almeno il 50% del tempo di apertura l'educatore deve essere affiancato da un'altra persona. Per poter garantire le stesse finalità degli altri servizi educativi del territorio è necessario che il piccolo gruppo sia in rete con altri servizi analoghi attraverso la figura del coordinatore pedagogico. L'intervento educativo domiciliare è scarsamente monitorato e documentato, soggetto a una molteplicità di interpretazioni e realizzazioni che differiscono da Regione a Regione, privo di una solida letteratura di riferimento. molto piccoli da 0 a 12 mesi accompagnati dalla loro mamma, dal babbo o dai nonni. Uno spazio che vuole offrire ai bambini l'opportunità per giocare e stare insieme ad altri bambini e ai genitori una possibilità di scambio e di confronto e di crescita della conoscenza dell'età infantile. Nello Spazio Piccolissimi l’educatore svolge un ruolo delicato e complesso, simile a un ospite che si deve premurare del benessere e del piacere di tutti gli invitati, deve essere un abile mediatore in ogni situazione, facilitando e promuovendo il dialogo e il rispetto reciproco con una varietà di proposte. Per partecipare non occorre prenotarsi, l'accesso è libero ma è prevista una quota di iscrizione annua. In Emilia-Romagna una fitta rete di differenti tipologie di servizi amplia l’offerta di spazi sociali di responsabilità pubblica verso le famiglie con bambini piccoli. In particolare i CENTRI PER BAMBINI E GENITORI sono servizi rivolti a bambini che non frequentano il nido, i cui spazi e attività sono pensate per accogliere la coppia adulto-bambino. Questi luoghi offrono ai bambini occasioni, relazioni e materiali con cui conseguire nuovi apprendimenti ed è possibile sperimentare i primi distacchi dal caregiver e nuove proposte di socializzazione e di gioco. Agli adulti offrono un punto di riferimento in cui incontrarsi e affrontare i problemi quotidiani della crescita e soluzioni possibili a partire dall'esperienza di ciascuno, quindi un sostegno alla relazione e alla comunicazione adulto-bambino mediante la spiegazione da parte delle educatrici di ciò che si fa e delle sue motivazioni. Gli SPAZI BAMBINI accolgono bambini dai 12 ai 36 mesi per un massimo di 5 ore al giorno e hanno obiettivi molto simili a quelli del nido in relazione alle possibilità di socializzazione e di apprendimento che offrono. Il loro funzionamento è organizzato secondo tempi e modalità più flessibili rispetto al nido, non è previsto né il pasto né il riposo e spesso sono ubicati nella stessa struttura in cui si trova anche un Centro per bambini e genitori. Il Decreto Legislativo n. 65, della Legge n.107 del 2015, elenca e specifica i servizi integrativi che contribuiscono al sistema integrato di servizi per l'infanzia:  gli Spazi gioco che accolgono bambini da 12 a 36 mesi affidati a uno o più educatori in modo continuativo in un ambiente con finalità educative, di cura e socializzazione. Non prevedono il servizio di mensa e consentono una frequenza flessibile (massimo 5 ore giornaliere)  i Centri per bambini e famiglie che accolgono bambini dai primi mesi di vita insieme a un adulto accompagnatore, offrono un contesto qualificato per esperienze di socializzazione, apprendimento e gioco e momenti di incontro per gli adulti sui temi dell'educazione e della genitorialità. Non prevedono il servizio di mensa e consentono una frequenza flessibile  i Servizi educativi in contesto domiciliare che accolgono bambini da 3 a 36 mesi e concorrono con le famiglie alla loro educazione e cura. Essi sono caratterizzati dal numero ridotto di bambini affidati a uno o più educatori in modo continuativo. SEZIONI PRIMAVERA E SCUOLE DELL’INFANZIA Negli ultimi anni è maturato un più esplicito e convinto sostegno ai servizi per la prima infanzia in ragione di una promozione dei diritti dei bambini (tra i quali vi è il diritto alla cura e all'educazione) e di una valorizzazione delle loro potenzialità (approccio considerato strategico nelle prime età della vita). In particolare, l'incremento dei servizi per l'infanzia deve farsi portavoce di una rinnovata cultura educativa, a partire dalla condivisione di una precisa rappresentazione/immagine dell'infanzia che "dà voce" al bambino. Ogni bambino è un soggetto unico, che apprende in modo competente e attivo, le cui potenzialità necessitano di essere incoraggiate e sostenute. Il bambino è un co-creatore di conoscenze che cerca e ha bisogno dell'interazione con altri bambini e con gli adulti che lo circondano per crescere. L'infanzia è un tempo di vita presente, in cui essere bambini vuol dire cercare significati e attribuire significati al mondo circostante sulla base delle proprie esperienze, perciò, i primi anni dell'infanzia devono essere visti non solo in funzione della preparazione al tempo futuro ma anche in funzione del tempo presente che i bambini stanno vivendo. Trascorrere i primi anni di vita in un contesto educativo, servizio o scuola che sia, significa vivere un'esperienza incisiva per la formazione della propria identità, un'identità che evolve e si struttura in stretta relazione con i contesti e con i loro mutamenti. Chi lavora nei servizi per l'infanzia sperimenta quotidianamente tale dimensione del cambiamento che ha accompagnato e accompagnerà sempre l'evoluzione di questi servizi. Sin dal XIX secolo (con le istituzioni aportiane o la scuola materna agazziana, con la Casa dei Bambini montessoriana e poi l’attivismo italiano, o il più contemporaneo modello di Bruno Ciari, e arrivando nel 1978 all'istituzione della scuola materna statale) la scuola dell’infanzia ha via via maturato un'identità pedagogica specifica, superando un modello custodialistico e affermandosi come contesto educativo di qualità. L’odierno contesto socio-culturale apre nuovi orizzonti, in particolare per la scuola dell'infanzia. Anche perché, nella prospettiva di un sistema integrato, tanto in riferimento alla logica dello "zero-sei" quanto nel più ampio riferimento al percorso formativo di ogni bambino, è importante notare che la scuola dell’infanzia svolge una funzione strategica di raccordo indubbiamente con la scuola primaria ma anche con il nido. La scuola dell’infanzia diventa effettivamente centrale rispetto al segmento dello “zero-sei”: funge da anello di congiunzione tra servizi e mondo della scuola, garantendo ai bambini esperienze educative che permettano di sperimentare la discontinuità, ma anche la continuità attraverso processi inclusivi. Le Sezioni Primavera  La comparsa della proposta di istituzione delle Sezioni Primavera è riconducibile alla Legge finanziaria 296 del 2006 , con la finalità di porre fine al fenomeno degli anticipi nella scuola dell'infanzia . Questo servizio educativo è entrato nell'ordinamento scolastico recentemente attraverso il Decreto n. 89 del 2009. Dopo una fase iniziale di natura sperimentale, l'esperienza delle Sezioni Primavera è stata messa a regime e stabilizzata dal Disegno di Legge 107 del 2015 . I più recenti dispositivi normativi, pertanto, hanno concorso ad un potenziamento e una qualificazione di questo servizio, inserendolo tutti gli effetti nel sistema “zero-sei”. Sorte come un nuovo servizio educativo a carattere sperimentale per la primissima infanzia, le SEZIONI PRIMAVERA si presentano come un servizio di preparazione e introduzione alla scuola dell'infanzia, rispondendo al tempo stesso ai bisogni educativi dei bambini e delle famiglie. Dinanzi a famiglie in difficoltà a causa della mancata ammissione dei propri figli al nido o dell'assenza del servizio-nido nel proprio territorio, l’attivazione delle Sezioni Primavera costituisce un'offerta strategica per accogliere bambini di età compresa tra i 24 e i 36 mesi, contribuendo al tempo stesso alla diffusione di una cultura attenta ai bisogni e alle potenzialità dei bambini, in coerenza con il principio della continuità educativa. I gruppi sono ridotti, in quanto vanno dai 15 ai 20 bambini, con un rafforzamento della presenza di insegnanti/educatrici in modo da non superare il rapporto 1:10, ciò consente di fornire un servizio di qualità anche a quei bambini che, per situazioni contingenti e strutturali a loro estranee, non possono godere di altri servizi per la prima infanzia, l'asilo-nido in particolare. Dal punto di vista pedagogico, le Sezioni Primavera si contraddistinguono per un'attenzione all'ambiente educativo, inteso come luogo di cura e contesto di apprendimento. Trattandosi di un servizio per la prima infanzia, risultano centrali i temi del benessere, della corporeità, dell'accoglienza, del sostegno nello sviluppo incipiente del linguaggio, nella promozione della creatività, nell'espressione della propria vita emotiva. In particolare, i bambini a questa età sperimentano importanti conquiste identitarie e di autonomia, che rendono particolarmente intensi i bisogni di esplorare e comunicare, quindi gli spazi, la scelta dei materiali, la proposta di esperienze e relazioni va pensata in corrispondenza di questo desiderio di sperimentare, di agire in autonomia, di incontrare, di comunicare, di conoscere e conoscersi. Offrire un ambiente educativo che sappia valorizzare il potenziale dei bambini di età compresa tra i 2 ed i 3 anni è un obiettivo essenziale per definire il profilo pedagogico delle Sezioni Primavera, infatti, la sfida di questo servizio è quella di delineare una propria identità pedagogica; sfida non semplice, in quanto le Sezioni Primavera risultano di fatto collocate in un livello intermedio tra 2 servizi (nido e scuola dell'infanzia) e si caratterizzano inoltre per la “brevità” di permanenza dei bambini nel servizio, poiché si tratta di un solo anno. Il rischio che si può correre è quello di riproporre un modello educativo assimilabile al nido o alla scuola dell'infanzia, perdendo così l'occasione di proporsi come servizio innovativo capace di formulare uno specifico approccio educativo per la fascia d'età dei 24-36 mesi. In tal senso, è essenziale che chi opera in una Sezione Primavera agisca secondo criteri di qualità pedagogica e abbia particolare cura affinché le soluzioni organizzative non si uniformino a quelle di un nido o a quelle di una scuola dell'infanzia. Non a caso, in questo servizio vengono spesso abbinate 2 PROFESSIONALITÀ DIVERSE:  l'educatrice  la maestra La costituzione stessa di un team integrato permette di valorizzare le peculiarità relazionali dei bambini tra i 2 ed i 3 anni, gli specifici bisogni di cura, di autonomia, di socializzazione e le loro potenzialità in termini di apprendimento. La Sezione Primavera si caratterizza, in sintesi, come contesto educativo che amplia l'offerta per la prima infanzia. In una logica di sistema integrato, essa offre la possibilità di realizzare un’efficace collaborazione tra figure professionali distinte (personale del nido e della scuola dell'infanzia) e può farsi promotrice di una progettazione pedagogica peculiare per le istanze di crescita dei bambini tra i 24 e i 36 mesi. Per molti bambini le Sezioni Primavera, e più diffusamente la scuola dell'infanzia, costituiscono il primo inserimento in un contesto sociale esteso rispetto a quello familiare. è funzionale a tali finalità e trova un'articolazione specifica nei Campi di esperienza, ossia in molteplici ambiti del fare e dell'agire del bambino. Ogni campo di esperienza offre specifiche opportunità di apprendimento, ma contribuisce allo stesso tempo a realizzare i compiti di sviluppo pensati unitariamente per i bambini dai 3 ai 6 anni, in termini di identità (costruzione del sé, autostima, fiducia nei propri mezzi), di autonomia (rapporto sempre più consapevole con gli altri), di competenza (come elaborazione di conoscenze, abilità, atteggiamenti), di cittadinanza (come attenzione alle dimensioni etiche e sociali). Si tratta di spazi e occasioni dalla forte valenza didattica, culturale, relazionale, affettiva e ludica. L’impostazione sistemica e plurale dei Campi di esperienza garantisce inoltre un’apertura a tutte le discipline, ma in un’accezione olistica ed integrata del sapere, quindi anche del bambino che accede a questo sapere (i campi di esperienza hanno una natura interdisciplinare). In tale prospettiva, nell’importante processo di costruzione del significato, l’approccio messo in atto nella scuola dell’infanzia è fondamentale in quanto le insegnanti non si sostituiscono al bambino, ma li affiancano, sostenendoli attivamente, nel compito di esplorare il mondo. Il protagonista del processo esplorativo rimane il bambino. L’insegnante da corpo a questa centralità del bambino attraverso una didattica indiretta, che richiede una capacità di regia strategica per dare vita ad ambienti di apprendimento, occasioni, relazioni che rendano il bambino un soggetto competente. La cura dell’ambiente corrisponde alla finalità della personalizzazione educativa che passa attraverso la capacità di fare in modo che l’ambiente educativo, opportunamente curato e valorizzato, promuova il percorso di crescita di ogni bambino. Una scuola, tante ispirazioni L’identità pedagogica della scuola dell'infanzia risulta in qualche modo definita dai documenti ufficiali, ma ciò non deve occultare una tradizione di pensiero e di ricerca che ha dato vita a questo servizio e ne accompagna l'evoluzione come il contributo di figure-chiave quali quelle di ROSA E CAROLINA AGAZZI o MARIA MONTESSORI. Le scuole agazziane improntano la propria azione educativa sulla sollecitazione delle forze naturali del bambino, rispettandone le caratteristiche di spontaneità e giocosità e valorizzando la scuola come ambiente di vita. Gli spazi hanno una connotazione domestica e sono ordinati, spaziosi, luminosi. I bambini svolgono esercizi di vita pratica, attività domestiche (apparecchiare, riordinare) e praticano esercizi di giardinaggio o allevamento di animali, sviluppando capacità di cura e senso di responsabilità, e attività di cooperazione tra bambini più grandi e più piccoli. I materiali agazziani sono per eccellenza sono le cianfrusaglie (bottoni, corde chiodi, semi) su cui si compiono osservazioni e classificazioni (per forma, materiale, grandezza, colore). Le odierne scuole dell’infanzia ad ispirazione montessoriana, ad esempio interpretano con fedeltà i pilastri della pedagogia montessoriana, ponendo particolare cura all’ambiente, alla formazione dell’identità del bambino, al riconoscimento del suo ruolo attivo e costruttivo, all'importanza del fare (e del fare bene) e al valore del corpo e del movimento. Sin dalla fondazione, le Case dei bambini sono state strutturate come degli ambienti educativi proporzionati ai bambini e pensati in funzione delle loro esigenze di sviluppo. Quello montessoriano è un metodo preparato scientificamente, al fine di permettere lo sviluppo delle abilita cognitive, sociali e morali del bambino, lasciando la libertà di lavorare secondo ì proprio ritmi con materiali e attività che favoriscono la concentrazione e l’auto-correzione. La conduzione dell'attività educativa da parte dell'insegnante avviene in modo prevalentemente indiretto, attraverso la preparazione dell'ambiente e dei materiali in modo tale da favorire il lavoro autonomo del bambino aiutandolo così a “fare da solo”, e perciò l’insegnante deve avere come requisito fondamentale la capacità di osservazione scientifica del comportamento del bambino. Un riferimento particolare va fatto anche a quelle amministrazioni che, sin dagli anni '60, hanno dato forte impulso ai servizi per l'infanzia (Bologna, Reggio Emilia, Modena). Emblematiche sono le figure di BRUNO MUNARI e LORIS MALAGUZZI, che hanno saputo rinnovare l'idea di infanzia, ponendone in evidenza le potenzialità e i bisogni educativi autentici. Bruno Munari ha dedicato un interesse particolare al mondo dell'infanzia e alla scuola, dando corpo al dispositivo del laboratorio come luogo di educazione e di ricerca, di sperimentazione e di costruzione della conoscenza, nonché di espressione della creatività infantile. Il suo metodo “Giocare con loro” ha avuto una grande diffusione ed è riconosciuto per il suo valore nell'utilizzare l'educazione artistica e lo sviluppo del pensiero progettuale creativo, nella prospettiva di un'educazione integrale del bambino. Citiamo quindi, più in generale il REGGIO APPROACH, che si caratterizza anche per una spiccata prospettiva internazionale, fatta di scambi fecondi con realtà di altri paesi e di confronti con esperti di educazione dell'infanzia provenienti dai diversi angoli del mondo e afferenti a diversi settori disciplinari. Loris Malaguzzi diede un contributo inestimabile alla nascita e costruzione della rete di scuole e nidi d’infanzia comunali di Reggio Emilia. Riconosciuta in tutto il mondo è la sua teoria dei cento linguaggi, attraverso cui si valorizzano le potenzialità, le risorse, le molte intelligenze dei bambini. Promosso nelle Scuole e nei Nidi d’infanzia del Comune di Reggio Emilia il Reggio Emilia Approach si ispira al pensiero pedagogico di Malaguzzi, e i suoi tratti distintivi sono: la partecipazione delle famiglie, il lavoro collegiale di tutto il personale, l'importanza dell'ambiente educativo, la presenza della cucina interna, dell'atelier (essenziale nel metodo educativo di Malaguzzi) e della figura dell'atelierista, il coordinamento pedagogico e didattico. Promuovendo la centralità dei “cento linguaggi” di cui l’essere umano è dotato, tramite l’allestimento di Atelier, viene offerta quotidianamente ai bambini la possibilità di avere incontri con più materiali, più linguaggi, più punti di vista, attivando simultaneamente le mani, il pensiero e le emozioni. Degna di nota è anche la figura di BRUNO CIARI, promotore innovativo di un'idea di educazione democratica e cooperativa, che ha lasciato il segno non solo nelle scuole bolognesi promuovendo un'identità forte di scuola dell'infanzia (considerata capace di dare un'occasione di sviluppo a tutti i bambini superando i condizionamenti dei loro ambienti di provenienza), un’attenzione alla dimensione intellettuale del più ampio sguardo pedagogico all'intera personalità del bambino e un forte aggancio della scuola alla comunità. La sua esperienza educativa è legata alla realizzazione di una gestione sociale della scuola dell'infanzia e per la sperimentazione della scuola a tempo pieno (funzione democratizzatrice della scuola). I servizi per l'infanzia in Italia scaturiscono, anche storicamente, dall'impegno di ASSOCIAZIONI RELIGIOSE e dall'IMPEGNO CIVILE di realtà che si sono fatte interpreti dei bisogni dei bambini. Ampia diffusione ancora oggi hanno le SCUOLE PARITARIE, in particolare le scuole FISM (Federazione Italiana Scuole Materne), generalmente gestite da congregazioni religiose, parrocchie, enti morali, associazioni anche di genitori, sono impegnate a promuovere l'educazione integrale del bambino, secondo una visione cristiana dell'uomo, del mondo e della vita. Un'altra realtà che sta conoscendo ampia diffusione è rappresentata dalle scuole steineriane, apertamente ispirate al metodo educativo (Pedagogia Waldorf) di RUDOLF STEINER, che delinea il proprio approccio educativo intorno all'importanza di stimolare, in modo armonico, le facoltà cognitivo-intellettuali (pensiero), creativo-artistiche (sentimento) e pratico-artigianali (volontà) presenti in ogni essere umano, senza imposizioni o condizionamenti. Nelle scuole Waldorf, le attività artistiche (pittura, scultura e musica), i lavori manuali (maglia e cucito, lavorazione del legno o del metallo, giardinaggio) e il gioco all'aria aperta (in qualsiasi stagione) assumono un'importanza fondamentale. Un nuovo impulso al recupero del contatto con la natura e di tempo e stili di vita più sostenibili ha dato vita anche agli agriasili e alle scuole nel bosco. L’attenzione all'ambiente naturale rappresenta in realtà un elemento caratterizzante la scuola dell'infanzia sin dalle sue origini, con una spiccata sensibilità presente tanto in Fröbel quanto nella pedagogia agazziana e in quella montessoriana, pur con approcci e sensibilità distinte. La didattica quotidiana nella scuola dell'infanzia dovrebbe contemplare esperienze outdoor e sostenere la sensibilità infantile nei confronti della natura. Tuttavia, è doveroso prendere atto di un progressivo allontanamento da questa dimensione, spesso anche a causa di condizionamenti che spingono ad un'anticipazione dei processi di apprendimento formale e decontestualizzato. La logica dell'integrazione, in questo senso, può essere dispiegata secondo gli "step" canonici che scandiscono lo "zero-sei", ma sollecita altresì a valorizzare anche il lavoro di rete tra i diversi servizi, il dialogo tra soggetti eterogenei e, in generale, con le comunità e i territori. In un contesto di servizi sempre più flessibile e complesso, è importante dare spazio anche ai servizi innovativi, cogliendone le caratteristiche peculiari, le motivazioni che li hanno generati, i bisogni a cui intendono rispondere, i riferimenti pedagogici che li ispirano. Nel presente si rileva un certo fermento pedagogico, che ha dato vita a servizi a volte più flessibili e meno strutturati, altre volte più innovativi rispetto alle sfide tecnologiche. Riteniamo che sia utile e generativa la carica di potenzialità pedagogica che può scaturire da pratiche educative inedite, laddove esse sappiano dare risposta a nuovi bisogni educativi e a nuove istanze dei territori e delle comunità. TERZA PARTE: Le parole-chiave della pedagogia dell’infanzia INTRODUZIONE I due capitoli precedenti hanno delineato:  da un lato, lo svolgersi della pedagogia dell'infanzia secondo una prospettiva storico- teoretica In questi termini, ad esempio, possiamo vedere cosa dovrebbe possedere un ambiente educativo, nella fattispecie il nido, disposto nel segno della continuità: a. famiglia e nido, nella fase che precede l'inserimento, dovrebbero possedere informazioni rilevanti sull'inserimento stesso (tempi e modalità) e sul significato evolutivo che questa transizione può avere per il bambino; b. il bambino durante l'inserimento dovrebbe essere accompagnato da una o più persone significative dell'ambiente familiare (madre, padre, nonna, nonno...) e queste persone dovrebbero svolgere una funzione di mediazione tra il bambino e il nuovo ambiente; c. la comunicazione tra la famiglia e il nido dovrebbe continuare in entrambe le direzioni per potersi scambiare reciprocamente informazioni e esperienze; d. le richieste di entrambi i contesti (nido e famiglia) rivolte al bambino dovrebbero essere compatibili, incoraggiare la fiducia reciproca ed essere orientate a uno scopo comune. Sotto il profilo pedagogico l'idea di continuità ha interessato un ampio spettro di dimensioni:  CONTINUITÀ CURRICOLARE: come capacità di raccordare tra loro tutte le articolazioni del sistema formativo preservando, pur nella loro differenza, alcuni aspetti pedagogici fondamentali, tali da attivare nell'alunno, per agnizione, le proprie risorse meta- cognitive, di orientamento e di transfert. In tal senso, la continuità consiste nel considerare il percorso formativo secondo una logica di sviluppo coerente che valorizzi le competenze già acquisite dall'alunno e riconosca la specificità e la pari dignità educativa di ciascuna scuola.  CONTINUITÀ PROFESSIONALE: come esistenza di competenze comuni trasversali che contrassegnano la funzione docente indipendentemente dall'ordine scolastico dall'età degli alunni;  CONTINUITÀ DI SISTEMA: come livello di compatibilità e affinità tra l'offerta formativa assicurata da più istituzioni (scuole statali, paritarie, private) sul piano dell'educazione formale e come livello di collaborazione tra le istituzioni che si occupano dell'educazione del bambino: in primis scuola, famiglia, enti locali, associazionismo. Il D.M. 65 identifica i POLI PER L'INFANZIA come particolari e prototipiche esperienze di continuità: essi accolgono in un unico plesso o in edifici vicini, più strutture di educazione e di istruzione per bambine e bambini fino a sei anni di età, nel quadro di uno stesso percorso educativo in considerazione dell'età e nel rispetto dei tempi e degli stili di apprendimento di ciascuno. Nelle istituzioni educative e scolastiche la continuità educativa si realizza attraverso due linee parallele, ma che talvolta si attraversano reciprocamente:  CONTINUITÀ EDUCATIVA ORIZZONTALE (come continuum tra servizio, scuola, contesto Familiare e territoriale). Si articola attraverso modalità, strumenti e azioni analizzate a una ricerca costante e proficua di co-costruzione e condivisione di contenuti e modelli educativi, affinché ciascun bambino possa percepire il senso dell'unitarietà/continuità tra ambiente di vita familiare e conte- sto scolastico e sociale/territoriale. I principali interventi in tal senso si possono articolare in colloqui individuali, riunioni di sezione e di plesso; attività ludico-educative che coinvolgono i genitori in contesti è forme riconosciute istituzionalmente; incontri con professionisti afferenti ai servizi sacio/educativi/sanitari del territorio verticale.  CONTINUITÀ EDUCATIVA VERTICALE (come passaggio tra le diverse istituzioni educative e scolastiche): s'intende la messa in atto di un modello educativo coerente tra le diverse istituzioni educativo/scolastiche del territorio. La continuità verticale comprende azioni che vedono impegnati gli adulti dei vari contesti educativi e formativi - nidi d'infanzia, scuole dell'infanzia e scuole primarie - secondo una logica strutturale e funzionale di rete. In particolare, ricordiamo interventi quali collaborazione tra i docenti/educatori dell'anno precedente e di quello successivo in termini di scambio reciproco d'informazioni mediante l'utilizzo di strumenti condivisi, progettazione, attuazione, verifica e valutazione - tra educatori/insegnanti della scuola dell'infanzia e tra questi ultimi e quelli della scuola primaria - di percorsi di esperienza e di attività educative e didattiche da proposte ai/alle bambini/e; costruzione di curricoli continui tra articolazioni scolastiche e prescolastiche contigue. CURA La routine come pratica di cura educativa quotidiana Secondo Heidegger, ciò che illumina nella sua essenza l'essere umano, è la cura; in quanto tale, la CURA è tratto ontologico essenziale dell'esserci, ossia è "struttura d'essere dell'esserci". L'esserci, infatti, assume la propria esistenza avendone cura. Il lavoro di cura sostiene il divenire umano, è sapienza esistenziale che si esprime tra visibile e invisibile : nell'intenzionalità di uno sguardo, nella delicatezza di un tocco, nell'intimità di una vicinanza; germoglia in segreto, matura in silenzio, viene coltivata nella quotidianità . Al nido, i piccoli gesti di cura a cui sono affidate le trame di relazioni e affetti, si rivelano essenziali: accogliere le prime separazioni dai genitori, insegnare a parlare, incoraggiare la conquista dei primi passi, avviare le prime relazioni di amicizia, rappresentano tappe identitarie e di socializzazione decisive nel processo di crescita. In particolare, insegnare ad aver consapevolezza di sé , del proprio sentire , delle proprie competenze e risorse , della vita nel corpo e dei sentimenti che la abitano e l'attraversano e che possono essere riconosciuti , esplorati , nominati fin dai primi anni di vita rappresenta l' essenza dell'educazione nella prima infanzia . Un sapere essenziale ma poco considerato Da secoli nella nostra società, le pratiche di cura educativa sostengono i processi di apprendimento, di alfabetizzazione, di crescita di bambini e bambine, ma la cultura ufficiale non sembra incline a riconoscerlo. Nonostante la cura sia esperienza essenziale (e nonostante il termine cura sia largamente in uso) su di essa manca un sapere adeguatamente rigoroso e perspicuo . Accade, infatti, che le esperienze ontologiche fondamentali, quelle che disegnano il tessuto del quotidiano, siano le cose più ovvie, e proprio per questo siamo lontani dall'avere sviluppato una teoria interpretativa capace di enunciare il significato originario. Da qui la necessità di tratteggiare un'analitica della cura. In una cultura che esalta ciò che è appariscente, clamoroso, occorre saper compiere lo sforzo di recuperare quelle dimensioni che rischiano di rimanere offuscate, indefinite, e quindi di risultare inafferrabili e insignificanti per uno sguardo frettoloso, assuefatto, stanco, incapace di cogliere il senso di ciò che accade e di ciò che i soggetti implicati nella relazione educativa fanno accadere. All'interno di un paradigma culturale che identifica la conoscenza con i criteri oggettivanti e matematici delle scienze esatte, con l'astrazione e la generalizzazione, trascurando l'unicità di esperienze non replicabili (tra cui quelle legate all'incontro, alla relazione, all'empatia), la sapienza delle professioni di cura non trova adeguato riconoscimento. È il destino delle educatrici dei servizi per l'infanzia (e forse in generale dell'educazione), per le quali la combinazione di saperi femminili e cura produce scarso apprezzamento nel novero delle professioni: La cura non può essere interrogata con i moduli raziocinanti, può essere ascoltata e vissuta nella relazione con sé stessi e con gli altri. Eppure la cura, proprio in quanto costitutiva dell'esistenza umana, conferisce senso all'essere nel mondo; è la condizione che permette all'esistenza di fiorire. Aver cura significa DARE ALL'ALTRO IL TEMPO DI ESSERE, il tempo di cui ha bisogno per rispondere affermativamente all'appello a esistere, per cui l' attesa è offerta di spazi liberi, affinché l'altro senta di poter sperimentare liberamente la sua ricerca di sé. Il contrario del saper attendere è il pretendere: nel pretendere c'è una richiesta di esserci secondo le attese di chi ha responsabilità della relazione, secondo i canoni che stanno nel suo orizzonte. I servizi per l'infanzia, in quanto luoghi di cura educativa, rappresentano uno spazio privilegiato in cui educatrici e insegnanti si prendono a cuore il tempo della vita di bambini e bambine. Ciò che fa di quel tempo un tempo buono è la possibilità, per i bambini , di sperimentarsi e di trovare esperienze adeguate ed efficaci che sollecitino il loro essere a crescere e fiorire in tutte le dimensioni ontologiche: “Un buon insegnante cerca di leggere i bisogni esistentivi di ciascun bambino per offrire quelle situazioni esperienziali che consentono di nutrire la tensione cognitiva, etica, estetica, sociale e spirituale dell'essere di ciascuno. In questo senso egli modella spazi, materiali, contesti, tempi, affinché l'esistenza dei bambini e delle bambine di cui si occupa inizi a prendere forma”. Le routine come pratiche di cura La cura educativa caratterizza le pratiche e la cultura del nido, secondo una progettualità orientata a portare a espressione il potenziale di capacità che i bambini hanno. È un lavoro lento, premuroso, delicato e sapiente, che si esprime in particolare nella ripetitività solo apparente delle routine. Routine non è solo ciò che si presenta in modo prevedibile, ricalcando schemi noti che alla lunga tolgono interesse al gesto, allo scambio, ma al contrario, le ROUTINE costituiscono la trama invisibile e resistente che regge le giornate, il substrato che sostiene le conoscenze interpersonali via via più intense e profonde, gli apprendimenti, le scoperte, l'espressione delle proprie capacità, l'intesa e l'affettività. Le routine non costituiscono semplicemente un criterio di organizzazione del tempo al nido , tanto meno possono essere assunte come un insieme di azioni meccaniche e reiterate, anonime e fredde; esse vanno piuttosto interpretate come un'espressione non secondaria del lavoro di cura, riflesso dello spessore professionale delle educatrici, che devono essere in grado di cogliere e non possono essere realizzate in riferimento ad obiettivi troppo puntuali e specifici. Due ulteriori principi governano , secondo gli autori del documento, la realizzazione curricolare per la fascia di età considerata: 1. L'UNICITÀ DI OGNI BAMBINO: il curricolo è un itinerario personalizzato che deve tener conto delle particolarità, delle potenzialità, nonché della storia di ogni singolo bambino evitando qualsiasi forma di standardizzazione e omologazione 2. IL SUO PROTAGONISMO: deriva da un' idea di bambino come soggetto attivo , competente , in grado cioè fin dalla nascita di interagire, esplorare e conoscere, da cui consegue l'idea che il percorso educativo orientato alla crescita di un bambino piccolo debba essere concepito come una co-costruzione tra il bambino e i suoi partner: gli adulti che se ne prendono cura e i compagni che ne condividono la quotidianità Inoltre, si individuano ulteriori elementi che dovrebbero qualificare i curricoli per la fascia d'età "zero-sei": a) L'INTRECCIO TRA CURA ED EDUCAZIONE Nei contesti educativi per l'infanzia il termine "cura" viene per lo più usato per riferirsi a pratiche considerate di minor valore: i momenti delle routine - pasto, sonno, pulizia personale - che hanno a che fare con la cura del corpo del bambino; "educazione" invece, è un termine riservato esclusivamente alle cosiddette "attività" che hanno una più marcata caratterizzazione in senso cognitivo e sociale. Da un lato, dunque, attenzione ai bisogni fisiologici infantili, dall'altra a quelli più propriamente intellettuali, ma in momenti diversi e senza connessioni tra di loro. Secondo una medesima linea di pensiero, il termine "cura" viene riferito agli aspetti relazionali del rapporto tra adulto e bambino e, in opposizione, il termine "educazione" viene riservato agli aspetti più marcatamente didattici, di trasmissione di saperi, competenze, abilità. Purtroppo la rivalutazione dell'asilo nido e della scuola dell'infanzia come luoghi educativi e non di pura custodia, si intreccia spesso con una SVALORIZZAZIONE DELLA CURA che porta a PRIVILEGIARE MOMENTI DIDATTICI. Nell'ambiente familiare l'opposizione sembra rovesciarsi con un'attenzione maggiore alla cura del bambino (alla sua protezione, al suo benessere, alla relazione emotivo- affettiva, ai processi di attaccamento) e una meno pronunciata a quelli educativi, fatti coincidere per lo più quasi esclusivamente con quelli valoriali e morali (norme di buona creanza, comportamenti corretti...). Se si vuole realizzare un curricolo fruttuoso per l'infanzia " zero-sei " OCCORRE SUPERARE L'OPPOSIZIONE TRA CURA E EDUCAZIONE partendo da una definizione di cura più ampia di quella propria del senso comune. “La cura è una pratica, fatta di gesti e parole accompagnata da precisi pensieri e desideri, che una persona mette in atto per coltivare la vita propria e delle altre persone”. Premura, sollecitudine, devozione, caratterizzano la relazione di cura: si ha cura di un'altra persona quando se ne coglie il valore . Nella cura è sempre presente un coinvolgimento affettivo positivo orientato verso il benessere dell' altro : prendersi cura significa preoccuparsi di, avere a cuore qualcosa o qualcuno. Tale coinvolgimento emotivo spinge a farsi carico della persona dell'altro nella sua complessità e nella molteplicità dei suoi bisogni: affettivi, relazionali, intellettuali, corporei, e la cura consiste nel farlo con la mente, con le mani e con il cuore. Il concetto di cura comprende anche quello di responsabilità: la relazione di cura è mossa da un desiderio di bene per l'altro che chiama a una presenza responsabile (relazione di aiuto fondata sull'assunzione di responsabilità verso l'altro). Prendersi cura dei bambini non significa solamente farsi carico della loro custodia, al contrario implica che ogni azione di cura è anche educativa, dal momento che l'intenso scambio comunicativo che intercorre tra il bambino e l'adulto durante le attività di cura costituisce un'opportunità ineludibile per la sua crescita e il suo apprendimento. Inoltre, gli atteggiamenti di cura che gli educatori e insegnanti rivolgono ai bambini costituiscono un presupposto fondamentale per sostenerne la motivazione e il coinvolgimento nel processo di apprendimento, contribuendo a creare un contesto emotivo rassicurante entro cui i bambini acquisiscono fiducia nelle loro possibilità. NON C’È EDUCAZIONE SENZA CURA , ma nel concetto di educazione, oltre ad essere presente tutto ciò che è riferito alla cura, vi è un più spiccato riferimento al sostegno che va dato allo sviluppo del bambino. Se lo sviluppo è visto come una sempre maggiore capacità di azione, pensiero, affettività e interazione che si acquisisce attraverso lo scambio sociale, l'educazione è il sostegno che viene dato dagli adulti a tale processo nei contesti di vita dei bambini. L'educazione è: - orientata alla crescita - a sostenere il processo di maturazione - a fare apparire le potenzialità di ciascun bambino - a promuoverne le capacità emergenti b) UN CURRICOLO OLISTICO Questo modo di concepire l'educazione come sostegno allo sviluppo comporta un approccio di tipo olistico , cioè un approccio pedagogico centrato sul bambino che promuove la sua crescita globale ponendo attenzione simultaneamente su tutti gli aspetti che caratterizzano il suo sviluppo (cognitivo, socio-cognitivo, linguistico e senso-motorio), il suo benessere e il suo naturale bisogno di apprendere. Scegliere un approccio di tipo olistico comporta pertanto due conseguenze: - da un lato che le ATTIVITÀ proposte ai bambini NOn debbano essere SETTORIALI: in ciascuna di esse le dimensioni cognitiva, socio-affettiva, corporeo-motoria, comunicativa vanno tenute contemporaneamente presenti e sostenute; - dall'altro che, nei servizi per l'infanzia "0-6", OGNI SITUAZIONE DELLA QUOTIDIANITÀ PUÒ E DEVE ASSUMERE UNA VALENZA EDUCATIVA nella misura in cui sostiene processi di crescita nelle diverse dimensioni evolutive. Ad esempio, il momento del pranzo può essere una situazione nella quale vengono promossi gli scambi comunicativi tra bambini e tra bambini ed educatrici, un momento conviviale dal quale possono anche scaturire spontanee osservazioni dei bambini sugli alimenti, la loro provenienza, la loro consistenza, i processi digestivi, da riprendere al momento e/o approfondire in altre occasioni. Un approccio olistico mira, inoltre, a VALORIZZARE NEI BAMBINI L'ESPLORAZIONE, LA SCOPERTA, IL GIOCO E L'INTERAZIONE SOCIALE in quanto modalità tipiche attraverso cui, nell'età considerata, hanno luogo lo sviluppo e l'apprendimento. b) UN CURRICOLO CHE DÀ VALORE AL GIOCO E ALL'APPRENDIMENTO PER SCOPERTA Secondo il documento della Commissione Europea: “il gioco dovrebbe essere messo al centro di ogni proposta educativa finalizzata a sostenere l'apprendimento dei bambini in età infantile”. Il gioco infatti: - in quanto modalità peculiare infantile di mettersi in relazione col mondo, fisico e sociale, consente al bambino un' appropriazione personale della realtà - in quanto possibilità di espressione ed elaborazione di emozioni, costituisce la via regia di regolazione affettiva e di acquisizione di autostima - svolto in compagnia di coetanei si configura come palestra di comunicazione e scambi sociali - in quanto esplorazione del mondo adulto permette di cogliere e rielaborare significati propri dell'ambiente e della cultura di appartenenza. Per il bambino da zero ai sei anni il gioco è occasione di crescita e un curricolo che dà valore al gioco tende a qualificare le attività e i momenti quotidiani secondo modalità ludiformi che: - lasciano ai bambini ampia libertà di scelta - tengono conto dei loro interessi - promuovono le aggregazioni e gli scambi comunicativi spontanei - sono caratterizzate dal pieno coinvolgimento del bambino La modalità di appropriazione del mondo da parte del bambino che avviene nel gioco privilegia forme di osservazione, esplorazione, manipolazione (concreta e simbolica). L'apprendimento per scoperta è tipico nell'età considerata e si manifesta soprattutto nell'attività ludica. Un curricolo che abbia le caratteristiche sopra delineate richiede, da parte degli adulti che stanno con i bambini, la progettazione e l'allestimento di un ambiente - fisico, sociale e relazionale - che sostenga l'esplorazione, il gioco, gli scambi comunicativi e sociali e anche la messa in campo di modalità relazionali che promuovano le capacità emergenti dei bambini verso le finalità auspicate. d) UN AMBIENTE SICURO E STIMOLANTE Il ruolo di educatori e insegnanti è quello di incoraggiare il gioco spontaneo dei bambini attraverso la CREAZIONE DI UN AMBIENTE STIMOLANTE e di utilizzarlo come approccio educativo volto a favorire l'apprendimento. Un ambiente sicuro e stimolante presenta alcune caratteristiche: - AMBIENTI INTERNI LUMINOSI E CONFORTEVOLI che offrano molteplici occasioni ludiche e di esplorazione. I materiali (sia strutturati che non strutturati) messi a disposizione dei bambini dovrebbero essere organizzati per "centri di interesse" in modo da rendere facilmente riconoscibili percorso di crescita in modo condiviso con i genitori e supportando i genitori stessi. L'identità di ogni bambino si struttura attraverso le relazioni con adulti significativi con cui entra in relazione quotidianamente. I genitori e i familiari in primis sono i protagonisti di questo microcosmo relazionale, a cui si affianca quello dei servizi o delle scuole dell'infanzia, che costituiscono un ulteriore ambito relazionale fondamentale per i bambini. Il progetto pedagogico di un servizio non tradisce la propria centratura sul bambino, ma la rende più autentica se sa assumere la complessità delle relazioni attraverso cui il bambino cresce e si sviluppa come persona. Bisogna riconoscere la famiglia come risorsa. La famiglia oggi Così come i contesti relazionali anche la FAMIGLIA si presenta come un SOGGETTO CARATTERIZZATO DA CAMBIAMENTI/metamorfosi nei legami, nelle strutture. Insieme alle metamorfosi delle strutture familiari, nei processi di cambiamento dobbiamo sottolineare anche il fatto che le famiglie attribuiscono ai servizi educativi e alla scuola un mandato sempre più complesso: educatrici e insegnanti accettano la sfida di fare spazio alle famiglie ed a entrare in dialogo con tutti i genitori, e dall’altro lato svolgono sempre più una funzione fondamentale di sostegno alle famiglie di oggi, che conoscono fragilità e bisogni di supporto inediti. Le culture educative familiari ACCOGLIERE UN BAMBINO SIGNIFICA ACCOGLIERE I SUOI GENITORI, così come conoscere un bambino e le sue regole di condotta significa conoscere i sistemi di significato familiari e i valori di riferimento. Il rispetto del bambino passa attraverso il rispetto dei suoi familiari (padre e madre, nonni, fratelli e sorelle...). L'alleanza con le famiglie si costruisce attraverso l'adozione di specifiche strategie educative, la disposizione dei contesti e l'attenzione ai materiali, ma si avvale anche di dispositivi più invisibili. I diversi adulti che hanno cura dei bambini possiedono una propria cultura educativa che attraversa in modo silente pensieri e prassi; in questo senso, è fondamentale lavorare per la condivisione di tali universi simbolici. I genitori che entrano con il figlio nel servizio recano con sé le esperienze vissute prima e dopo l'accesso alla genitorialità, il tipo di investimento sui figli, le condizioni in cui danno forma alla propria genitorialità. Il tema del dialogo tra culture educative si intreccia anche con le istanze poste dalla presenza di famiglie provenienti da altrove, cioè con la domanda di educazione di bambini provenienti da altri Paesi o nati in Italia da genitori stranieri che decidono di costruire nel nostro Paese il progetto di vita del figlio. L'incontro tra le culture educative assume in tal caso l’incontro con riferimenti religiosi diversi, tradizioni educative non conosciute, pratiche di cura distinte, concezioni e modelli di famiglia da conoscere. Il confronto, pertanto, si gioca non solo sulle pratiche di cura o sulla relazione di attaccamento, sugli approcci evolutivi o sui traguardi di crescita e di conquista dell'autonomia, ma anche sul ruolo dell'adulto educatore, sulle pratiche di interazione, sull'idea di famiglia, di lavoro, di società. Corresponsabilità e partecipazione Nel solco della teoria ecologica, Brofenbrenner sottolinea l'importanza delle connessioni tra contesti come variabile fondamentale per potenziare e mantenere il valore positivo delle diverse esperienze condotte dai bambini nella prima età. LE RETI E GLI INTRECCI TRA I DIVERSI CONTESTI DI VITA DEL BAMBINO, SVOLGONO UN RUOLO DETERMINANTE PER LO SVILUPPO DEL BAMBINO STESSO. Nella qualità e coerenza dei rapporti intrecciati tra i diversi contesti di vita, risiede un immenso potenziale educativo per munire i bambini a vivere in modo armonico e attivo nei molteplici contesti esistenziali, inoltre, la positività di tali approcci relazionali infonde anche un fondamentale senso di sicurezza , condizione strutturante affinché il bambino sviluppi fiducia e una sensazione di appartenenza verso il mondo esterno. L'alleanza con le famiglie rappresenta quindi un processo davvero strategico. È IMPORTANTE però TUTELARE LE SPECIFICITÀ IDENTITARIE, RELAZIONALI, EDUCATIVE DEI DUE CONTESTI: educatrici, insegnanti e genitori svolgono infatti funzioni diverse in ragione dei ruoli differenti che ricoprono, ma è tuttavia necessario che si promuovano processi di integrazione e di rinforzo reciproco. Queste sono le condizioni per avviare un confronto condiviso sull'idea di bambino, di cura, di educazione. La partecipazione dei genitori è un processo fondamentale anche rispetto ad altre importanti finalità educative dei servizi quali l'inclusione, la prevenzione del disagio e la promozione sociale. Un percorso da costruire Il rapporto con le famiglie appartiene a un percorso lungo e graduale, costruito giorno dopo giorno, e continuamente risignificato attraverso un paziente lavoro di confronto, ascolto e negoziazione. L'incontro con le famiglie si realizza pertanto attraverso un'intenzionale azione progettuale rivolta a strutturare modalità di accoglienza e di incontro (come pure occasioni formative e informative). Nel contesto della scuola dell'infanzia , ad esempio, i genitori hanno la possibilità di essere parte attiva e di condividere le responsabilità educative attraverso l'organizzazione di assemblee, riunioni di sezione, l'elezione dei rappresentanti dei genitori, con lo scopo di favorire la piena partecipazione dei genitori nella scuola. Inoltre, il rapporto con le famiglie viene garantito attraverso altre pratiche di connessione, quali le visite al servizio da parte dei genitori specialmente prima dell'iscrizione del figlio/a, i colloqui individuali, le feste. Assumono infine un rilievo particolare, anche i momenti quotidiani e informali d'incontro tra genitori e educatori, in special modo i transiti in entrata e in uscita dal nido. Il saluto/allontanamento ed il ritorno/ricongiungimento sono degli attraversamenti che contribuiscono a costruire quel necessario clima di fiducia e di dialogo che costituisce il terreno su cui avviare un confronto costruttivo tra culture educative. Accanto a queste pratiche vi è un'attenzione specifica al sostegno delle figure genitoriali e del rapporto genitore-bambino in relazione ad alcuni momenti particolarmente intensi e delicati. Il buon incontro tra il servizio, il bambino e la famiglia si costruisce certamente nella quotidianità (in momenti particolari di transizione come quelli dell'accoglienza e del successivo ricongiungimento con le figure di riferimento), ma anche attraverso altri momenti strategici che possiedono una rilevanza particolare poiché sono importanti nel manifestare attenzione al bambino e alla famiglia, per creare spazi comunicativi, occasioni di confronto e di scambio. Tali momenti possono essere l'AMBIENTAMENTO e i COLLOQUI. L'ambientamento Rappresenta un momento molto delicato che richiede un'elevata professionalità da esprimere nella capacità di accoglienza, di ascolto, di contenimento e che va agita direttamente nella relazione ma anche indirettamente attraverso un'intenzionale predisposizione degli spazi poiché SEGNA IL PRIMO INCONTRO TRA IL BAMBINO E IL GENITORE CON IL NUOVO CONTESTO EDUCATIVO. I protagonisti dell'ambientamento sono i bambini, le educatrici e anche i genitori. È fondamentale che gli spazi abbiano odore di mamma, perché questo favorisce il collegamento tra questi due mondi a cui il bambino appartiene. Le pratiche di accoglienza sono fondamentali per generare un incontro positivo tra il servizio e il bambino.  Affinché bambino e genitore arrivino ad investire emotivamente negli spazi e nelle relazioni del servizio, è necessario procedere con gradualità e mettere in conto l'emergere, tanto nel bambino quanto nel genitore (seppur con modalità espressive diverse) di stati d'animo caratterizzati da ansia, paura, insicurezza, che assumono intensità diverse a seconda del tipo di legame di attaccamento madre-bambino. Le variabili in gioco nelle dinamiche dell'ambientamento e della costruzione di un senso di fiducia verso il servizio, specialmente nei servizi 0-3, sono legate anche alle motivazioni che spingono genitori a scegliere il servizio, alle rappresentazioni che la famiglia ha di sé e del bambino, alle vicende che segnano la storia familiare e alle aspettative per il futuro, all'idea di educazione e di cura. Le incertezze che segnano questa fase di transizione possono essere colmate anche attraverso un'attenzione particolare verso il passaggio delle informazioni e l'accompagnamento nella conoscenza della vita del servizio, con le sue scansioni organizzative e le sue routine, con i suoi spazi e le sue articolazioni temporali. I colloqui Il dialogo con i genitori è fondamentale per il consolidamento del rapporto tra la scuola/servizio e le famiglie. Il contenitore del colloquio si declina in una molteplicità di momenti e di finalità, che vanno dalle prime informazioni iniziali per presentare la scuola/servizio al sostegno alla genitorialità in momenti di particolare crisi familiare o fragilità del percorso di crescita del bambino. In relazione a ciò, anche la forma deve essere flessibile, spaziando dalla formalità all'informalità.  I primi colloqui Tralasciando il primo incontro con la famiglia, in cui si fa conoscere il servizio e lo si fa visitare, si forniscono informazioni organizzative e notizie di natura burocratica, il 1° autentico dialogo con i genitori si effettua generalmente in seguito all'atto dell'iscrizione. La conduzione del primo colloquio o, laddove è previsto, dei primi colloqui con i genitori richiede delle attenzioni particolari, in quanto si caratterizza come un momento di ascolto non giudicante e di sollecitazione dell'apertura al dialogo da parte dei genitori. DEI GIOCATORI MENTRE GIOCANO . Ad animare il gioco è lo spirito con cui lo si svolge: non è detto, ad esempio, che un calciatore professionista giochi durante una partita, ma è più probabile invece che sia gioco quello di un gruppo di amici che danno calci alla palla in una partita improvvisata per il puro piacere di farlo. Caillois propone un QUADRALOGO LUDICO, costituito da 4 categorie ciascuna delle quali è caratterizzata da un particolare atteggiamento del giocatore: 1. AGON (la competizione) 2. ALEA (la sfida alla fortuna) 3. MIMICRY (il bisogno di finzione e di mascherarsi) 4. ILINX (il turbamento della vertigine, fisica e morale) I giochi appartenenti a ciascuna delle 4 categorie si dipanano poi lungo un continuum alle cui polarità troviamo: 1. PAIDIA (il gioco all'insegna della facilità, della spensieratezza, dell'improvvisazione, della leggerezza) 2. LUDUS (il gioco all'insegna della fatica e della serietà, il cui piacere è dato dal sormontare ostacoli deliberatamente scelti). Questa classificazione dei giochi è utile per comprendere il fenomeno del gioco nell'infanzia . Ciascun elemento del quadralogo presenta infatti nella forma di paidia, caratteristiche propriamente infantili (per l'agon c’è il correre, il saltare, il rincorrersi senza regole precise; per l'alea ci sono le filastrocche per le conte; per la mimicry c’è il gioco del "far finta"; per l'ilinx ci sono il roteare su se stessi, le giostre, l'altalena). Ma se il quadro proposto da Caillois è utile per individuare la diversità dei tipi di gioco riscontrabili sia nell'età adulta che in quella infantile, l'importanza del gioco nello sviluppo è segnalata in particolare da alcuni classici della psicologia dell'età evolutiva del 900: PIAGET, VYGOTSKY e BRUNER. Per Piaget IL GIOCO RAPPRESENTA IL POLO ASSIMILATORIO DELLA MENTE secondo cui le cose del mondo esterno sono utilizzate per esercitare schemi di azioni già padroneggiati (il bambino che sa compiere con facilità l'azione dell'afferrare e del lanciare si divertirà a compiere ripetutamente queste azioni con gli oggetti a disposizione); L'ESPLORAZIONE INVECE COSTITUISCE IL FATTORE CHE CONSENTE L’ACCOMODAMENTO, cioè la comprensione delle caratteristiche degli oggetti (il bambino modifica la propria azione per adattarsi alle caratteristiche dell'oggetto). 3 TIPI DI GIOCO SI SUSSEGUONO NELL'ETÀ INFANTILE : 1. il GIOCO DI ESERCIZIO tipico del periodo senso-motorio, che caratterizza circa i primi due anni di vita 2. il GIOCO SIMBOLICO, proprio dell'età che va dai 2 ai 7 anni 3. il GIOCO DI REGOLE dagli 11 anni in su Per Piaget il gioco più maturo, che corrisponde al livello di sviluppo più avanzato, è quello che i bambini svolgono in gruppo rispettando le regole del gioco. Ma, più in generale, il gioco che maggiormente contribuirebbe allo sviluppo sarebbe quello nel quale i bambini devono negoziare e trovare un accordo per poter giocare insieme. Questo tipo di gioco favorirebbe il superamento dell’egocentrismo promuovendo il decentramento, cioè la capacità di mettersi dal punto di vista altrui, di comprenderlo e trovare mediazioni rispetto al proprio particolare punto di vista. Vygotsky segnala altri aspetti per cui il gioco è una potente molla evolutiva puntando l’attenzione soprattutto sul GIOCO SIMBOLICO-IMMAGINATIVO. Questo tipo di gioco aiuta il bambino a controllare i suoi impulsi (se non posso mangiare la caramella, posso fingere di mangiarla per gioco) e favorisce lo sviluppo del pensiero rappresentativo che consente di immaginare che le cose siano diverse da come le si percepiscono (un bastone diventa un cavallo; il bracciolo di una poltrona la sella di un motore). Il pensiero rappresentativo corrisponde a una forma di pensiero evoluto, propriamente umano, che permette lo sgancio da quelle limitazioni cognitive proprie del bambino molto piccolo per il quale un bastone è qualcosa con cui giocare "a battere" ma non un cavallo immaginario. Con il gioco immaginativo-simbolico il bambino fa invece predominare il significato (cavallo) rispetto alle caratteristiche percettive dell'oggetto (bastone). Inoltre, gli viene offerta la possibilità di appropriarsi del mondo dei significati propri della cultura di appartenenza, di esplorare i processi attraverso cui i significati sociali si producono e di esprimere il suo punto di vista su di essi. Per Vygotsky IL GIOCO RAPPRESENTA UN’AREA PROSSIMALE DI SVILUPPO nella quale il bambino è sempre sopra della propria età media, del proprio comportamento quotidiano, è come se egli crescesse di un palmo. È un’esperienza infantile altamente feconda in quanto rappresenta la liberazione dai vincoli della percezione immediata; facilita il controllo degli impulsi attraverso la rappresentazione ludica dell'appagamento dei desideri; consente l’appropriazione personale del mondo, dei suoi significati e la possibilità di ricombinazione degli stessi secondo modalità nuove. Questo ultimo elemento costituisce il punto focale della trattazione di Bruner sull'argomento . IL GIOCO È UN ASPETTO TIPICO DELLA NEOFILIA, cioè dell'inclinazione dei soggetti immaturi alla novità e all'innovazione che consente di sperimentare nuove modalità comportamentali attraverso una tendenza combinatoria che, violando la fissità, produce modalità nuove di organizzazione comportamentale. Il gioco sarebbe dunque il prototipo del pensiero creativo e divergente, una libera esplorazione dei significati messi a disposizione della cultura che consente un'integrazione alla realtà sociale non acquiescente rispetto ai ruoli e ai comportamenti sociali. Nella sua forma simbolica il gioco aiuterebbe i bambini a comprendere e usare correttamente regole e convenzioni. Se gli psicologi dell'età evolutiva hanno messo in evidenza soprattutto gli aspetti cognitivi sottesi all'attività ludica (sviluppo della capacità rappresentativa, pensiero divergente, appropriazione di significati), senza per altro trascurare la dimensione volitivo-affettiva (il gioco come controllo degli impulsi, il piacere e il coinvolgimento propri del gioca re), la tradizione psicoanalitica vede il gioco come la modalità tipicamente infantile di realizzare desideri irrealizzabili . Il bambino nel gioco può rappresentare ciò che lo ha turbato ma "scambiando le parti", assumendo un ruolo attivo (ad es. il medico) anziché passivo (ad es. lui piccolo paziente); può liberarsi da sentimenti opprimenti e negativi come odio, gelosia, invidia (ad es. giocando a '"buttar via" o "alla guerra"), può diventare qualcun altro che lui desidera essere. BETTELHEIM arricchisce il pensiero di Freud sull'argomento, con considerazioni educative: al gioco infantile, in quanto modalità espressiva tipica dell'infanzia, fonte di gioia e di benessere, possibilità di integrare la realtà interna e quella esterna, modalità con cui il bambino si appropria del mondo e fa fronte alle difficoltà della crescita, va dato valore e va condiviso. La partecipazione dell'adulto – genitore o educatore - al gioco del bambino, condivisione guidata dall'empatia e dalla piena e autentica adesione allo spirito ludico, è un'occasione preziosa per instaurare col bambino una relazione di fiducia e che sia di sostegno alla crescita di una personalità sana. Il gioco nei contesti prescolari Data l'importanza del gioco negli anni dell'infanzia, anche i contesti educativi per i bambini devono riconoscere al gioco un ruolo centrale. Occorre in primo luogo riferirsi alla definizione di Caillois e riconoscere quelle caratteristiche che fanno del gioco un fenomeno unico, non sovrapponibile ad altre attività o esperienze. Il gioco deve essere messo al centro di un curricolo per l'infanzia salvaguardando tutti gli aspetti che lo contraddistinguono: la libertà (l'attività ludica non può essere imposta né può essere imposto quando entrare o uscire dal gioco), la separatezza (occorrono luoghi e tempi dedicati), l'incertezza ('imprevedibilità dei percorsi ludici va tutelata), la definalizzazione (il gioco non va usato come un "trucco" per scopi diversi da quelli ludici, ad esempio far imparare divertendo), la presenza di regole (tenendo presente che anche il gioco immaginativo o di finzione è regolato, seppure da un'unica regola, quella del "come se"). Pertanto al gioco va dato valore in quanto tale, come espressione tipica dell'infanzia, modo peculiare con cui i bambini si accostano al mondo e se ne appropriano, vivono ed elaborano le esperienze della vita, sperimentandone le possibilità. Per fare questo occorre in primo luogo creare un ambiente favorevole, e cioè: - spazi non troppo affollati con materiali che possono sollecitare l’attività ludica (giocattoli ma anche materiali non strutturati che si prestino ad impieghi diversi) possibilmente raggruppati in angoli o centri di interesse in modo da facilitare l'aggregazione in piccoli gruppi; - tempi distesi (meglio il centro della mattinata piuttosto che momenti di risulta tra attività considerate più importanti), un clima sereno e un'atmosfera di affettività positiva; - libertà di aggregazione (libera scelta dei compagni con cui giocare, possibilità di cambiare gruppo nel corso del gioco...); - libertà rispetto ai contenuti del gioco che non devono essere proposti dagli educatori ma scaturire spontaneamente dal contatto con i materiali e i compagni Questa doppia anima del gruppo di lavoro riflette e alimenta la natura relazionale del soggetto. Se infatti, come già sosteneva Freud, la base costitutiva dell'io è intersoggettiva, la tendenza delle persone a riunirsi in gruppi risponde a un bisogno vitale ed evolutivo dell'io che si realizza nella relazione con gli altri. L'intersoggettività si attiva originariamente attraverso l'interiorizzazione delle principali figure affettive di riferimento; queste rappresentazioni contribuiscono ad articolare l'identità, plurima e composita. Le dinamiche che si presentano in esperienze gruppali sono concretamente legate agli approfondimenti di dinamiche più nascoste, inconsapevoli e primitive, che abitano il nostro mondo interno. Tali dinamiche sono le fondamenta della formazione e dell'evoluzione del nostro lavoro mentale e, di conseguenza, anche dell'orientamento delle nostre relazioni sociali. La dimensione del gruppo sollecita quelle potenzialità di pensiero a cui il singolo , pur custodendole in sé, non riesce ad accedere e che invece nella reciprocità tra i diversi soggetti diventano pensabili. Dal confronto con gli altri possono emergere, infatti, parti in ombra o rimosse che danno spessore al pensiero, capienza alla comprensione. C'è dunque una stretta corrispondenza tra vita della mente e dinamiche che si instaurano tra i membri di un gruppo, inevitabilmente investiti di proiezioni e rappresentazioni cognitive ed emotive che sfuggono alla coscienza. Il gruppo consente alla "gruppalità interna" di ciascun componente di venire esternalizzata. Permette cioè la rappresentazione delle interrelazioni dei diversi aspetti della soggettività, realizza la possibilità di stabilire una comunicazione intenzionale tra le diverse parti del sé, che grazie alla presenza e allo scambio dialogico tra i soggetti del gruppo vengono restituite alla consapevolezza del singolo e intenzionalmente trasformate. Un’occasione per crescere insieme L’attrazione che il gruppo esercita sul singolo non è solo riconducibile all’incisività delle memorie e dei processi inconsci, ma anche all' eccedenza noetica che determina un ampliamento della pensabilità individuale. Infatti, secondo la nota formula di Kurt Lewin per cui si tutto contiene di più e altro rispetto alla somma delle sue parti», nello scambio che si realizza in un gruppo, i partecipanti hanno la possibilità di beneficiare della capacità generativa del tutto, con cui il singolo accede a un "di più" di possibilità ideative, simbolizzanti, creative. Il gruppo si configura così come un bonificatore di spazi, in grado di ampliare gli orizzonti simbolici, un contaminatore di linguaggi, un mediatore culturale. Il gruppo, inoltre, assolve sia a una funzione di contenimento (holding) che di potenziamento della capacità generativa simbolica (contenuti), di stimolo emotivo e cognitivo (scaffolding), è attivatore di energie e promotore di trasformazione. Nei servizi per l'infanzia il gruppo di lavoro può riunirsi anche non coinvolgendo sempre tutti i suoi membri; possono riunirsi ad esempio solo le colleghe di una sezione, in presenza o meno del coordinatore pedagogico, può riunirsi il personale educativo di tutta la struttura, insieme al coordinatore ed eventualmente al supervisore. È comunque essenziale che vi siano occasioni periodiche, regolari e prevedibili di incontro, che sia possibile riunirsi quando qualcuno ne avverte la necessità, che il tempo riservato al gruppo di lavoro sia sufficiente, disteso e formalmente riconosciuto. Tutte le questioni riguardanti l'organizzazione, la gestione dei tempi e degli spazi, l'individuazione delle regole, la definizione di progetti e interventi, la gestione della conflittualità, le iniziative di formazione, di interazione con le famiglie e con gli altri soggetti del territorio devono essere discusse nel gruppo di lavoro . Questo affinché su ogni questione e in relazione a ogni decisione si raggiunga il massimo possibile di consenso attraverso il confronto, comunicazioni chiare ed esplicite e una progressiva negoziazione e composizione dei diversi punti di vista e di eventuali conflittualità, anche utilizzando strumenti di gestione della comunicazione e di costruzione delle decisioni. Occorre che il gruppo di lavoro sia affiatato per operare meglio, ottimizzando le risorse di cui ognuno è portatore è limitando il rischio di fraintendimenti ed estenuanti contrapposizioni; così come è importante si presenti alle famiglie in modo coeso e coerente, così da rassicurare i genitori riguardo all'ambiente sereno e alla preparazione del personale che si occuperà del loro figlio, mostrando di sapere aver cura anche delle relazioni tra adulti. Aver cura di un gruppo di lavoro significa allora da un lato mantenersi in dialogo con quelle esperienze "prime" che si depositano nel sé e che continuano a istruire i pensieri e i comportamenti, dall'altro favorire un processo di riconoscimento dei molti io che albergano in noi: tanto più siamo capaci di contemplare queste diverse versioni di noi (io-bambino, io adulto, io- vecchio, io-uomo, io-donna, io straniero...), tanto più riusciremo a capire il punto di vista di persone apparentemente lontane da noi e che invece hanno una possibilità di risonanza con i nostri vissuti più profondi. È importante che al gruppo di lavoro venga riservato uno spazio specificamente dedicato, in modo che il clima relazionale ed emotivo che si crea nei contesti educativi possa beneficiare di uno sfondo armonizzante, così necessario per sostenere la motivazione, la coesione e l'efficacia operativa di ogni singolo componente. Il gruppo di lavoro, privato di un meta-pensiero in grado di mantenere la distanza tra singolo e collettività, rischia di oscillare tra una condizione di fortuito benessere e di incomprensibile asfissia. In mezzo, la speranza di un equilibrio: le buone intenzioni non bastano a sopperire all'assenza di un'esplicita, condivisa intenzionalità.  Nei gruppi di lavoro dei servizi per l'infanzia sono presenti diverse figure con ruoli diversi:  il coordinatore pedagogico;  il coordinatore interno (o referente) o, comunque, chi è responsabile sul piano organizzativo locale del servizio;  educatori/educatrici e altre figure professionali che entrano regolarmente in contatto con i bambini e i genitori;  figure ausiliarie che si occupano di custodia, pulizia e accesso ai locali;  cuoca/o e altro personale di cucina;  eventuale supervisore;  eventuali volontari Cura di sé e gruppo di lavoro Vivere con impegno il gruppo di lavoro implica anzitutto la disponibilità ad aver cura di sé, conoscere le proprie fragilità, i bisogni, le aspettative, le aspirazioni, i desideri, la propria carica emotiva, le paure e i limiti. SAPERE DI SÉ è condizione fondamentale per scegliere cosa portare nel gruppo limitando il pericolo di omologarsi passivamente, di reagire meccanicamente, di manipolare o finalizzare le energie collettive al soddisfacimento dei propri bisogni. Nel gruppo di lavoro ogni operatore porta se stesso, con tutta la propria umanità, che si svela divenendo risorsa per tutti, allorché ci si legittima ad esprimere i propri vissuti; a fare i conti con i propri limiti e fragilità; a porre attenzione non solo alle "azioni da fare", quanto a come ciascuno "vede" e "sente" " quello che c'è da fare. Il gruppo è una "co-creazione continua", in cui ognuno porta la propria storia, le proprie azioni e le loro conseguenze. Dunque, è vitale per un gruppo evitare l'adattamento passivo, l'immobilismo e la stagnazione delle relazioni. Per accogliere e sostenere la vita emotiva del gruppo in modo tale da favorire la cooperazione tra i membri, chi ne assume la guida e il coordinamento deve essere il contenitore di quelle emozioni o esperienze sensoriali che il gruppo non riesce ad elaborare o "digerire" da solo, per poi restituirgliele prive di significati angoscianti. Per questo occorrono costanti occasioni di ascolto e riconoscimento, uno spazio cioè in cui mettere la parola al servizio della sensibilità corporea ed emotiva (piuttosto che delle necessità organizzative, prestazionali e produttive) e in cui agire esperienze di gruppo. Ciò che può rendere faticoso un gruppo di lavoro non è solo la carenza di dialogo, ma anche e soprattutto l'incapacità di gestire scambi intimi. Dalla sensazione di disagio diffuso si può passare a un dolore mentale ed emotivo dal quale il soggetto rende a liberarsi attraverso differenti strategie di fuga (la più diffusa è il ricorso alla routine replicata meccanicamente, con cui disattivare le facoltà della percezione razionale ed emotiva). Non si può risolvere il disagio anche solo di una parte dei componenti di un gruppo o favorire l'apertura di soggetti ripiegati su di sé, demotivati, stanchi e improduttivi se non si modificano le condizioni relazionali collettive. A questo proposito il conduttore (coordinatore pedagogico) ricopre un ruolo delicato e strategico, per il quale deve essere adeguatamente preparato ed espressamente riconosciuto dal gruppo. Attraverso una guida competente ed equilibrata il gruppo può intraprendere un percorso di crescita. IL COORDINAMENTO PEDAGOGICO La funzione di coordinamento pedagogico costituisce una condizione essenziale per la costruzione di un sistema integrato di servizi per l'infanzia. A svolgere questa funzione è la figura del coordinatore pedagogico, un professionista in possesso del titolo di pedagogista. Si tratta di una figura professionale che, legata prevalentemente agli enti locali, si è sviluppata parallelamente alla nascita e diffusione degli asili nido e delle scuole dell'infanzia comunali. Le prime tracce del coordinatore pedagogico possono essere rinvenute nel periodo di svolta dell'identità dei servizi educativi per la prima infanzia: questa figura ha avuto da subito un ruolo chiave nel definire il profilo degli asili nido, assumendo il compito della loro riqualificazione, del loro coordinamento sul territorio, di formazione delle educatrici. Tuttavia, l'aver lasciato ampia autonomia alle Regioni, rispetto alla programmazione dei servizi, pur in un'ottica che voleva agganciare gli asili nido alle realtà locali, ha creato una situazione di grande variabilità organizzativa tra le diverse zone d'Italia: ogni Regione emanava le sue leggi, creando una condizione di frammentarietà, per la quale alcune leggi regionali delineavano la figura del coordinatore, altre invece non vi facevano minimamente cenno. Quindi, fin dalla sua istituzione, la figura del coordinatore pedagogico è apparsa controversa e, là dove è stata attivata, si è presentata come poliedrica e non sempre chiaramente definita nelle può avvantaggiarsi anche della supervisione pedagogica nei confronti del gruppo di lavoro e dei processi di pensiero, operativi, progettuali, comunicativi, documentativi che questo mette in atto. Il SUPERVISORE è un pedagogista che:  ha una competenza specifica relativa alle dinamiche di gruppo, ai metodi e alle tecniche di facilitazione della comunicazione  ha sviluppato capacità riflessive, rielaborative e di gestione di strumenti finalizzati alla comprensione dei contesti educativi e delle modalità di funzionamento delle equipe.  È in grado di promuovere una circolarità tra teoria e prassi, di favorire il riconoscimento di abilità e saperi, riletti dal punto di vista pedagogico, rafforzando così lo spessore culturale della professionalità educativa. La SUPERVISIONE:  mira a facilitare le interazioni nel gruppo di lavoro, attraverso l'attivazione di strategie funzionali alla gestione delle dinamiche interpersonali  è un dispositivo essenziale nei processi di apprendimento esperienziale collettivo: porta a riconsiderare il proprio modo di lavorare, a rivedere criticamente il proprio operato.  necessaria per migliorare le relazioni interpersonali nei gruppi di lavoro, per contenere ed elaborare ansie e timori presenti in contesti lavorativi fondati sulla relazione.  Attraverso essa il gruppo può ampliare gli spazi di pensiero e quindi la possibilità di problematizzare e trovare soluzioni a situazioni critiche. L'esperienza di ogni componente viene ascoltata, discussa e in questo modo diventa patrimonio di tutti, stimolo per uscire da letture univoche, standardizzate scoprendo più angolature con cui affrontare la realtà.  Il lavoro di supervisione ha la funzione di:  sostenere il gruppo di lavoro e la coordinatrice nell'elaborazione del progetto pedagogico del servizio;  favorire il monitoraggio e la verifica della realizzazione del progetto pedagogico;  promuovere l'analisi e il monitoraggio della documentazione e degli strumenti progettuali prodotti dal gruppo;  garantire un supporto all'analisi, all'elaborazione, alla comprensione e la ricerca di strategie di soluzione di situazioni problematiche  sostenere l'attivazione di processi di riflessione condivisa per decidere modalità di intervento in modo sempre più consapevole e intersoggettivo;  attivare la capacità di leggere e analizzare la propria pratica educativa individuandone gli elementi di criticità;  sostenere la capacità di introdurre dei cambiamenti migliorativi in relazione all'analisi dell'esistente e alle criticità rilevate. Permettendo al gruppo di esprimere il proprio potenziale cognitivo, creativo ed ermeneutico, la supervisione si presenta come un sovrasistema di pensiero condiviso che, a partire dalla rilettura dei processi, ne evidenzia i molteplici significati sottesi e stimola lo sviluppo di uno sguardo critico e progettuale ; sostiene , inoltre, la concettualizzazione delle pratiche professionali , aumentandone lo spessore riflessivo e culturale. In altre parole, LA SUPERVISIONE PEDAGOGISTA È UNO STRUMENTO META- RIFLESSIVO CHE ATTIVA CIRCUITI DI INTERAZIONE TRA LE COMPETENZE ACQUISITE SUL CAMPO E LE TEORIE CHE GUIDANO LE PRASSI, MA SOPRATTUTTO CHE VERIFICA L’EFFICACIA DELLE PRATICHE EDUCATIVE IN RELAZIONE ALL’INTENZIONALITÀ E ALLA PROGETTUALITÀ. È una risorsa preziosa per il gruppo di lavoro, per la tenuta dei servizi e la continua ricalibratura degli interventi. La supervisione costituisce dunque uno strumento strategico di orientamento (ed eventualmente di riorientamento: la direzione di senso del lavoro deve essere costantemente soggetta a valutazioni e riformulazioni in funzione delle procedure più congruenti con chi lavora nei servizi e chi invece ne fruisce) delle equipe e dei servizi educativi; sostiene la costruzione dell'identità del ruolo e della professionalità dell'educatore, rappresentando un occasione di crescita individuale e non solo per il gruppo. Come scrive Francesca Oggionni: La supervisione è anche momento di formazione personale in quanto porta a riflettere sugli aspetti della propria personalità per considerare ciò che favorisce oppure ostacola sul piano lavorativo, per prenderne coscienza al fine di migliorarsi. Il confronto di gruppo fa emergere i contrasti e conduce a una maggiore consapevolezza di sé. Per quanto la supervisione pedagogica sia riconosciuta come una pratica finalizzata al crescente rafforzamento della professionalità individuale e del contesto educativo, non le è ancora stata riservata un'attenzione adeguata all'interno di un dibattito pedagogico teso al riconoscimento degli elementi fondanti la cultura è la professionalità educativa. Essa inoltre contribuisce a intercettare eventuali segnali di disagio e stanchezza professionale dei singoli operatori e dell'equipe di lavoro, contribuendo in questo modo a prevenire e contrastare la possibile insorgenza della nota sindrome del burn out , che rischia di colpire professionisti sottoposti ad un particolare coinvolgimento emotivo, con inevitabili ripercussioni sui loro interlocutori. Per questo un sistema di supervisione dovrebbe essere visto come essenziale in ogni struttura dedicata alla prima infanzia. Essa deve in primo luogo e soprattutto garantire che i confini professionali siano mantenuti e che tutti i rapporti siano adeguati per assicurare la qualità del nido. Ma, secondariamente, il personale ha diritto a questo supporto regolare e competente, nel riconoscimento del complesso e sofisticato lavoro richiesto nei confronti dei bambini e delle famiglie. LA FORMAZIONE CONTINUA Una condizione irrinunciabile del progetto educativo dei servizi è la formazione professionale degli operatori che vi lavorano. A differenza della formazione permanente ( Lifelong Learning ), che indica il processo di apprendimento lungo tutto l'arco dell'esistenza, la FORMAZIONE CONTINUA si riferisce più specificatamente alla formazione fruita nell'ambito professionale in cui si opera , relativa ad esempio al primo inserimento, alla qualificazione, alla riqualificazione, all'apprendimento esperienziale dell'operatore. La Legge n. 107 del 2015 stabilisce che la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria , permanente e strutturale . Ogni scuola individua le attività di formazione per i docenti di ruolo sulla base del Piano nazionale di formazione, predisposto ogni tre anni dal Miur, e in coerenza con il Piano Triennale dell'Offerta Formativa (Ptof) e il relativo Piano di Miglioramento (Pdm).  Il Memorandum sull'istruzione e la formazione permanente redato dalla Commissione Europea sancisce per la prima volta il principio del riconoscimento degli apprendimenti acquisiti in ambito formale, non formale, informale. Con apprendimento formale si indicano le opportunità di apprendimento promosse nei tradizionali istituti d'istruzione, e che portano all'ottenimento di diplomi e di qualifiche riconosciute, L'apprendimento non formale si svolge invece al di fuori delle principali strutture d'istruzione, in genere è dispensato sul luogo di lavoro o nel quadro di attività di organizzazioni o gruppi della società civile L'apprendimento informale indica il corollario naturale della vita quotidiana. Nei servizi per l'infanzia queste forme di supporto alla qualificazione del personale si traducono nella formazione di base che permette l'accesso al lavoro, nei corsi di formazione tematici e periodici che enti pubblici e privati erogano ai propri operatori (formazione non formale) e nelle occasioni quotidiane o settimanali di confronto tra educatori e pedagogisti di una stessa struttura (incontri tra il personale di una sezione di bambini, di più sezioni, incontri tra tutto il personale di un servizio, incontro tra i/le pedagogisti/e di più servizi) nonché nelle occasioni individuali di approfondimento di temi e questioni attraverso lo studio autonomo, e in occasioni disseminate nella quotidianità che forniscano stimoli di comprensione e apprendimento trasferibili in ambito professionale. Pertanto la formazione non si esaurisce in una conoscenza sempre più approfondita di competenze tecniche e saperi professionali, ma va intesa come ricerca di occasioni che allenino mentalmente ad una riflessione su come si è come persone, ovvero su quali siano i dispositivi cognitivi che si utilizzano, le competenze emotive, le fragilità e le risorse che caratterizzano il soggetto. In questo senso la formazione al «saper fare» non può essere disgiunta dalla formazione ad «essere», specie se si considera che il primo «strumento» dell'attività educativa è la relazione in cui è implicato l'educatore nella sua integralità. Come scrivono Agliati e Infantino: la formazione sembra incisiva quando si declina in una qualche forma di "addestramento, con una chiara prominenza ed evidenza tecnica e metodologica; in questi casi è percepita nella sua utilità in quanto connessa all'operatività, al "'fare", all'acquisizione mediante addestramento appunto di competenze specifiche nello stare e nel proporre esperienze educative ai bambini. «Le competenze maturano e si traducono in interventi e comportamenti professionali consapevoli e duraturi se strutturate e maturate in forme di pensiero riflessivo, come capacità di pensare ai propri modi di pensare, come apprendimento autoriflessivo». La qualità dei servizi educativi per la prima infanzia - così come gli effetti positivi sui bambini e sulle loro famiglie - dipendono sostanzialmente dalle competenze di educatori, pedagogisti e decisori politici che operano e governano i servizi. In particolare è sempre più evidente l'importanza di sviluppare le competenze del gruppo di lavoro attraverso l'analisi critica delle pratiche educative, ovvero mediante un apprendimento autoriflessivo: Questo approccio sostiene il nesso tra «sapere», «saper fare» e «saper essere» che a sua volta inerisce all'inestricabile intreccio della dimensione personale e professionale particolarmente evidente e rilevante nei professionisti dell'educazione. In questo senso la formazione continua degli operatori dei servizi per l'infanzia non solo non può essere una formazione puramente tecnico-specialistica, ovvero legata ad apprendimenti disciplinari, ma è efficace proprio a condizione che attivi meta-riflessioni e solleciti il professionista nella complessità della sua persona: Occorre infine considerare che è possibile realizzare processi di sviluppo professionale e organizzativo attraverso congegni riflessivi di tutto il gruppo di lavoro che accompagnino i processi di apprendimento e di produzione di conoscenze condivise dentro i contesti lavorativi. In altre parole, pratiche educative competenti richiedono un sistema di supporto altrettanto competente. Questo allarga il concetto di competenza da un livello individuale a uno sistemico. sguardo più flessibile, più centrato non solo sul bambino ma anche sul contesto e sulle relazioni. In questa prospettiva, si possono ri-comprendere e ri-significare anche la valutazione e l'osservazione. Inoltre, data la specificità dei contesti educativi "zero-sei" e delle caratteristiche evolutive di questo segmento di vita, il progetto educativo deve sapere tenere insieme una pluralità di dimensioni, attivando un'intenzionalità progettuale che, in modo sistemico, valorizzi la dimensione cognitiva ma anche quella relazionale, quella affettiva e quella corporea. Infine, la tensione progettuale dispone ad aprirsi al nuovo e al cambiamento anche in una prospettiva temporale, annodando presente-passato-futuro. Il pensiero progettuale è un pensiero teso verso nuove possibilità, che vengono prefigurate non tanto sotto forma di azioni prestabilite quanto piuttosto nella predisposizione di contesti di apprendimento e di trasformazione, che promuovono il protagonismo del bambino, tenendo conto del suo presente ma anche della sua storia. L'ambiente, nelle sue connotazioni spazio-temporali e relazionali, è un fattore determinante per la crescita di ogni bambino, in modo particolare nel periodo evolutivo dagli zero ai sei anni. Valutare La progettazione, da sola, non può dar ragione dell'agire educativo: è costante la necessità di mettere in atto la valutazione, nella complessità dei suoi aspetti. Se l'esito dell'azione educativa non è separabile dal processo attraverso cui è stato raggiunto, la valutazione assume un valore essenziale, in quanto porta uno sguardo su entrambi gli aspetti offrendo la possibilità di raccogliere informazioni sui risultati e riflettere sui processi, permettendo quindi di rimodulare la pratica educativa. Attraverso le pratiche valutative è possibile dare valore alle esperienze, portare alla luce i cambiamenti. Ciò permette al personale educativo di poter disporre di un panorama complessivo dei processi, delle attività, delle criticità e delle risorse. Nella prospettiva dello "zero-sei", inoltre, è importante assumere la valutazione in un'accezione specifica, concorde con le peculiarità dell'età dei bambini ma anche dei servizi. In questo segmento educativo, infatti, non si può pensare al processo valutativo come mero atto di rilevazione degli apprendimenti, poiché l'influsso del contesto educativo è imprescindibile e, pertanto, va assunto nel processo di valutazione. In un senso ancora più sostanziale la valutazione non può essere disgiunta da una prospettiva eminentemente formativa (e non meramente sommativa). Per chi lavora nei contesti educativi, specialmente con i bambini, è fondamentale tenere sempre viva una domanda: quale finalità si attribuisce alla valutazione: un significato diagnostico o un significato formativo? Solo in una logica formativa la valutazione mantiene coerente la sua finalizzazione rispetto alla riprogettazione degli interventi, in ordine alla promozione della crescita dei bambini e delle bambine. Alla luce di queste riflessioni, è fondamentale riconoscere che non esiste un metodo di valutazione che possieda una validità assoluta, così come già enunciato per la progettazione e la documentazione. La scelta dei metodi avviene in funzione degli obiettivi che ci si pone, o al problema che si vuole approcciare. In questo senso, il valore di un processo valutativo non risiede in modo esclusivo nel tipo di strumenti e approcci assunti, quanto piuttosto nella consapevolezza del significato che si conferisce al processo di valutazione e dalla conseguente (e coerente) opzione metodologica. I valori e le finalità educative rappresentano l'orientamento di senso dell'azione valutativa e ne "condizionano" le opzioni metodologiche. Questi stessi criteri semantici costituiscono poi i filtri attraverso cui vengono interpretati i dati raccolti e orientati i processi trasformativi. Poste tali premesse, è al tempo stesso importante sottolineare il fatto che spesso le prove standardizzate non risultano adatte all'età dei bambini e alle specificità dei contesti "zero-sei". In una logica formativa, paiono più consoni gli strumenti qualitativi (dall'osservazione nelle sue molteplici forme e modalità all'ampia gamma dei metodi qualitativi e narrativi), in quanto si collocano in una prospettiva di personalizzazione dell'azione educativa, di assunzione della tensione formativa, di promozione di "sguardi" contestualizzati. La valutazione del bambino, che generalmente confluisce in un profilo personalizzato, è un atto estremamente delicato e complesso. Innanzitutto vi è un inscindibile legame tra lo sviluppo del bambino ed il contesto, che non può rimanere fuori dai processi di valutazione, ma soprattutto, si tratta di portare alla luce un percorso evolutivo che, in prima istanza, è un percorso di vita, che ha portato alla realizzazione di conquiste nell'ambito dell'autonomia, dell'identità, della socializzazione, degli apprendimenti e delle competenze specifiche. Emblematico, in tal senso, è un passaggio contenuto nelle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione (MIUR, 2012): L'attività di valutazione risponde a una funzione di carattere formativo, che riconosce, accompagna, descrive, documenta i processi di crescita, evita di classificare e giudicare le prestazioni dei bambini, perché è orientata a esplorare e incoraggiare lo sviluppo di tutte le potenzialità. Sposando fino in fondo una logica formativa e di centralità del bambino, è importante considerare l'opportunità di lasciare spazio anche al bambino stesso nel processo valutativo, con modulazioni diverse in relazione all'età, affinché possa prendere atto delle proprie conquiste (le veda, le osservi, le riconosca). È altrettanto fondamentale sottolineare il fatto che l'atto valutativo non può lasciar fuori nemmeno i genitori. Infine, ricordiamo un ulteriore valore attribuibile alle pratiche valutative: sul versante delle educatrici e delle maestre la valutazione costituisce un momento irrinunciabile per sviluppare un'autocomprensione riflessiva e critica del lavoro svolto, attraverso una rielaborazione personale e collegiale delle esperienze. In questa prospettiva, la valutazione aiuta a conferire senso ai processi, alle scelte, alle pratiche, ai vissuti. L'atto valutativo permette di distanziarsi dall'esperienza e di provare a ri-analizzarla, quindi anche a ri-leggerla, ri-conoscerla, ri-definirla, migliorando il proprio agire professionale.  Strumenti e scale di valutazione Pur non essendo esaustiva, può essere utile una breve rassegna degli strumenti di valutazione della qualità della Scuola dell'infanzia o del nido, iscrivibile nel modello della valutazione formativa, o strumenti finalizzati all'analisi di momenti/aspetti particolari:  scale di valutazione della qualità nel nido (ITERSSVANI, ISQUEN..);  scale di valutazione della qualità nella Scuola dell'infanzia (SOVASI, AVSI, ASEI, DAVOPSI, PraDISI), strumenti di valutazione legati ad aspetti specifici (SVALSI per i gioco di finzione, ERVISI per l'integrazione scolastica);  si veda anche la Guida ERATO, uno strumento di analisi multidimensionale delle pratiche educative (SVANI);  si segnala altresì il RAV (il Rapporto di Autovalutazione), introdotto nella Scuola dell'Infanzia con la nota a.1738 del 2 marzo 2015. Il RAV si pone come interessante documento valutativo che permette di porre attenzione al contesto educativo (e non solo agli apprendimenti del bambino o della bambina). Documentare La documentazione, spesso ricondotta alla funzione della memoria, è in realtà anche un importante atto di autoformazione, uno strumento che sostiene la valutazione, un elemento fondamentale per tracciare l'identità di un servizio. A tutti gli effetti, la documentazione è comunicazione, esplicitazione, valorizzazione dell'agire educativo. La documentazione, infatti, rappresenta uno strumento particolarmente efficace, poiché atto a testimoniare tanto un'operosità educativa quanto un pensiero pedagogico su cui poggiano le azioni e gli interventi con/per i bambini. In questo senso, se condotta con rigore e competenza, la documentazione della vita al nido o alla scuola dell'infanzia può costituire non solo un imprescindibile momento di autovalutazione ma anche un dispositivo per dialogare con le famiglie, mostrando i processi e gli esiti di un fare/pensare animato da una precisa idea di bambino e di educazione. Il progetto educativo del servizio può pertanto prendere corpo e trovare espressione in una molteplicità di documenti (redatti con diversi codici e materiali), che non hanno un mero scopo illustrativo ma un obiettivo più profondo di comunicazione di un progetto, di una cultura educativa, di una cultura dell'infanzia. Al tempo stesso, la documentazione è un processo strategico anche per il fatto che permette di valorizzare la storia e la cultura di un servizio o di una scuola, senza vanificare le esperienze pregresse, bensì valorizzandole come un autentico patrimonio educativo. Il riconoscimento della dimensione storica, lungi dal dare voce ad atteggiamenti nostalgici e a pratiche ripetitive, ha quindi il compito di garantire il senso della continuità e della generatività delle esperienze. Il far memoria, nel suo significato più autentico, preserva dalla riproduzione acritica di modelli relazionali e di pratiche educative, poiché permette di rivisitare con sguardi inediti il passato, per aprire spiragli di rinnovamento nel presente e per il futuro. La documentazione si presenta quindi come un passaggio efficace per coltivare nei servizi e nelle scuole una disposizione alla riflessività . Si tratta, in tal senso, di produrre una documentazione che permette d'interrogare le proprie azioni, i vissuti che le connotano, i pensieri e le intenzioni che le animano. Lavorare sulla documentazione significa, in ultima istanza, approfondire i riferimenti di senso che orientano le proprie scelte, darne ragione, comprendere e far comprendere il proprio agire educativo, rivelando l'identità del servizio. D'altro canto, non possiamo dimenticare che il lavoro educativo implica la responsabilità di esplicitare le ragioni del proprio agire educativo: a se stessi in primis, ma anche ai colleghi, ai genitori, ai bambini. Ciò che emerge da queste riflessioni sullo specifico valore pedagogico della documentazione è il fatto che il documentare non può essere semplificato e ridotto al mostrare, dimostrare, presentare. In quanto dispositivo essenziale dell'azione educativa, rientra in quel fondamentale impegno di ogni educatore ed insegnante di dar valore al bambino e al suo percorso educativo, al suo modo di apprendere ed incontrare il mondo, di costruire significati ed entrare in relazione. In questa prospettiva, il valutare e il documentare si saldano nel comune intento di promuovere la riflessione sulla pratica educativa, come pure la riflessione sui processi che i bambini realizzano quando si trovano in situazioni di apprendimento.
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