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J.A. Goldstone, Perché l'Europa? L'ascesa dell'Occidente nella storia mondiale 1500-1850, Sintesi del corso di Storia Moderna

Riassunto del libro per l'esame di Storia Moderna - Scienze della formazione primaria - unimore

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 20/01/2019

Dario.Marini_Ricci
Dario.Marini_Ricci 🇮🇹

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Scarica J.A. Goldstone, Perché l'Europa? L'ascesa dell'Occidente nella storia mondiale 1500-1850 e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! 1 Introduzione La Terra: una visione globale Se guardassimo la Terra con uno strumento che misura solo l’energia elettrica prodotta dalle singole aree, i continenti sembrerebbero molto diversi e scopriremmo una situazione curiosa. Alcune aree della Terra producono più energia di altre, ad esempio il solo Nord America (Canada + Stati Uniti) produce quattro volte l’energia elettrica del resto delle Americhe, o la sola Europa produce un’energia quasi sette volte maggiore di tutta l’Africa che è ben più grande dell’Europa. La maggior parte dell’energia viene prodotta e consumata dove vivono relativamente poche persone, cioè una quota piccola della popolazione del pianeta produce e consuma la maggior parte dell’energia elettrica: in breve, il gruppo ristretto di persone che vive in alcune regioni è ricco, quello più numeroso che vive nelle restanti regioni è povero. Perché tutto questo? Verrebbe spontaneo pensare che le popolazioni ricche abbiano portato via le risorse a quelle povere, o che abbiano impedito loro di accadervi. Questo non è del tutto vero: le regioni povere infatti hanno una maggior quantità di risorse naturali ed energetiche ma spesso le sprecano oppure le scambiano volontariamente con altri beni. Potremmo pensare allora che la popolazione delle regioni più ricche sia stata e sia tuttora molto dotata e intelligente e che quindi abbia sviluppato e continui a sviluppare capacità particolari nella produzione di energia. Neanche questo è del tutto corretto: molti dei popoli che abitano le regioni povere hanno alle spalle civiltà molto raffinate, dotate di grandi abilità artigiane, sistemi filosofici complessi e letterature straordinarie. Dunque le aree più ricche per puro caso si sono trovate ad avere un sapere magico che permette di produrre e usare questa energia sottratta ad altre zone? Neanche questo è vero: i libri, l’istruzione e i mezzi di comunicazione i regni musulmani e i sultanati del Nord Africa, che resistevano alle irruzioni europee; dalle terre bagnate dal Mediterraneo orientale i turchi ottomani (la cui capitale, Istanbul, era la Costantinopoli dei bizantini) avanzavano via via nell’area balcanica tanto che nel 1500 avevano già occupato la Grecia e buona parte dei Balcani e poco dopo si spinsero fino a Vienna. 4 In Europa prima di spagnoli e portoghesi i più grandi navigatori furono i vichinghi (nei mari del Nord) e gli italiani (nel Mediterraneo): i primi in particolare dal nord della Scozia raggiunsero l’Islanda, la Groenlandia e persino il Nord America, ma senza attraversare il “ventre” dell’Atlantico. Intanto i veneziani e i genovesi navigavano, commerciavano e si insediavano nel Mediterraneo orientale senza però spingersi oltre il Mar Nero e nelle loro navi portavano in Europa le ricchezze dell’Asia. Nel concreto l’Europa occidentale era richiusa, circondata dall’oceano aperto a ovest e dall’impero ottomano a est. Le civiltà del Medio Oriente e dell’Asia non avevano queste restrizioni: i mercanti arabi viaggiavano nel Nord Africa e in Spagna, navigavano lungo le coste del Mar Rosso e quelle orientali dell’Africa, costeggiavano la penisola arabica, attraversavano l’Oceano Indiano, e le loro carovane tra l’altro si spingevano ai confini della Cina attraverso itinerari via terra tra cui la celeberrima “Via della seta”; i mercanti indiani si spostavano sia verso Occidente, attraverso l’Oceano Indiano e fino all’Africa e all’Arabia, sia verso Oriente, attraverso il Golfo del Bengala e fino al Sud-Est asiatico; circa un secolo prima di Colombo i cinesi avevano costruito flotte enormi di velieri che navigavano fino all’Africa. In breve, tutti questi mercanti si muovevano liberamente nel mondo asiatico mentre quelli europei restavano “imbottigliati” tra regni e possedimenti islamici. Questo spiega perché Colombo viaggiò attraverso l’Atlantico e perché poi i portoghesi continuarono a scendere lungo le coste africano fino a raggiungere il cuore dell’Oceano Indiano navigando verso est e dopo verso nord: in entrambi i casi si cercava una rotta diretta per le ricchezze dell’Oriente. Navigando verso Occidente Colombo sperava di girare attorno al mondo e di arrivare in Cina o in India e cioè nel mitico “Oriente”, ma sperava anche di arricchirsi e di trovare le leggendarie “isole delle spezie” per conto del suo re e della sua regina: in realtà il suo viaggio, insieme a quelli che seguirono, pose 6 montagne, mentre la zona settentrionale (dalla Gran Bretagna alla Russia) riceve piogge più abbondanti ed è più fredda. Nel complesso tutta l’Europa ha un clima umido in inverno e asciutto e caldo in estate che permette un’agricoltura fondata sia sui cereali asciutti sia sulla coltivazione di frutta e ortaggi. La seconda zona è il blocco composto da Asia centrale e Medio Oriente, grosso modo dagli Urali al confine della Cina. In molti luoghi della regione non cade una pioggia tale da permettere la crescita di foreste o un’agricoltura stanziale, perciò soprattutto nell’Asia Centrale prevalgono le popolazioni nomadi che allevano cavalli, cammelli, bovini, pecore e capre e che vivono nei pressi di praterie; fanno eccezione le regioni soggette a inondazioni stagionali dovute ai fiumi, come il Nilo in Egitto e l’Eufrate in Mesopotania, dove la concentrazione di acqua e l’irrigazione estesa ha permesso una ricca agricoltura e il mantenimento di grandi civiltà. Una terza zona si colloca più a sud e a est e comprende India, Cina, Corea, Giappone e Sud-Est asiatico: è la regione dei monsoni, caratterizzata da forti venti stagionali, inverni asciutti e estati piovose. I venti invernali vengono dall’Asia centrale e portano un’aria fresca e asciutta, ma in estate i venti cambiano direzione e vengono dalle calde acque dell’Oceano Indiano e dell’Oceano Pacifico e perciò prendono l’umidità dagli oceani e lasciano cadere piogge abbondanti sulla zona monsonica. In conclusione: • gli inverni freddi e piovosi e le estati asciutte dell’Europa dipendono dalle dinamiche atmosferiche al di sopra dell’Atlantico. • la maggior parte dell’Asia centrale e del Medio Oriente riceve poca pioggia dagli oceani ed è una zona arida con deserti e praterie, eccezion fatta per le ricche terre irrigue lungo i grandi fiumi. • in Asia orientale e meridionale il clima dipende da venti mutevoli stagionalmente e in particolare dalla stagione dei monsoni, quando cioè i 7 venti estivi provenienti dagli Oceani Pacifico e Indiano fanno cadere sulla regione piogge abbondanti e calde. Queste differenze hanno grandi conseguenze per l’agricoltura, soprattutto se combinate con le diverse condizioni del suolo. In Europa il terreno è in prevalenza poco profondo e calcareo oppure sabbioso, roccioso o coperto da foreste di latifoglie. Per diventare coltivabile e fertile questa terra deve essere lavorata con fatica e con una grande quantità di bestiame agricolo. I terreni più duri delle aree forestali furono lavorati solo a partire dal Medioevo (X secolo in particolare), quando l’uso di aratri pesanti con la punta di ferro permise ai contadini di portare in superficie un nuovo strato di terreno; sicuramente questi aratri ripulivano il terreno dalle erbacce e lo ossigenavano attraverso l’azione combinata di vomere e versoio ma erano ancora abbastanza rozzi e richiedevano un lavoro enorme. Poiché in Europa la pioggia cade in genere in inverno e non nella stagione di crescita estiva, bisognava piantare colture resistenti: gli europei dunque coltivavano orzo, grano, avena, fagioli e miglio, ma siccome il terreno era povero e gli animali dovevano essere nutriti i due terzi della terra erano destinati al pascolo, tenuti a maggese o lasciati a riposo per un anno per accrescere la fertilità. Al contrario, i contadini della zona dei monsoni orientali avevano terreni migliori e estati con clima piovoso: in Cina ad esempio i contadini lavoravano un terreno più leggero e fertile usando un aratro più leggero e più efficiente ottenuto fondendo il vomere e il versoio in una sola curva di metallo uniforme, cosicché In tutta l’Asia le società agricole crearono reti di canali, fossi e sbarramenti per deviare le acque dei fiumi verso i terreni produttivi: si trattava di schemi di controllo idrico realizzati e gestiti dalle élite locali e dalle comunità. Il potere centrale in genere creava piani di gestione delle acque per 9 incrementare il commercio e le possibilità di circolazione delle persone, come il Gran Canale della Cina che fu costruito per portare i tributi in granaglie dall’area risicola del delta del Fiume Azzurro fino a Pechino, capitale del nord; ma questo canale (il più lungo del mondo, completato nelle sue parti principali entro il VII secolo) fu solo uno dei tanti progetti di controllo idrico elaborati dai popoli asiatici. I popoli asiatici producevano anche molti materiali pregiati non disponibili in Europa. Sin dai tempi dell’impero romano i cinesi avevano prodotto seta dai bachi (allevando i bachi, cuocendo a vapore i bozzoli per ucciderli ed evitare che diventassero farfalle e riducendo i bozzoli in fili) e per secoli i tessuti di seta furono scambiati da una parte all’altra dell’Asia e diedero il nome di “Via della seta” a quell’insieme di itinerari commerciali. Verso il XIII secolo anche gli europei impararono a produrre la seta ma la seta cinese e asiatica continuò ad essere esportata in Occidente per tutta l’età moderna. Ai tempi di Colombo, la Cina e l’India stavano iniziando a produrre il cotone pregiato, non disponibile in Occidente: fino al Settecento infatti il cotone era disponibile solo in Asia e per lungo tempo i britannici importarono enormi quantità di panni di cotone tessuto. L’Asia orientale era molto avanzata anche nell’ingegneria dei metalli. I cinesi padroneggiarono la fusione del bronzo pesante quasi contemporaneamente all’elaborazione della scrittura, furono in grado di fondere utensili di ferro mille anni prima degli europei, svilupparono la magnifica arte della ceramica e della porcellana. I cinesi tra l’altro elaborarono anche una carta poco costosa e una tecnica di stampa con caratteri di legno, ebbero grandi biblioteche ma anche monete cartacee molto prima dell’Europa e dall’800 al 1200 gli intermediari arabi vendettero agli europei carta asiatica prima che in Europa si imparasse a produrla. Infine, l’Asia era anche fonte di spezie, unguenti, profumi, poi anche di tè e di caffè (ma quest’ultimo commercio si sviluppò oltre cento anni dopo il 11 Capitolo secondo Modelli di cambiamento nella storia mondiale Quando immaginiamo il cambiamento sociale in un periodo lungo tendiamo a pensarlo secondo questo schema: i prezzi salgono, la popolazione cresce, le città si espandono, la tecnologia fa progressi; quando però pensiamo all’epoca moderna notiamo che il ritmo del cambiamento è diverso e le trasformazioni sono più veloci. La realtà non è così semplice. Molti dei grandi imperi del passato sono nati con l’innesco di una rapida espansione e trasformazione sociale, ma questi eventi avevano un impatto limitato perché in genere erano interrotti da capovolgimenti improvvisi come pestilenze, guerre, rivoluzioni e calamità varie; seguivano così cali demografici, contrazioni nell’urbanizzazione e nel commercio, perdite delle innovazioni tecnologiche, e queste ‘fasi di declino’ spesso erano seguite da lunghi periodi di stabilità con popolazione, prezzi, città e tecnologie inalterati. Ciò che rende diverso il mondo diverso non è solo il ritmo del cambiamento. Prima dell’Ottocento e del Novecento il mutamento economico seguiva uno schema ciclico, fatto cioè di fasi di incremento, di declino e di stagnazione; a partire dal 1800 invece in Europa il mutamento economico ha conosciuto una crescita accelerata in cui popolazione, città e innovazioni tecnologiche sono cresciute in ogni decennio con una rapidità mai vista: nel 1800 la popolazione mondiale contava circa un miliardo di persone, nel 1900 si toccò quota 1,7 miliardi, nel 2000 si è arrivati a 6 miliardi. Anche altri fattori sociali cambiarono in fretta. Prima del 1800 nelle grandi società in genere viva nelle grandi città massimo il 10-15%, verso il 1760 gli agricoltori europei e americani usavano le stesse attrezzature introdotte nel 1300 e fino al 1800 chi viaggiava via terra si spostava ancora a piedi, a cavallo o al massimo su carrozze. Negli ultimi duecento anni le cose sono cambiate tantissimo: oggi nelle grandi società più di metà della 12 popolazione vive nelle grandi città e ogni decennio sono comparsi nuovi modi e mezzi di trasporto e di produzione (fino al 1950 la gente comune non viaggiava su aerei a reazione!). Quando e dove è iniziato questo passaggio dal cambiamento ciclico (modello premoderno) alle trasformazioni accelerate (modello moderno)? 1. Le dinamiche del mutamento erano diverse in Asia e in Europa? Secondo alcuni studiosi i meccanismi del mutamento sociale europeo si sono differenziate da quelle di altre aree del mondo da molto tempo, forse dal Medioevo e sicuramente già verso il 1600. Secondo Karl Marx, ad esempio, negli ultimi duemila anni la società dell’Europa occidentale ha avuto diversi tipi di rapporti sociali nella produzione: nella Grecia classica e nell’antica Roma la società era guidata da una élite di cittadini che dominava sugli schiavi, nel Medioevo la nobiltà feudale aveva il potere a svantaggio dei contadini, nel Rinascimento emerse un’élite urbana fatta di burocrati, finanzieri e mercanti, nell’Ottocento i ricchi capitalsti controllavano una società industriale in cui la popolazione contava perlopiù lavoratori salariati; al contrario, fino all’Ottocento le principali società asiatiche non avevano mai superato lo stadio antico o feudale dello sviluppo sociale e quindi i rapporti di classe non cambiavano nei secoli. Altri studiosi hanno fatto ipotesi simili ma sulla base delle trasformazioni tecnologiche: ad esempio secondo Levine in Europa queste iniziarono ad aumentare a partire dal Mille, quando l’uso dei paese in Europa si tenne fuori dalla ciclicità del mutamento sociale di lunga durata (ad esempio l’Olanda fiorente del Cinque e Seicento conobbe un calo economico se non proprio un declino nel Settecento). Dunque fissare l’attenzione sulle innovazioni tecnologiche europee può far sembrare l’Europa più creativa quando invece anche la tecnologia asiatica 1 4 all’epoca elaborava innovazioni importanti anche se diverse. Ad esempio dal Cinquecento al Settecento i cinesi svilupparono nuove tecniche di coltivazione e nuove tecnologie per la produzione di ceramica, cotone e tessuti di seta e ampliarono il commercio con l’estero e l’estrazione di carbone, tutte innovazioni che garantirono un livello di vita più alto rispetto all’Europa. Anche se nel Nord-Europa le donne si sposavano più tardi non vuol dire che solo gli europei controllavano la crescita demografica nei periodi difficili: le popolazioni asiatiche semplicemente usavano altri metodi per affrontare i tempi duri, ad esempio gli uomini lasciavano le famiglie per lavorare in città o in regioni lontane, le vedove tendevano a non risposarsi, i neonati a volte erano uccisi o fatti morire di fame; dunque in definitiva le donne asiatiche si sposavano prima di quelle europee ma non avevano più figli che sopravvivevano. In breve: fino al 1750 le trasformazioni in ambito demografico, agricolo, tecnologico e nei livelli di vita in Asia orientale e in Europa occidentale non furono molto diverse. Questo non deve sorprendere: fino a un’epoca recente tutte le società del mondo erano colpite inevitabilmente dagli stessi fattori come il clima e le malattie, tutte dipendevano dal cibo che potevano coltivare e dagli stessi materiali fondamentali per vestirsi e costruirsi ripari, tutte avevano animali domestici da cui ricavare cibo e altri prodotti, tutte dipendevano da un qualche commercio per procurarsi risorse che non potevano produrre da sé, tutte (tranne quelle che vivevano isolate, come l’Australia e l’America precolombiana) erano soggette al contagio da parte di malattie di varia origine. E’ quindi necessario capire le dinamiche del clima e delle malattie e le modalità con cui esse influenzarono le società. 2. Cambiamenti climatici, malattie e cicli storici di lunga durata 1 6 Cinquecento e nel Seicento le malattie trasmesse da europei e africani uccisero l’80-90% dei precolombiani, privi di difese nei loro confronti. In breve, in tutta l’Eurasia l’ultimo millennio ha conosciuto mutamenti ripetuti e regolari nelle dinamiche del clima e delle malattie, a loro volta causa di variazioni climatiche cicliche; queste variazioni demografiche a loro volta influenzavano altri aspetti della società (ad esempio le trasformazioni di lungo periodo di prezzi, redditi e urbanizzazione). 3. Dinamiche dei prezzi, della popolazione, dell’urbanizzazione e dei redditi In genere le fasi in cui i prezzi crescevano erano anche periodi di boom economico e demografico e di espansione delle città e dei commerci. Ad esempio in Inghilterra durante la «rivoluzione dei prezzi» (1550-1650) la popolazione salì da 3 a 5 milioni, ma durante l’«equilibrio dei prezzi» (età dell’Illuminismo) calò sotto i 5 milioni e poi rimase stabile; poi la crescita riprese e durante la rivoluzione dei prezzi del Settecento (1730-1850) la popolazione inglese triplicò (quasi 17 milioni!). Situazioni simili si registrano in tutta l’Eurasia, dove il Cinquecento fu ovunque un periodo di crescita della popolazione e delle città e di aumento dei prezzi. Nel Seicento però questi stessi fattori conobbero un periodo di stagnazione e poi di declino. Questi fattori avevano lo stesso andamento perché erano tutti connessi alle attività della popolazione. Se il clima migliore o la riduzione delle malattie permettevano alla popolazione di una regione di crescere, in genere salivano anche i prezzi dei generi alimentari, la popolazione produceva più cibo o più beni da scambiare con il cibo e così cresceva il commercio, si ingrandivano i centri urbani dove i mercanti operavano, andavano in città in cerca di impieghi coloro che non avevano terre o lavoro in campagna. 17 Cicli del genere però si invertivano in presenza di malattie o di climi cattivi, che bloccavano per decenni la crescita demografica: in queste fasi di contrazione il commercio si bloccava, i mercanti fallivano, i prezzi dei generi alimentari si stabilizzavano o crollavano, i flussi dalla campagna alla città si arrestavano; l’unica nota positiva era l’aumento dei salari degli operai comuni, perché con il calo dei prezzi dei generi alimentari le persone potevano acquistare più cibo. In breve, la storia della vita materiale negli ultimi 1000-2000 anni ha avuto fasi di crescita e fasi di contrazione con un progresso limitato. Fino al 1800 in Inghilterra e in Olanda gli operai generici avevano lo stesso compenso dei lavoratori di 300 anni prima; nel 1800 la gente comune poteva avere accesso a un maggior numero di prodotti ma poteva permettersi lo stesso cibo o lo stesso alloggio che potevano permettersi i loro antenati. Nei secoli si alternarono periodi favorevoli a mercanti e proprietari terrieri e periodi favorevoli ai lavoratori e in generale la storia economica mondiale precedente al 1800 era ricca di alti e bassi e i livelli di vita oscillavano all’interno di estremi costanti. Non c’erano grandi differenze tra regioni diverse, ad esempio tra Europa e Cina? Le trasformazioni alla fine non resero più ricchi e avvantaggiati gli europei già prima del 1800? Le fonti disponibili non sostengono questa prospettiva e in generale si può dire che in tutta l’Eurasia grosso modo ci fossero condizioni simili in fatto di qualità dell’alimentazione, di durata della vita e anche di reddito. E proprio questo bilanciamento nel reddito potrebbe sorprendere: quindi gli europei non erano i più avanzati dal punto di vista tecnologico? nella produzione di tessuti di cotone; il mondo musulmano eccelleva nella produzione di spezie e tappeti pregiati; in Europa Venezia produceva il vetro più prezioso, i Paesi bassi eccellevano nella pesca e nell’arte della stampa… Proprio questa dispersione dei talenti tecnologici alimentò il commercio globale che collegava tra loro Europa, Asia e Africa sin dall’epoca romana. Dunque possiamo dire che le innovazioni e le trasformazioni tecnologiche prima del 1800 erano discontinue: tecnologie diverse erano 19 messe a punto in momenti e luoghi diversi e non avevano ulteriori evoluzioni; queste innovazioni davano grandi benefici ma restavano sporadiche e isolate e quindi non potevano far balzare in avanti le società (come invece hanno fatto le innovazioni accelerate e interconnesse degli ultimi 200 anni!). Consideriamo ora le due principali trasformazioni avvenite in Gran Bretagna: la Rivoluzione agricola e la Rivoluzione industriale nei suoi primi stadi. Entrambe ebbero luogo prima del 1800: perché non hanno lasciato alcun segno sul livello di benessere materiale britannico? 5. Cambiamento o rivoluzione? Le trasformazioni agricole e industriali prima del 1800 A lungo nelle scuole europee e americane si insegnava che l’ascesa dell’Occidente ebbe inizio in Inghilterra nel Seicento e Settecento, quando una rivoluzione agricola portò la produttività nel settore primario a livelli mai raggiunti; questa svolta permise di nutrire i molti uomini che lavoravano nelle nuove fabbriche alimentate dall’energia idraulica e diede inizio alla Rivoluzione industriale. Questa storia in realtà è un mito. Sicuramente ci furono delle trasformazioni nell’agricoltura inglese che consentirono una produzione maggiore, ma non fu una vera e propria rivoluzione se per «rivoluzione» s’intende il raggiungimento di livelli di produttività inediti. Nel Cinquecento e Seicento gli olandesi e poi gli inglesi iniziarono ad estendere i metodi di agricoltura intensiva ad aree più vaste; usando più concime animale e combinazioni diverse di frumento e foraggio e destinando le colture ai terreni più adatti gli agricoltori inglesi non solo nutrirono una popolazione che nel 1750 era la stessa di un secolo prima ma riuscirono a farlo con un terzo di contadini in meno. 21 filatoi alimentati ad energia idraulica; nell’aumento della produzione e dell’uso del carbone; nello sviluppo di un’industria domestica della ceramica; nella produzione di beni in ferro e acciaio. Furono dunque progressi straordinari per la Gran Bretagna, ma molti di essi in realtà erano stati già compiuti da tempo dalle civiltà avanzate dell’Asia (che producevano già tessuti di cotone, porcellane e ghisa di qualità e in gran quantità). In molte regioni asiatiche nel Seicento e Settecento le industrie di seta, cotone e porcellana ampliarono moltissimo la produzione e resero insignificante tutto ciò che si vedeva in Europa; sicché nel pieno Ottocento i britannici ancora cercavano beni da scambiare con la Cina (dato che i cinesi davano scarso valore ai prodotti europei giudicati inferiori) e così incoraggiarono la coltivazione in India dell’oppio (droga che crea assuefazione) e costrinsero i cinesi ad accettare l’importazione di questo bene come mezzo per finanziare il commercio britannico. In sintesi, prima del 1800 Gran Bretagna e Cina avevano conosciuto grandi trasformazioni a livello economico e incrementi nella produzione di generi alimentari e tessuti di cotone, ma nessuno dei due paesi aveva conosciuto una vera e propria svolta verso livelli di vita più alti e anzi entrambe le società operavano ancora nel quadro dei cicli di lungo periodo. Il meccanismo di una crescita economica incrementale è comparso solo dopo il 1800, quando emerse prima in Inghilterra e poi via via nel resto del mondo. Dunque nel 1800 le civiltà agrarie avanzate dell’Europa e dell’Asia vivevano sostanzialmente allo stesso livello. E allora che cosa causò la loro rapida diversificazione? Forse il modo in cui pensavano o ciò in cui credevano? 2 2 Capitolo terzo Grandi religioni e cambiamento sociale Le religioni «politeiste», che cioè ammettono l’esistenza e la venerazione di più divinità, sono state diffuse in tutte le aree del mondo nel corso della storia e sussistono tuttora in alcune culture. Le religioni politeiste (oggi a volte e a torto definite «primitive») furono praticate da molte civiltà avanzate, come quelle della Grecia classica e dell’antica Roma, e in prevalenza si fondano su tradizioni orali o letterarie di grande raffinatezza e profondità morale. Un distacco dal politeismo però ebbe inizio nel mondo antico nella cosiddetta «età assiale», tra il 600 a.C. e il 630 d.C., un periodo eccezionale perché diede origine alle «grandi religioni» o «religioni mondiali»: ebraismo rabbinico, confucianesimo, buddhismo, induismo, cristianesimo e islam. 1. L’età assiale e le religioni della salvezza Tutte le religioni mondiali condividevano tre caratteristiche che le distinguevano dalle religioni politeistiche: in primo luogo esse guardarono al di là delle varie divinità e cercarono una sola entità fondamentale che si poneva all’origine dell’universo e del suo ordine e che poteva presentarsi in forme diverse come ad esempio Padre, Figlio e Spirito Santo nella trinità cristiana (i fedeli potevano individuare anche altre entità con elementi divini L’innovazione dell’età assiale fu l’affermazione di un codice morale virtuoso al posto dei rituali e dei sacrifici animali. I precetti per una condotta virtuosa erano spiegati in genere attraverso storie che mostravano le conseguenze di un comportamento corretto e di uno sbagliato e furono raccolti in testi sacri come il Vecchio e Nuovo Testamento, i Dialoghi di Confucio, i Veda e il Corano. Queste religioni promettevano salvezza o conforto dalle sofferenze terrene a patto che i codici morali fossero rispettati. 24 Nell’elaborare questi codici morali le grandi religioni si influenzarono tra di loro, ad esempio il cristianesimo e l’islam furono influenzati dall’Antico Testamento ebraico e dalla filosofia greca così come il buddhismo si sviluppò dall’induismo e poi a sua volta influenzò il confucianesimo. 2. Norme sacre e norme profane: lo scontro tra religione e impero L’affermazione delle grandi religioni diffuse nel mondo antico una preoccupazione per la condotta morale e pose un nuovo problema: come conciliare il bisogno di seguire la parola di un dio con l’obbligo di obbedire alle leggi dei sovrani mondani (re e imperatori)? Questo problema determinò vari mutamenti sociali negli ultimi 2000 anni e a questo problema furono trovate soluzioni diverse nelle diverse società e in diversi momenti. 1. Secondo un primo approccio, le stesse persone sono la guida sia in ambito religioso sia in ambito sociale. Ma questa soluzione non ha funzionato quasi mai: diventare una guida nella religione infatti richiedeva uno stile di vita preciso e spesso questo era troppo impegnativo per una élite di re, nobili e mercanti che poteva accettare di seguire un sacerdote nelle pratiche devozionali ma non di rinunciare al proprio potere o ai propri piaceri. E così i sovrani cercarono di trovare un’organizzazione sociale che permettesse di dividere potere e status tra re/imperatori e sacerdoti/profeti. Solo in Cina una soluzione del genere ha funzionato abbastanza bene. Dall’epoca di Confucio (VI a.C.) fino alla dinastia Song (XII d.C.) in Cina si diffusero varie religioni tra cui taoismo e buddhismo e a volte ci furono conflitti tra la corte imperiale cinese e i religiosi e in particolare i monaci buddhisti (ancora oggi alcuni leader religiosi buddhisti e il governo laico cinese si contendono la supremazia sul Tibet), ma a partire dalla dinastia Song il filosofo Zhu Xi (1130-1200) elaborò una dottrina che si basava sulle opere di Confucio e del suo discepolo Mencio e che propugnava come principi 26 comunità induiste, dove i religiosi (i «bramini») si dedicano all’istruzione e alla direzione spirituale mentre gli specialisti della politica e dell’economia si dedicano alla guerra, alla politica e alla produzione/gestione delle risorse. A partire dalla distruzione dello stato ebraico durante l’impero romano, questo approccio è stato adottato anche dall’ebraismo perché i rabbini sono specialisti della legge ebraica, della liturgia e dell’autorità spirituale ma non rivendicano alcun ruolo politico e/o economico. 4. Secondo un quarto approccio, i leader religiosi formano un potere distinto, separato dai sovrani secolari, dotato di territori e di autorità politica su una popolazione soggetta, il tutto in aggiunta all’autorità spirituale. Questa soluzione dà un potere enorme alle élite religiose e tende a creare conflitti tra capi religiosi e capi secolari, ognuno dei quali cerca di proteggere e accrescere il proprio potere. Sia il cristianesimo sia l’islam hanno usato diverse di queste soluzioni, in luoghi e momenti diversi. In molti paesi che seguono l’islam sunnita i religiosi hanno adottato il terzo approccio, operando nelle comunità locali come insegnanti e giudici ma senza avere un’autorità politica (non formano una gerarchia ma piuttosto piccolo gruppi di dotti/saggi). Nelle aree in cui prevale l’islam sciita invece i religiosi hanno creato una gerarchia compatta e hanno assunto un ruolo politico: secondo gli sciiti l’autorità politica e quella spirituale spettano ai discendenti del profeta Maometto, ma proprio perché la linea di discendenza diretta si è persa o interrotta alcuni religiosi sciiti credono che le guide religiose debbano avere un ruolo di rilievo negli affari sia religiosi sia politici; oggi ad esempio la Repubblica islamica dell’Iran (ex Persia) è guidata da un leader supremo e da un Consiglio dei guardiani che sono tutti guide religiose di alto rango (= l’Iran è il più grande paese al mondo guidato da un’élite religiosa). Il cristianesimo dal canto suo ha adottato vari approcci in diverse epoche. I primi cristiani spesso si ritiravano dalla società nei monasteri, e non 27 a caso il monachesimo è tuttora una componente molto influente del cristianesimo. I leader cristiani però organizzarono la propria chiesa anche in funzione di un coinvolgimento nella vita sociale: sotto l’impero romano la chiesa cristiana era una gerarchia di preti, vescovi e arcivescovi guidati dal papa (vescovo di Roma) e si preoccupava perlopiù di difendere la dottrina cristiana, di acquisire nuovi adepti e di lavorare per la salvezza dei fedeli; nel corso dei secoli però questa chiesa accumulò sempre più terreni e ricchezze e quando nel 476 d.C. l’impero romano d’Occidente crollò la gerarchia ecclesiastica in molti territori fu il solo potere rimasto; anche se la chiesa cattolica a volte collaborò con re e nobili germanici (Carlo Magno fu incoronato imperatore dal papa), tuttavia non mancarono nel Medioevo secoli di conflitti al termine dei quali i principali sovrani europei ottennero il pieno controllo politico dei propri territori e lasciarono al papa solo alcuni territori nell’Italia centrale (ma in ogni regno d’Europa molti vescovi e abati erano tra i signori e i nobili più importanti e ricchi e non di rado collaboravano con i capi politici – tanto che il re inglese e cristiano Giacomo I amava dire «senza vescovi, nessun re»!). Una forma di armonia tra governanti ed élite religiose si affermò anche nei territori della cristianità ortodossa orientale, dalla Grecia alla Russia: quando l’impero romano d’Occidente crollò nel 476 dopo anni di crisi, l’impero romano d’Oriente (o bizantino con centro a Costantinopoli, la “Nuova Roma”) sopravvisse e anzi prosperò come centro di cultura cristiana e di scambi tra Oriente e Occidente, adottando i riti e l’organizzazione tipici della «chiesa ortodossa orientale». Questo impero bizantino durò quasi mille anni a fare la differenza è stata la religione protestante, e calvinista in particolare, che emerse con la Riforma del Cinquecento e che avrebbe permesso tre svolte nella storia occidentale. a) La Riforma protestante impedì il sorgere di impero paneuropeo tale da imporre al continente un’ortodossia soffocante e anzi divise l’Europa occidentale tra stati protestanti (i più potenti furono Paesi Bassi, Inghilterra, Svezia e Prussia) e stati cattolici (i più forti furono Spagna, Francia e impero 2 9 austriaco), in competizione tra loro; proprio l’equilibrio della rivalità tra le entità in gioco permise lo sviluppo di moderni stati-nazione perché i sovrani cercarono di disciplinare i propri popoli per competere con gli stati rivali e per difendersi da essi (la varietà di fedi in Europa occidentale peraltro fece emergere una varietà di approcci in ambito politico, sociale ed economico). Al contrario, i grandi imperi asiatici rimasero fondamentalmente statici poiché riunivano milioni di persone sotto sistemi imperiali uniformi. b) La Riforma dissuase i suoi adepti dal destinare alla chiesa le proprie ricchezze: in particolare i seguaci del calvinismo concentravano la propria energia religiosa in una vita semplice ma industriosa, lontana dall’ozio e dalla ricchezza ostentata, basata su frugalità, modestia e impegno costante negli affari e nelle attività variamente utili; la dedizione al lavoro, al risparmio e all’investimento li portò ad accumulare profitti e a creare imprese grandi e potenti. In definitiva, la prosperità crescente delle comunità protestanti (e calviniste in special modo) stimolò l’eccezionale progresso materiale dell’Occidente. c) La fede protestante sminuiva l’autorità del papa e l’intercessione del clero e dei santi e dava grande rilievo alla lettura della Bibbia e al rapporto personale con Dio, causando così un’esplosione della stampa e dell’alfabetismo e una messa in discussione dell’autorità degli uomini di chiesa e stimolando il pensiero indipendente. Questi tre argomenti nel complesso affermano che la società occidentale era più dinamica e che la sua crescita e successiva superiorità erano inevitabili: venivano dunque a galla grandi differenze tra le principali religioni mondiali nonostante le pur presenti affinità. Questa interpretazione della storia è chiamata «orientalismo» e in sostanza si basa sulla convinzione che le società occidentali siano diverse da quelle orientali e superiori ad esse per vari aspetti. Idee del genere furono usate per giustificare l’imperialismo occidentale e tuttora molti occidentali vedono nelle società islamiche una civiltà diversa, a volte pericolosa, a volte arretrata. In realtà l’orientalismo e in 3 1 Piuttosto, si può dire il contrario. Molti studi di storia economica dimostrano che, per buona parte dei primi duemila anni dell’età cristiana, molte società orientali (India, Cina, Giappone, Medio Oriente) furono più ricche e potenti dell’Europa occidentale. La grandezza di Roma (cristianizzata a partire dal III d.C.) fu schiacciata prima dalle tribù germaniche, poi dagli arabi che diffondevano l’islam e infine dai turchi musulmani. Del resto, è vero che alla fine la tecnologica occidentale superò quella del resto del mondo, ma è anche vero che questo è successo solo nell’Ottocento e nel Novecento; per secoli invece i territori delle religioni orientali furono uguali o superiori a quelli cristiani economicamente, tecnicamente e militarmente. D’altra parte, le affermazioni sul protestantesimo e sul suo impatto sull’Europa occidentale sembrano esagerate. E’ vero che la Riforma divise la cristianità e agevolò l’affermazione di un sistema di stati in competizione tra loro anche religiosamente, ma è anche vero che questo sistema di stati concorrenti non fu una prerogativa dell’Europa: il subcontinente indiano è stato quasi sempre diviso tra musulmani, sikh e indù; il Sud-Est asiatico fu a sua volta diviso in molti stati in competizione tra loro; la Cina stessa, che pure fu un impero unificato a partire dal 1279, dovette competere militarmente con gli stati dell’Asia centrale fino a metà Settecento (quando l’Asia centrale passò in buona parte sotto il controllo cinese); il mondo islamico dal XII secolo in poi fu diviso tra stati belligeranti (soprattutto persiani, turchi e arabi). Tornando all’Europa, la mera appartenenza ad un sistema di stati in concorrenza tra loro non fu garanzia di progresso economico. Sicuramente non si può negare la prosperità della Gran Bretagna e dei Paesi Bassi, entrambi protestanti. Forse il protestantesimo è l’unica chiave per la crescita moderna? In realtà sul piano economico solo alcuni stati protestanti svolsero un ruolo guida in certi periodi mentre altri rimanevano indietro. Il protestantesimo emerse a inizio Cinquecento e il suo filone calvinista mise radici salde a Ginevra (Svizzera), in Scozia e nei Paesi Bassi. Per tutto il Cinquecento però in Europa il progresso e l’economia furono alimentate dalle 3 2 città cattoliche dell’Italia rinascimentale così come a capo delle esplorazioni e dei commerci globali ci furono i cristianissimi spagnoli e portoghesi; tutto questo mentre i paesi protestanti non facevano grandi progressi economici. Sicuramente l’Olanda divenne il cuore dinamico e il leader tecnologico dell’Europa occidentale in un periodo del Seicento («Età dell’oro olandese»), ma fu un periodo breve se si considera la crisi che colpì l’Olanda a metà Settecento (soprattutto la manifattura e la navigazione). D’altra parte dal 1750 in poi la Gran Bretagna protestante divenne sì il paese industriale-guida ma va precisato che poco dopo la imitarono Belgio e Francia, paesi cattolici in fase di rapida industrializzazione (mentre altri paesi protestanti come la Prussia o la Svezia restavano indietro). Che dire, infine, della tesi secondo cui il protestantesimo indebolì l’autorità religiosa e filosofica e stimolò la moderna Rivoluzione scientifica? Sicuramente alcuni protagonisti dello sviluppo della scienza e della tecnologia moderne furono protestanti (Keplero, Boyle, Newton, Watt…), ma è anche vero che le sfide più drammatiche all’autorità della chiesa vennero proprio da tre cattolici dell’Europa centrale e meridionale ovvero Copernico, Galilei e Cartesio: Copernico, padre della teoria eliocentrica (= il Sole è al centro del sistema solare), era un prete cattolico e dedicò il suo libro al papa; Galileo difese e propugnò il sistema copernicano in Europa e soprattutto per questo la chiesa cattolica gli impose l’abiura e lo ridusse a una sorta di arresti domiciliari; Cartesio, convinto che per la salvezza non bastasse la sola grazia di Dio ma servissero anche la ragione e le buone azioni, fu perseguitato e costretto alla fuga per le sue idee eretiche. poco, la potenza dominante nel mondo: per giustificare questa posizione dunque gli europei cercarono gli elementi che, nella storia e nella società, spiegassero questa recente potenza; sottolineando la peculiarità delle proprie religioni gli europei (e soprattutto i protestanti inglesi) si convinsero che la loro ascesa fosse non solo inevitabile ma anche meritata moralmente. 34 5. Tolleranza o ortodossia: stabilità in cambio di crescita Società diverse in epoche diverse hanno avuto un ruolo guida nell’innovazione tecnologica e nella crescita economica: la Spagna del Medioevo, l’Italia del Rinascimento, l’Olanda dell’Età dell’oro, l’Inghilterra della Rivoluzione industriale conobbero ognuna una straordinaria fioritura. C’è qualcosa che “regola” l’avvento e il declino di questi periodi eccezionali? In verità queste epoche sembrano accompagnate da un fattore religioso importante cioè la compresenza di più religioni in un clima di pluralismo e tolleranza, mentre il declino è spesso segnato dal ritorno o dall’imposizione di un’ortodossia religiosa intransigente. Quando sorse in Medio Oriente nel VII secolo l’islam andò a mescolarsi con le tradizioni preesistenti (ebraiche, cristiane, zoroastriche), in poco tempo gli arabi partendo spesso dalla cultura greca innovarono nel campo della matematica, della filosofia e delle scienze naturali e per oltre 700 anni l’islam guidò i progressi scientifici nel mondo in un clima di tolleranza verso popoli diversi anche per religione. Il declino della scienza e della tecnologia colpì però il mondo islamico già nel XII secolo, quando alcuni intellettuali islamici più rigoristi proposero di porre alla base dell’educazione gli insegnamenti tradizionali dell’islam: tra il 1200 e il 1500 i centri scientifici del mondo musulmano, in primis quelli in Mesopotamia e Spagna, persero la loro vitalità anche a causa della diffusione di idee religiose conservatrici. Nel Quattro e Cinquecento la società più dinamica del Vicino Oriente era l’impero ottomano, che vantava grandi capacità organizzative e tecnologie militari e controllava gran parte del Medio Oriente; in questi territori però i progressi scientifici si arrestarono quando nel Seicento, di fronte a numerose rivolte interne, le élite religiose accusarono i sovrani ottomani di essersi allontanati dai principi dell’islam e li spinsero ad imporre un’ortodossia islamica e a frenare i rinnovamenti. 3 6 una guerra civile tra anglicani e sette puritane radicali, perciò in questo nuovo periodo la chiesa anglicana tentò a sua volta di imporsi come l’unica religione ufficiale e di bandire il cattolicesimo e le altre sette, ma invano; dopo la deposizione di ben due re, Carlo I e Giacomo II, il parlamento finì per approvare nel 1688 l’Act of Toleration, che rendeva l’Inghilterra il primo grande paese in cui la tolleranza religiosa diventò una politica ufficiale sancita dalla legge. Intanto in Danimarca il re Cristiano V, desideroso di attirare nuovi immigrati dopo la perdita di tanti territori in una guerra disastrosa con la Svezia, negli anni Ottanta del Seicento con vari editti promise la tolleranza religiosa a cattolici, ebrei e calvinisti nel suo territorio a prevalenza luterana. Intanto in Prussia-Brandeburgo (territori a maggioranza calvinista) il sovrano Federico Guglielmo tollerava la presenza di cattolici, ebrei e luterani e in particolare nel 1685 promulgò l’Editto di Potsdam assicurando la libertà religiosa agli ugonotti francesi intenzionati a trasferirsi nel suo paese (in concomitanza con l’espulsione dalla Francia attuata da Luigi XIV). Ma questi tre stati furono l’eccezione per circa un secolo: nel resto dell’Europa infatti l’ortodossia religiosa imposta dallo stato era la norma. In breve, il ruolo della religione nella crescita economica globale è stato neutro o al massimo incerto. Sicuramente il progresso economico prospera meglio in una società pluralista e tollerante, mentre è limitato e alla lunga arrestato dall’imposizione di un pensiero religioso uniforme. Se le differenze religiose tra le società europee e quelle asiatiche e mediorientali non spiegano l’ascesa dell’Occidente, dobbiamo cercare altrove. Ma dove? Forse i fattori determinanti furono le differenze materiali. L’Europa dunque superò le società asiatiche grazie alla maggiore predisposizione al commercio e alle conquiste territoriali? 37 Capitolo quarto Commerci e conquiste Nella storia mondiale commerci e conquiste vanno di pari passo e in collegamento tra loro. A volte la riuscita delle conquiste apriva nuove rotte commerciali e quindi nuovi scambi, altre volte la necessità di nuovi commerci portò alle nuove conquiste (ad esempio il desiderio di ampliare i traffici con l’Asia portò gli europei a conquistare il Nuovo Mondo e a creare avamposti sulle coste asiatiche, e più tardi la crescita delle colonie europee in America consentì un nuovo commercio atlantico che collegò Africa occidentale, Europa e Americhe): dunque, il commercio spinse alla conquista e le conquiste stimolarono il commercio. Per spiegare l’ascesa dell’Europa alcuni hanno detto che i commercianti europei erano più capaci di quelli di altre società, altri che intorno al 1500 gli europei erano più abili come conquistatori perché usavano la loro tecnologia militare superiore per sottomettere le altre civiltà, altri ancora più radicalmente affermavano che gli europei eccellevano in entrambi i campi e usarono la tecnologia militare superiore per espandere i traffici e le risorse ottenute con il commercio per finanziare nuovi successi economici e militari. In realtà è sicuro che prima del 1500 gli europei non erano conquistatori di altre società. Come avvenne allora questo cambiamento improvviso all’inizio del Cinquecento? La risposta è nel commercio. Fino al 1400 gli italiani strinsero rapporti commerciali con molti stati affacciati sul Mediterraneo orientale e da loro ottennero vari privilegi mercantili, ma nel 1453 gli Ottomani conquistarono portoghesi si impossessarono dell’Oceano Indiano, poi spagnoli e portoghesi occuparono l’America centrale e meridionale, poi nel Sei e Settecento britannici, olandesi e francesi occuparono Nord America, India e Indonesia, infine nell’Ottocento gli europei imposero la propria volontà a Cina e Giappone e si imposero in Indocina, 39 Australia e gran parte dell’Africa; tutto ciò era interpretato come la prova della superiorità europea in ogni campo. Ma ragionare in questo modo è sbagliato. I 400 anni iniziati con il 1492 contengono in realtà storie ed esperienze diverse in aree del mondo diverse, perciò è preferibile considerare questo periodo come il lungo e continuo sforzo con cui alcune nazioni europee riuscirono ad infrangere il sistema commerciale euroasiatico (plurisecolare e vastissimo) e gradualmente trasformarono il proprio ruolo marginale e debole in quello di dominanti in tempi abbastanza recenti. 1. L’ingresso dei portoghesi nel commercio euroasiatico attorno al 1500 Il navigatore arabo Shihab al-Din Ahmad Ibn Majid nacque nella penisola arabica nel 1430 e scrisse circa 40 libri sul commercio e sulla navigazione; egli conosceva anche le navi e i marinai europei grazie ai suoi viaggi e in un suo passo fece un confronto tra la navigazione europea e quella araba nel tardo Quattrocento, arrivando alla conclusione che le società asiatiche avevano una scienza della navigazione superiore e metodi migliori per la costruzione delle navi. La spedizione di Vasco da Gama verso l’India dovette molto ai consigli dei navigatori indiani e arabi che incontrò nei vari porti dell’Africa orientale e che gli spiegarono come sfruttare i venti monsonici nella traversata dall’Africa all’India. Quando i portoghesi di da Gama sbarcarono in India nel 1498 furono sbalorditi di fronte a tutto ciò che videro nei magazzini dei mercanti asiatici e capirono di essere in svantaggio anche nel commercio: rispetto ai mercanti musulmani i portoghesi portavano solo panni di lana, vasi di vetro e oggetti di ferro, tutti articoli di scarso valore, e infatti il sovrano indù di Calcutta ordinò loro di ripartire ma con una lettera si impegnò a commerciare 4 1 spinsero altri europei a seguire il loro esempio e la loro rotta (quella marittima che circumnavigava l’Africa). A differenza degli spagnoli e dei portoghesi che attuarono spedizioni militare in America e in Asia, i sovrani inglesi, francesi e olandesi semplicemente incoraggiarono le compagnie mercantili a sviluppare i traffici con l’Asia assicurandosi il monopolio sull’importazione dei prodotti asiatici nei singoli paesi: così la Compagnia inglese delle Indie orientali (fondata nel (1600), la Compagnia olandese delle Indie orientali (fondata nel 1602) e la Compagnia francese delle Indie orientali (fondata nel 1664) diventarono le rappresentanti dei propri paesi in Asia, e operando in parte come compagnie private e in parte come piccoli stati (con eserciti, flotte e amministrazioni propri) furono le artefici degli imperi. Combinando una superiore potenza di fuoco navale e alleanze con sovrani locali, queste Compagnie espulsero i portoghesi dai commerci e si crearono via via degli imperi, dividendosi le aree di competenza: gli inglesi in India, gli olandesi in Indonesia, i francesi in Indocina (oggi divisa tra Vietnam, Laos e Cambogia). Tra il 1600 e il 1700 le Compagnie delle Indie orientali agirono come i portoghesi, cercando basi commerciali fortificate lungo le coste; ben presto però anche questi europei capirono di essere svantaggiati nel commercio e soprattutto capirono che per portare in Europe le ricchezze asiatiche dovevano offrire in cambio l’argento, molto raro e molto richiesto in Asia: fortunatamente gli europei avevano accesso a grandi quantità di argento che la Spagna estraeva nel Nuovo Mondo e così grazie all’argento fino al Settecento l’Europa fu inondata di prodotti asiatici (i panni di cotone indiano diventarono il tessuto preferito per gli indumenti, il caffè e il tè – che non potevano essere prodotti in Europa – diventarono bevande quotidiane). Il contrario però non fu vero: non ci fu un’invasione di prodotti in Asia e tra l’altro i prodotti portati dall’Asia in Europa erano solo una piccola parte della produzione asiatica complessiva. Nei primi due secoli di attività in Asia dunque i mercanti europei furono attori di secondo piano, in competizione 4 2 con moltissimi mercanti asiatici. Al massimo fino al 1700 circa i mercanti europei riuscirono ad accrescere il consumo europeo di prodotti asiatici, importando direttamente in Europa tanti beni a prezzi bassi. 3. I rapporti degli europei con l’Asia e l’Africa (1700-1800): tentativi di invertire il flusso Nel 1700 gli europei avevano insediamenti e centri commerciali in Asia e da lì partecipavano ai grandi traffici euriasiatici. Quando in Europa i prodotti asiatici da rarità divennero oggetti di uso quotidiano persero via via valore e, allo stesso modo, diminuì il valore dell’argento nonché la quantità di beni che si potevano comprare o scambiare con esso. Le compagnie commerciali videro sgonfiarsi i propri guadagni e cercarono altri modi per trarre profitto dai propri investimenti in Asia. Uno dei modi consistette nel realizzare loro stessi prodotti analoghi a quelli asiatici: fu così che a inizio Settecento i tessitori britannici convinsero il parlamento a bandire la vendita in Gran Bretagna dei tessuti di seta asiatici e dei panni di cotone colorato indiani, costringendo i britannici a comprare seta grezza e panni bianchi dall’Asia e a trasformarli in casa propria in prodotti colorati e finiti; analogamente, per ridurre le importazioni di porcellana cinese molti chimici tedeschi, francesi e britannici cercarono di replicarne la formula. Nonostante questo, per buona parte del Settecento i produttori europei non riuscirono a competere con il prezzo e con la qualità dei prodotti asiatici. aristocratici locali. La vittoria di Clive costrinse l’imperatore Mogul a riconoscere alla Compagnia il diritto di riscuotere le tasse nel Bengala, ma i funzionari della stessa Compagnia furono così rapaci da portare alla rovina l’economia della regione e così il governo britannico intervenne e mandò un governatore generale, ma solo dopo cento anni la 44 Corona inglese ottenne la sovranità sul subcontinente (l’India era stata ormai sottratta alla Compagnia ed era un possedimento della Corona). Anche la Compagnia olandese ebbe dei problemi: ben presto infatti perse il monopolio sulle spezie delle isole a causa della concorrenza dei mercanti arabi e nel mentre riscuoteva sempre meno soldi con le tasse, sicché nel 1798 la Compagnia venne sciolta e i suoi territori diventarono colonie amministrate direttamente dal governo olandese. Messi da parte i casi di India e Indonesia, nel corso del Settecento gli europei ebbero scarso successo in Asia e Africa. Nell’Africa settentrionale i sovrani musulmani conservarono il controllo dei territori e si limitarono a spostare le proprie capitali nell’interno; nell’area occidentale e orientale gli europei fondarono alcune basi costiere ma non riuscirono a penetrare nell’interno a causa della resistenza dei re locali; solo in Sud Africa gli europei ottennero qualche successo prima del 1800, in particolare gli olandesi fondarono per primi grandi insediamenti. Nel frattempo Cina e Giappone – le due principali potenze dell’Asia orientale – si opposero bene agli europei. La Cina confinò i mercanti europei in un solo punto d’accesso, il porto meridionale di Canton che peraltro era lontanissimo dalla capitale imperiale, e allo stesso modo il Giappone impose ai mercanti europei di commerciare solo dal lontano porto occidentale di Nagasaki; soltanto nell’Ottocento gli europei riuscirono a piegare Cina e Giappone ai propri voleri e a spingersi all’interno dell’Africa lungo i fiumi, perlopiù grazie all’uso delle navi da guerra a vapore da poco inventate. Dunque solo nell’Ottocento le potenze europee conquistarono completamente il mondo. Ma cosa era successo nel frattempo nel Nuovo Mondo? b) Le potenze europee nel Nuovo Mondo: la conquista spagnola (1500-1600) 46 numero possibile di alleati locali, cosicché a combattere contro gli aztechi furono centinaia di spagnoli più migliaia di popolazioni locali alleate. Come i portoghesi in India, anche gli spagnoli usarono la tattica di mostrare brutalità e violenza per spaventare i nemici e spingerli agli accordi (tra le pratiche più diffuse: il taglio della mano destra o delle braccia dei prigionieri, l’uccisione delle donne e l’invio a casa dei cadaveri, il massacro di donne e bambini nelle cerimonie…). Tutto questo aiutò gli spagnoli nei successi iniziali, ma il vantaggio più grande nella loro vittoria lo portarono con sé senza saperlo: i germi delle malattie del Vecchio Mondo, contro cui gli indigeni del Nuovo non avevano difese. La distruzione prodotta dai germi europei nel Nuovo Mondo fu più vasta di quella causata in Europa dalla Peste nera (si parla addirittura di 90, 95 o persino 98% della popolazione indigena), perché la Peste nera era una sola malattia mentre gli europei invece portarono tanti vari virus, batteri e parassiti ignoti in America. Anche se sembrarono miracolose, le conquiste spagnole nel Nuovo Mondo avevano dei precedenti. Dopotutto erano state piccole bande di tribù germaniche a saccheggiare Roma e a sottomettere tutto l’impero romano d’Occidente, così come un centinaio di migliaia di guerrieri mongoli conquistarono il ricco e avanzato impero cinese di circa 10 milioni di abitanti, servendosi si una violenza brutale e della nuova arma degli arcieri a cavallo. Secondo questo schema consolidato dunque si attuarono le conquiste spagnole in America, agevolate anche dall’aggressività delle malattie europee. d) Due donne che hanno cambiato la storia del mondo: Isabella di Spagna e Malinche in Messico E’ opportuno ricordare due donne fuori dal comune, che ebbero un ruolo fondamentale negli eventi descritti finora: Isabella I, la regina di 4 7 Spagna intellettualmente audace, e Malinche, un’aristocratica azteca che aiutò Cortés nella conquista del Messico con le sue capacità linguistiche e diplomatiche. Colombo non sarebbe mai partito senza la decisione di Isabella di sostenere il suo progetto: molti sovrani si erano rifiutati di finanziare l’impresa del genovese, ma Isabella, che aveva studiato il latino ed era appassionata di cultura e di esplorazioni, gli diede tutto il sostegno in cambio dei diritti sulle terre scoperte da Colombo. Ma gli spagnoli non avrebbero conquistato il Messico senza l’aiuto dei re locali: intelligente come Isabella, Malinche era figlia di un nobile azteco e fu venduta ad un trafficante di schiavi maya quando era giovanissima, ma poi, inserita come merce di scambio in un trattato di pace tra un re maya e gli spagnoli, diventò la schiava di Cortés. Cortés scoprì che la donna parlava sia la lingua azteca sia la lingua maya e la volle come sua interprete personale; la donna imparò lo spagnolo e aiutò Cortés nelle trattative con i popoli locali come interprete e negoziatrice, a tal punto che Cortés non fu mai raffigurato senza di lei accanto. 6. Le potenze europee nel Nuovo Mondo (1600-1800): colonizzazione e schiavitù Dopo le conquiste spagnole e la decimazione della popolazione indigena, altri europei si precipitarono in terre ormai quasi disabitate (i portoghesi in Brasile, i britannici e gli olandesi lungo la costa atlantica del Nordamerica, i francesi nella zona dei Grandi Laghi…), mentre intanto gli spagnoli si spinsero a nord e a sud schiavisti del Sud erano economicamente arretrati rispetto a quelli industrializzati del Nord. Su un breve periodo la schiavitù può aver dato profitti a pochi proprietari di piantagioni, ma in un periodo più ampio mantenere in schiavitù e in ignoranza così tanti uomini non fu certamente la via per costruire la ricchezza nazionale. 4 9 D’altra parte i guadagni dell’impiego degli schiavi vanno confrontati con gli enormi costi delle ribellioni degli schiavi, delle rivoluzioni e delle guerre civili (in Sud America ad esempio le rivoluzioni crearono disordine per intere generazioni). Fino al 1800 il cotone coltivato nel Nuovo Mondo fu un fattore fondamentale per l’industria cotoniera britannica, ma non fu il cotone grezzo a produrre l’industria bensì le innovazioni nei macchinari e lo sfruttamento della potenza idraulica e di quella del vapore che resero proficuo per la Gran Bretagna importare cotone, filarlo e tesserlo: dunque, se non fosse stato per le macchine non avrebbe avuto senso importare cotone grezzo in Inghilterra. Tornando alla schiavitù, secondo una classifica delle nazioni europee fatta in base alle dimensioni dei loro imperi d’oltremare e al peso che la schiavitù ebbe in questi imperi, il primo posto spetterebbe alla Spagna e al Portogallo e poi verrebbero Gran Bretagna, Olanda e Francia. Quale fu lo sviluppo successivo di queste nazioni? A partire dal 1830 Spagna e Portogallo persero sia la grande ricchezza sia la grande potenza; l’Olanda conobbe il declino già da metà Settecento e fu seguita dalla Francia che nelle guerre napoleoniche fu sconfitta da Germania (Prussia) e Russia alleate con la Gran Bretagna e poi nel 1871 soccombette di nuovo alla Germania nella guerra franco-prussiana. In breve, fatta eccezione per la Gran Bretagna, è davvero scarso il legame tra gli imperi d’oltremare costruiti prima del 1800 e l’uso della schiavitù da parte delle nazioni europee da un lato e il loro dinamismo economico nell’Ottocento dall’altro. Dunque le tesi secondo cui l’ascesa dell’Occidente si fondò sulla schiavitù e sugli imperi precedenti al 1800 non hanno fondamento. 7. Il predominio europeo dopo il 1800
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