Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Jane Eyre - riassunto dettagliato capitolo per capitolo, Schemi e mappe concettuali di Letteratura Inglese

Jane Eyre - Charlotte Brontë - riassunto dettagliato capitolo per capitolo

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

Caricato il 13/05/2022

Utente sconosciuto
Utente sconosciuto 🇮🇹

4.7

(13)

Anteprima parziale del testo

Scarica Jane Eyre - riassunto dettagliato capitolo per capitolo e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! Charlotte Brontë – Jane Eyre Prefazione Nella prima edizione, Charlotte Brontë non ritenne di dover corredare una prefazione. Ma la seconda edizione, ci dice, esigeva qualche parola di riconoscenza e qualche nota di varia natura. Inizia con i suoi ringraziamenti: al pubblico, per aver prestato un orecchio ad una storia modesta; agli editori per l’aiuto e la loro generosità, che hanno offerto ad un autore sconosciuto e senza raccomandazioni; e alla stampa, per lo spazio concesso. Successivamente si rivolge a un’altra categoria, coloro che giudicarono equivoco lo spirito di libri come Jane Eyre: ai loro occhi, tutto ciò che era insolito risultava senza dubbio sbagliato. Il conformismo non è normalità, e il moralismo non è religione. La gente trovava conveniente far passare per oro tutto ciò che luccicava in superficie, e lasciare che quattro pareti imbiancate venissero scambiate per un santuario immacolato. Passa poi a citare l’autore di Vanity.Fair, perché credeva di vedere in lui un intelletto più sottile e più singolare di quanto fino a quel momento i suoi contemporanei avessero riconosciuto: Brontë lo considerava come il primo riformatore sociale del loro tempo. Infine, ha alluso a Mr Thackeray, perché è a lui che se vorrà accettare il tributo di un perfetto sconosciuto, dedicherà questa seconda edizione di Jane Eyre. Nota alla terza edizione Qui viene colta l’occasione di rivolgersi al pubblico, e spiega che il suo diritto al titolo di romanziere, le viene unicamente da quest’opera. Se le fosse stata attribuita la paternità di altre opere, era stato reso onore a chi non lo meritava, ed era stato negato l’onore a chi doveva riceverlo. Questa spiegazione sarebbe servita a rettificare eventuali errori già commessi e a prevenirne futuri. Capitolo 1 Quel giorno era impossibile andare a passeggio, il freddo vento invernale era forte, e c’era anche una pioggia insistente. Jane ne era felice: le lunghe passeggiate non le erano mai piaciute, ancor di più tornare a casa dal freddo pungente del crepuscolo, con mani e piedi gelati. E il cuore intristito dai rimproveri di Bassie, la balia, e avvilita dalla consapevolezza della sua inferiorità fisica rispetto a Eliza, John e Georgina Reed. Erano intorno a lei con la loro mamma nel salotto. Mentre Jane era dispensata dall’unirsi al gruppo, a meno che non facesse degli sforzi per assumere un atteggiamento più socievole e adatto ad una bambina della sua età. Accanto al salottino, c’era la stanza della colazione, e lì si infilò, perché vi era una libreria, e si impadronì di un volume, che iniziò a sfogliare, immersa nella solitudine. Era ‘’la storia degli uccelli d’Inghilterra’’ di Bedwick. Il testo stampato le interessava poco, eppure c’erano alcune pagine introduttive che non poteva saltare: erano le pagine che parlavano dei nidi degli uccelli marini, degli unici abitatori delle coste della Norvegia; né potevano passare in osservate le spiagge deserte e suggestive di Lapponia, Siberia, Islanda e Groenlandia. Ogni immagine raccontava una storia, spesso impenetrabile per il suo intelletto ancora immaturo e per i suoi sentimenti non del tutto formati. Erano interessanti come le storie che qualche volta, nelle sere di inverno, raccontava Bessie, quand’era di buon umore: nutriva la loro curiosità con storie d’amore e di avventura prese da vecchie fiabe e antiche ballate, o dalle pagine di Pamela e di Enrico, Conte di Moreland. John Reed era un collegiale di quattordici anni, quattro in più di Jane. Era grande e ben piantato per la sua età, con la pelle scura e spenta e i lineamenti marcati. In quel periodo avrebbe dovuto essere a scuola, ma sua madre aveva deciso di tenerlo a casa per un paio di mesi ‘in considerazione della sua salute’. Mr Miles, l’insegnante, sosteneva che sarebbe stato meglio se da casa gli avessero mandato meno tortini e dolcetti. John con Jane era ostile: la tormentava di continua. C’erano momenti in cui era fuori di sé dal terrore che le incuteva, perché non aveva nessuno che la difendesse dalle sue minacce e dalla sua violenza, come quando fu colpita da lui con violenza perché si era nascosta a leggere dietro le tende: Mrs Reed non voleva che leggesse i loro libri, perché lei non aveva soldi. Prese un libro e glielo lanciò al volo, fu colpita, e nel cadere a terra, batté la testa contro la porta e si ferì. Mrs Reed la fece portare nella stanza rossa, e lì la fece chiudere a chiave. Capitolo 2 Jane per tutto il tragitto aveva opposto resistenza. Fu accompagnata da Miss Abbot e Bessie, la quale cercò di spiegare a Jane, che doveva rendersi conto che doveva mostrare della riconoscenza nei confronti della sua signora, che la manteneva, e che avrebbe potuto abbandonarla e lasciar andare in un orfanotrofio. Le suggerì di cercare di rendersi utile e di farsi apprezzare. Le due se ne andarono, tirandosi dietro la porta e chiudendola a chiave. La stanza rossa era una camera quadrata dove si dormiva di rado: aveva un letto a baldacchino sostenuto da massicce colonne e un drappeggio di tende rosso cupo. Le due ampie finestre erano seminascoste da festoni; il tappeto era rosso. La stanza era fredda e silenziosa. Mrs Redd la visitava per riesaminare il contenuto di un certo cassetto segreto dell’armadio. Mr Reed era in quella camera quando esalò il suo ultimo respiro. Jane si chiedeva perché dovesse sempre sopportare, essere maltrattata, accusata e condannata, mentre Eliza, che era testarda ed egoista, veniva rispettata; a Georgina, che era viziata ed arrogante nei modi, veniva permesso e perdonato tutto; John non veniva mai rimproverato anche se chiama sua madre ‘’vecchia mia’’ o la prendeva in giro pesantemente per avere la pelle scura, e spesso e volentieri strappava e rovinava i suoi vestiti di seta. Jane non poteva simpatizzare con nessuno di loro, perché erano troppo diversi da lei per carattere e capacità. La luce del giorno cominciò ad abbandonare la stanza rossa. A poco a poco Jane divenne fredda come una pietra, e il suo coraggio svanì. Pensava a Mr Redd, suo zio diretto, il fratello di sua madre, che l’aveva accolta in casa una volta rimasta orfana, e che nei suoi ultimi istanti di vita aveva fatto promettere a Mrs Reed che l’avrebbe cresciuta come uno dei suoi figli. In quel momento Jane si ricordò di aver sentito storie di morti che si rigiravano nella tomba perché erano state violate le loro ultime volontà e che tornavano sulla terra per punire gli spergiuri e e vendicare gli oppressi. Così immaginò che lo spirito di Mr Reed potesse abbandonare la sua dimora e apparirle davanti. Jane si asciugò le lacrime e soffocò i singhiozzi, quando una luce baluginò sulla parete. Aveva il cuore in tumulto e la testa che le scoppiava. Lanciò un grido involontario, e Bassie corse a controllare. Arrivò anche Mrs Reed che non diede via. Si abbracciarono, e poi Jane la seguì in casa, molto rasserenata. Quel pomeriggio passò in pace e in armonia, e la sera Bassie le raccontò alcune delle sue storie più avvincenti e le cantò le sue canzoni più dolci. Anche per Jane la vita sembrava conservare qualche raggio di sole. Capitolo 5 Erano appena suonate le cinque, quel mattino del 19 gennaio, quando Bessie entrò con una candela in mano nella cameretta di Jane e la trovò già in piedi e vestita. Quel giorno avrebbe lasciato Gateshead. Bassie avvolse in un pezzo di carta alcune focaccine e gliele infilò nella borsa, poi la aiutò a mettere la pelliccia e la cuffia. La luna era tramontata ed era buio pesto. Era un mattino d’inverno umido e freddo. Mancavano pochi minuti alle sei e, non appena suonò l’ora, un lontano rotolio di ruote annunciò l’arrivo della diligenza. Caricarono il suo baule e la strapparono dal collo di Bassie, a cui si era aggrappata per baciarla, così partirono. La Jane adulta ricordava molto poco del viaggio, ma ebbe l’impressione di viaggiare per centinaia di miglia. Fu portata in una locanda dove il postiglione cercò di farle mangiare qualcosa, ma lei non aveva appetito, così la lasciarono in una stanza enorme. Finalmente tornò il postiglione, e fu di nuovo stipata all’interno della diligenza. Arrivò il pomeriggio, il paesaggio cambiò: c’erano grandi colline grigie che spuntarono all’orizzonte. Jane finì per addormentarsi, ma non dormì a lungo perché la vettura si fermò di colpo, svegliandola. Entrò in una porta, insieme alla sua nuova guida: la domestica la guidò lungo un corridoio fino ad una stanza dov’era acceso il fuoco, e la lasciò lì da sola. La porta si aprì ed entrò una persona che reggeva il lume, subito seguito da un’altra. La donna le chiese da quanto tempo i suoi genitori erano morti, quanti anni avesse, se sapesse leggere, scrivere e cucire un po’. Infine, le sfiorò delicatamente la guancia e la congedò insieme a Miss Miller. Sotto la guida di Miss Miller attraversò un edificio grande e irregolare finché non furono investite dal brusio di molte voci e ben presto si ritrovarono in una stanza spaziosa e lunga, con due grandi tavoli. Tutt’intorno, sedute sulle panche, c’erano ragazze di ogni età. Facevano i compiti per il giorno dopo. Miss Miller gridò alla capoclasse di raccogliere i manuali e di metterli a posto, e poi di andare a prendere i vassoi per la cena. Le porzioni furono distribuite. Alle fine del pasto, Miss Miller lesse le preghiere, poi le classi si avviarono in fila per due al piano di sopra. Quella notte avrebbe dovuto dormire con Miss Miller, la quale l’aiutò a svestirla. La notte passò in fretta. Quando aprì di nuovo gli occhi, c’era una campanella assordante che suonò; le ragazze si erano alzate e si stavano vestendo. Anche Jane si alzò, controvoglia. La campanella suonò di nuovo. Si misero tutte in fila, scesero dalle scale e entrarono nell’aula fredda e poco illuminata. Le classi furono formate: entrarono nella stanza tre signore: ognuna raggiunse un tavolo e vi si sedette. Miss Miller occupò la quarta sedia vuota, introno alla quale erano riunite le bambine più piccole. Jane fu assegnata alla classe inferiore: la lezione cominciò e durò un’ora, successivamente andarono a fare colazione. Recitarono un lungo ringraziamento e cantarono un inno, poi una domestica portò del tè per le insegnanti e il pasto ebbe inizio. La colazione era finita, ma nessuno aveva davvero fatto colazione. Prima che le lezioni cominciassero passò un quarto d’ora. Per tutta la durata di quell’intervallo, parlavano tutte della colazione, che suscitava lo sdegno generale. La disciplina fu ristabilita. Ad un certo punto, l’intera classe balzò in piedi, all’unisono. Jane non capiva cosa stesse succedendo. Le classi erano di nuovo sedute, tutti gli sguardi erano rivolti verso uno stesso punto, ne seguì anche lei la traiettoria e ritrovò la persona che aveva ricevuto la sera prima. Attraversò lentamente la stanza, appariva alta, bella e ben proporzionata. Aveva dei lineamenti raffinati, un’aria e un portamento eleganti. Era la direttrice di Lowood, raccolse attorno a sé la prima classe e cominciò la lezione di geografia. La direttrice si alzò, e spiegando che il mattino le era stata servita una colazione immangiabile, aveva ordinato di distribuire a tutte una merenda a base di pane e formaggio. Poi fu dato l’ordine di andare in giardino: era un ampio recinto, circondato da mura così alte da impedire ogni vista sull’esterno. Non appena Jane si fermò a guardarsi intorno, rabbrividì, perché faceva troppo fredda quel giorno per stare all’aria aperta. Fino a quel momento on aveva parlato con nessuna, e nessuna sembrava accorgersi di lei. Così se ne stava in disparte, da sola, ma a quella sensazione di isolamento ci era abituata e non le pesava molto. Un colpo di tosse dietro di lei la fece voltare: vide una ragazza seduta su una panchina, china su un libro e concentrata sulla lettura. Mentre voltava una pagina, Jane si affrettò a chiederle se il libro era interessante, la ragazza glielo porse così da poterlo sfogliare. Per i gusti infantili di Jane sembrava noioso, non trovava traccia di fate né di folletti, non c’era nessuna immagine a dare un po’ di colore alle pagine. Parlando con la sua nuova amica, Jane scoprì che Miss Temple doveva rispondere a Mr Brocklehurst di tutto ciò che faceva. Era lui che comprava loro cibo e vestiti: era un pastore che si dica essere un gran benefattore. Miss Smith era colei che sorvegliava il lavoro tagliava la stoffa per la biancheria e gli indumenti; Miss Scatcherd insegnava storia e grammatica; e Madame Pierrot insegnava francese. Suonò la campanella del pranzo, e rientrarono tutte in casa. Dopo pranzo ricominciarono le lezioni, e durarono fino alle cinque. Poco dopo le cinque, veniva servito un altro pasto, che consisteva in una piccola tazza di caffè e mezza fetta di pane scuro. Seguì mezz’ora di ricreazione, e poi lo studio; infine, un bicchiere d’acqua, un pezzo di tortino di avena, le preghiere e poi si recarono a letto. Fu questo il primo giorno di Jane a Lowood. Capitolo 6 Il giorno dopo cominciò come quello di prima. Nel corso della giornata Jane fu iscritta alla quarta classe e le assegnarono compiti e occupazioni come da programma. All’inizio, essendo poco abituata a studiare a memoria, le lezioni parvero lunghe e difficili. Verso le tre del pomeriggio quasi tutte stavano cucendo, a parte una classe che era rimasta attorno alla cattedra di Miss Scatcherd a fare esercizi di lettura. Fra le lettrici Jane notò la ragazza che aveva conosciuto in veranda. Miss Scatcherd continuò a prenderla di mira senza sosta e le si rivolgeva di continuo. Dopo aver letto il capitolo due volte, i libri furono chiusi e le ragazze interrogate. La memoria di Burns sembrava aver assorbito la sostanza dell’intera lezione e lei era pronta a rispondere ad ogni suo punto. Ma improvvisamente la Miss Scatcherd la sgridò per non essersi pulita le unghie. Burns lasciò la classe e mezzo minuto dopo tornò con in mano un fascio di rametti, legati insieme a un’estremità. Questo arnese minaccioso fu consegnato a Miss Scatcherd, poi Burns si sbottonò il grembiale e subito l’insegnante, con quel fascio di rametti, le assestò una dozzina di colpi secchi sul collo. A Lowood, il momento della giornata che preferiva era la ricreazione serale: la classe era meno fredda del mattino, perché era permesso, per supplire in qualche modo all’assenza di candele che a quell’ora non erano ancora accese, aggiungere più legna al fuoco dei camini. Scavalcando panche e sgattaiolando sotto i tavoli, raggiunse un caminetto, dove trovò Burns, tutta concentrata e silenziosa, in compagnia di un libro che stava leggendo. Dopo cinque minuti, lo chiuse. Jane le chiese il suo nome, si chiamava Helen e veniva da un paese molto a nord, proprio al confine con la Scozia. Jane, che era più piccola di lei, non riusciva a sopportare come, la sua nuova amica, era stata trattata. Helen non si mostrò oltraggiosa nei confronti della maestra perché la Bibbia suggerisce di rispondere al male con il bene. Jane le chiese quali fossero i suoi difetti: come diceva Miss Scatcherd, era sciatta, era raro che mettesse in ordine le sue cose, e se le avesse messo in ordine, l’ordine non lo avrebbe mantenuto mai; era sbadata, dimenticava le regole, e le lezioni si limitava a leggerle, quando doveva studiarle: quando Miss Miller spiegava le lezioni, i suoi pensieri vagavano, e non trovava pace. Scivolava in una specie di sogno: quel pomeriggio aveva risposto bene alle domande, perché era una lettura che le interessava. Jane iniziò a raccontarle la storia delle sue sofferenze e dei suoi risentimenti., le diceva ciò che sentiva, senza riserve e senza mai addolcire i toni. Helen la ascoltò pazientemente fino alla fine. A quel punto, si aspettava un qualche commento, invece lei non disse nulla. Ad Helen la vita le sembrava troppo breve per essere sprecata e covare rancori o a rivangare torti subiti. Sosteneva che tutti, a questo mondo abbiamo il nostro fardello di colpe. Helen seguiva un’altra fede, che non le era stata insegnata da nessuno, ma che le dava gioia, dava speranza a tutti. Grazie a questa stessa fede, poteva distinguere con chiarezza il colpevole dalla colpa, e così la vendetta non corrodeva il suo cuore. Un capoclasse arrivò in quel momento, gridandole di riordinare il suo cassetto altrimenti sarebbe andata da Miss Scatcherd. Helen si alzò e obbedì subito alla capoclasse. Capitolo 7 Il suo primo trimestre a Lowood lo passò a combattere un’aspra lotta con le difficoltà di abituarsi a regole nuove e a compiti mai svolti primi. Durante gennaio, febbraio e una parte di marzo, le nevicate abbondanti avevano reso le strade pressoché impraticabili. I vestiti non bastavano a proteggersi dal fretto pungente. La scarsità di cibo era estenuante. Durante l’inverno, le domeniche erano giorni tristi. Dovevano percorrere due miglia per arrivare alla chiesa: durante la funzione del mattino il freddo quasi le paralizzava. La chiesa era troppo lontana per tornare a pranzo a Lowood, così, tra una funzione e l’altra, servivano loro una razione di carne fredda e del pane. Dopo la funzione pomeridiana, tornavano all’istituto per una strada poco riparata e ripida. L’ora del tè portava un po’ di conforto sotto forma si una doppia razione di pane. Mr Brocklehurst rimase assente per gran parte del primo mese dopo il suo arrivo. La sua assenza era per Jane un grande sollievo, ma alla fine arrivò. Un pomeriggio, Jane se ne stava seduta con una lavagnetta tra le mani ad arrovellarsi il cervello su una divisione a parecchie cifre. A un certo punto levò distrattamente lo sguardo verso la finestra e vide una figura passare: riconobbe quasi d’istinto quella sagoma: era in piedi a fianco di Miss Temple, e le parlava sottovoce all’orecchio. Jane riusciva a sentire quasi tutto quello che diceva. Mr Brocklehurst contemplava maestoso l’intera scolaresca. All’improvviso sbattè gli occhi, si voltò e chiese perché ci fosse una ragazza con i capelli ricci, e ordinò di tagliarglieli a zero, ma poi vide altre ragazze con una grande quantità di capelli, e ordinò che anche i loro chignon venissero tagliati. A questo punto le parole di Mr Brocklehurst furono interrotte dall’ingresso in Capitolo 10 Gli otto anni seguenti vengono descritti in maniera molto rapida, per non perdere le fila del discorso. Il tifo a poco a poco scomparve. Fu condotta un’inchiesta sull’origine del flagello nella scuola, e via via, emersero vari fatti che suscitarono una fortissima indignazione generale: la natura insalubre del luogo, la quantità e la qualità del cibo per le bambine, l’acqua salmastra e fetida usata per cucinare. Varie personalità ricche e generose della contea fecero cospicue offerte per la costruzione di un edificio più adatto e in una posizione migliore. La scuola divenne in breve tempo un’istituzione veramente utile e nobile. Dopo la sua nuova nascita, rimase ospite di quelle mura per altri otto anni: sei come allieva e due come insegnante. Jane sfruttò fino in fondo tutti i vantaggi che le furono offerti. Miss Temple aveva svolto per lei il ruolo di madre, educatrice, e negli ultimi tempi, di un’amica: finché si sposò e si trasferì con il marito. Dal giorno in cui la lasciò, lei non fu più la stessa. Ora c’era più ordine nei suoi pensieri e i suoi sentimenti erano più controllati. Era tranquilla, credeva di essere felice. Poco dopo la cerimonia nuziale si ritirò nella sua stanza. La sua mente si era spogliata si tutto ciò che aveva preso in prestito da Miss Temple, e adesso era tornata al suo elemento naturale e cominciava a percepire dentro di sé il risveglio di antiche emozioni. In quel momento suonò la campana della cena e Jane scese: l’insegnante con cui condivideva la camera la distrasse con chiacchiere inutili: quanto desiderava che il sonno la facesse tacere. Finalmente Miss Gryce cominciò a russare, e poi rimase a pensare a cosa volesse, con tutte le sue energie. Sembrava che una fatina gentile dovesse aver lasciato cadere sul suo cuscino il consiglio richiesto: perché, una volta sdraiata, le venne in mente che quelli che cercavano un impiego di solito pubblicavano degli annunci: così si sentì soddisfatta e si addormentò. Al mattino presto era in piedi. Il suo annuncio era già scritto, imbustato e indirizzato prima che suonasse la campanella d’inizio delle lezioni. Dopo il tè, chiese alla nuova direttrice il permesso di andare a Lowton per sbrigare qualche piccola commissione: il permesso le fu subito accordato e partì. Successivamente, per vedere se le era arrivata una risposta, quella volta aveva usato il pretesto di andare a farsi prendere le misure per un paio di scarpe. Ottenne la busta, la infilò in tasca e riprese la via di casa. Al suo ritorno trovò diverse incombenze. Anche quando finalmente i ritirarono nella stanza per la notte, fu costretta a sorbirsi ancora la compagnia dell’inevitabile Miss Gryce. Esaminò a lungo il messaggio: la scrittura era antiquata e un po’ insicura, sembrava quella di un’anziana signora, e la cosa sembrò per lei una bella garanzia. La contea in cui sarebbe dovuta andare si trovava ad una settantina di miglia più vicina a Londra di quella lontanissima contea in cui si trovava adesso. Il giorno dopo chiese e ottenne il permesso per essere ricevuto dalla direttrice, alla quale spiegò di aver ottenuto la possibilità di ottenere un nuovo impiego per il quale l’avrebbero pagata il doppio di quanto guadagnava lì, e la pregò di parlarne con Mr Brocklehurst, o con qualcuno del comitato, anche per capire se le avrebbero dato il permesso di citare i loro nomi nelle sue referenze. La donna, molto gentilmente, si disse disponibile a farle da mediatrice. Si accordarono con il permesso di migliorare la sua condizione, e le promisero che le avrebbero rilasciato subito un certificato di buona condotta e di comprovate capacità. Mrs Fairflex fissava da lì a quindici giorni la data della sua assunzione come istitutrice di casa sua. Si dedicò da allora ai suoi preparativi e i quindici giorni passarono in fretta. Qualcuno arrivò a trovarla: si trattava di Bassie, era lì con un bambino, suo figlio: Bassie si era sposata da quasi cinque anni con Robert Leaven, il cocchiere, e oltre a Bobby aveva anche una femminuccia, che si chiamava Jane. Abitavano nella portineria, perché il vecchio portiere se n’era andato. Bassie spiegò a Jane che aveva saputo qualcosa della famiglia di suo padre: la signora diceva sempre che i parenti del padre erano poveri, ma secondo Bassie erano persone distinte, proprio come i Reed, perché un giorno, circa sette anni prima, era andato a Gateshead un certo Mr Eyre a chiedere di lei. La signora le disse che era in collegio, a cinquanta miglia da lì, e lui ci rimase male, perché non poteva fermarsi. Stava per partire per un paese straniero e la sua nave sarebbe salpata da Londra entro un paio di giorni. Aveva tutta l’aria di un gentiluomo: si sarebbe diretto a Madera, e secondo Bassie era un mercante di vini. Continuarono a parlare dei vecchi tempi ancora per un’ora, poi lei dovette lasciarla. Jane salì sulla vettura che l’avrebbe condotta verso nuovi doveri e una nuova via in un posto sconosciuto nei pressi di Millcote. Capitolo 11 L’orologio del campanile di Millcote stava suonando le otto, ma dentro di lei non era per niente tranquilla. Alla fermata della diligenza pensava di trovarsi qualcuno ad attenderla. Ma non c’era anima viva. A quel punto non le rimase altro che farsi accompagnare in una stanza della locanda, quando si accorse che un uomo era lì ad aspettarla, davanti alla porta e fuori, distinse a fatica un veicolo trainato da un solo cavallo. Jane vi salì e così arrivò nella sua nuova dimora. Il vetturino aprì il cancello e risalirono in un vialetto, trovandosi davanti la facciata di una casa. Al portone d’ingresso c’era una domestica, che le fece strada. Mrs Fairfax era meno imponente e più dolce di quanto Jane immaginasse. Lavorava a maglia, e ai suoi piedi c’era un grosso gatto accoccolato ai suoi piedi. Appena Jane entrò, la vecchia signora si alzò subito e le andò incontro. Le spiegò che si sarebbe dovuta occupare di Miss Varens, che non era sua figlia, come Jane pensava. La signora era molto contenta che Jane era lì, così che adesso avrebbe avuto un po’ di compagnia e vivere lì sarebbe stato più piacevole. Pensando che Jane fosse stanca, l’accompagnò in camera, e le fece strada verso il piano di sopra: era piccola e arredata in uno stile semplice e moderno. Quella notte, il suo letto non ebbe spine, e la sua stanza solitaria non conobbe paure. Stanca e felice al tempo stesso, sprofondò subito nel sonno. Quando si svegliò, era giorno fatto. Jane pensava che quello per lei era l’inizio di un periodo migliore. Si alzò e si vestì con cura. Dopo aver aperto la finestra e controllato che sul tavolo della toeletta fosse tutto pulito e in ordine, e uscì dalla stanza. Le sembrava tutto così maestoso e imponente. La porta d’ingresso era aperta e varcò la soglia. Era un bel mattino d’autunno. In lontananza vi erano le colline, e sul fianco di una di queste, s’arrampicava un piccolo villaggio. Jane si stava godendo la tranquillità di quel paesaggio quando sulla soglia comparve Mrs Fairfax, la quale chiese a Jane se le piacesse Thornfield: era un bel posto, ma secondo Mrs Fairfax, sarebbe andato in rovina, se Mr Rochester non si decidesse a viverci in pianta stabile o ad andarci più spesso. Jane si chiedeva chi fosse quest’uomo, e la signora risolse il suo mistero: si trattava del proprietario di Thornfield. Mrs Fairfax era solo l’amministratrice, lei e Rochester erano parenti alla lontana: la madre dell’attuale Mr Rochester era una Fairfax, una cugina di secondo grado di suo marito. Nel frattempo, stava arrivando la nuova allieva di Jane con la sua bambinaia. La bambina arrivò correndo sul prato. Si chiamava Adela, la signora Fairfax la presentò alla sua nuova maestra: quando Adela era giunta lì, non sapeva una sola parola d’inglese, ma ora se la cavava meglio. Quando apprese che era la sua istitutrice, andò a stringerle la mano, e mentre la accompagnava a fare colazione, Jane le rivolse alcune frasi nella sua lingua. Dopo averla studiata per una decina di minuti, all’improvviso si sciolse e cominciò a chiacchierare disinvolta. Adela le spiegò che sua madre era morta, e che le aveva insegnato a ballare, cantare e recitare poesie. Così Adela prima cantò una canzone alla sua nuova insegnante, e poi le recitò una poesia. Dopo che sua madre era morta, lei era andata vivere con Madame Frédéric e suo marito, era stata lei a prendersene cura ma non ci rimase per molto: Mr Rochester le chiese di andare a vivere con lui in Inghilterra e lei le aveva detto di sì: lui le regalava sempre bei vestiti e giocattoli. Ma non aveva mantenuto la parola, perché l’aveva portata in Inghilterra ma poi lui era ripartito e non lo vedeva mai. Dopo colazione, lei e Adèle si ritirarono in biblioteca, la stanza che, a quanto pare, Mr Rochester aveva stabilito che fosse adibita ad aula studio. Jane trovò la sua allieva abbastanza docile, anche se poco incline ad applicarsi. Era mezzogiorno e Jane le permise di ritornare dalla sua bambina. Jane decise di dedicarsi a disegnare qualche schizzo da farle usare come modello. Mrs Fairfax stava spolverando alcuni vasi su una credenza, perché sebbene Mr Rochester andasse lì molto di rado, le sue vite erano sempre improvvise, e siccome aveva notato che, quando arrivava, gli dava fastidio trovare i mobili e gli oggetti coperti dai teli o assistere al trambusto delle pulizie, così aveva pensato che fosse meglio tenere le stanze sempre pronte. Mr Rochester aveva n carattere ineccepibile, forse un po’ strano, aveva viaggiato molto ed era una persona brillante. Questo fu tutto ciò che riuscì a sapere sull’uomo che dava impiego ad entrambe. Uscendo dalla sala da pranzo la donna chiese a Jane di fare una visita della casa, dopodiché Mrs Fairfax volle andare sui piombi e così Jane decise di continuare a seguirla. Si trovavano alla stessa altezza del boschetto dei corvi e Jane poteva vedere l’interno dei loro nidi. Poi si rinfilarono nella botola. L’orecchio di Jane fu colpito da una risata, l’ultimo suono che non si sarebbe aspettata di sentire in. Una zona così silenziosa della casa. A ridere era una domestica, Grace Poole. La porta più vicina a Jane si aprì e ne uscì una domestica, una donna tra i trenta e i quarant’anni, robusta e ben piantata. Era una donna che tenevano per i lavori di cucito e per dare un aiuto a Leah nelle faccende domestiche. Il pranzo era pronto e le aspettava nella stanza di Mrs Fairfax. Capitolo 12 Mrs Fairfax risultò essere ciò che sembrava: una donna mite e affabile. L’allieva di Jane era una bambina vivace, viziata e abituata ad averle tutte vinte e quindi a volte capricciosa; ma, affidata interamente alle sue cure: presto dimenticò i suoi capricci e diventò obbediente e malleabile. Ogni tanto, Jane andava a passeggiare da sola nel parco, o saliva le tre rampe di scale, sollevava la botola dell’attico, e raggiunti i piombi, spingeva lo sguardo lontano, oltre i campi e le colline, lungo il vago orizzonte. Quando se ne stava così, da sola, sentiva spesso la risata di Grace Poole. C’erano giorni in cui era silenziosissima, ma ce n’erano altri in cui non riusciva a spiegarsi tutti quei versi. rapporti con lui si limitarono a incontri casuali nel vestibolo. A volte le passava accanto freddo e altero, altre volte con un saluto e un sorriso pieni di signorile affabilità. Un giorno che aveva avuto gente a pranzo aveva mandato a chiedere la sua cartella. Gli ospiti non fecero in tempo a partire che subito suonò il campanello, e Jane e Adele dovettero così scendere di sotto. Adele si chiedeva se finalmente fosse arrivato il suo petit coffre. Il suo desiderio fu esaudito: quando entrarono nella sala da pranzo, sopra al tavolo c’era una scatola di cartone. Adele si era appartata su un divano con il suo tesoro ed era tutta affaccendata a slegare lo spago che teneva fermo il coperchio. Il signor Rochester mandò a chiamare Mrs Fairfax, per chiedergli di parlare con Adele dei regali che aveva ricevuto, perché lui le aveva proibito di parlagliene. Mr Rochester sembrava diverso da come Jane era abituata a vederlo, aveva un sorriso e gli brillavano gli occhi; era più espansivo e gioviale. Iniziò a parlarle del fatto che un tempo, nel suo cuore c’era una sorta di rude tenerezza: quando aveva l’età di Jane, era un tipo abbastanza sentimentale, con un debole per i più indifesi, ma in seguito era stato piuttosto maltrattato dalla sorte. Il signor Rochester non intendeva trattare Jane come una sottoposta, o meglio, l’unica superiorità che rivendicava deriva dai vent’anni di differenza e da un secolo di esperienza in più. Il signor Rochester voleva che Jane si aprisse con lui, per conoscerla meglio, perché lui non era un uomo malvagio, e lei non doveva ritenerlo tale né attribuirgli una tale cattiva propensione. Sono state le circostanze, più che una naturale inclinazione a fare di lui un volgare peccatore. Visto che la felicità gli era stata irrevocabilmente negata, aveva tutto il diritto di inseguire il piacere della vita, e lo farà, costi quel che costi. Jane non capiva granché di quello che Rochester dava dicendo, non poteva continuare a sostenere quella conversazione, perché stava andando oltre le sue capacità, ma ammise che se si fosse impegnato al massimo, col tempo sarebbe riuscito a diventare l’uomo che desidererebbe essere, degno della sua stessa approvazione. Jane si stava alzando per andare a mettere al letto Adele, ma Mr Rochester temeva che lei avesse paura di lui, perché enigmatico, ma sperava che col tempo avrebbe imperato ad essere più spontanea con lui. Poco dopo sentirono i passi rapidi e leggeri di Adele nel vestibolo, con un abitino rosato di raso, con la gonna gonfia e fittamente pieghettata. Sollevando i lembi del vestito, cominciò a volteggiare attraverso la stanza, finché, giunta davanti a Mr Rochester, gli fece una piccola piroetta sulle punte e si lasciò cadere ai suoi piedi. Mr Rochester congedò Jane, spiegando che un giorno o l’altro le avrebbe spiegato tutto. Capitolo 15 Tempo dopo, Mr Rochester spiegò ciò che avrebbe voluto raccontarle l’altra volta. Fu un pomeriggio, quando per caso incontrò lei e Adele nel parco, mentre giocava con il cane e il suo volano. Le chiese di fargli compagnia, passeggiando su e giù per il lungo viale di faggi. Le disse allora che Adele era figlia di una ballerina francese dell’opera, Céline Varens, per la quale egli aveva nutrito quella che chiamava una ‘’grande passione’’. Celine dava a vedere di ricambiare quella passione con un ardore ancora più intenso. Una sera in cui non lo aspettava, gli capitò di passare da Celine e non la trovò in casa, ma era una notte calda e lui era stanco di girovagare per Parigi, così si mise a sedere nel suo boudoir. Ed ecco che, a bordo di una lussuosa carrozza trainata da una coppia di meravigliosi cavalli inglesi, riconobbe la macchina che aveva regalato a Celine. La carrozza si fermò davanti alla porta del palazzo. Sebbene fosse stata avvolta in un mantello, la riconobbe, ma c’era anche un’altra figura, anch’essa avvolta in un mantello. In quel momento gli passò accanto rincorrendo il suo volano, mentre Rochester le chiese di allontanarsi. Riprese a camminare in silenzio, così Jane si azzardò a richiamarlo al punto del racconto da cui, all’improvviso, aveva bruscamente deviato. L’uomo trovava strano come avesse scelto proprio lei per fare quelle confidenze, ma lei con la sua serietà gli sembrava fatta apposta per accogliere i segreti, poteva essere in grado di purificarlo. Il raccontò continuò, su come il suo compagno in uniforme da ufficiale entrò, e il suo amore per Celine si spense: una donna capace di tradirlo con un rivale del genere, non era degna di essere contesa. I due cominciarono a parlare, la conversazione era vuota e insensata: sopra il tavolo c’era un suo bigliettino da visita, e quando lo notarono, il suo discorso cadde su di lui, e lo insultarono con tutta la meschina volgarità di cui erano capaci, soprattutto Celine. Così aprì la finestra e andò dritto verso di loro, invitandola a lasciare l’appartamento. Il mattino dopo Rochester ebbe il potere di affrontarlo e di lasciargli una pallottola in un braccio. Sei mesi prima, la Varens gli aveva affidato Adele, che secondo lei sarebbe stata sua figlia, così quando scoprì che era sola al mondo, decise di prendere con sé la bambina. Si fece buio, e Rochester suggerì a Jane di tornare in casa, ma lei restò ancora qualche minuto fuori, e poi rientrarono. Jane cercava nel volto di Adele, nei suoi lineamenti qualche somiglianza con Mr Rochester, ma non ne trovò nemmeno una. Da qualche settimana Jane non aveva più l’impressione che non gradisse la sua presenza; non aveva accessi di fredda superiorità. Quando la incontrava per caso, sembrava contento di vederla; aveva sempre una parola gentile per lei, e talvolta un sorriso. Jane, nel frattempo, acquisì peso e vigore: la sua presenza risaldava una stanza meglio di un fuoco scoppiettante, ma tuttavia non aveva dimenticato i suoi difetti: era orgoglioso, sarcastico e lunatico. Jane pensava a ciò che tempo prima le aveva detto Mrs Fairfax: Mr Rochester non era mai stato lì per più di due settimane di seguito, ma adesso erano otto settimane. Se fosse ripartito, ci sarebbe stato un cambiamento triste. Dopo queste riflessioni Jane si addormentò, ma balzò quando udì un mormorio indefinito. Il rumore si era fermato. Provò a riaddormentarsi ma il cuore le batteva angosciato nel petto: la sua calma interiore era ormai svanita. Era una risata demoniaca, che sembrava uscire proprio dal buco della serratura della porta della sua camera. Il suo primo impulso fu di alzarsi ed andare a mettere il chiavistello. Poco dopo, dei passi risalirono di corsa dalla galleria verso la scala del terzo piano. Appena uscì vide una candela accesa, qualcosa scricchiolò: era una porta socchiusa, era la camera di Mr Rochester. In un lampo fu dentro la camera, e le lingue di fuoco dardeggiavano introno al letto, le tende erano in fiamme. Jane tornò al volo in camera e prese la sua brocca d’acqua, così che riuscì a spegnere le fiamme che lo stavano divorando. Finalmente si svegliò. Qualcuno aveva attentato alla sua vita. Jane raccontò brevemente ciò che era successo: la strana risata che aveva sentito nella galleria, i passi, il fumo e l’odore di bruciato. Il suo volto esprimeva più preoccupazione che stupore. Mr Rochester se ne andò, e ritornò pallido e accigliato, dicendo che ora era tutto risolto, e chiese a Jane di non dire niente a nessuno, ci avrebbe pensato lui a spiegare cos’era successo lì. Jane si stava allontanando, ma Rochester chiese di stringersi almeno la mano, e di non andarsene come se fossero stati due estranei. Jane tornò al letto, ma non riuscì a dormire. Capitolo 16 Il giorno dopo voleva sentire ancora la sua voce, ma aveva paura di incontrare il suo sguardo. Appena dopo colazione sentì qualcuno armeggiare nei pressi della camera di Mr Rochester: le donne della casa stavano pulendo e sfregando ogni cosa nella stanza. Jane vide una donna seduta su una sedia accanto al letto, occupata a cucire gli anelli alle tende nuove: era Grace Poole, alzò gli occhi mentre la stava ancora fissando, e la salutò. Per pranzo Mr Fairfax l’aspettava, e ascoltò il racconto di Mrs Fairfax sull’incendio delle tende, tanto era occupata a spremersi le meningi: la notte precedente Mr Rochester aveva praticamente dichiarato di essere convinto della sua colpevolezza, e Jane si chiedeva quale fosse la misteriosa ragione che gli impediva di accusarla. Era quasi buio ormai, quel giorno Jane non sentì la voce di Mr Rochester, né i suoi passi per la casa, e desiderava incontrarlo. Finalmente un passo scricchiolò sulle scale: apparve Leah per avvertirla che il tè era pronto nel salottino di Mrs Fairfax, la quale parlando disse che Mr Rochester era in viaggio, a casa di Mr Esthon, in buona compagnia, non sarebbe tornato nelle prossime settimane, e forse anche di più. Jane aveva troppa sete per mangiare, e chiese un'altra tazza di tè: Adele entrò e furono costrette a cambiare argomento. Era una follia per una donna covare dentro di sé la fiamma di un amore segreto. Disse a sé stessa di mettersi davanti allo specchio e di farsi un ritratto pastello, senza attenuare alcun difetto e senza tralasciare alcun dettaglio. Poi si disse di prendere la tavolozza, e di disegnare con cura il volto più grazioso che riuscisse ad immaginare, seguendo la descrizione che Mrs Fairfax ha fatto di Blanche, la donna che quella sera si trovava molto probabilmente con Mr Rochester. Si promise, in futuro, che ogni volta le fosse dovuto passare in mente che Mr Rochester potesse avere un debole per lei, avrebbe dovuto tirare fuori quei due ritratti, e metterli a confronto. Le bastarono un paio d’ore per schizzare il suo ritratto a pastello, e in meno di quindici giorni aveva portato a termine la miniatura di una Blanche Ingram immaginaria. Il contrasto fu proprio quello che il suo senso critico desiderava. Grazie a essa, riuscì ad affrontare con la dovuta calma gli eventi che seguirono. Capitolo 17 Passarono dieci giorni e non era ancora tornato. Mrs Fairfax disse che non si sarebbe sorpresa se avesse tirato dritto per Londra, e poi per il continente. Jane provò un senso di delusione. Jane portava tranquillamente avanti le sue occupazioni quotidiane, e senza rendersene conto, cominciò a formulare nuovi annunci e a considerare l’ipotesi di un nuovo impiego. Era da più di quindici giorni che Mr Rochester mancava, quando arrivò una lettera per Mrs Fairfax: sarebbe tornato dopo tre giorni, ma non sarebbe stato solo: raccomandava di tener pronte tutte le camere più belle e di mettere in ordine la biblioteca e i salotti; chiedeva di procurare del personale per la cucina. I tre giorni che seguirono furono davvero pieni di cose da fare. Adele non faceva che correre, tutta eccitata, in mezzo a quella baraonda. Di tanto in tanto, il suo buonumore subiva una doccia fredda, quando incontrava Grace Poole. Ma la cosa più strana di tutte era che nessuno in casa, a parte lei, faceva caso alle sue abitudini o sembrava meravigliarsene; nessuno si chiedeva quale fosse il suo ruolo e quali fossero le sue mansioni. Jane stava origliando una conversazione fra Leah e una domestica, ma quando la prima si accorse della presenza di Jane, fece cadere il discorso. Arrivò giovedì: tutti i lavori erano stati portati a termine la sera prima. Giunse il pomeriggio. Mrs Fairfax sfoderò un abito di raso nero, il più bello che aveva, guanti e orologio d’oro; anche Adele volle La zingara era china sul fuoco e pareva leggesse un libricino nero. Chiuse il libro e alzò lentamente lo sguardo. Secondo la zingara, Jane aveva freddo, era malata ed era sciocca: aveva freddo perché era sola, nessun contatto riusciva a produrre una scintilla capace di accendere il fuoco che aveva dentro; era malata perché il sentimento più bello, il più nobile e dolce mai concesso all’uomo, si teneva alla larga da lei; ed era sciocca perché non faceva nessun passo per andargli incontro dove l’aspettava. Le chiese di inginocchiarsi, di sollevare la testa e di ungere il palmo della mano con dell’argento. La maga iniziò a parlare del futuro di Mr Rochester, ma Jane ammise che non era lì per sentire il destino di Mr Rochester, ma per conoscere il suo, di cui non gliene aveva ancora parlato. Il destino di Jane era incerto: la sorte le aveva assegnato una dose di felicità, ma dipendeva da lei se tendere la mano e prenderla. I suoi occhi erano favorevoli, e la sua, era una bocca che avrebbe dovuto parlare molto e sorridere spesso, ma anche quel tratto era favorevole. Non vedeva ostacoli a un esito felice se non sulla fronte, perché la ragione era per lei un ostacolo, che non le permetteva di utilizzare i sentimenti. Jane osservava di nuovo quel volto, che non cercava più di evitarla, ma al contrario: e Mr Rochester uscì dal suo travestimento. Jane rimase delusa, perché credeva che lui avesse cercato di tirarle fuori qualche segreto, o ti attirarla in una trappola. Jane chiese di potersi ritirare, ma lui la fece sedere, e si fece raccontare cosa dicevano gli altri su di lui. Jane le raccontò del nuovo arrivato, Mason: Mr Rochester si era messo accanto a lei e le aveva preso la mano per farla sedere. Nell’udire le sue parole sentì una stretta convulsa al polso, e il sorriso gli si gelò sulle labbra. Si mise a sedere e la fece sedere accanto a lui, tenendo la sua mano fra le sue. Le chiese di andare a prendergli un bicchiere di vino in sala da pranzo, e di controllare che Mason fosse con altri. Jane andò riempì il bicchiere, e tornò in biblioteca: il pallore mortale era scomparso dal volto di Mr Rochester, e aveva ripreso il suo aspetto sicuro e severo. Jane, seguì gli ordini di Rochester e ritornò in sala, dove andò da Mr Mason e gli sussurrò in un orecchio che Mr Rochester era tornato, e che desiderava parlargli. Capitolo 20 La luna piena era splendente, Jane aprì gli occhi e allungò il braccio per chiudere la tenda, ma sentì un urlo che si spense, al quale non ne seguirono altri. Veniva dal terzo piano, sopra la sua testa. Sentiva una lotta all’ultimo sangue, a giudicare dal rumore, e una voce mezza soffocata che gridò aiuto e chiamo Mr Rochester. Jane uscì dalla sua camera, si erano svegliati tutti. Mr Rochester annunciò che una domestica aveva avuto un incubo, e riuscì a mandare ognuno nella propria stanza. Jane cominciò a vestirsi perché i suoni che aveva sentito dopo il grido e le parole che erano state pronunciate le aveva udite solo lei, perché provenivano dalla stanza sopra la sua, e quindi sapeva bene che non era stato il sogno di una domestica. Una volta vestita, rimase seduta a lungo accanto alla finestra a guardare il parco silenzioso: aveva come la sensazione che dovesse per forza accadere qualcos’altro. E invece tornò la calma, quando qualcuno bussò piano: era Mr Rochester, che aveva bisogno di Jane. Le chiese una spugna e dei Sali da inalare. Jane vide una stanza che ricordava di aver già visto, degli arazzi erano stati sollevati in un punto, scoprendo una porta che era sempre rimasta nascosta. Questa porta era aperta e conduceva ad una stanza illuminata: lì c’era Grace Poole, e accanto alla testata del letto c’era una poltrona su cui era seduto un uomo, vestito ma senza giacca: era Mason. Mr Rochester sbottonò la camicia del ferito, che aveva il braccio e la spalla fasciati: con la spugna lavò via il sangue che gocciolava abbondante da sotto le fasciature. Lasciò Jane a prendersi cura di Mason, e le suggerì come prendersi cura di lui, come aveva fatto fino a quel momento lui, ma impose ad entrambi di non parlare. Jane si domandava cosa avesse potuto provocare quello stato in Mason, che cosa lo aveva spinto verso quella pare della casa ad un’ora insolita. L’ospite di Mr Rochester era stato aggredito come accadde a lui stesso qualche tempo prima, ed entrambi gli attentati lui preferì tenerli segreti. Non arrivavano né il giorno né il suo soccorso. La sofferenza fisica, l’angoscia interiore o la perdita di sangue, o tutte le cose insieme stavano esaurendo in fretta le sue energie. La candela si spense, l’alba di avvicinava e si sentì Pilot abbaiare: rinacque la speranza e non fu un falso allarme, perché cinque minuti dopo Mr Rochester arrivò insieme al medico che era andato a chiamare. Mason aveva un morso, perché Grace lo aveva azzannato. Mr Rochester lo aveva avvertito che non avrebbe dovuto avvicinarsi a lei, almeno non senza la sua compagnia. Il sole sarebbe sorto a breve, e Rochester ordinò di portare via il suo amico prima che succedesse, e chiese a Jane di aprire il cassetto della sua toletta e di prendere la fiala e il bicchierino e di portarglieli. Dopo che ebbe buttato giù il liquido, Mr Rochester lo fece rimanere seduto per tre minuti, poi gli prese il braccio e si alzò. Rochester disse a Jane di precederli sulla scala di servizio e di aprire la porta laterale e di dire al corriere della carrozza di tenersi pronto, perché stavano arrivando. Se ci fosse stato qualcuno in giro, avrebbe dovuto far loro un segnale. Apparvero i tre uomini: Mason, sorretto da Mr Rochester e dal medico, che lo aiutarono a salire in carrozza. Mr Rochester invitò Jane a prendere un po’ di aria fresca, e si incamminarono lungo un sentiero cinto, da un lato, di meli, peri e ciliegi; e dall’altro garofani, primule, viole, rose e varie piante aromatiche. Rochester raccolse una rosa semisbocciata e gliele porse: le chiese se avesse avuto paura, nell’occuparsi di Mason, ma le assicurò che nessuno poteva uscire da quella stanza interna, perché aveva chiuso a chiave la porta e aveva la chiave in tasca. Mr Rochester definì Jane come la sua piccola amica: e le disse che era in grado di esercitare un potere su di lui, e di poterlo far sentire male: eppure non se la sentiva a mostrarle il suo punto debole, perché aveva paura di lei, che potesse trafiggerlo. Si sedettero sotto alla pergola, e Mr Rochester la sottopose ad un caso, mentre lei doveva immaginarselo: doveva sottoporre di non essere più la ragazza beneducata e a modo, ma di essere ribelle e viziata dall’infanzia; doveva immaginarsi di trovarsi in un paese straniero lontano da lì; provare a pensare di aver commesso, in quel paese, un errore gravissimo tale che le sue conseguenze l’avrebbero perseguitata per tutto il resto della sua vita e macchierebbero tutta la loro esistenza. Con il cuore esausto e l’animo inaridito, sarebbe tornato a casa dopo anni di confine volontario, avrebbe fatto una nuova conoscenza, e trovava in quella persona estranea tante di quelle qualità buone e luminose che cercava da vent’anni e che non avrebbe mai incontrato prima: una compagnia che avrebbe ridato vita e speranza. Continuò a parlare di quest’uomo peccatore che era pentito e in cerca di un po’ di pace, e chiese a Jane se avesse il diritto di sfidare l’opinione pubblica per legarsi per sempre alla creatura gentile, graziosa e generosa, per assicurarsi così la pace interiore e una vita nuova. Continuò chiedendo a Jane se trovasse che Miss Ingram potesse rigenerarlo ad oltranza. Chiese ancora se la notte prima del matrimonio, essendo quella una notte in cui non sarebbe riuscito a dormire, se lei gli avesse fatto compagnia per parlare della sua amata. Jane acconsentì, ed entrambi si separarono, ognuno se ne andò per la sua strada. Capitolo 21 Per tutta l’ultima settimana, non c’era stata notte che non avesse portato con sé un bambino in sogno. Nel pomeriggio, qualcuno aspettava Jane di sotto, nel salottino di Mrs Fairfax: era Robert, era il cocchiere di Mrs Reed, giunto lì per parlare della famiglia Reed: se la passavano molto male, erano in grande difficoltà. MR John era morto nella sua casa di Londra, dicevano che fu ucciso. La signora, già da molto tempo stava male, e la perdita del denaro e la paura della povertà l’avevano buttata a terra. La notizia della morte di Mr John e di come era morto era arrivata all’improvviso, e le venne un colpo. Ad ogni modo, chiedeva spesso di vedere e parlare con Jane. Così andò a cercare Mr Rochester, chiese a Mrs Fairfax dove fosse, così corse in sala biliardo. Gli chiese una settimana o due di permesso, per visitare una signora malata che aveva chiesto di lei. Dopo essersi assicurato che non si sarebbe fatto convincere, per nessuna ragione, a rimanere con lei per sempre le chiese se avesse bisogno di denaro, visto che non era ancora stata pagata. Dopo essersi salutati con un addio, suonò la campana della cena e Rochester scappò subito via, senza dire altro. Non lo rivide più per il resto della giornata e il mattino dopo partì prima che lui si alzasse. Raggiunse la portineria di Gateshead verso le cinque del pomeriggio del primo maggio. Bassie era seduta al bordo del focolare e allattava l’ultimo nato, e il piccolo Robert e la sorellina giocavano tranquilli in un angolo. Le notizie su Mrs Reed non erano le migliori: il dottore diceva che avrebbe potuto vivere per ancora una settimana o due, ma non credeva che potesse riuscire a rimettersi. Nel vedere Bassie così affaccendata, in un momento, i ricordi di una volta le si riaffollarono dentro. Bassie aveva mantenuto il suo carattere vivace, oltre al passo svelto e leggero e al bell’aspetto. A forza di chiacchierare passò un’ora: Bassie e Jane si diressero verso casa. La ferita aperta dei torti subiti era ormai completamente rimarginata e la fiamma del risentimento estinta. Jane si ritrovò davanti due giovani signorine: Eliza e georgiana. Entrambe le ragazze quando Jane entrò si alzarono per salutarla, ed entrambe le si rivolsero chiamandola ‘’Miss Eyre’’. Mentre era seduta fra le cugine, era sorpresa di trovarsi così a suo agio di fronte alla totale indifferenza dell’una e alle attenzioni semi sarcastiche dell’altra. Successivamente si diresse verso la camera da letto di sua zia: si avvicinò al letto e scostò i tendaggi, chinandosi sull’alta pila dei cuscini. Il viso di Mrs Reed se lo ricordava bene e cercò con ansia quella immagine familiare; si abbassò e la baciò. La donna la scrutò con uno sguardo gelido, e subito sentì che la sua opinione su di lei, oltre che i suoi sentimenti nei suoi confronti erano immutati e immutabili. Jane provava pena, rabbia ed infine un forte desiderio di esserle superiore. Mrs Reed le chiese di rimanere finché non le avrebbe parlato di alcune cose che la riguardavano, ma quella sera era troppo tardi e faceva fatica a ricordarle. La madre di Jane era l’unica sorella di Mr Reed, e la persona che lui amava di più al mondo. Quando lei contrasse un matrimonio inferiore alla sua condizione, lui si oppose, e quando arrivò la notizia della sua morte, volle far andare in quella casa la bambina. A Reed faceva pena e così la cullava e si occupava di lei più di quanto si fosse mai occupato dei suoi figli. Nel suo letto di morte la volle continuamente al suo capezzale e, appena un’ora prima di tirare Il tempo stava cambiando, l’acqua venne già a rovesci. Si misero a correre lungo il viottolo, attraverso il parco, fino a casa; ma quando varcarono la soglia, erano già bagnati fradici. Spuntò nella stanza Mrs Fairfax: lì per lì nessuno la notò. Mr Rochester la baciò ripetutamente. Tuttavia, quando raggiunse la sua camera, Jane sentì una fitta al cuore all’idea che potesse fraintendere quello che aveva visto. Ma la gioia cancellò subito ogni altro sentimento. Capitolo 24 Jane scese dal letto e si vestì, ripensando a quel che era accaduto, chiedendosi se non fosse stato un sogno. Scesa nel vestibolo, era un lucente mattino di giungo, Jane attraversò la porta a vetri spalancata e vide un mendicante e il suo bambino che risalivano il viale, così Jane corse giù per dar loro tutto quello che aveva nel borsellino. Poi andò da Mr Rochester, il quale l’accolse calorosamente, la vedeva radiosa, sorridente e bella; era molto contento che entro quattro settimane sarebbe diventata sua moglie. Rochester spiegò che quella mattina aveva scritto al suo banchiere di Londra per farsi mandare dei gioielli che aveva in custodia. Jane si oppose a questa scelta; Rochester la informò sul fatto che quel giorno stesso l’avrebbe portata in carrozza a Millcote per scegliere qualche vestito. Sarebbe stata una cerimonia discreta, nella chiesa sotto casa, poi si sarebbero fermati in città, e dopo una breve sosta lì, l’avrebbe condotta in regioni più vicine al sole: nei vigneti francesi e nelle pianure italiane. Rochester acconsentì alla richiesta di Jane di non far arrivare dei gioielli. Jane chiese al suo uomo perché le aveva dato tanto pena nel farle credere che voleva sposare Miss Ingram. Lui lo fece perché voleva che si innamorasse follemente di lui, come lo era lui di lei, e sapeva che la gelosia sarebbe stata la migliore alleata a disposizione per raggiungere lo scopo. Fu Miss Ingram, a lasciare Mr Rochester quando venne a sapere che non era ricco. Jane chiese di comunicare le sue intenzioni a Mrs Fairfax, che li aveva visti insieme quella notte, ed era rimasta sconvolta. Mr Rochester chiese a Jane di mettersi la cuffia, perché voleva che lo accompagnasse a Millcote, quella mattina, e mentre lei si preparava per la gita, lui andò dalla vecchia Fairfax, la quale non vedeva molto bene questa relazione, perché in casi del genere, per lei, era preferibile una parità di posizione di beni, e poi ci sarebbero stati vent’anni di differenza. Un gentiluomo del suo rango difficilmente avrebbe sposato una sua istitutrice. Jane cominciava ad irritarsi sul serio, ma per fortuna arrivò Adele a supplicarla di chiedere a Mr Rochester di portarla con loro, e Jane così fece. L’ora che passarono a Millcote fu piuttosto estenuante per Jane. Mr Rochester la costrinse ad entrare in un negozio si sete e le ordinò di scegliere una mezza dozzina di abiti. Più cose le comprava più sentiva le guance in fiamma per un senso di fastidio e umiliazione. Quando risalirono in carrozza, a Jane tornò in mente la lettera di suo zio e la sua intenzione di adottarla e di farla sua erede illegittima. Jane espresse la voglia di sentirsi a suo agio, non oppressa da una gran quantità di obblighi verso di lui: non voleva essere la Celine Varens inglese. Voleva continuare ad essere l’istitutrice di Adele e si voleva guadagnare vitto e alloggio, e trenta sterline l’anno. Voleva provvedere da sé al suo guardaroba con quel denaro e lui non avrebbe dovuto darle altro che il suo rispetto. L’aiutò a scendere dalla carrozza, e mentre tirava giù Adele, Jane entrò in casa e si assicurò la fuga al piano di sopra. Come previsto, la sera Mr Rochester la mandò a chiamare, ma Jane gli chiese di cantare, perché le piaceva la sua voce. Ma Rochester le chiese di accompagnarla al piano, finché non la fece alzare dallo sgabello, si mise a sedere al suo posto e prese ad accompagnarsi da solo, perché era tanto bravo a suonare quando a cantare. Si augurarono la buonanotte e Jane scivolò fuori dalla porta laterale e se ne andò. Introdotto quel sistema, lo adottò per tutto il periodo del fidanzamento, con ottimi risultati. Invece di carezze, riceveva smorfie, invece di strette di mano, pizzicotti sul braccio, invece di baci sulla guancia, tirate d’orecchie. Per il momento preferiva di gran lunga queste brusche manifestazioni a qualsiasi altra più tenera. Capitolo 25 Il mese del corteggiamento era ormai agli sgoccioli. Il giorno delle nozze si avvicinava e tutti i preparativi per il suo arrivo erano stati ultimati. L’indomani sarebbero stati lontani, in viaggio per Londra. Ma Jane, in cuor suo, serbava un pensiero strano e tormentato. Era accaduto qualcosa che non riusciva a comprendere. Una sera Mr Rochester era fuori casa e non era ancora tornato, per occuparsi degli affari. In fondo al vialetto degli allori Jane si trovò di fronte al relitto dell’ippocastano: si ergeva nero e spezzato. Le due metà non si erano separate del tutto. Per un istante, attorno a Thornfield, il vento si placò; ma in lontananza dilagò un gemito furioso malinconico, così corse via. Vedendo che si era fatto tardi, decise di aspettare Rochester ai cancelli. Prima di aver compiuto un quarto di miglio, udì un pestare di zoccoli: era arrivato, e gli andò incontro. Mentre John prendeva il cavallo, lui la seguì nel vestibolo, dicendogli di correre a mettersi addosso qualcosa di asciutto e poi di raggiungerlo in biblioteca. Così cenarono, e si sedettero vicini. Jane non aveva parole per dirle come si sentiva, voleva che quel momento non finisse mai. Poi cominciò a raccontargli quello che le era successo: dopo il tramonto, Sophie la chiamò al piano di sopra per vedere l’abito da sposa che era appena arrivato. Sotto il vestito c’era un regalo di Rochester: il velo. Con l’arrivo della notte, il vento soffiava con un suono cupo e lamentoso. Mentre la bufera continuava ad aumentare, le sembrava di udire, in sottofondo, un suono lugubre e soffocato. Fu un sollievo, per Jane, quando cessò. Dopo essersi addormentata, durante il primo sonno, percorreva una strada tortuosa e sconosciuta, immersa nell’oscurità, e portava al collo un bambino: pensava che lui fosse su quella strada, molto più avanti di lei, e ogni sua fibra era tesa nello sforzo di raggiungerlo, sentiva che a poco a poco lui si allontanava sempre di più. Fece poi un altro sogno, in cui Thornfield era una tetra rovina, un covo di pipistrelli e civette. Continuava a stringere al petto il bambino sconosciuto, avvolto in uno scialle; non poteva posarlo da nessuna parte: udiva in lontananza il galoppo di un cavallo sulla strada, era sicura che lui fosse in procinto di partire per molti anni e per un paese lontano: si arrampicò sul muro e lo vide svoltare all’angolo della strada, il muro era crollato, e la forte scossa le fece scivolare il bambino dalle ginocchia, Jane perse l’equilibrio, e dopo essere caduta, si svegliò. Nello svegliarsi, un bagliore le ferì gli occhi: era la luce di una candela sulla toeletta, e la porta del guardaroba a cui, aveva appeso il suo abito da sposa e il velo era aperta. Jane non riconobbe nessuna delle domestiche: la figura che le stava davanti non l’aveva mai vista prima a Thornfield Hall: era alta e robusta, con i capelli folti e neri che le ricadevano lungo la schiena. Per Jane sembrava un vampiro. Aveva strappato il velo in due, lo aveva gettato a terra in pezzi e lo aveva calpestato. Scostò la tenda dalla finestra e guardò fuori: la figura si fermò poi all’altezza del suo letto, e la fissava con occhi infuocati. Jane si alzò, e dopo essersi bagnata la testa e il viso, bevve un bel sorso d’acqua. Rochester capì che una donna era entrata in camera sua, ma sarebbe stata sicuramente Grace Poole, poi ammise che un anno e un giorno dopo il loro matrimonio, le avrebbe spiegato il motivo per cui teneva in casa una donna del genere. Così Rochester mandò Jane a dormire nel letto di Adele. Quella notte Jane non fece sogni angoscianti, ma neppure gioiosi, perché non dormì affatto. Appena si levò il sole, si levò anche Jane. Capitolo 26 Sophie alle sette si recò a vestire Jane. In fondo alle scale la aspettava Mr Rochester: le concesse qualche minuto per fare colazione, e suonò il campanello. Accorse un domestico assunto da poco, un valletto. Mentre scendevano giù per il viale, Jane non guardava né il cielo né la terra. I suoi occhi seguivano il suo cuore ed entrambi sembravano essersi trasferiti nel corpo di Mr Rochester. Al cancello del camposanto Mr Rochester si fermò perché si accorse che Jane non aveva più fiato. Entrarono nel tempio silenzioso e spoglio: il sacerdote li attendeva presso l’umile altare, con a fianco il chierico. Due forestieri si erano infilati in chiesa prima di loro e stavano vicino alla cripta dei Rochester: la funzione ebbe inizio. Ma qualcuno annunciò che il matrimonio aveva un impedimento: il forestiero spiegò che consisteva nell’esistenza di un precedente matrimonio: Mr Rochester aveva una moglie tutt’ora vivente. Jane guardava Mr Rochester e lo costrinse a guardarla, lui non negò nulla e si limitò a cingerle la vita con un braccio, e a stringerla forte a sé. L’intruso era Mr Briggs, il quale tirò fuori un foglio dalla tasca in cui c’era scritto che il matrimonio era stato celebrato in Giamaica, ma anche se l’atto di matrimonio si trovava nei registri di quella chiesa, una copia di quel documento era nelle mani di Richard Mason, la persona che aveva scritto la lettera. Il secondo forestiere era Mr Mason, che si avvicinò, e spiegò che sua sorella abitava a Thornfield Hall, e che l’aveva vista ad aprile. Mr Rochester spiegò che quanto affermato dai due era vero: era sposato, e la donna che aveva sposato, viveva in casa sua, ed era pazza. Si chiamava Bertha Mason. Mr Rochester continuava a tenere Jane stretta e lasciarono la chiesa, seguiti dai gentiluomini. Mr Rochester tirò dritto e si avviò su per le scale, fino a proseguire per il terzo piano, dove entrarono in una stanza. Grace Poole era china sul fuoco e sembrava intenta a cuocere qualcosa in una casseruola. Una figura si muoveva avanti e indietro. La pazza levò un ruggito, si scostò dal viso le ciocche arruffate e puntò sui visitatori il suo sguardo feroce. Mr Rochester spinse Jane dietro di sé. La pazza gli si avventò contro e lo afferrò brutalmente alla gola, cercando di addentargli una guancia. Alla fine, le immobilizzarono le mani con una corda dietro la schiena. Se ne andarono tutti, mentre Mr Rochester si trattenne ancora un po’ per dare ulteriori direttive a Grace Poole. L’avvocato scendendo dalle scale si avvicinò a Jane, rassicurandola che lei non aveva nessuna colpa, ma che suo zio sarà felice di saperla ancora viva quando Mr Mason sarebbe tornato a Madera. Lo zio di Jane era molto malato, e data la natura del suo male e lo stadio che aveva raggiunto, era improbabile che riuscisse a rimettersi. Non poteva quindi esser andato di persona in Inghilterra per liberarla dalla trappola in cui era cascata Jane, ma scongiurò Mr Mason di non perdere tempo e di fare di tutto per impedire il falso matrimonio. E lo indirizzò a lui perché lo assistesse. Senza neppure congedarsi da Mr Rochester, Capitolo 28 Erano passati due giorni: il cocchiere aveva fatto scendere Jane in una località chiamata Whitcross. Dai nomi noti di quelle città capiva in quale contea si trovava, una contea centro-settentrionale. La popolazione doveva essere scarsa e non vedeva anima viva lungo quelle quattro strade, che si dirigono verso i quattro punti cardinali. In un punto in cui l’erica era molto folta, Jane vi si sdraiò, si mise a pregare inginocchiata Mr Rochester. Levando gli occhi al cielo vide la Via Lattea in tutta la sua magnificenza. Jane si mise in cammino. Il giorno dopo seguì una strada che andava in direzione opposta al sole, e udì il rintocco di una campana, così si volse nella direzione del sole e vide un villaggio e un campanile. Verso le due del pomeriggio entrò nel villaggio. Jane entrò in una bottega, e al banco trovò una donna che le andò incontro con premura: fu presa dalla vergogna, e chiese, solo per un momento, il permesso per sedersi, essendo molto stanca. Risalì poi in strada, gironzolò intorno al villaggio e tornò indietro. L’istinto la trattenne a vagabondare intorno alle abitazioni, dove c’era qualche possibilità di trovare un po’ di cibo. Si affacciava alle case e poi se ne allontanava. Il pomeriggio avanzava, Jane si diresse verso il camposanto, nel bel mezzo di un giardino, dove sorgeva una casa piccola ma solida, che doveva essere la parrocchia. Jane raggiunse la casa e bussò alla porta della cucina. Le aprì una vecchia, che le comunicò che il pastore non era in casa perché era dovuto correre a causa sua per la morte del padre. Jane non era pronta a mendicare, e si trascinò via quasi strisciando. D’istinto ritornò verso il villaggio, trovò una bottega ed entrò: sebbene la donna non fosse sola, Jane si arrischiò a chiedere se volesse darle una pagnotta in cambio del fazzoletto. La donna si rifiutò di fare un baratto, dato che non ne aveva mai fatto uno del genere, ma le diede una fetta della sua pagnotta e gliela porse. Jane si allontanava dal villaggio, e si accorse che quasi non lo vedeva più. Si diresse verso la collina, e la raggiunse. In un punto oscuro lontano spuntò una luce, qualcosa continuava a bruciare. Trascinava le sue membra esauste verso di essa. Fra lei e la luce si era frapposto un ostacolo. Vide un cancello e lo varcò. Vedeva una candela sul tavolo, ma la sua attenzione fu attirata da due persone sedute tranquillamente attorno al focolare: erano due donne giovani e graziose. Non aveva mai visto quei volti, eppure le parvero familiari. Jane cercava a tentoni la porta dove bussare: la aprì una certa Hannah, che non volle farla entrare, ritenendola una vagabonda, ma le diede qualcosa da mangiare. La domestica le sbatté una porta in faccia, ed una fitta di dolore lancinante le lacerò il cuore: si accasciò sul giardino bagnato davanti alla porta. Un nuovo venuto bussò alla porta, era Mr St John che volle parlare un attimo con quella donna, e la fece entrare. Le due ragazze, Mr St John, loro fratello, e la vecchia domestica tenevano tutti gli occhi fissi su di lei. Diana spezzò il pane, lo inzuppò nel latte e glielo accostò alle labbra. Lesse nel suo volto una pietà sincera. Mary e Diana furono chiamate da suo fratello per andare a parlare con loro sul da farsi. Dopo poco, con l’aiuto della domestica Jane riuscì a salire le scale. Le tolsero di dosso i vestiti bagnati e di lì a poco un letto caldo e asciutto l’accolse. Capitolo 29 Il ricordo dei tre giorni e delle tre notti che seguirono fu molto confuso nella sua mente. Non si rendeva conto dello scorrere del tempo. Hannah, la domestica, era la sua visitatrice più assidua. La sua presenza la disturbava: aveva la sensazione che avrebbe preferito vederla andar via. Nei discorsi di Diana e Mary non aveva mai sentito una parola di pentimento per l’ospitalità offerta o di sospetto o di avversione nei suoi confronti. Il terzo giorno si sentì meglio. Il quarto riusciva a parlare, a muoversi, a mettersi a sedere sul letto. Su una sedia di fianco al letto c’erano tutte le sue cose, pulite e asciutte. Riuscì a vestirsi, ma il vestito le stava largo. Jane scese piano la scala di pietra appoggiandosi alla balaustra, percorse un corridoio stretto e basso e subito si ritrovò in cucina. Hannah ultimamente aveva iniziato ad addolcirsi un po’. Jane chiese alla donna come si chiamasse quella casa: si trattava di ‘Marsh End’ o ‘Moor house’: Mr St John non abitava lì, la sua casa era la parrocchia di Morton, lui era un parroco. Quella casa era di suo padre, il vecchio Mr Rivers, morto tre settimane prime. Ad Hannah piaceva molto chiacchierare. Mentre Jane puliva la frutta lei preparava l’impasto per le crostate, e continuò a raccontarle particolari sul padrone e la padrona defunti e sui suoi ‘’bambini’’. Il vecchio Mr Rivers era un uomo semplice ma distinto, e di una famiglia antica come poche. Marsh End apparteneva ai Rivers fin da quando era stata costruita, da circa duecento anni. La padrona era un’appassionata lettrice e studiava molto. Mr St John, da ragazzo, era voluto andare in seminario e farsi prete; mentre le ragazze, appena finita la scuola, si erano cercate un posto come istitutrici. Era da tanto che le ragazze non passavano un po’ di tempo a casa, e adesso erano andate soltanto per qualche settimana in seguito alla morte del padre. Quando le ragazze si accorsero che Jane stava aiutando Hannah in cucina, la fecero accomodare sul divano, perché in quanto ospite doveva stare seduta in salotto. Mr St John sedeva immobile con gli occhi fissi sulla pagina che leggeva. Sebbene fosse seduto tranquillo e immobile, rivelava una certa inquietudine, durezza o impulsività. Jane si aprì con loro: spiegò che era un’orfana, che i suoi genitori morirono prima che lei potesse conoscerli. Fu allevata dove aveva trascorso sei anni come allieva e due come insegnante: nell’orfanotrofio di Lowood. Aveva lasciato Lowood circa un anno prima per fare l’istitutrice in una famiglia. Il posto era buono e lei era contenta. Ma quattro giorni prima si era vista costretta a lasciarlo: nel pianificare la sua fuga, aveva tenuto conto due cose soltanto: della rapidità e della segretezza. Portò con sé solo un piccolo pacco che nella fretta aveva dimenticato sulla diligenza che l’aveva condotta a Whitcross. Jane chiese loro di aiutarla a cercare un lavoro o chiese di darle un lavoro. Mr St John decise di darle un aiuto. Capitolo 30 Più conosceva gli abitanti di Moor House, più a Jane piacevano. In pochi giorni si sentì abbastanza forte da poter stare in piedi tutto il giorno e talvolta uscire a passeggio. Jane divorava i libri che le prestavano ed era per lei un piacere immenso discutere con loro, alla sera. Diana si offrì di insegnarle il tedesco. Quanto a St John, l’intimità che era sorta con tanta spontaneità e immediatezza tra lei e le sorelle non si estese anche a lui. Spesso, di sera, quando stava seduto vicino alla finestra davanti al suo tavolo e alle sue carte, smetteva di leggere e di scrivere, poggiava il mento sulla mano e si abbandonava a chissà quali pensieri. Intanto era passato un mese. Diana e Mary avrebbero presto lasciato Moor House: facevano le istitutrici in una grande e moderna città dell’Inghilterra del sud. Mr St John non le aveva ancora detto nulla circa l’impiego che aveva promesso di procurarle. Così Jane decise di chiedere informazioni: tre settimane fa aveva trovato qualcosa per lei, ma poiché le sembrava che lì si trovasse bene, e che si rendesse utile, dato che le sue sorelle si erano affezionate, aveva pensato che non fosse il caso di separarle. Visto che St John era povero e non in vista, non poteva offrire a Jane un lavoro che povero e modesto; era convinto che avrebbe accettato il posto che le avrebbe offerto, ma era convinto che lo avrebbe mantenuto per un po’, ma che per sua natura era di una lega inconciliabile con la tranquillità: Jane sarebbe diventata, la settimana seguente, l’istitutrice in una piccola scuola di paese, con delle allieve povere. Avrebbe dovuto insegnar loro a fare la calza, a cucire, leggere, scrivere e fare i conti. Jane accettò. Diana e Mary Rivers, man mano che s’avvicinava il giorno in cui avrebbero dovuto lasciare il fratello e la casa, divennero sempre più tristi e silenziose. Quella volta, probabilmente, avrebbero dovuto separarsi da St John per anni, forse per tutta la vita. St John passò davanti alla finestra leggendo una lettera: lo zio John era morto, ma la notizia parve destare in loro più interesse che dolore. Per qualche minuto nessuno parlò, ma poi a Jane le fu spiegato che non lo avevano mai visto né conosciuto. Era il fratello della loro madre, che litigò con il loro padre. Il giorno dopo Jane lasciò Marsh End per Morton e dopo due giorni anche Mary e Diana partirono. Capitolo 31 La casa dove ora viveva Jane era un cottage: quella mattina era stata aperta la scuola del villaggio. Aveva venti allieve: alcune erano maleducate, rozze, intrattabili; altre erano docili e avevano voglia di imparare. Jane non si aspettava molte gioie dalla vita che le si apriva davanti, ma era sicura che avrebbe ricavato abbastanza per tirare avanti giorno per giorno. Durante le ore trascorse nell’aula spoglia e umile Jane si sentiva un po’ sconsolata: le pareva di aver fatto un passo che invece di innalzarla, la abbassava, all’interno della scala sociale. Jane si domandava cos’era meglio, se essere schiava d’un paradiso insensato a Marsiglia, oppure essere la maestra di una scuola di campagna. Seppe di aver fatto la cosa giusta quando decise di rimanere fedele ai principi e alla legge. Arrivata quel punto delle sue riflessioni serali, Jane si alzò e andò alla porta per guardare il tramonto. Poco dopo si mise a piangere perché un destino crudele l’aveva strappata dal suo padrone. Un leggero rumore vicino al cancello le fece alzare lo sguardo: era St John, che le aveva portato un pacchetto che le sue sorelle avevano lasciato per Jane. Vedendolo, però, Jane scossa, le iniziò a raccontare di quando un anno fa fu profondamente infelice, perché credeva di aver sbagliato a prendere gli ordini: ardeva dal desiderio di avere un ruolo più attivo nel mondo, di diventare uno scrittore o un artista o un oratore. Dopo un periodo buio e contrastato, comparve la luce e venne il conforto, ma suo padre, si oppose in ogni modo alla sua decisione, ma ora che suo padre era morto, dopo aver sistemato alcuni affari, avrebbe lasciato l’Europa per l’Oriente. Nel frattempo, arrivò una donna, che avrebbe dovuto aiutare Jane ogni tanto nell’insegnamento: Miss Rosamond Oliver, che chiese a St John di andare a trovare suo padre, che l’uomo non vedeva da troppo tempo; ma dopo il rifiuto di St John, ognuno se ne andò per la sua strada. Capitolo 32 che accompagnava quell’evento, quello lo infastidiva. Circa un’ora dopo il tè, si sentì qualcuno bussare alla porta: era arrivato un povero ragazzo a chiedere a Mr Rivers di andare a far visita alla madre, che stava per andarsene. Quando tornò era mezzanotte: era parecchio provato e stanco, ma appariva più felice di quando era tornato. Un pomeriggio St John, chiese a Jane di lasciar perdere il tedesco per mettersi a studiare l’indostano: perché man mano che lui andava avanti con lo studio, tendeva a dimenticare quanto appreso all’inizio. Gli sarebbe stato d grande aiuto avere un’allieva con cui poter ripassare quelle prime nozioni così da fissarsele a memoria. St John si rivelò un maestro davvero paziente e comprensivo, ma anche esigente. Jane cercava di accontentarlo, ma per riuscirci si sentiva soffocare parte delle sue qualità, costringendosi a fare cose nuove per cui non si sentiva affatto portata. Negli ultimi tempi le riusciva naturale apparire triste, perché non aveva dimenticato Mr Rochester neppure per un momento: il desiderio di sapere cosa ne fosse stato di lui la perseguitava ovunque andasse. Un giorno, mentre studiava, era più demoralizzata del solito: mentre cercava di leggere al fianco di St John, le mancò la voce e le parole si persero tra i singhiozzi: così i due si recarono a fare una passeggiata, per distrarsi. Si misero a sedere su una panchina, l’uno di fianco all’altro. St John annunciò la sua partenza nell’arco di sei settimane e chiese a Jane di accompagnarlo come sua compagna e collaboratrice: Dio la natura l’avevano creata per essere la moglie di un missionario; era fatta per il lavoro, non per l’amore. Jane non si sentiva adatta, le mancava la vocazione, e dopo varie insistenze dell’uomo, gli chiese 15 minuti per pensarci, prima di dargli una risposta definitiva: se avesse potuto non sposarlo, tutti quei pensieri non le avrebbero dato tormento, così propose al cugino di partire con lui senza sposarlo, ma la sua richiesta fu rifiutata. Jane si stava immaginando di diventare sua moglie, ma non avrebbe mai potuto. Come sua moglie, sempre al suo fianco, sempre tenuta a freno e controllata, sarebbe stata costretta a soffocare di continuo il fuoco della sua natura, sarebbe stato davvero insopportabile. Jane disprezzava la concezione d’amore di suo cugino, il suo sentimento contraffatto che le offriva. Ma il progetto di St John era un progetto che aveva accarezzato da molto tempo, era l’unico che avrebbe potuto dargli la certezza di raggiungere il suo grande obiettivo. L’indomani sarebbe partito per Cambridge, per 15 giorni, e avrebbe lasciato a Jane quelle settimane per poter riflettere sulla sua offerta. Quella sera, dopo aver baciato le sorelle, ritenne opportuno di dimenticarsi persino di stringere a Jane la mano e lasciò la stanza in silenzio: così Jane gli corse dietro e lo trovò ai piedi delle scale. Gli diede la buonanotte e gli chiese di stringere la mano; ma quando gli chiese se la perdonasse, lui le rispose che non era sua abitudine covare rancore. E con quella risposta la lasciò. Capitolo 35 Il giorno dopo, non partì per Cambridge come annunciato. Rimandò la partenza di un’intera settimana. Non si asteneva dal chiacchierare con Jane. Anzi, ogni mattina la chiamava, come al solito, allo scrittoio. Con lei non era più di carne ma di marmo; i suoi occhi erano freddi e lucenti. Con le sorelle era più affettuoso del solito. La sera prima della sua partenza, Jane lo vide per caso passeggiare in giardino, così fu spinta a tentare per l’ultima volta di riconquistare la sua amicizia. La sua amicizia era molto preziosa per Jane, e l’idea di perderla la riempiva di angoscia. Rivers cercava di assicurarsi che Jane partisse con lui, ma ebbe l’ennesimo rifiuto, e Jane capì che sarebbe stato inutile tentare una riconciliazione con lui, si rese conto di essersi fatto un nemico per sempre. St John aprì il cancelletto e uscì verso la vallata, mentre Jane rientrò in salotto, dove trovò Diana in piedi davanti alla finestra con aria pensosa. Si era accorta che fra lei e suo fratello qualcosa non andava. Jane le confessò che le aveva chiesto di sposarlo perché mirava a procurarsi un’aiutante efficiente per i suoi progetti in India Arrivò il momento della cena, e Jane fu costretta vederlo di nuovo: si rivolse a lei come se nulla fosse, con scrupolosa cortesia. St John sarebbe dovuto partire il giorno dopo: Diana e Mary lo abbracciarono e lasciarono la stanza. Jane gli tese la mano e gli augurò buon viaggio, ma lui continuò a ricordarle che le avrebbe lasciato le successive settimane di tempo per poter cambiare idea. Lo sguardo di Rivers non era come quello di un innamorato che contemplava l’amata, bensì quello di un pastore che richiamava la sua pecorella smarrita. L’impossibile matrimonio con st John ora stava rapidamente diventando possibile. La circondò col braccio quasi come se l’amasse. Jane, dentro di sé, si rivolse al cielo, con la supplica che le fosse rivelata la via. Tutta la casa era silenziosa, perché tutti erano andati a dormire. L’unica candela si stava spegnendo: Jane sentiva una voce da qualche parte urlare il suo nome, ma non riusciva a stabilire dove fosse o da dove venisse. Si precipitò alla porta e guardò il corridoio, che era buio; il giardino era deserto. Salì in camera sua e si chiuse dietro di lei la porta: poi cadde in ginocchio e pregò. Terminata la sua preghiera di ringraziamento si alzò, prese una decisione e si coricò senza più timori e con le idee chiare, ansiosa soltanto che si facesse giorno. Capitolo 36 Il giorno arrivò, e Jane si alzò all’alba. Sentì St John uscire dalla sua camera e passare una strisciolina di carta sotto la porta. Era il primo giugno, eppure il mattino era nuvoloso e freddo, e la pioggia batteva forte contro i vetri della sua camera: Jane fra qualche ora avrebbe avuto una diligenza da prendere, a Whitcross, perché aveva qualcuno da cercare e vedere in Inghilterra prima di andarsene per sempre. A colazione annunciò a Diana e Mary che stava per partire e che sarebbero mancate almeno quattro giorni. Alle tre del pomeriggio Jane lasciò Moor House, alla ricerca del suo amico di cui non aveva notizie da troppo tempo. Era in viaggio da trentasei ore, e quando si rese conto di essere arrivata nelle terre di Mr Rochester, decise di incamminarsi da sola senza la diligenza, ma una voce, a cui non diede ascolto la ammonì, suggerendole piuttosto di chiedere informazioni alla gente della locanda su di lui. Jane si ritrovò davanti la presunta abitazione di Rochester: guardò con trepida gioia una casa maestosa, e vide una rovina nera. Il prato e il parco erano distrutti e devastati; il portone si spalancava vuoto: era crollato tutto. Era divampato un incendio. Solo alla locanda, Jane, poteva trovare le risposte alle domande che in quel momento si stava ponendo, e così vi fece ritorno. A portarle la colazione nel salottino fu l’oste in persona, che pregò di chiudere la porta e di sedersi, perché aveva alcune domande da fargli. Così scoprì che Thornfield Hall era stato distrutta da un incendio proprio nella stagione del raccolto. L’incendio era scoppiato nel cuore della notte, e prima che arrivassero i pompieri da Millcote, tutto l’edificio era un unico ammasso di fiamme. Ad appiccare l’incendio tutti pensavano si trattasse della moglie che Mr Rochester aveva rinchiuso nella soffitta. Quella notte, prima diede fuoco alle tende nella stanza attigua alla sua e poi scese al piano di sotto e si diresse verso la camera che era stata dell’istitutrice, e appiccò il fuoco al letto. Nonostante Mr Rochester avesse cercato la donna in lungo e in largo, come la cosa più preziosa che avesse al mondo, non riuscì più a sapere niente di lei, e questa delusione lo rese furioso: troncò ogni rapporto con la nobiltà del luogo e si rinchiuse nel suo castello come un’eremita. Mr Rochester quando scoppiò l’incendio era in casa, e salì fino alle soffitte per aiutare i domestici a scendere, e salì fino sul tetto dove si trovava sua moglie, quando ad un certo punto questa gridando fece un salto e cadde al suolo morta. In quanto a Mr Rochester lui si trovava completamente cieco, e senza una mano, che gli fu amputata dopo che una trave gli era caduta sulla mano. Ora Mr Rochester viveva a Ferndean in una casa padronale in una fattoria di sua proprietà, con il vecchio John e sua moglie. Jane saputo tutto questo, ordinò all’uomo di far preparare un calesse per raggiungere immediatamente quel luogo. Capitolo 37 Jane giunse a Ferndean che era quasi buio: anche se ormai era vicina, non riusciva a vedere la casa, tanto era folta e scura la lugubre selva di alberi che la circondava. Entrò da un cancello e intravide la casa, un luogo desolato e silenzioso come una chiesa in un giorno feriale. Lo stretto portone si stava aprendo e qualcuno stava per uscire di casa: era Mr Rochester, che non aveva perso il suo aspetto solido e robusto, ma c’era qualcosa di diverso nella sua espressione: una disperazione e una pensosità mai viste. John gli si avvicinò per prestargli il braccio, ma lui lo allontanò e dopo aver tentato di camminare da solo, rientrò in casa. A quel punto Jane si avvicinò alla porta e bussò: ad aprirla fu la moglie di John, che trasalì come se avesse appena visto un fantasma. Proprio in quel momento suonò il campanello, perché Mr Rochester, anche se non vedeva, quando si faceva buio si faceva portare sempre le candele: Jane si propose di portargliele. Mr Rochester al suono della voce di Jane pensava di star avendo delle allucinazioni. Jane premette le labbra sui suoi occhi e scostò i capelli dalla fronte, e lo baciò anche lì. A un tratto, parve rianimarsi. Jane le iniziò a parlare della sua indipendenza economica che aveva raggiunto, ma non per questo lo avrebbe più lasciato. Jane chiamò Mary e con il suo aiuto riuscì a ridare alla stanza un aspetto più ordinato e accogliente, e gli preparò anche un buon pasto. Tutto quello che faceva o diceva sembrava consolarlo o rianimarlo. Dopo avergli sistemato, e dato un aspetto ordinato anche ai capelli, gli augurò la buonanotte e se ne andò a dormire. Il mattino dopo, molto presto, Jane sentì che Rochester era già in piedi e attivo; e scese non appena pensò che fosse ora di fare colazione. Lui era seduto sulla sedia, immobile ma inquieto, e Jane subito gli propose di fare una passeggiata, vedendo la magnifica giornata. Passarono quasi tutta la mattinata all’aria aperta, e gli cercò un posto appartato e grazioso dove farlo sedere, e lo lasciò fare quando, una volta seduto, si mise sulle sue ginocchia. Jane cominciò a raccontargli cosa aveva fatto in quell’ultimo anno: si trovarono spesso a parlare di St John, e Rochester credeva che a Jane piacesse, ed iniziò a farle una serie di domande, fin quando non venne a scoprire che St John voleva che Jane andasse con lui in India e che lo sposasse. Quando Jane confessò il suo amore per lui, e non per Rivers, l’animo di Rochester si rallegrò.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved