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John Dewey: ”Democrazia e educazione”, Sintesi del corso di Pedagogia

Democracy and Education, ad oltre cento anni dalla sua pubblicazione (1916), rappresenta una svolta fondamentale nel pensiero di John Dewey. Il libro si presenta, apparentemente, come un testo manualistico; in realtà la struttura complessiva dei 26 capitoli si sviluppa come un determinante momento di svolta nel pensiero deweyano.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 17/06/2020

pippi996
pippi996 🇮🇹

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Scarica John Dewey: ”Democrazia e educazione” e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! John Dewey: ”Democrazia e educazione” Cap. 2: L’educazione come funzione sociale la vita è un processo di auto-rinnovammento attraverso l’azione di un individuo sull’ambiente che lo circonda. Questo rinnovamento si compie attraverso l’educazione dei membri immaturi del gruppo. Una società infatti trasforma esseri non iniziati e apparentemente estranei in validi depositari delle sue risorse e ideali per mezzo di varie istituzioni. l’educazione è perciò un processo di nutrizione, di allevamento, di coltivazione; con il termine educazione intendiamo dunque un’attività che modella, che forma, che plasma nella forma normale dell’attività sociale. Qui ci occuperemo di comprendere come un gruppo sociale alleva i suoi membri immaturi sino a condurli alla propria forma sociale. Siccome ciò verso cui si tende è una trasformazione della qualità dell’esperienza fino al punto in cui essa partecipi degli interessi, degli scopi e delle idee correnti del gruppo sociale. Ma in che modo le credenze e le aspirazioni vengono trasmesse agli immaturi? Il problema è dunque scoprire il metodo col quale i giovani assimilano il punto di vista degli anziani, o gli anziani portano i giovani a rassomigliare a loro stessi. La risposta è la seguente: per mezzo dell’azione dell’ambiente nel suscitare certe reazioni. Ma l’ambiente nel quale vive l’individuo lo porta a vedere, a sentire una cosa più di un’altra, lo porta a formulare progetti che gli permettano di agire con successo con gli; lo induce a certe credenze piuttosto che altre, determina un certo tipo di condotta, una disposizione a certi modi di agire. Il concetto di ambiente denota propriamente la continuità delle cose circostanti con le sue stesse tendenze attive. Le cose che sono remote nello spazio e nel tempo possono formare l’ambiente attivo di una creatura vivente ed in particolare di un essere umano, addirittura più delle cose che gli sono vicine poiché il vero ambiente dell’uomo è costituito da quelle cose che lo mutano. L’ambiente consiste nelle condizioni che promuovono o impediscono, stimolano o inibiscono le attività caratteristiche di un essere umano. Proprio perché la vita non è mera esistenza passiva, ma da un modo di agire, l’ambiente è ciò che influenza questa attività come incentivo o freno. L’ambiente sociale: un essere le cui attività sono associate con altri ha un ambiente sociale. Ciò che gli fa o che può fare dipende da quello che gli altri si aspettano, esigono da lui. Poiché un essere collegato ad altri non può esercitare le proprie attività senza tener conto delle attività altrui e proprio queste ultime sono indispensabili per la realizzazione delle sue tendenze. Pensieri e sentimenti che hanno a che fare con un’azione correlata con altri sono un tipo di condotta sociale. Qui ci interessa descrivere come l’ambiente sociale forma i suoi membri immaturi: mediante il ricorso ad atti che richiamano determinate reazioni, si formano delle abitudini che funzionano con la stessa uniformità degli stimoli originali. I mutamenti delle azioni azioni esteriori equivalgono ad addestrare, mentre il mutare le disposizioni emotive e mentali di condotta significa insegnamento che educa. In alcuni casi l’alterazione dell’azione esteriore ottenuta in virtù di un cambiamento dell’ambiente che agisca sugli stimoli dell’azione genererà una alterazione anche nella disposizione mentale che sta alla base dell’azione, anche se ciò non avviene sempre. Occorre dunque trovare qualche differenza specifica fra addestramento e educazione. Secondo Dewey in troppi casi l’attività dell’essere umano immaturo viene semplicemente sfruttata per ottenere delle abitudini utili. Viene addestrato come un animale, non educato come un essere umano. I suoi istinti rimangono legati alle loro fonti originarie di dolore o di piacere. Ma per ottenere la felicità o per evitare il dolore dell’insuccesso, deve agire come aggrada ad altri. In altri casi egli partecipa e condivide la comune attività, ad ogni modo il suo impulso originario è modificato. Non solo egli agisce in modo da andare d’accordo con le azioni altrui, ma agendo così le stesse stesse idee ed emozioni che animano gli altri vengono svegliate in lui. L’ambiente sociale non instilla direttamente certi desideri o idee, e nemmeno stabilisce certe abitudini puramente muscolari di azione, come sbattere le palpebre o scansare un colpo istintivamente. Il primo passo è di stabilire le condizioni che stimolano certi modi tangibili di agire. Il passo finale è di fare dell’individuo il socio o il partecipe dell’attività associata, in modo che egli senta il successo e l’insuccesso di essa come il suo proprio. Appena egli sarà pervaso dall’atteggiamento emozionale del gruppo sarà pronto a 1 riconoscere le mire speciali alle quali il gruppo tende e i modi impiegati per assicurare il successo. Le sue convinzioni e idee assomiglieranno piano piano a quelle degli altri membri del gruppo, si 1 1 procurerà anch’egli più o meno le stesse conoscenze, poiché le conoscenze sono l’ingrediente delle sue occupazioni abituali. L’importanza della lingua nell’acquisto del sapere è indubbiamente la causa principale della comune idea che il sapere può essere trasmesso direttamente dall’uno all’altro, poiché la lingua tende a diventare lo strumento principale per l’acquisto di un gran numero di nozioni; e il semplice fatto che la lingua consista di suoni che sono mutuamente intellegibili basta a dimostrare che il suo significato dipende dal suo rapporto con un’esperienza condivisa. Il fatto che suono e oggetto siano adoperati per primi in un’attività comune come mezzo di creare un collegamento attivo tra il bambino e l’adulto, costituisce la garanzia del loro essere usati allo stesso modo. Idee e significati simili nascono perché le due persone sono impegnate in un’azione in cui ciò che l’uno fa dipende ed è influenzato da ciò che l’altro fa. Capirsi l’un l’altro vuol dire che gli oggetti, compresi i suoni hanno lo stesso valore per entrambi, per quel che riguarda il perseguimento di uno scopo comune. Dunque l’uso della lingua per trasmettere e acquistare le idee è un’estensione e un raffinamento del principio che le cose acquistano un significato con l’essere adoperate in un’esperienza condivisa in un’azione comune: in nessun senso tale uso contraddice a tale principio. Quando le parole non rientrano i un’azione condivisa hanno scopi puramente fisici, anziché come che avessero un significato o un valore intellettuale, indirizzano le attività in una data direzione, ma non vi è uno scopo che le accompagna. l’ambiente sociale in quanto educativo: dunque l’ambiente sociale forma la disposizione mentale ed emotiva della condotta negli individui con l’impegnarli in attività che svegliano e fortificano certi impulsi che hanno certi scopi e implicano certe conseguenze. Un certo grado di partecipazione alla vita di coloro con i quali l’individuo è collegato è inevitabile; fino a questo grado l’ambiente sociale esercita un’influenza educativa o formativa incoscientemente e indipendentemente da ogni scopo prefisso. Anche oggigiorno questa partecipazione diretta (o educazione indiretta) costituisce l’alimentazione fondamentale dei giovani, anche di quelli che più a lungo vengono istruiti. A seconda degli interessi che ha il gruppo alcune cose divengono oggetto di stima altre invece di avversione. l’associazione non crea impulsi di antipatia o simpatia, ma fornisce gli oggetti ai quali questi si applicano. Il modo nel quale il nostro gruppo o classe fa le cose, tende a determinare gli oggetti ai quali prestare dovuta attenzione, e così a prescrivere le direzioni e i limiti dell’osservazione e della memoria. Ciò che è strano o estraneo tende ad essere moralmente proibito o intellettualmente sospetto. Le nostre capacità di osservazione e memoria non operano spontaneamente, ma sono messe in moto dalle occupazioni sociali correnti, l’ordito-base delle tendenze è formato a prescindere dall’istruzione da queste influenze. Ciò che l’insegnamento cosciente può fare al massimo è di liberare le capacità così come sono per indirizzarle ad una pratica più vasta, purgandole in parte dalla loro rozzezza e fornendo oggetti che ne rendano l’esplicazione più significativa. Poiché questa incosciente influenza dell’ambiente è così sottile e pervadente che agisce su ogni fibra del carattere e della mente, può valere la pena di specificare alcune direzioni nelle quali la sua efficacia è più marcata. Prima i modi fondamentali della lingua, quei modi fondamentali di esprimersi si formano nei rapporti ordinari della vita, sviluppati come una necessità sociale. Il bimbo acquista la lingua materna, mentre le abitudini nel parlare potranno poi essere corrette o eliminate con l’insegnamento cosciente (in momenti di eccitazione spesso di perdono i modi di parlare intenzionalmente acquistati, e gli individui ricadono nella loro lingua nativa). In secondo luogo le maniere vengono dalla buona educazione, e questa si acquista attraverso l’azione abituale, in reazione a stimoli abituali, ma non attraverso la comunicazione di informazioni; nonostante l’applicazione di correzioni e l’istruzione diretta, gli agenti principali che formano le buone maniere sono l’atmosfera e lo spirito. E le maniere non sono che la morale minore, nella morale maggiore l’istruzione cosciente sarà efficace solo fino al punto nel coinciderà con il modo di comportarsi di quelli che costituiscono l’ambiente sociale del bambino. Terzo viene il buon gusto e l’apprezzamento estetico, se lo sguardo incontra costantemente oggetti armoniosi, che abbiano eleganza di forma e di colore, si sviluppa naturalmente una forma di gusto. Al contrario l’effetto di un ambiente sfarzoso, confuso o caricato produrrà un abbassamento del gusto, proprio come un ambiente misero e squallido soffocherà il desiderio della bellezza. Questo gusto non diventerà mai spontaneo e connaturato alla persona, ma resta un invito a ricordarsi di ciò che pensano coloro che ci è stato insegnato di ammirare. Le regole di valore sono determinate dalle situazioni nelle quali la persona viene abitualmente a trovarsi, raramente ci accorgiamo fino a 2 quell’interesse costruttivo nel benessere altrui che è essenziale alla vita associata. Dal punto di vista intellettuale, questo sviluppo morale ha significato l’introduzione di molti altri oggetti di attenzione, stimolando la previdenza e i progetti per l’avvenire. Così si compie l’influenza reciproca. Questo prolungamento della dipendenza significa un prolungamento della plasticità o potere di acquisire tipi di controllo nuovi e diversi. Perciò determina una nuova spinta al progresso sociale. Le abitudini come espressione di crescita: abbiamo già notato la plasticità e la capacità di conservare e portare con sé dalle esperienze precedenti dei fattori che modificano le attività successive. Questo significa la capacità di acquisire abitudini, o di sviluppare determinate disposizioni. Occorre considerare ora i tratti salienti delle abitudini; in primis un’abitudine è una forma di abilità esecutiva, di efficienza in azione. Significa quella capacità di di usare delle condizioni naturali come mezzo a un fine. È un controllo attivo dell’ambiente attraverso il controllo degli organi dell’azione. Più di uno definisce educazione, l’acquisizione di quelle abitudini in virtù delle quali l’individuo si adatta al suo ambiente. È essenziale che l’adattamento sia inteso nel suo senso attivo di controllo dei mezzi per raggiungere determinati scopi. Se pensiamo ad un’abitudine solo come ad un cambiamento provocato nell’organismo, ignorando il fatto che questo cambiamento consiste nell’abilità di effettuare cambiamenti successivi nell’ambiente, saremo portati a pensare all’adattamento come a un conformarsi all’ambiente nello stesso modo in cui la cera si conforma al sigillo che la comprime. l’abitudine come assuefazione è senz’altro cosa relativamente passiva. Un tratto saliente di questo genere di assuefazione è la conformità all’ambiente, è l’operarsi di un cambiamento nell’organismo senza intervento dell’abilità di modificare l’ambiente. A parte il fatto che non è in nostro potere trasformare i caratteri di tale genere di adattamenti in abitudini di servirci attivamente del nostro ambiente, vale la pena di notare due aspetti dell’assuefazione. In primo luogo ci abituiamo alle cose al nostro primo servirci di esse. In secondo luogo ciò vuol dire che questo adattamento definitivo fornisce lo sfondo sul quale si realizzano gli adattamenti specifici, via via che se ne presenta l’occasione. Non ci interessiamo mai di cambiare tutto l’ambiente, vi è molto che ammettiamo senz’altro e che accettiamo così com’è. Su questo sfondo le nostre attività convergono su alcuni punti in uno sforzo ad introdurre dei cambiamenti desiderati. Assuefazione è perciò il nostro adattarci a un ambiente che per il numero non ci interessa di modificare, e che fornisce la leva alle nostre abitudini attive. Insomma l’adattamento, è altrettanto un adattamento dell’ambiente alle nostre proprie attività quanto delle nostre attività all’ambiente. Il selvaggio si è solamente abituato, l’uomo civile ha della abitudini che trasformano l’ambiente. L’importanza dell’abitudine però non si riduce alla sua fase esecutiva e del primo impulso. Oltre che un miglioramento in economia, facilità ed efficienza d’azione, significa anche il formarsi di certe disposizioni intellettuali ed emotive. Qualsiasi abitudine indica un’inclinazione, una preferenza attiva e una scelta delle condizioni in cui essa si esercita. un’abitudine cerca attivamente le occasioni di passare all’azione piena. Se il suo manifestarsi è indebitamente ostacolato, l’inclinazione si manifesta con l’irrequietezza e un intenso desiderio, essa comporta anche un certa disposizione intellettuale. L’elemento intellettuale in un’abitudine ne stabilisce la relazione, articola l’abitudine stessa per un uso vario ed elastico e perciò ne permette una crescita continua. Parliamo di abitudini fisse, poteri così ben stabiliti che il loro possessore l’abbia sempre pronti come risorse quando ne abbia bisogno. Ma tale espressione indica anche modi abituali privi di freschezza, originalità e larghezza di idee. Ciò spiega due punti comuni della nozione di abitudine: la loro identificazione con modi di azione meccanici ed sterdegenerano i ni, non implicanti un atteggiamento mentale e morale, e la tendenza a un significato deteriore, identificandole con le cattive abitudini. Le abitudini si riducono a modi abitudinari di agire, oppure degenerano in modi di agire dei quali siamo tanto più schiavi quanto l’intelligenza è disgiunta da esse. Le abitudini che si subiscono, sono abitudini prive di pensiero. Come abbiamo visto l’acquisizione delle abitudini è dovuta alla plasticità originaria della nostra natura; alla nostra abilità di variare le risposte finché non abbiamo trovato un modo di agire appropriato ed efficiente. Le abitudini che si subiscono e quelle che ci possiedono, invece di esser noi a possedere loro fanno cessare la plasticità. Non c’è dubbio sulla tendenza della plasticità organica, della base fisiologica di diminuire con il crescere degli anni. l’agire istintivamente mobile e ansiosamente variato dall’infanzia, l’amore di nuovi stimoli e nuovi sviluppi trapassa troppo facilmente in assestamento, che attesta avversione per il cambiamento e riposo sui traguardi raggiunti. Solo un 5 ambiente che assicuri il pieno uso dell’intelligenza nel processo di formazione delle abitudini può contrapporsi a tale tendenza. Naturalmente lo stesso solidificarsi delle strutture organiche agisce su quelle fisiologiche che interessano l’attività del pensiero. Ma già questo attesta il bisogno di cure costanti per assicurarsi che dalla funzione dell’intelligenza si tragga il massimo rendimento. Il metodo miope che si appoggia sulla routine meccanica e sulla ripetizione, per ottenere un’esterna efficienza di abitudini, destrezza motoria senza accompagnamento di pensiero sta ad attestare che l’ambiente diventa un processo progressivo di soffocamento della crescita. Portata educativa del concetto di sviluppo: quando si dice che l’educazione è sviluppo, tutto dipende da come si intende lo sviluppo. La vita è sviluppo, e svilupparsi, crescere è vita. Tradotto nei sui equivalenti educativi, questo significa: a) che il processo educativo non ha altro scopo che se stesso; e che b) il processo educativo è processo di continua riorganizzazione, ricostruzione e trasformazione. Lo sviluppo quando è interpretato in base al paragone fra i tratti speciali del bambino e la vita dell’adulto, significa l’indirizzare la capacità in canali speciali: la formazione di abitudini che implicano abilità esecutiva, determinatezza di interessi e oggetti specifici, e ignorarli significa deformare o impedire lo sviluppo degli organi dai quali dipende la sua crescita. L’adulto usa i suoi poteri per trasformare il suo ambiente, dando luogo a nuovi stimoli che ridirigono i suoi poteri e ne assicurano l’ulteriore sviluppo, ignorare questo fatto significa sviluppo arrestato. Così il bambino normale come l’adulto normale sono occupati a crescere, la differenza fra essi sta nei modi di crescere che si differenziano a seconda delle diverse condizioni. Riguardo lo sviluppo di quei poteri che hanno da contendere con un problemi specifici scientifici ed economici, si può dire che il bambino dovrebbe crescere in virilità. Riguardo la crescita spontanea, alla responsività incorrotta, alla apertura di mente si può dire che l’adulto dovrebbe crescere in infantilità. Le tre idee che abbiamo criticato, sono tutte connesse ad una falsa idea di crescita e sviluppo, cioè che essi sino un movimento verso un fine fisso. Si concepisce il crescere come avente un fine, mentre esso è un fine. A queste tre idee sbagliate conseguono questi effetti: non si tiene conto dei poteri istintivi o innati dei bimbi; si rinuncia a sviluppare l’iniziativa quando si tratta di fronteggiare nuove situazioni; si insiste indebitamente su esercizi e altri sistemi che procurano un’abilità automatica a scapito della percezione personale. In tutti i casi, l’ambiente degli adulti è accettato come modello per il bimbo, ed egli deve essere elevato fino ad esso. Gli istinti naturali vengono soppressi, in modo da essere conformati a norme esterne. La conformità è concepita come equivalente all’uniformità. Ne conseguono mancanza di interesse per il nuovo, avversione per il progresso e timore dell’incerto. Poiché in realtà non vi è niente a cui la crescita sia relativa se non una crescita ulteriore, non c’è nulla a cui sia subordinata l’educazione, se non ad una maggiore educazione. È un luogo comune dire che l’educazione non deve cessare quando si lascia la scuola. Il nocciolo di questo luogo comune è che lo scopo dell’educazione scolastica è di provvedere alla continuazione dell’educazione con l’organizzare i poteri che assicurano la crescita. l’inclinazione a imparare dalla vita stessa e a rendere le condizioni del vivere tali che ognuno sia in grado di imparare dalla vita stessa e a rendere le condizioni del vivere tali che ognuno sia in grado di imparare nel corso stesso del vivere è il più bel prodotto della scuola. Educare significa assumersi il compito di fornire le condizioni che assicurano la crescita o l’adeguatezza della vita, a prescindere dall’età che uno ha. Guardiamo con impazienza l’immaturità considerandola un qualcosa da superare al più presto, poi l’adulto formato con questi metodi educati rivolge con rimpianto uno sguardo all’infanzia e alla gioventù, come ad una scena di occasioni mancate e capacità sprecate. La consapevolezza che la vita è crescita ci protegge dalla cosiddetta idealizzazione dell’infanzia, che in fondo non è che pigra indulgenza. La vita non va identificata con ogni atto e interesse superficiale, anche se non è sempre semplice distinguere se ciò che pare un semplice gingillarsi superficiale sia il segno di qualche potere nascente e non ancora addestrato, occorre ricordare che le manifestazioni sono segni di una crescita potenziale. Devono essere trasformate in mezzi di sviluppo capaci di far progredire il potere, e non devono essere favorite o coltivate per se stesse. Il vero principio del rispetto per l’immaturità lo possiamo esprimere con le parole di Emerson: ”rispetta il bambino, non essere troppo suo genitore. Non invadere la sua solitudine, rispettate il bambino il bambino, rispettatelo fino alla fine, ma rispettate anche voi stessi i due punti nell’educazione di un ragazzo sono: mantenere il suo naturale, ma far cessare il baccano, le impertinenze e gli scherzi rozzi; mantenere la sua natura e amarla con la conoscenza nella direzione verso la quale punta, implica 6 immenso sacrificio di tempo, di pensiero della vita stessa del maestro. Richiede tempo, addestramento, penetrazione, occasioni favorevoli, tutte le grandi lezioni e gli aiuti di Dio; e il solo pensare di ricorrere ad essa attesta carattere e profondità. Cap. 7_il concetto democratico nell’educazione Quel che implica l’associazione umana: società è una una parola che rappresenta molte cose. Un uomo è interessato in una moltitudine di gruppi diversi, nei quali le persone associate a lui possono essere del tutto differenti. Spesso pare che tali gruppi non abbiano niente in comune eccetto il fatto di essere modi di vita associata. Entro ogni organizzazione associata, entro ogni organizzazione sociale più vasta vi sono gruppi minori. In molti stati moderni, vi è una gran diversità di popolazione, lingua, religione, di codici morali e di tradizioni. Da questo punto di vista molte unità politiche minori, ad esempio una delle nostre grandi città, sono un’accozzaglia di società tenute insieme da deboli vincoli, piuttosto che una comunità omogenea e compenetrata di azione e di pensiero. Perciò i termini di società e comunità sono ambigui. La società è considerata una per sua stessa natura, si insiste sulle qualità che accompagnano questa unità, sulla lodevole comunità di scopi e di benessere, sulla lealtà verso fini pubblici, ma se consideriamo i fatti che il termine denota anziché limitare la nostra attenzione al concetto intrinseco, non troviamo unità ma una pluralità di associazioni buone o cattive. Se si dice che queste organizzazioni non sono società, perché non corrispondono ai connotati del concetto di società, la risposta è che questo concetto è reso talmente ideale da essere da essere inutile, non avendo rapporto con i fatti. E in parte a tenere insieme queste organizzazioni, per quanto opposte siano agli interessi di altri gruppi, sono alcune delle qualità positive della società, es. caratteristico delle bande è il sentimento di fratellanza, e delle cricche ristrette una profonda lealtà dei loro codici. La vita di famiglia può essere contraddistinta da esclusivismo, sospetto e gelosia verso gli estranei, e al contempo un modello di amicizia e di soccorso mutuo tra i suoi componenti. Qualsiasi educazione data da un gruppo tende a socializzare i suoi membri, ma la qualità e il valore della socializzazione dipendono dalle abitudini e dagli scopi del gruppo. È dunque necessario stabilire un’unità di misura per il valore di qualsiasi dato modo di vita sociale, nel cercare tale unità di misura dobbiamo evitare due estremi, basando la nostra concezione su società effettivamente esistenti per poter essere sicuri che il nostro ideale sia attuabile. Ora qui il problema è di selezionare tratti desiderabili nelle comunità di vita effettivamente esistenti, e impiegarli per criticare i tratti indesiderabili suggerendo dei miglioramenti. Dunque in qualsiasi gruppo sociale troviamo qualche interesse comune, e una certa qualità d’interazione e relazioni di cooperazione con altri gruppi. Da questi due tratti ricaviamo la nostra misura. Quanto sono vari gli interessi consciamente condivisi? Se applichiamo queste considerazioni ad una banda criminale troveremo che i legami che tengono consciamente i suoi membri sono pochi di numero,riducibili quasi al comune interesse del bottino; e che sono di natura tale da isolare il gruppo da altri gruppi riguardo lo scambio dei valori della vita. Dunque l’educazione fornita da una simile società è deformata. Se prendiamo invece d’altra parte il tipo di vita comune di famiglia troveremo interessi materiali, intellettuali, estetici, nei quali tutti partecipano e che il progresso di un membro ha valore per l’esperienza di altri membri, inoltre la famiglia entra intimamente in relazione con gruppi d’affari, con scuole, con tutti gli organi culturali nonché con gruppi simili, e prende parte all’organizzazione politica ricevendo in cambio appoggio da essa. In breve possiamo notare che vi sono molti interessi coscientemente comunicati e condivisi; e vi sono punti di contatto liberi e svariati con altri tipi di associazioni. 1) applicando questo primo criterio a uno stato governato dispoticamente, non è vero che in un organizzazione simile non ci sono interessi comuni fra governanti e governati. Le autorità al potere devono ricorrere in qualche modo a certe tendenze originarie dei loro sudditi r cercare di attivare qualcuna delle loro facoltà. Le tendenze alle quali si appella un simile governo sono di per sé indegne e degradanti, esso fa funzionare attivamente solo l’attitudine alla paura. Però questa asserzione trascura il fatto che la paura non è necessariamente un fattore indesiderabile nell’esperienza, la cautela, la circospezione, il desiderio di prevedere avvenimenti futuri per evitare ciò che è dannoso, questi tratti desiderabili sono prodotti dell’appello all’impulso della paura quanto lo sono la vigliaccheria e la sottomissione strisciante. Negativo è piuttosto il fatto che ci si appelli solo alla paura. Evocando timore e speranza di una specifica ricompensa come il benessere e l’agiatezza, si trascurano molte altre capacità, o piuttosto esse sono influenzate al punto da risultarne pervertite. Invece di agire per conto loro sono ridotte ad essere schiave del 7 convinzione di Platone, che un individuo è felice e la società bene organizzata quando ogni individuo è impegnato nelle attività per le quali ha un bagaglio naturale, né della sua convinzione che il primo compito dell’educazione sia di rivelare tale bagaglio al suo possessore ed allenarlo a farne uso efficace. Ma il progresso della conoscenza ha messo in luce la superficialità di costringere, come fa Platone, gli individui e le loro facoltà in poche classi nettamente distinte; ci ha insegnato che le capacità originarie sono numerose e variabili. E ciò equivale ad affermare che nella misura in cui la società si democratizza, l’organizzazione sociale coincide con l’utilizzazione delle qualità specifiche e variabile dell’individuo, e non con la stratificazione in classi. La sua era si una filosofia rivoluzionaria, ma dominata da ideali statici, poiché pensava che il cambiamento o l’alterazione fossero testimonianza di un ritmo sregolato, e che la vera realtà fosse inalterabile. Perciò avrebbe dovuto cambiare radicalmente lo stato esistente della società solamente per costruire uno stato in cui in seguito non ci sarebbe stato posto per i mutamenti. Lo scopo finale della vita è fisso. Il fallimento della sua filosofia è reso evidente dal fatto che egli non poteva fidarsi dei miglioramenti graduali nell’educazione per creare una società migliore che a sua volta avrebbe migliorato l’educazione fino a che non sarebbe esistito uno stato ideale, e dopo ciò l’educazione sarebbe dedicata alla sua conservazione. Per l’esistenza di tale stato Platone era costretto ad affidarsi a un caso accidentale per cui i filosofi si identificassero coi detentori del potere politico. L’ideale individualistico del 18 secolo: nella filosofia del 18 sec. Ci troviamo in un cerchio di idee completamente diverso. Per natura s’intende ancora qualcosa di opposto all’organizzazione sociale esistente; Platone esercitò una grande influenza su Rousseau, ma la voce della natura parla ora a favore della diversità del talento individuale e del bisogno del libero sviluppo dell’individualità in tutta la sua varietà. L’educazione conforme alla natura fornisce la meta e il metodo dell’istruzione e della disciplina, inoltre le qualità innate e originarie furono concepite in casi estremi come asociali e perfino antisociali. L’ordinamento sociale fu considerato come uno strumento esterno per assicurare a questi individui asociali una felicità maggiore. L’interesse di questo movimento stava specialmente nel progresso sociale, questa filosofia apparentemente antisociale mascherava un impulso verso una società più vasta e più libera: verso il cosmopolitismo. Il vero ideale era l’umanità; nella partecipazione all’umanità in quanto distinta dallo stato, le capacità dell’uomo si sarebbero liberate, mentre nelle organizzazioni politiche esistenti le sue facoltà erano ostacolate e deformate per dover far fronte alle esigenze e agli interessi egoistici dei governanti dello stato. l’individuo emancipato doveva divenire l’organo e l’agente di una società vasta e progressiva. Gli annunciatori di questo vangelo erano consapevoli dei mali dello stato sociale a cui appartenevano, e attribuivano questi mali alle limitazioni imposte alle libere capacità dell’uomo. Queste limitazioni erano deformanti e corrompenti. La devozione di questi uomini all’emancipazione della vita dalle restrizioni esterne che operavano a esclusivo vantaggio della classe alla quale il sistema feudale aveva affidato il potere, trovava la sua formulazione intellettuale nel culto della natura. Dare pieno impulso alla natura significava rimpiazzare un ordine sociale corrotto, con un nuovo e migliore regno dell’umanità, la fede incrollabile nella natura come modello e potere funzionante fu rafforzata dai progressi della scienza. Le ricerche, liberate dal pregiudizio e dalle restrizioni artificiali della Chiesa e dello Stato avevano rivelato che l’universo è un dispiegarsi di leggi. Un’educazione conforme alla natura era considerata un primo passo verso questa società più sociale, si vedeva chiaramente che le limitazioni economiche e politiche erano dipendenti dalle limitazioni del pensiero e del sentimento. Il primo passo verso la liberazione degli uomini delle catene esteriori, era di emanciparli dalle catene interne delle false credenze ed ideali. Ciò che si chiamava vita sociale, le istituzioni esistenti erano false e corrotte, troppo per affidar loro questo compito. La natura doveva dunque essere il potere alla quale affidare l’impresa. Anche come filosofia della conoscenza il sensismo allora corrente derivava da tale concezione. Insistere che la mente è originariamente passiva e vuote era un modo per esaltare le possibilità dell’educazione, se la mente era una tavoletta di cera sulla quale gli oggetti potevano scrivere, non vi erano limiti alle possibilità dell’educazione per mezzo dell’ambiente naturale, e poiché il mondo naturale degli oggetti è una scena di verità armoniosa, tale educazione avrebbe prodotto infallibilmente menti come di verità. L’educazione nazionale sociale: appena cominciò ad attenuarsi il primo entusiasmo per la libertà divenne evidente la debolezza 10 della teoria dal lato costruttivo, lasciare tutto alla natura significava nient’altro che negare l’idea di educazione. Non era necessario solo un metodo, ma anche un organo positivo, un mezzo amministrativo che si incaricasse del processo educativo. Lo sviluppo completo e armonico di tutte le facoltà, assieme ad un’umanità illuminata e progressiva richiedeva un’organizzazione precisa per la sua realizzazione. Singoli individui potevano qua e là proclamare un simile vangelo, ma non poterono attuarlo. Un Pestalozzi poteva tentare esperimenti ed esortare persone inclini alla filantropia, ricche e potenti a seguire il suo esempio. Ma anche Pestalozzi rese conto che per perseguire il nuovo ideale educativo occorreva l’appoggio dello stato. La realizzazione della nuova educazione destinata a produrre una nuova società dipendeva dalle attività degli stati esistenti. Il movimento per l’idea democratica divenne inevitabilmente un movimento per le scuole pubblicamente dirette e amministrate. Per ciò che riguarda l’Europa la situazione portava a identificare il movimento per una educazione appoggiata dallo stato con il movimento nazionalistico nella vita politica; un fatto di estrema importanza per i movimenti successivi. Sotto l’influenza del pensiero tedesco, in particolare l’educazione divenne una funzione civica, e la funzione civica fu identificata con la realizzazione dello stato nazionale, formare il cittadino e non l’uomo divenne lo scopo dell’educazione. Gli stati tedeschi sentirono che la cura sistematica dell’educazione era il miglior mezzo di ritrovare e conservare la loro integrità politica e il loro potere. Sotto la guida di uomini di stato prussiani fecero di tale condizione uno stimolo per lo sviluppo di un sistema di educazione pubblica ampio e ben fondato. Tale cambiamento portò a un cambiamento in teoria, la teoria individualistica si ritrasse nello sfondo. Lo stato fornì non solo gli strumenti ma anche lo scopo della pubblica educazione. Quando la realtà pratica fu che il sistema scolastico dai gradi elementari fino alle facoltà universitarie forniva patriottici cittadini e soldati, futuri amministratori e funzionari di stato, e provvedeva ai mezzi per la difesa e l’espansione militare, industriale e politica, era impossibile che la teoria non mettesse in evidenza lo scopo dell’efficienza sociale. Era dunque impossibile interpretare l’efficienza sociale nei termini di un vago umanitarismo cosmopolitico, poiché il mantenimento della sovranità nazionale esigeva la subordinazione degli individui agli interessi superiori dello stato, sia per la difesa militare, sia negli sforzi per raggiungere la supremazia internazionale nel commercio, si pensò che l’efficienza sociale implicasse una simile subordinazione. Il processo educativo fu considerato un processo di allenamento alla disciplina piuttosto che di sviluppo personale. Però poiché persisteva l’ideale della cultura come sviluppo completo della personalità, la filosofia dell’educazione tentò di conciliare le due idee. La conciliazione si attuò nella concezione del carattere organico dello stato. L’individuo nel suo isolamento non è niente, solamente assimilando gli scopi e il significato delle istituzioni organizzate egli si attinge una vera personalità, ciò che si presenta come subordinazione all’attività politica e richiesta del sacrificio di sé ai comandi dei superiori, in realtà non è che un fare sua la ragione obbiettiva manifesta nello stato: il solo modo in cui egli può divenire veramente razionale. La misura della trasformazione nella filosofia dell’educazione che si produsse in Germania nella generazione impegnata nel conflitto contro Napoleone per l’indipendenza nazionale si può inferire da Kant, che esprime molto bene l’originario ideale individualistico- cosmopolita. Nel suo trattato della pedagogia, egli definisce l’educazione come il processo col quale l’uomo diventa uomo. l’umanità agli inizi della sua storia è immersa nella natura, non c’è l’Uomo, che è creatura della ragione, laddove la natura fornisce solo istinti e appetiti. La natura immette le radici, che l’educazione dovrà poi sviluppare e perfezionare. La caratteristica della vita veramente umana è che l’uomo deve creare se stesso con i suoi stessi sforzi volontari. Deve fare di sé un essere veramente morale, razionale e libero. Questo sforzo creativo si compie mediante l’attività educativa di lunghe generazioni, si accelera quando ci sono uomini consapevolmente intenti ad educare i loro successori per rendere possibile una migliore umanità futura. Ogni generazione però è portata ad educare i suoi giovani in modo che possano adattarsi al mondo presente, invece di mirare al vero fine dell’educazione che consiste nel promuovere la miglior realizzazione possibile dell’umanità come umanità. I genitori educano i loro figli affinché possano andare avanti, i principi educano i loro sudditi come strumenti per i loro scopi. Affinché l’educazione migliori l’umanità occorre affidarsi agli sforzi dei privati illuminati, solo attraverso gli sforzi di persone di più larghi orizzonti, capaci di intendere l’ideale di una migliore condizione futura è possibile l’approssimarsi graduale della natura umana ai suoi fini. Occorre guardarsi bene anche dai sussidi forniti dai governanti concedono alle scuole private, poiché la loro preoccupazione di conseguire il benessere della nazione anziché dell’umanità, li indurrà a voler 11 tracciare i programmi delle scuole. In questa dottrina del cosmopolitismo individualistico del 18 sec. Abbiamo una chiara enunciazione dei postulati secondo cui il pieno sviluppo della personalità del singolo è identificato con il fine cui tende l’umanità nel suo insieme e con l’idea di progresso, in aggiunta possiamo notare un timore esplicito dell’ostacolo al raggiungimento di tali ideali costituito da un’educazione condotta dallo stato e dallo stato regolata. Ma 20 anni più tardi gli eredi di Kant, Fichte ed Hegel elaborarono un’idea che la funzione principale dello stato era quella dell’educazione, e che la rigenerazione della Germania doveva attuarsi attraverso un’educazione indirizzata a promuovere gli interessi dello stato e che l’individuo singolo è necessariamente un essere irrazionale, egoista e schiavo dei suoi appetiti e circostanze a meno che non si sottometta volontariamente alla disciplina educativa delle istituzioni dello stato e delle sue leggi. In questo spirito la Germania fu il primo paese a intraprendere un sistema di educazione pubblico, universale e obbligatorio, esteso dalle scuole primarie alle università, e a sottomettere ai regolamenti e alla sorveglianza gelosa dello stato tutte le iniziative dei privati nel campo dell’educazione. Da qui emergono due risultati: il primo è che termini come concezione individuale e concezione sociale dell’educazione, sono privi di significato presi così come sono, o al di fuori del loro contesto. Le circostanze storiche costrinsero il suo ideale nello schema di una società organizzata in classi stratificate, e a sacrificare l’individuo nella classe. La filosofia dell’educazione nel 18 sec. Era altamente individualistica nella forma, ma questa forma ispirata ad un ideale sociale generoso e nobile: quello di una società rivolta nella sua organizzazione a includere l’umanità, e a provvedere alla sua perfezione. La filosofia idealistica della Germania nei primi anni del 19 sec. Cercò nuovamente di conciliare gli ideali di uno sviluppo libero e completo della personalità educata con la disciplina sociale e la subordinazione politica. Fece dello stato nazionale un intermediario fra la realizzazione della personalità singola da un parte e dall’altra dell’umanità. Di conseguenza si può definirne il principio animatore con l’espressione di sviluppo armonico di tutte le facoltà della persona quanto con quella più recente di efficienza sociale. Tutto ciò rafforza la concezione dell’educazione come processo e funzione sociale non ha un significato preciso finché non viene definito il genere di società che si ha in mente. Attraverso tali considerazioni giungiamo alla seconda conclusione ovvero che uno dei problemi fondamentali dell’educazione nella e per la società democratica è posto dal conflitto fra una finalità nazionalistica e uno scopo sociale più vasto. L’originaria concezione cosmopolitica e unitaria peccava di vaghezza e mancava di precisi organi di esecuzione e strumenti amministrativi. In Europa, negli stati continentali specialmente la nuova idea dell’importanza dell’educazione per il benessere e per il progresso degli umani fu sopraffatta dagli interessi nazionali e messa al servizio di uno scopo sociale determinatamente limitato ed esclusivo. Lo scopo sociale dell’educazione e il suo suo scopo nazionale furono identificati e ne risultò un deciso oscuramento dello scopo del primo. Questa confusione corrisponde all’attuale stato delle relazioni umane, da una parte scienza, commercio e l’arte trascendono i confini nazionali implicano interdipendenza e cooperazione fra i popoli che abitano diversi paesi. Al tempo stesso non si è mai insistito tanto come oggi in politica sull’idea di sovranità nazionale. Ogni nazione vive in uno stato di ostilità repressa e di guerra incipiente con i suoi vicini, ognuna di esse pensa di essere giudice supremo dei suoi interessi e si riconosce che nessuno abbia interessi come i suoi. Mettere in dubbio questo significa mettere in dubbio l’idea stessa di sovranità nazionale, che si presume sia la base della pratica e della scienza politica. Questa contraddizione tra la sfera più vasta di una vita sociale fondata sull’associazione e sull’aiuto, e la sfera più ristretta di scopi e finalità esclusive impone alla teoria dell’educazione di esprimersi sul significato di sociale in quanto funzione e prova dell’educazione. È possibile che uno stato abbia nelle sue mani la scuola senza restringere e deformare o corrompere i veri fin sociali del sistema educativo? Al suo interno la questione deve affrontare le tendenze dovute alle condizioni economiche presenti, che dividono la società in classi, nelle sue proiezioni esterne invece la questione riguarda la conciliazione della lealtà nazionale, del patriottismo, con la devozione superiore alle cose che uniscono gli uomini in mire comuni a prescindere dai confini politici nazionali. Nessuno di questi due aspetti può essere risolto mediante preclusioni, non basta provvedere a che l’educazione non venga adoperata come strumento per facilitare lo sfruttamento di una classe da parte di un’altra, ci vuole un’attrezzatura scolastica di una vastità ed efficienza tali da eliminare di fatto gli effetti delle ineguaglianze economiche, e da assicurare a tutti i giovani del paese eguali possibilità per le loro future carriere, il raggiungimento di questo scopo esige anche modificazioni degli ideali tradizionali della cultura, delle discipline tradizionali di studio e dei 12 continuamente nel mentre è saggiato in atto. 3. lo scopo deve rappresentare una liberazione di attività, il solo modo di determinare un’attività è di guardare agli obbiettivi nei quali termina, come quando tiriamo al bersaglio. Ma occorre ricordare che l’obbiettivo è solo un segno col quale la mente specifica l’attività che si desidera di esplicare. Dunque il fine in vista è colpire il bersaglio; si prende la mira per mezzo del bersaglio, ma anche del mirino nel fucile. L’obbiettivo non è che una fase del fine attivo: continuare con successo l’attività. Contrasta con lo svolgersi da sé di un’attività continuata il carattere statico di un fine che viene imposto dall’esterno dell’attività, esso è concepito sempre come fisso, è qualcosa che dobbiamo raggiungere e possedere. Per una simile concezione, l’attività è semplicemente un mezzo inevitabile verso qualcos’altro; non è significativa per conto suo. l’idea di scopo imposto dall’esterno porta ad una separazione dei mezzi dal fine, mentre un fine che si sviluppa entro un’attività come piano per la sua direzione è sempre tanto fine che mezzo, la distinzione qui non essendo che una distinzione di convenienza. Ogni mezzo è un fine temporaneo finché non l’abbiamo raggiunto. Ogni fine diviene un mezzo per continuare l’attività, appena esso è raggiunto. Lo chiamiamo fine quando traccia la direzione futura dell’attività nella quale siamo impegnati, mezzo quando traccia la direzione attuale. Ogni separazione del fine dai mezzi diminuisce di tanto il significato dell’attività e tende a ridurla a un penoso servizio al quale ci si sottrarrebbe se si potesse. Quando ci serviamo di determinati mezzi per svolgere delle date attività fa certamente una gran differenza se ce ne compiaciamo nella vita, o se li consideriamo dei semplici mezzi da impiegare per ottenere altre cose; nel primo caso tutto il corso dell’attività è significativo: ogni fase ha il proprio valore, lo scopo proposto o il fine in vista è soltanto una visione con la quale manteniamo in pieno e libero corso l’attività. Poiché se non si guarda in avanti è semplice trovarci bloccati. Lo scopo dunque è indubbiamente un mezzo di azione al pari di ogni altra attività. Applicazione all’educazione: non vi è niente di singolare negli scopi educativi. l’educatore deve fare alcune cose, ha degli strumenti con i quali farle, e alcuni ostacoli coi quali contendere. È assurdo che l’educatore, sia egli genitore o maestro, stabilisca gli scopi propri come strutture appropriate dello sviluppo dei bambini, come lo sarebbe per il contadino stabilire un ideale di agricoltura indipendentemente dalle condizioni. Gli scopi implicano l’accettazione di responsabilità, osservazione, anticipazione, adattamento richiesti nell’eseguire una funzione, sia essa l’agricoltura o l’educazione. Qualsiasi scopo ha valore nella misura in cui presiede all’osservazione, alla scelta e ai piani nell’eseguire un’attività di momento in momento, di ora in ora; se intralcia la via al buon senso dell’individuo, se è imposto dal di fuori o accettato di autorità, nuoce. Sarà bene ricordare a noi stessi che l’educazione come tale non ha scopi, solo le persone hanno degli scopi. E di conseguenza i loro propositi variano all’infinito, e differiscono a seconda dei bambini, e col crescere dell’esperienza da parte di chi insegna. Sono piuttosto che degli scopi, suggerimenti agli educatori sul come osservare, prevedere e come scegliere nel liberare e dirigere le energie contenute nelle situazioni concrete nelle quali si trovano. Ecco alcune caratteristiche riscontrabili in tutti i buoni scopi dell’educazione. 1. uno scopo educativo deve essere fondato sulle attività e i bisogni intrinseci (inclusi gli istinti originari e le abitudini acquisite) di quel dato individuo che si deve educare. Nel prefiggerci un tale scopo, si tende come preparazione a metter da parte le capacità esistenti e a mirare a qualche acquisizione o responsabilità remota. In genere vi è la disposizione a innalzare a fine certi modi di vedere che sono cari al cuore degli adulti, a prescindere dalle capacità di coloro si educano. Vi è anche l’inclinazione a proporre scopi così uniformi da trascurare le facoltà e i bisogni specifici di un individuo, dimenticando che tutta l’istruzione è qualcosa che tocca a un individuo a un dato momento e in un dato luogo. Il maggior raggio di percezione dell’adulto è di grande utilità nell’osservare le abilità e debolezze dei giovani, nel decidere a che cosa possono condurre. Soltanto il linguaggio dell’adulto ci mette in grado di capire l’importanza che hanno gli impulsi del bambino, ma una cosa è usare le acquisizioni degli adulti come un contesto entro il quale porre e vedere le azioni dell’infanzia e della giovinezza; ben altro è farne uno scopo fisso senza riferimento alle attività concrete degli educandi. 2. uno scopo deve poter essere tradotto in un metodo di cooperazione con le attività di quelli che si stanno istruendo, deve suggerire il genere di ambiente necessario per liberare e per organizzare le loro capacità. Se esso non si presta alla costruzione di procedimenti specifici, se tali procedimenti non provano, correggono e ampliano gli scopi, questi non hanno valore. Non che aiuti il compito 15 specifico dell’insegnamento ma certo previene l’applicazione di un giudizio qualsiasi nell’osservare e calcolare la situazione. Ogni scopo rigido, proprio per tale rigidezza sembra rendere inutile un attento esame delle condizioni concrete. Il vizio dei fini imposti dall’esterno ha radici profonde, gli insegnanti li ricevono dalle autorità superiori: queste autorità li accettano dall’opinione corrente. I maestri li impongono ai bambini, come prima conseguenza, l’intelligenza del maestro non è libera, ma si limita a ricevere scopi dall’alto. Raramente il singolo maestro è abbastanza libero dai dettami dell’ispettore autoritario, dai trattati sul metodo, dei programmi di studio, da permettere alla sua mente di venire a stretto contatto con quella dell’allievo e con l’argomento. Questa sfiducia nell’esperienza del maestro si riflette allora nella mancanza di fiducia nelle reazioni degli allievi. Questi ultimi si vedono assegnare i loro scopi attraverso una doppia o tripla imposizione dall’esterno, e son continuamente sconcertati dal conflitto tra gli scopi che sarebbero naturali alla loro esperienza in quel momento e quelli che hanno imparato ad accettare. Fino a che non sarà riconosciuto il criterio democratico del significato intrinseco di ogni esperienza in sviluppo, la nostra intelligenza sarà turbata dalla esigenza dell’adattamento a scopi esterni. 3. gli educatori devono stare in guardia contro presunti fini e ordini. Ogni attività per quanto specifica è ovviamente generale nelle sue relazioni ramificate, poiché porta indefinitamente ad altre cose. In quanto l’idea generale ci rende più consci di tali relazioni, non può essere troppo generale. Ma generale significa anche astratto, o distaccato da ogni contesto specifico. Tale astrazione significa distanza e ci fa ricadere un’altra volta nell’insegnamento e nello studio intesi soltanto come mezzi di prepararsi ad un fine non collegato ai mezzi. Uno scopo veramente generale amplia l’orizzonte, stimola a tener conto di maggior concorso di conseguenze (connessioni). Il che significa una considerazione dei mezzi più vasta e flessibile. Più sono le forze operanti scambievolmente di cui si tiene conto, più variate saranno le risorse immediate. Si vedranno un maggior numero di iniziative possibili e di modi per raggiungere ciò che si vuole. Più completa sarà la visione di possibili conseguimenti futuri, e meno l’attività presente sarà confinata a un piccolo numero di alternative. Se uno avesse nozioni bastevoli potrebbe prendere le mosse per le sue attività quasi da qualsiasi punto e coronarle sempre di successo. Dando dunque al termine generale o comprensivo il significato di larga sintesi del campo delle attività presenti, prendiamo qualcuno dei fini salienti che hanno corso nelle teorie educative di oggigiorno e consideriamo che gettano sugli scopi immediati, concreti e diversificati che sono sempre il compito pratico dell’educatore. Premettendo che non c’è bisogno di scegliere tra loro e considerarli concorrenti. Quando si tratta di agire in modo tangibile dobbiamo selezionare o scegliere un’azione particolare in un particolare momento, ma i fini generali coesistono senza concorrenza, poiché significano semplicemente modi diversi di guardare la stessa scena. Non si può arrampicarsi simultaneamente su un gran numero di diverse montagne, ma le vedute che si hanno quando si sono ascese diverse montagne si completano; non creano dei mondi incompatibili, concorrenti. Oppure per mettere la cosa in modo diverso, l’asserzione di un fine può suggerire certe domande ed osservazioni, e un’altra asserzione un’altra serie di domande che richiedono altre osservazioni. Allora più fini generali abbiamo, meglio sarà. un’asserzione metterà meglio in evidenza ciò su cui sorvola un’altra, ciò che una pluralità di ipotesi rappresenta per l’investigatore scientifico, una pluralità di scopi può rappresentarlo per l’educatore. Cap. 9 sviluppo naturale ed efficienza sociale come scopi la natura come provveditrice di scopi: abbiamo già fatto notare l’inutilità di tentare di stabilire lo scopo dell’educazione: uno scopo finale che subordini tutti gli altri a se stesso. Abbiamo indicato anche che poiché gli generali non sono che punti di vista proiettati nell’avvenire dai quali esaminare le condizioni esistenti e calcolarne le possibilità, potremmo averne una quantità indefinita, e tutti coerenti tra loro. Infatti ne sono stati enunciati molti differenti in vari tempi, e tutti hanno avuto un alto valore locale. In effetti si proclama uno scopo quando occorre sottolinearlo. Mentre noi tendiamo piuttosto a delineare il nostro enunciato sulla base dei difetti e dei bisogni della situazione contemporanea, accettiamo quel che è approssimativamente giusto. Noi enunciamo i nostri scopi quando ci proponiamo un cambiamento da apportare. Allora non è un paradosso, e non richiede spiegazione affermare che una data epoca o generazione tende a mettere in evidenza nelle sue proiezioni coscienti proprio le cose di cui è maggiormente priva. Un periodo di autoritarismo provocherà come reazione il 16 vagheggiamento di una grande libertà individuale, un periodo di attività individuali disorganizzate, il bisogno di un controllo sociale come scopo educativo. Dunque la pratica reale e implicita, e lo scopo cosciente ed espresso si bilanciano. In periodi diversi sono stati sentiti come scopi: una vita completa, metodi migliori di studiare le lingue, sostituzione delle cose alle parole, efficienza sociale, sviluppo completo della personalità, conoscenze enciclopediche, disciplina, contemplazione estetica, utilità ecc. la discussione che segue considererà 3 affermazioni che hanno avuto recentemente influenza. Iniziamo con la considerazione che l’educazione è un processo di sviluppo conforme alla natura, secondo quanto pensa Rousseau; poi passeremo al concetto antitetico di efficienza sociale, in cui spesso il sociale è contrapposto al naturale. 1) i riformatori dell’educazione, disgustati dalle artificiosità dei metodi scolastici che vedono intorno a loro, sono propensi a ricorrere alla natura come regola su cui basarsi. La natura fornirebbe la legge e la fine dello sviluppo; tocca a noi seguirla e conformarci ai suoi modi. Il valore positivo di questa concezione si trova nella forza con la quale richiama l’attenzione sull’assurdità di scopi che non hanno attinenza con le doti naturali degli educandi. La sua debolezza è la facilità con la quale il naturale, nel senso di normale viene confuso col fisico. La capacità costruttiva dell’intelligenza di prevedere e di escogitare pertanto viene eliminata; dobbiamo semplicemente toglierci di mezzo e permettere alla natura di fare il lavoro. Poiché nessuno ha esposto meglio di Rousseau questa dottrina nel suo vero e nel suo falso eccola qui. Egli dice: noi riceviamo l’educazione da tre fonti: la natura, gli uomini e le cose. Lo sviluppo spontaneo dei nostri organi e delle nostre capacità costituisce l’educazione della natura. l’uso che ci viene insegnato di tale sviluppo costituisce l’educazione dataci dagli uomini. l’acquisto di esperienza personale che traiamo dagli oggetti circostanti, costituisce quella delle cose. Solo quando queste tre specie di educazione concordano in uno stesso scopo, l’uomo tende al suo vero fine. Se ci si domanda quale sia tale fine, risponderemo: è quello della natura. Infatti essendo l’unione di queste tre specie di educazione necessaria alla loro completezza, dobbiamo regolarci nel determinare le altre due, su quella che è del tutto indipendente dal nostro controllo. In seguito egli precisa che per natura si intendono le capacità e disposizioni innate, come esistono prima che vengano modificate da abitudini che l’alterano e dall’influenza dell’opinione altrui. I tre fattori dello sviluppo educativo sono la struttura originaria dei nostri organi fisici e delle loro attività funzionali, l’uso che si fa delle attività di questi organi sotto l’influenza di altre persone, la loro interazione con l’ambiente. Solamente quando i tre fattori sono conformi e cooperano , si compie lo sviluppo adeguato dell’individuo e che le attività innate degli organi, stanno alla base nella visione della coerenza dei fattori. Ma Rousseau anziché considerare questi tre fattori come cose che cooperano insieme in una certa misura, le considera operanti separatamente e indipendentemente. Egli è convinto che vi sia uno sviluppo indipendente, e spontaneo degli organi e delle facoltà originarie; ma pensa che tale sviluppo possa procedere indipendentemente dall’uso al quale sonno adibiti. Ed è a questo sviluppo separato che deve essere subordinata l’educazione proveniente dal contatto sociale. Vi è una differenza enorme fra il postulare un uso delle attività naturali in accordo con le medesime, e il supporle che esse abbiano uno sviluppo normale al di fuori di ogni uso, il quale sviluppo fornisca la norma e regola di tutto ciò che si apprende mediante l’uso. Ad esempio il processo di acquisizione del linguaggio è un caso praticamente perfetto di sviluppo educativo in senso proprio. Si parte da attività innate dell’apparato vocale, degli organi uditivi ecc. ma è assurdo supporre che queste abbiano una crescita indipendente, che lasciata a se stessa svilupperebbe un linguaggio perfetto. Preso alla lettera il principio di Rousseau significherebbe che gli adulti dovrebbero accettare e ripetere i balbettamenti e i rumori dei bambini non come il principio dello sviluppo del linguaggio articolato, ma come se costituissero una lingua di per sé: la norma per tutto l’insegnamento della lingua. Dunque egli aveva ragione proponendo una riforma dell’educazione di cui si sentiva il bisogno, aveva ragione quando affermava che la struttura e l’attività degli organi offrono le condizioni di tutto l’insegnamento dell’uso degli organi; ma aveva profondamente torto nel suggerire che essi offrono non solo le condizioni ma anche i fini del loro sviluppo infatti le attività naturali si sviluppano, in contrasto con l’esercizio capriccioso e casuale, attraverso gli usi ai quali sono adibite. E il compito dell’ambiente sociale è quello di dirigere la crescita facendo delle facoltà il migliore uso possibile. Le attività istintive possono chiamarsi metaforicamente spontanee, nel senso che gli organi danno un forte indirizzo a una certa specie di operazioni, un indirizzo così forte che noi non possiamo contrastarlo, benché possiamo cercare di pervertirle, 17 delle capacità originarie addestrate, ma sulla base della ricchezza o della condizione sociale dei genitori. Al tempo d’oggi l’industria subisce cambiamenti rapidi e simultanei a causa delle nuove invenzioni. Per conseguenza il tentativo di addestrare a un tipo di efficienza troppo specifico annulla i suoi propri scopi. Quando cambiano i metodi questi individui rimangono indietro con ancora meno capacità a riadattarsi, che se avessero avuto un addestramento meno specifico. Scopo dell’educazione progressiva è di partecipare alla correzione degli ingiusti privilegi e delle ingiuste privazioni e di non perpetuarle. Dovunque il controllo sociale significa subordinazione delle attività individuali all’autorità di una classe, vi è il pericolo che l’educazione industriale sia dominata dall’accettazione dello status quo. 2) il termine di efficienza civica può essere utilizzato per indicare un gran numero di qualifiche vaghe, noi con il proporci l’efficienza civica otteniamo per lo meno lo scopo di guardarci dall’idea di un allenamento delle facoltà mentali in astratto e di concentrarci sul fatto che le facoltà devono essere relative al fare qualcosa, e che le cose che hanno maggior bisogno di essere fatte sono quelle che implicano le nostre relazioni con gli altri. Occorre avere ben chiaro che efficienza sociale deve intendersi, nient’altro che la capacità di partecipare a uno scambio di esperienze. Comprende tutto ciò che rende la nostra esperienza più valida per gli altri, e tutto ciò che ci permette di partecipare completamente alle valide esperienze altrui. La capacità di creare e godere l’arte, la capacità di divertire, l’utilizzazione appropriata del tempo di svago, sono elementi più importanti per essa che non quelli spesso convenzionalmente associati con il senso civico. Nel suo senso più largo esse non è altro che socializzazione della mente attivamente impegnata nel rendere le esperienze più comunicabili, nell’abbattere le barrire della stratificazione sociale che rendono gli individui chiusi agli interessi degli altri. Ciò che si chiama un’interesse benevolo per gli altri può non essere che l’inconsapevole dissimulazione del tentativo di prescrivere loro quello che si suppone sia per essere il loro bene, laddove occorrerebbe invece uno sforzo per liberarli in modo che possano cercare e trovare il bene di loro scelta. L’efficienza sociale, e perfino il servizio sociale, sono cose dure e metalliche quando sono separate da un riconoscimento attivo del variare di ciò che è bene col variare degli individui, e dalla fede nell’utilità sociale dell’incoraggiare ogni individuo a rendere la sua propria scelta intelligente. La cultura come scopo: il fatto che l’efficienza sociale possa essere uno scopo o si accordi con la cultura dipende da queste considerazioni. La cultura significa almeno qualcosa di coltivato, qualcosa di maturato; è contrapposta al grezzo o immaturo. Quando il naturale è identificato col grezzo, la cultura si contrappone a quel che si chiama sviluppo naturale. Essa è anche il coltivarsi alla valutazione delle idee e dell’arte e dei larghi interessi umani. Quando l’efficienza è identificata con un raggio ristretto di atti, invece che con lo spirito e il significato dell’attività, cultura ed efficienza si contrappongono. l’effetto della cultura è identificabile col vero senso di cultura, quando si pone in mente all’individuo ciò che è solo suo. Il suo contrario è la media, ogni volta che si sviluppa una qualità distintiva, ne risulta la distinzione della personalità; e questa contiene una promessa di servizio sociale maggiore e più significativa di quella dell’apporto in quantità di beni materiali. Il fatto è che l’abitudine a contrapporre eccellenza della personalità ed efficienza sociale è il prodotto di una società organizzata feudalmente con la sua rigida divisione in inferiori e superiori. Si suppone che questi abbiano il tempo e l’opportunità di svilupparsi come esseri umani; mentre i primi sono confinati a provvedere i prodotti esterni. Quando l’efficienza sociale, viene inculcata come un ideale su una società cosiddetta democratica, è seguo che è accolta e potenziata la poca stima delle masse, caratteristica di una comunità aristocratica. Ma se la democrazia ha un significato morale ed ideale, questo consiste nel fatto che si esige una collaborazione sociale da parte di tutti e che tutti siano posti in grado di sviluppare le proprie capacità differenziate. La separazione dei due scopi nell’educazione è fatale alla democrazia; l’adozione del significato più ristretto di efficienza la priva della sua giustificazione essenziale. Lo scopo dell’efficienza deve essere incluso nel processo dell’esperienza. Stabilendo uno scopo esterno si rafforza la falsa concezione della cultura vista vista come qualcosa di puramente interno e l’idea di perfezionare una personalità interna è un segno sicuro di divisioni sociali. Quel che si chiama interno è semplicemente ciò che non si collega con altri, e che non è capace di una comunicazione piena e libera. La cosiddetta cultura dello spirito è sempre parsa in qualche modo malsana, proprio per la ragione che uno se la può tener solo per sé. Qualsiasi individuo ha mancato la sua vocazione, se non trova che il conseguire risultati utili utili per gli altri è corollario di ogni processo d’esperienza 20 intrinsecamente valido. Che senso ha dunque pensare che uno debba scegliere fra il sacrificarsi per fare cose utili agli altri, o sacrificare gli altri per perseguire i suoi fini esclusivi, siano questi il salvare la sua anima o il costruire una vita spirituale e una personalità interna? Ciò che poi avviene è che nessuna delle due è possibile, e si ricorre al compromesso o alternanza. Non vi è maggior tragedia del fatto che tanto pensiero spirituale e religioso abbia del mondo abbia insistito sui due ideali del sacrificio di sé e del perfezionamento spirituale di sé, anziché far sentire tutto il suo peso contro questo dualismo di vita. Il dualismo è troppo radicato, per questo il compito dell’educazione in questo momento è di lottare per una concezione nella quale l’efficienza sociale e la cultura personale siano sinonimi e non antagonisti. Cap. 10 interesse e disciplina il significato dei termini: abbiamo già notato la differenza tra l’atteggiamento di uno spettatore e quello di un attore o partecipante, quest’ultimo è legato a ciò che avviene, il suo risultato non gli importa, di conseguenza egli fa tutto ciò che può influenzare la direzione che prendono gli avvenimenti. l’atteggiamento di chi è interessato al corso degli eventi, è duplice, vi è la sollecitudine, l’ansietà riguardo le conseguenze future ed una tendenza ad agire per ottenere conseguenze migliori ed evitarne delle peggiori. A questo atteggiamento diamo il nome di preoccupazione, interesse, intendendo che uno è legato alle possibilità inerenti gli oggetti, dunque sta in allerta per ciò che gli possono fare, e sulla base delle sue speranze e previsioni è ansioso di agire in modo da dare all cose una direzione piuttosto che un’altra. Interessi, scopi, preoccupazione e proposito sono connessi tra loro, parole come scopo o intento accentuano i risultati desiderati, ammettono l’atteggiamento personale di sollecitudine e di ansietà attenta. Parole come interesse, affetto, preoccupazione, motivazione sottolineano l’importanza degli effetti prevedibili per le sorti dell’individuo, e il suo attivo desiderio di agire per assicurarsi un possibile risultato. Esse ammettono senz’altro cambiamenti oggettivi, ma la differenza non è che di accentuazione. Possiamo chiamare intellettuale la fase di previsione oggettiva, ed emotiva o volitiva la fase di preoccupazione personale, ma non vi è separazione di fatti nella situazione. Questa separazione esisterebbe solo se gli atteggiamenti personali avessero un loro corso nel mondo, ma essi sono sempre risposte a ciò che avviene nella situazione della quale fanno parte, e il loro effetto dipende dalla loro azione reciproca con altri cambiamenti. Le attività della vita dipendono dai cambiamenti dell’ambiente, i nostri desideri, emozioni ed affetti non sono che l’intrecciarsi in vari modi delle nostre azioni con quelle delle persone e delle cose che ci circondano. Offrono una testimonianza che i cambiamenti nelle cose non sono estranei alle attività di una persona e che la carriera e il benessere della persona sono legati al movimento delle persone e delle cose, interesse, preoccupazione significano che la persona e il mondo sono reciprocamente impegnati in una situazione in sviluppo. La parola interesse implica: una situazione di sviluppo in atto, risultati oggettivi previsti e desiderati, l’inclinazione emotiva personale. Per interesse intendiamo anche il punto nel quale un oggetto tocca o impegna una persona, il punto nella quale la influenza. Quando parliamo di un uomo interessato a questo o a quello, l’accento ricade sul suo atteggiamento personale, essere interessato vuol dire essere assorbito, trascinato da qualcosa, significa essere attento, vigile, avere a cuore qualcosa. L’assorbimento dell’io nell’oggetto. In educazione si intende per interesse il semplice effetto di un oggetto sul vantaggio o lo svantaggio personale, il successo o fallimento. Le situazioni viste al di fuori di ogni loro sviluppo oggettivo, sono ridotte a semplici stati personali di piacere o di dolore. Dal punto di vista educativo ne consegue che l’importanza attribuita all’interesse induce ad arricchire di un qualche aspetto seducente un materiale altrimenti indifferente; assicurarsi l’attenzione e lo sforzo cercando di corrompere con l’offerta del piacere. Tale procedimento è definito come “pedagogia molle”, una teoria da cucina popolare. Si solleva la difficoltà dell’interesse basandosi sul fatto che le conoscenze o le materie da apprendere non abbiano un interesse per conto loro, si presume che siano irrilevanti per le attività normali degli allievi, il rimedio è di scoprire oggetti e azioni che si adeguino alle capacità effettive dei ragazzi. Il fatto che materiali tali riescano ad impegnare l’attività e a svilupparla con metodo e continuità rappresenta l’interesse. Se il materiale funziona in questo modo, non vi è bisogno di cercare un espediente per renderlo interessante o di fare appello allo sforzo arbitrario, semi-obbligato. La parola interesse suggerisce l‘idea di ciò che collega due cose altrimenti distanti, in educazione questa distanza colmata è temporale. Dal punto di vista dell’apprendere le capacità in atto 21 dell’allievo sono lo stadio iniziale, lo scopo del maestro rappresenta il limite remoto; fra i due ci sono i mezzi, ovvero le condizioni mediane che sono azioni da eseguire, difficoltà da superare, oggetti da adoperare. Solo passando per essi nel senso letterale di tempo, le attività iniziali raggiungeranno un compimento effettivo. Quando il materiale deve essere reso interessante, significa che, nel modo in cui è presentato manca la connessione con i propositi e le facoltà presenti, renderlo interessante facendo comprendere la connessione esistente è semplice buon senso, ma farlo con allettamenti estranei e artificiosi merita tutti i termini dispregiativi che sono stati attribuiti alla teoria “dell’educazione resa interessante”. Per disciplina intendiamo invece un’attività che richiede tempo, dove molti ostacoli si frappongono tra l’inizio e il compimento, sono necessarie decisione persistenza. Un uomo forte di volontà, è un uomo che non è volubile né svogliato nel raggiungere i fini scelti. Vi sono due fattori nella volontà, uno riguarda la previsione dei risultati, l’altro la misura d’interesse che la persona ha riguardo il risultato previsto. 1) l’ostinazione è persistenza, ma non forza di volontà. Una persona ostinata continua a fare una cosa solo perché ha incominciato a farla egli si rifiuta di chiarire a se stesso qual’è il fine che si propone sente che se permettesse a se stesso di farsene un’idea chiara questa potrebbe non valerne la pena. Le persone che abbiamo definito deboli o molli si ingannano sempre nelle conseguenze dei loro atti, scelgono un aspetto che pare loro piacevole, ma nel momento in cui cominciano ad agire, i risultati sgradevoli che avevano voluto ignorare iniziano a manifestarsi, allora si scoraggiano o si lamentano di essere intralciate nei loro buoni propositi da una cattiva sorte, e cambiano linea d’azione. La differenza primaria tra forza di volontà e ostinazione è intellettuale, poiché consiste nel grado di persistente fermezza e completezza con cui si riflette sulle conseguenze. 2) esiste una decifrazione intellettuale dei risultai, ma solo nel caso in cui i fini previsti non hanno una gran presa sulla persona, essi sono qualcosa da guardare e con cui trastullarsi per curiosità piuttosto che qualcosa da raggiungere. Esiste un’intellettualità unilaterale, in cui uno se la prende comoda nel considerare le conseguenze delle varie linee d’azione che si prospettano, una certa mollezza di tempra gli impedisce di lasciarsi afferrare e impegnare in azione l’oggetto contemplato. Invece una persona addestrata a riflettere sulle sue azioni e ad intraprenderle deliberatamente, è ciò che noi definiamo una persona disciplinata. Aggiungendo a questa capacità la facoltà di perdurare in una linea d’azione scelta intelligentemente, nonostante le distrazioni e la confusione, otterremo l’essenza della disciplina. Disciplina significa la capacità controllata: dominio dei mezzi validi a portare avanti l’azione intrapresa. La disciplina è positiva, domare lo spirito, soggiogare le inclinazioni, forzare l’obbedienza, mortificare la carne, obbligare un subordinato a fare un compito ingrato, queste cose sono o non sono disciplinari, a seconda che tendano o no allo sviluppo delle facoltà di riconoscere quel che si sta facendo e di perseverare nel conseguirlo. Dunque interesse e disciplina sono collegati, poiché la fermezza dei propositi sarà superficiale ed esteriore dove non ci sarà interesse. Spesso la mente dei bambini non si applica all’oggetto, proprio perché l’argomento che si tratta non è cosa che li riguardi , non rientra nei loro interessi. In questi casi il rimedio non l’uso di metodi che aumentano l’indifferenza e l’avversione. Anche il punire il bimbo per disattenzione è un modo di cercare di fargli intendere che la questione non è cosa di completa indifferenza; è modo di svegliarne l’interesse o di creare un senso di connessione. La sua validità viene poi provata dall’alternativa, cioè se fornisce un’eccitazione puramente fisica ad agire nel modo desiderato dall’adulto, o se porta il bambino a pensare, cioè a riflettere sui suoi atti e a impegnarli come scopi. L’interesse è la forza della presa che il fine previsto ha sulla persona per spingerla ad agire alla realizzazione di esso. l’importanza dell’idea di interesse nell’educazione: l’interesse rappresenta la proprietà stimolante degli oggetti, siano essi percepiti o immaginati in qualsiasi esperienza che abbia uno scopo. Il riconoscere la funzione dinamica dell’interesse nello sviluppo educativo vale in quanto porta a considerare i bambini nelle singole capacità, bisogni e preferenze specifiche. Ciò che si riferisce all’interesse fornisce anche considerazioni di valore generale alla filosofia dell’educazione, troppo spesso la mente è posta al di sopra del mondo delle cose e dei fatti da sapere, è considerata come qualcosa che esista isolatamente con stati e operazioni mentali indipendenti. La conoscenza è allora considerata come un’applicazione esterna di processi puramente mentali alle cose da sapere, o altrimenti come un risultato delle impressioni che questo argomento esterno fa sulla mente, oppure come una combinazione delle due cose. L’argomento è soltanto qualcosa deve essere imparato o saputo, sia con l’applicazione volontaria 22 angustamente utilitario della maggior parte dell’educazione elementare e il carattere angustamente disciplinare o culturale della maggior parte dell’educazione superiore, spiega la tendenza a isolare gli oggetti intellettuali sino a fare della conoscenza un qualcosa di scolastico, accademico e professionalmente tecnico, e spiega la diffusa convinzione che l’educazione liberale è incompatibile con le esigenze di un’educazione che conti nelle professioni della vita. Ma aiuta anche a definire il particolare problema dell’educazione presente. La scuola non può sfuggire agli ideali creati dalle condizioni sociali precedenti. Dovrebbe però contribuire, per mezzo del tipo di disposizione intellettuale ed emotiva che forma, al miglioramento di queste condizioni. Proprio qui risalta il valore di una retta concezione dell’interesse e della disciplina. Coloro i cui interessi sono stati ampliati e l’intelligenza educata dal contatto con cose e fatti in occupazioni attive fornite di uno scopo potranno più facilmente sfuggire all’alternativa fra una conoscenza accademica e distaccata e una pratica dura, ristretta e puramente pratica. Quel che maggiormente necessita per migliorare le condizioni sociali è di organizzare l’educazione in modo che le tendenze attive naturali siano tutte impegnate nel fare qualcosa, e provvedere al contempo a che l’azione richieda l’osservazione, l’acquisto dell’informazione e l’uso di un’immaginazione costruttiva. Oscillare fra gli esercizi meccanici, che cercano di raggiungere l’efficienza in un’azione esterna senza l’uso dell’intelligenza, e l’accumulo di conoscenze che dovrebbe essere un fine ultimo in se stesso, significa che l’educazione accetta le attuali condizioni sociali come definitive e con questo si assume la responsabilità di perpetuarle. Riorganizzare l’educazione in modo che l’insegnamento si compia in connessione con un’intelligente esecuzione di attività motivate, è un lavoro lungo, può esser compiuto solo un passo alla volta. Ma questa non è una ragione per accettare nominalmente una filosofia dell’educazione in pratica adattarsi ad un’altra. È una sfida a intraprendere il compito della riorganizzazione e ad attenervisi fermamente. Cap. 11 Esperienza e pensiero la natura dell’esperienza: la natura dell’esperienza si comprende solamente se si osserva che essa include un elemento attivo e uno passivo. In senso attivo essa è un tentare, significato espresso dal termine connesso esperimento. In senso passivo è un sottostare alle conseguenze. Il nesso fra queste due fasi misura il valore dell’esperienza. Quest’ultima come tentativo di cambiamento non ha significato se non vi sono delle conseguenze. Imparare dall’esperienza significa fare una connessione indietro e in avanti fra quel che facciamo alle cose e quel che ne godiamo o soffriamo in conseguenza. Da ciò seguono 2 conclusioni importanti per l’educazione: l’esperienza è cosa attivo-passiva non principalmente conoscitiva, ma essa è valida solo nel momento in cui è cumulativa o ammonta a qualcosa, o a un significato. Nelle scuole si pensa spesso agli allievi come spettatori teorici, come menti che s’impadroniscono della conoscenza per mezzo dell’energia diretta dell’intelletto. La stessa parola allievo designa a una persona che è impegnata ad assorbire la conoscenza diretta. La mente o coscienza è totalmente fuori dagli organi fisici dell’attività. L’una viene considerata come puramente conoscitiva, gli altri come fattori fisici irrilevanti e talora inopportuni, si rompe così l’unione tra il fare e il sottostare alle conseguenze del fare che porta al riconoscimento del significato. Da questo dualismo di mente e corpo ne scaturiscono 3 effetti negativi: 1) l’attività fisica diviene una distrazione in quanto non ha niente a che fare con la mente nelle scuole, si pregia la tranquillità fisica, il silenzio, l’uniformità rigida di posizione di movimento, il simulare meccanicamente un atteggiamento di interesse intelligente; compito del maestro è di mantenere gli allievi all’altezza di queste esigenze e di punire le inevitabili distrazioni. Di conseguenza il corpo trascurato irrompe senza saper come o perché, in una turbolenza priva di senso, oppure riposa in un gingillarsi ugualmente privo di senso. Entrambe le cose sono molto diverse dai normali giochi dei bambini. Bambini fisicamente attivi diventano irrequieti e indisciplinati, i più quieti adoperano tutta l’energia che hanno nel compito negativo di soffocare i loro istinti e le loro tendenze attive, invece che in quello positivo di far progetti ed eseguirli in maniera costruttiva. Così essi sono educati al dovere forzato di non lasciare libere le loro attività fisiche, anziché imparare ad utilizzarle in modo aggraziato e significativo. Una delle cause principali dei notevoli risultati dell’educazione greca è stata proprio questa, essa non fu mai indotta da false idee a tentare di separare la mente dl corpo. 2) tuttavia anche le lezioni da apprendere mediante l’applicazione della mente, richiedono l’uso di alcune attività fisiche, i sensi ed in particolare occhi e orecchie vanno utilizzati per afferrare ciò che dice il libro, il maestro. I sensi sono considerati come una specie di condotto misterioso 25 attraverso il quale l’informazione è guidata dal monto esterno, fino alla mente; tenere gli occhi sul libro e le orecchie aperte alle parole del maestro è una misteriosa fonte di grazia intellettuale. Il risultato evidente è però l’uso meccanico delle attività fisiche, le quali devono essere impiegate in misura maggiore o minore. Poiché i sensi e i muscoli sono adoperati come carichi e scarichi della mente, prima che il bambino vada a scuola egli impara con la mano, con l’occhio, e con l’orecchio, poiché questi sono gli organi di attività dotate di significato. I suoi sensi sono le vie della conoscenza non perché determinati fatti esterni sono in un certo modo portati alla sua mente, ma perché sono adoperati per fare qualcosa con uno scopo. I maestri hanno l’abitudine di spingere i bambini a leggere con espressione per far risaltare il significato di ciò che leggono, ma se originariamente essi hanno imparato la tecnica senso-motoria della lettura con metodi che non richiedevano la comprensione del significato, si è creata in loro un’abitudine meccanica che ostacolerà in seguito una lettura intelligente. Gli organi vocali sono stati allenati a fare il loro lavoro isolatamente e automaticamente, e il significato non può essere appiccicato a volontà. Il disegno, il canto e la scrittura possono essere insegnati in modo meccanico, poiché ripetiamo ogni sistema che svaluti l’attività fisica, e determini in tal modo una separazione tra mente e corpo, dunque la percezione dei significati è meccanica. 3) dal lato intellettuale la separazione della mente dall’occupazione diretta con le cose, accentua le cose a scapito delle relazioni o connessioni. Si suppone che la mente percepisca le cose al di fuori delle relazioni, che formi idee su di esse isolatamente dai loro nessi, vale a dire ciò che viene prima e dopo. Poi interverrebbe il giudizio o il pensiero a riunire gli elementi separati della conoscenza a far emergere la loro somiglianza o connessione casuale. La realtà è diversa: ogni percezione e ogni idea è nozione della portata, dell’uso e della causa di una cosa. Un carro non è percepito quando se ne sommano le parti, è la connessione caratteristica delle parti che ne fa un carro. E queste connessioni implicano connessione con gli animali che lo tirano, le cose che trasporta e così via. Nella percezione è impiegato il giudizio, altrimenti la percezione no sarebbe che eccitamento sensorio o atto di riconoscere il risultato di un giudizio precedente, come nel caso di oggetti familiari. Nel momento in cui l’attività mentale è separata dalla partecipazione attiva al mondo e non tiene conto della connessione tra fare qualcosa e subirne le conseguenze, le parole, i stimoli vengono a prendere il posto delle idee. Ci abituiamo talmente tanto a una mezza percezione, che non ci rendiamo conto di come è mal viva la nostra azione mentale, e quanto più acute e comprensive sarebbero le nostre osservazioni ed idee se le formassimo nel quadro di un’esperienza vitale che ci imponesse di usare il giudizio, di cercare i nessi della cosa con la quale abbiamo a che fare. Non vi è differenza di opinione per quel che concerne l’oggetto del giudizio, tutti i componenti sono d’accordo nell’affermare che la visione dei rapporti rappresenta il campo d’azione dell’intelletto, e quindi il campo d’azione dell’educazione. Il fallimento sopravviene nel momento in cui si suppone che le relazioni possono divenire percepibili senza esperienza, ossia senza quel tentare e sottostare congiunti di cui abbiamo parlato. Un chicco di esperienza è meglio che una tonnellata di teoria, semplicemente perché è nell’esperienza che una teoria può avere un significato vitale e verificabile. Un’umilissima esperienza è capace di generare e contenere qualsiasi quantità di teoria, ma una teoria all’infuori dell’esperienza non può essere afferrata. Per colpa della nostra educazione usiamo le parole, pensando che siano idee per risolvere i problemi. Ma questa soluzione diventa semplicemente un oscuramento delle percezioni, tale da impedirci di vedere le difficoltà. La riflessione nell’esperienza: il pensiero o la riflessione è il discernimento della relazione fra quel che cerchiamo di fare e quel che succede in conseguenza. Nessuna esperienza che abbia significato è possibile senza qualche elemento di pensiero. Ma possiamo contrapporre due tipi di esperienza secondo la proporzione di riflessione che vi troviamo. In tutte le nostre esperienze c’è uno stadio di prova che gli psicologi definiscono “tentativo ed errore”. Noi ci limitiamo a fare qualcosa e quando fallisce facciamo qualcos’altro, e continuiamo a provare finché si casca su qualcosa che va bene, e allora adottiamo quel metodo come una regola approssimativa per i procedimenti seguenti. Ci sono esperienze che vanno di poco oltre questo processo di provare e stare a vedere gli effetti, si scorge un certo modo di agire e una determinata conseguenza, ma non si vede il come della connessione. Il nostro buon senso è rudimentale. In altri casi analizziamo cos’è che fa da intermediario in modo da collegare causa e effetto, attività e conseguenza questo nostro scrutare più a fondo ci permette di prevedere 26 più accuratamente. L’azione che si fonda esclusivamente sul metodo “tentativo ed errore” sta al merito delle circostanze, esse possono cambiare in modo che l’atto eseguito non abbia più l’effetto che ci si aspettava. Ma se sappiamo da cosa dipende il risultato, possiamo controllare se esistono le condizioni richieste. Il metodo estende il nostro controllo pratico, infatti se qualcuna delle condizioni viene meno possiamo tentare ristabilirla sapendo quali sono gli antecedenti necessari per un effetto, oppure dove si riscontrino cause che provochino effetti indesiderabili, eliminare le eliminabili e risparmiare lo sforzo. Nella scoperta delle connessioni dettagliate delle nostre attività e di ciò che avviene di conseguenza, il contenuto di pensiero implicito nel provare a tentoni, è qui svolto, diviene quantitativamente maggiore e ha un valore ben differente. Dunque cambia anche la qualità dell’esperienza, il cambiamento è così chiamato significativo che possiamo chiamare questo tipo di esperienza riflessivo, il coltivare deliberatamente questo tipo di pensiero costituisce il pensare come esperienza a sé. Pensare è dunque il tentativo intenzionale di scoprire delle connessioni specifiche fra qualcosa che facciamo, e le conseguenze che ne risultano, in modo che le due cose diventino continue. Pensare equivale pertanto ad un cosciente estrarre l’elemento intelligente della nostra esperienza, rende possibile che si agisca con un fine in vista. all’azione pensata si contrappongono la routine e la condotta capricciosa. La prima accetta ciò che è usuale come definitiva misura di possibilità r trascura di tener conto delle connessioni degli atti particolari. La seconda fa dell’atto momentaneo una misura di valore e ignora i nessi della nostra azione personale con le energie dell’ambiente. tutt’e due rifiutano di conoscere le responsabilità e le conseguenze future che scaturiscono dall’azione presente. La riflessione è l’accettazione di tale responsabilità. Il punto di partenza di ogni processo di pensiero è qualcosa che così com’è sarebbe incompiuto. Il suo significato risiede in ciò che diventerà. Considerare la portata dell’avvenimento su quel che può essere ma non è ancora, significa pensare. La riflessione implica anche un interesse per il risultato, implica una certa partecipante identificazione del nostro destino, anche solo immaginata, col risultato del corso degli avvenimenti. Una persona che rimane completamente indifferente al risultato non segue e non riflette affatto a quel che sta succedendo. Dal fatto che l’atto di pensare ha origine nel senso di partecipazione alle conseguenze degli avvenimenti, proviene uno dei paradossi principali del pensiero. Nato nella parzialità, esso deve raggiungere un certo imparziale distacco per poter compiere la sua funzione. Il pensiero trae origine da situazioni nel quale il corso del pensiero è una parte reale del corso degli eventi ed è concepito come esercitante un influsso su di essi. Solo gradualmente e con un’amplificazione dell’area di visione attraverso un incremento del senso di socialità, il pensiero si sviluppa fino a includere ciò che si trova al di là dei nostri interessi diretti, un fatto molto importante per l’educazione. Dire che l’atto di pensare si esercita su situazioni incomplete, significa dire che il pensiero ha luogo quando le cose sono incerte o dubbie. Solamente ciò che è finito, completo, è definito. Lo scopo del pensiero è di aiutare a raggiungere una conclusione, a prevedere una possibile fine in base a ciò che è già dato. Poiché la situazione nella quale ha luogo il pensiero è di dubbio, il pensiero è un processo di indagine, di esame delle cose, di investigazione. L’atto di acquisire è sempre subordinato all’atto di indagare, e funzione di esso. È un’indagine una supposizione di qualcosa che non è a disposizione. Tutto il pensiero è di ricerca, ed ogni ricerca è nativa, originaria, per colui che la effettua, anche se il resto del mondo è già sicuro di quello che egli sta cercando. Ne consegue che tutto il pensiero implica un rischio, la sicurezza non può essere garantita anticipatamente. Le conclusioni del pensiero, fino a che non sono confermate dall’avvenimento, sono perciò più o meno incerte o ipotetiche. I greci hanno sollevato acutamente la questione: come possiamo imparare? Poiché o sappiamo già quel che cerchiamo, o non lo sappiamo. In nessuno dei due casi è possibile imparare. Tale dilemma sussiste anche la zona crepuscolare dell’indagine del pensiero, la possibilità di conclusioni ipotetiche, di risultati incerti è il fatto sul quale il dilemma greco ha sorvolato. La perplessità della situazione suggerisce alcune vie d’uscita, incerto significa che tenta, che va provvisoriamente a tentoni. Preso a sé l’argomento greco è un grazioso esempio di logica formale, ma è anche vero che finché gli uomini hanno mantenuto una netta separazione tra conoscenza e ignoranza, la scienza non ha fatto che progressi lenti e casuali. Il progresso sistematico nell’invenzione e nella scoperta cominciò quando gli uomini riconobbero che potevano utilizzare il dubbio a fini di indagine, formulando congetture che guidassero l’azione in esplorazioni di prova, il cui sviluppo avrebbe confermato, confutato o modificato la congettura dirigente. Mentre i greci facevano della conoscenza qualcosa di più che l’imparare, la scienza moderna considera il bagaglio delle conoscenze acquisite solo un mezzo per 27 forniscano delle soluzioni già pronte. Nelle scuole si dà troppa importanza all’accumulo e all’acquisizione di nozioni a scopo di riproduzione nella ripetizione e nell’esame. Conoscenza nel senso di nozioni, costituisce il capitale da sfruttare, la risorse indispensabili a ulteriori indagini, a scoprire, a imparare più cose. Spesso è trattata come fine a se stessa e allora il fine diviene l’accumularla e l’esibirla quando ce n’è bisogno. Questo ideale statico di nozioni è ostile allo sviluppo dell’educazione, impaluda il pensiero. Gli allievi che hanno arredato la loro mente con ogni specie di materiale che non hanno mai adoperato intellettualmente saranno certamente intralciati quando cercano di pensare. Non hanno alcuna pratica nello scegliere ciò che fa al caso, e nessun criterio sul quale basarsi; tutto è a livello statico, d’altronde è discutibile se, nel caso che le nozioni avessero nell’esperienza una funzione reale di strumenti utili ai fini dell’alunno, non ci sarebbe bisogno di risorse nei libri, figure e conversazioni, di quelle generalmente a disposizione. 3) a fatti, dati, conoscenze già acquisite corrispondono nel pensiero suggerimenti, deduzioni, supposizioni, tentativi di spiegazione, in breve idee. Non possono fornire ciò che manca, definiscono, chiarificano, e localizzano il problema; non possono fornire una risposta. Per questo occorrono intuizione, invenzione, ingegnosità. I dati risvegliano dei suggerimenti, la validità dei quali va misurata su dati specifici. Ma i suggerimenti vanno oltre ciò che è dato realmente nell’esperienza. Prevedono dei possibili risultati, non fatti. Trarne una conclusione è sempre un invadere l’ignoto. In tal senso un pensiero è creativo (poiché suggerisce qualcosa ma non mostra), è un’incursione nel nuovo e implica necessariamente dell’inventività. Ma l’intuizione inventiva dipende dalla nuova luce in cui la cosa è vista, dal nuovo uso al quale è messa. Nuova è l’operazione non l’atto su cui essa si fonda. Nel campo dell’educazione queste considerazioni ci fanno comprendere che ogni atto di pensiero è originale quando prospetta delle considerazioni che non sono state afferrate prima, ad es. il bimbo di tre anni che scopre cosa si può fare con i cubi, anche se tutto il resto del mondo lo sapeva già. Vi è un genuino aumento di esperienza: un arricchimento qualitativamente nuovo. Il fascino che ha la spontaneità dei bambini per gli osservatori benevoli è dovuto alla percezione di questa originalità intellettuale. La gioia che i bimbi stessi provano è la gioia della costruttività intellettuale, cioè della creazione. La vera morale è che non è possibile trasmettere un pensiero, un’idea come idea, da una persona all’altra. Quando viene detta per la persona alla quale viene detta, non è un’idea ma un altro fatto preciso. Il comunicarla può stimolare l’altra persona a capire la questione da sé, e a elaborare un’idea simile, oppure può soffocare il suo interesse intellettuale e sopprimere il suo incipiente sforzo di pensiero. Ma ciò che essa riceve direttamente non può essere un’idea. Solo affrontando da sé le nude condizioni del problema, cercando e trovando la propria via d’uscita essa pensa. Quando il genitore o maestro ha fornito le condizioni che stimolano il pensiero e ha preso un atteggiamento di simpatia verso le attività dello scolaro entrando con lui in un’esperienza comune o congiunta, è stato fatto fatto tutto quanto può può fare un’altra persona per indurre a imparare. Il resto dipende dalla persona interessata, se questa non sa trovare la sua soluzione in cooperazione con il maestro e gli altri scolari, non imparerà nemmeno se sa ripetere qualche risposta giusta. Noi possiamo fornire e lo facciamo, idee già pronte, ma generalmente non ci diamo la pena di vedere che l’allievo si impegni in situazioni pregnanti nelle quali le sue attività generino, adattino e sostengano idee, cioè significati e connessioni percepite. l’alternativa a fornire l’argomento già pronto e all’ascoltare con quale accuratezza venga riprodotto non è l’ignorare, ma il partecipare all’attività del fanciullo e il condividerla. I questa attività condivisa il maestro impara, e lo scolaro senza saperlo insegna, dopotutto meno coscienza vi è di dare e di ricevere l’istruzione, sia da una parte che dall’altra, e meglio è. 4) le idee, sono dunque anticipazioni di possibili azioni, anticipazioni di qualche continuità o connessione fra un’attività e dei risultati che non si sono ancora manifestati. La prova della loro validità si ha nell’agire a norma di esse, devono guidare e organizzare le ulteriori osservazioni, ricordi e esperimenti. Sono mezzi nel processo dell’apprendere. Tutti i riformatori dell’educazione sono portati ad attaccare la passività dell’educazione tradizionale, hanno combattuto il fatto il fatto di versare dal di fuori e quello di assorbire come spugne, hanno attaccato il sistema di considerare il soggetto da istruire come dura e resistente roccia da perforare, ma non è semplice realizzare condizioni tali che il ricevere un’idea coincida col fare un’esperienza che allarga e illumina il nostro contatto col mondo esterno. l’attività anche quella spontanea troppo spesso viene considerata come qualcosa di puramente mentale, che può essere espressa solo attraverso gli organi vocali. Mentre il bisogno di applicare le idee ottenute con lo studio è riconosciuto da tutti 30 metodi più riusciti d’istruzione, gli esercizi di applicazione sono spesso trattati come espedienti per fissare ciò che è stato imparato, al fine di ottenere un’abilità pratica maggiore nel trattarlo. Ma la pratica nell’applicare ciò che è stato guadagnato con lo studio dovrebbe primariamente avere una qualità intellettuale, abbiamo già visto che i pensieri come meri pensieri sono incompleti. Finché non sono applicati a queste situazioni, mancano di vero senso di realtà. Solo l’applicazione li prova, e solo la prova conferisce loro un pieno significato e il senso della loro realtà. Se non sono adoperati, tendono a segregarsi in un mondo particolare loro proprio. Non c’è dubbio che molto di ciò che si impara nelle scuole reca con sé molta artificiosità, gli argomenti trattati infatti non posseggono per gli allievi il tipo di realtà che possiede la materia delle esperienze vitali. Essi imparano a non aspettarsi questo genere di realtà, si abituano a trattarli come se avessero una realtà ai fini della ripetizione, delle lezioni, degli esami, è praticamente sottinteso che quanto si impara a scuola è destinato a non contare per la vita di ogni giorno. Ne risultano due specie di cattivi effetti. L’esperienza ordinaria non riceve l’arricchimento che dovrebbe, non è fecondata dall’insegnamento scolastico. E gli atteggiamenti che nascono dall’abitudine e dall’accettazione di materiale mal digerito e mal capito indeboliscono il vigore e l’efficienza del pensiero. L’inclinazione dei sostenitori dell’educazione culturale a ritenere che le attività manuali hanno solo un carattere materiale o professionale è stessa un prodotto delle filosofie che isolano la mente dalla direzione del corso dell’esperienza e perciò dall’azione sulle cose e non cose. Quando il mentale è considerato come un regno separato e circoscritto, una sorte opposta tocca alle attività e ai movimenti del corpo. Essi sono considerati, nella migliore delle ipotesi, come appendici esterne della mente. Possono essere necessari per la soddisfazione dei bisogni corporali e per il raggiungimento di decoro e comodità esteriori, ma non occupano un posto necessario nella mente, né effettuano una parte indispensabile nel compimento dei pensieri. Perciò non hanno alcun posto in un’educazione liberale, cioè in un’educazione che si occupi degli interessi dell’intelligenza. E se vi rientrano in qualche modo, è solo per una concessione ai bisogni materiali delle masse, queste conclusione segue dalla concezione che fa della mente un qualcosa di isolato, ma con la stessa logica essa si distacca appena ci accorgiamo di ciò che è la mente, cioè il fattore direttivo e motivato dello sviluppo dell’esperienza. È desiderabile che tutte le istituzioni siano attrezzate in modo da dare a chi studia l’opportunità di acquistare e mettere alla prova le idee e l’informazione in occupazioni attive che riproducano le situazioni sociali importanti, ma passerà certamente molto tempo prima che esse siano tutte poste in questa condizione. Ma questo stato di cose non offre una scusa agli insegnanti per incrociare le braccia e persistere nei metodi che segregano le conoscenze scolastiche. Ogni lezione su qualsiasi argomento offre un’opportunità per stabilire un collegamento fra l’argomento della lezione e le esperienze più ampie e più dirette della vita di ogni giorno. Ci sono tre tipi di lezione, la meno desiderabile è quella che tratta ogni lezione come un tutto indipendente. Non lascia allo studente il compito di trovare dei punti di contatto fra essa e le altre lezioni sullo stesso argomento, o su altri argomenti di studio. I maestri più perspicaci provvederanno a che lo studente sia sistematicamente portato ad utilizzare le sue lezioni precedenti come contributo all’intendimento di quella presente ed anche ad usare quella presente per gettare più luce su quanto è stato già acquisito. I risultati sono migliori, ma la materia scolastica è ancora isolata. Salvo l’esperienza extra-scolastica è lasciata nel suo stato rudimentale e relativamente irriflessivo, non è soggetta a influenze raffinanti e amplificanti del materiale più accurato e comprensivo dell’istruzione diretta. Quest’ultimo, per il fatto di non essere mischiato alla realtà della vita di ogni giorno, non viene né motivato, né arricchito del senso della realtà, il miglior tipo di insegnamento tiene presente la desiderabilità di effettuare questa connessione. Abitua lo studente a trovare punti di contatto e influenze reciproche. Cap. 13 la natura del metodo L’unità delle materie di studio e del metodo: nella scuola ci sono tre aspetti: materie, metodo e amministrazione o governo. Ora occorre isolarli per comprenderne la natura, iniziamo con il metodo. Un aspetto implicito della nostra teoria è la connessione delle materie e del metodo. l’idea che la mente e il mando delle cose e delle persone siano due regni separati porta con sé la conclusione che il metodo l’oggetto dell’istruzione siano due cose separate. Da un lato vi è una classificazione già pronta e sistematizzata dei fatti e dei principi del mondo della natura e dell’uomo, dall’altro c’è il metodo, vale a dire il sistema dei modi in cui questo materiale dato può essere meglio presentato o impresso nella mente. In teoria 31 sarebbe possibile ricavare da una scienza della mente concepita come qualcosa che esiste di per sé, una teoria completa dei metodi di studio, senza alcuna conoscenza dei soggetti ai quali si devono applicare, ma siccome molti che sono esperti nei vari rami di studi sono ignari di questi metodi, questo stato di cose offre l’occasione di dire che la pedagogia, in quanto presunta scienza dei metodi di apprendimento, è inutile; che è un semplice paravento per nascondere la necessità del maestro di conoscenza profonda ed accurata dell’argomento che insegna. Ma poiché pensare significa dirigere un qualche oggetto di pensiero verso un risultato che lo integri, e poiché per mente intendiamo l’aspetto intenzionale e deliberato di questo processo, ogni separazione fra metodo e oggetto di apprendimento è radicalmente falsa. Il fatto che il materiale di una scienza è organizzato è la prova che è già stato sottoposto all’intelligenza, è già stato metodicizzato. Una materia sistemata è intesa come risultato di un processo compiuto, metodo significa un’organizzazione tale della materia che la renda più efficace nell’uso. Il metodo non è mai qualcosa di esterno al materiale. Dal punto di vista di un individuo che si occupa di una materia possiamo dire che il metodo non è qualcosa di esterno, ma semplicemente un trattamento efficace del materiale, intendendo per efficace quel trattamento che utilizza il materiale con un minimo spreco di tempo e di energia. Possiamo distinguere un modo di agire, e discuterlo in se stesso; ma il modo esiste solo come un modo di comportarsi con qualcosa. Il metodo è la direzione effettiva dell’argomento verso i risultati desiderati. l’affermazione che il metodo si identifica col muoversi guidato della materia in considerazione verso un fine, è astratta, ad esempio ogni artista deve avere un metodo di lavoro, una tecnica, suonare il pianoforte non significa battere i tasti a caso, è un modo ordinato di adoperarli, e l’ordine non è qualcosa che esista già pronto nelle mani o nella testa del musicista. l’ordine è il disporre gli atti che usano il pianoforte, le mani e il cervello in modo da ottenere il risultato voluto. È l’azione del pianoforte diretta a compiere il fine che persegue il pianoforte come strumento musicale. Lo stesso avviene con il metodo pedagogica, con l’unica differenza che il pianoforte è un meccanismo costruito in anticipo per un fine unico, mentre il materiale di studio è soggetto ad usi indefiniti. Ma anche a tale riguardo è applicabile l’esempio, se consideriamo l’infinita varietà di musiche che un pianoforte può produrre, e le variazioni della tecnica richieste dai diversi risultati musicali da ottenere. Il metodo ad ogni caso non è che un modo di impiegare efficacemente un dato materiale ad un dato scopo. Tali considerazioni possono essere generalizzate se ci rifacciamo al concetto di esperienza. Questa come percezione del nesso fra qualcosa di provato e qualcosa che per conseguenza è subito, è un processo. Se non consideriamo lo sforzo necessario a controllare il corso che prende il processo , non vi è distinzione di oggetto e di metodo. Ma vi è un’attività che implica sia quel che fa un individuo sia quel che fa l’ambiente. Di fronte a un procedere sicuro, in qualsiasi campo non vi è coscienza di separazione fra il metodo individuale e l’oggetto. Lo stesso fenomeno si ha quando ci si abbandona in pieno al lavoro o al gioco. Quando riflettiamo su un’esperienza distinguiamo inevitabilmente fra il nostro atteggiamento e gli oggetti verso i quali assumiamo il nostro atteggiamento, anche se nella pratica è una cosa unica. Questa riflessione da ci consente di distinguere fra una cosa che sperimentiamo e lo sperimentare. Quando diamo dei nomi a tale distinzione, abbiamo appunto i nomi di oggetto e metodo. Tale distinzione è così naturale ed importante che siamo portati a considerarla una separazione reale e non concettuale. ,a così facendo operiamo una divisione fra l’individuo e l’ambiente, il mondo esterno. Essa è la divisione del dualismo del metodo e dell’oggetto, riteniamo che conoscer, sentire, volere siano proprietà della persona e dello spirito nel suo isolamento e che quindi è possibile metterle in comunicazione con un oggetto distinto e attribuiamo alle proprietà della persona e dello spirito, di per sé, norme di comportamento indipendenti dai modi dell’energia attiva dell’oggetto. Queste leggi dovrebbero fornire il metodo. l’esperienza è una sola e continua azione scambievole di una grande diversità di energie. Allo scopo di controllare il corso o la direzione che prende l’unità dell’esperienza in movimento, facciamo una distinzione mentale fra il come e il cosa. Mentre non vi è modo di camminare o mangiare, o di studiare oltre lo stesso camminare, mangiare e studiare, vi sono determinati movimenti nell’atto che forniscono la chiave per controllarlo efficacemente. Il fatto di farci un’idea sul come procede l’esperienza ci rivela quali fattori vanno assicurati e quali modificati perché essa possa procedere con maggior successo. Le condizioni espresse in una sequenza ordinata, costituirebbero il metodo o il modo o la maniera dello sviluppo dell’esperienza. Non è semplice afferrare i fattori che ne condizionano un miglior procedere, ma lo studio dei casi di 32 di un altro come variano le sue capacità istintive originali, come variano le sue esperienze passate e le sue preferenze. Lo studio dei bambini, la psicologia e la conoscenza dell’ambiente sociale completano gli elementi acquisiti personalmente dall’insegnante. Ma i metodi rimangono la cura personale e il modo individuale con cui il maestro avvicina e tratta i sui allievi, e nessun elenco potrà mai esaurirne le sfumature. È lecito individuare in alcuni atteggiamenti le condizioni fondamentali per affrontare le materie di studio per vie intellettualmente efficaci. Fra i più importanti sono l’immediatezza, la larghezza di mente, la convinzione e la responsabilità. 1) prendere un atteggiamento non è affatto identico all’esser conscio del proprio atteggiamento. Il primo è spontaneo, ingenuo e semplice. È segno che la persona ha messo tutto il cuore nella sua relazione con l’oggetto di cui si occupa. Il secondo non è necessariamente anormale, qualche volta è il modo più semplice di correggere un falso metodo di approccio, migliorando l’efficacia dei mezzi impiegati. Ma questo bisogno è occasionale e momentaneo. Quando è legittimo la persona considera se stessa come un mezzo fra gli altri per realizzare il fine, nei casi anormali si pensa a se stessi come un oggetto separato ad esempio come quando una persona assume un dato atteggiamento pensando all’impressione che farà sugli altri. Fiducia è un termine che ben si accosta a quello di immediatezza, non va però confusa con la presunzione che può essere una forma di narcisismo. Per fiducia si intende lo stato d’animo che nasce per riflesso da ciò che si pensa o che si sente sul proprio atteggiamento, ma l’andar dritto verso ciò che si deve fare, denota la fede inconscia nelle possibilità della situazione. Significa porsi all’altezza della situazione. Abbiamo già fatto notare come non bisogna richiamare troppo l’attenzione degli studenti sul fatto che loro stanno studiando o imparando, poiché distrae l’allievo da ciò che deve fare e ne richiama l’attenzione sul proprio atteggiamento verso ciò che sta facendo, egli nuoce all’immediatezza dell’interesse e dell’azione. Se si insiste l’allievo acquista una tendenza permanente a cincischiare a guardarsi attorno senza scopo, e a cercare un impulso all’azione al di fuori da quello fornito dall’argomento. La dipendenza dai suggerimenti e dalla guida degli altri, uno stato di confusione annebbiata prendono il posto di quella sicurezza con la quale i bambini affrontano le situazioni della vita. 2) larghezza di vedute. All’esistenza di un interesse, segue la parzialità, poiché aver interesse significa condividere, partecipare, prendere la parte in un movimento. Di conseguenza ci vorrà ci vorrà un atteggiamento mentale che accolga attivamente da tutte le parti i suggerimenti e le informazioni di qualche rilievo. Abbiamo già visto che i fini previsti sono fattori nello sviluppo di una situazione mutevole, sono i mezzi con i quali si controlla la direzione dell’azione, sono dunque subordinati alla situazione, fini in quanto previsti che fungono da mezzi per guidare la situazione. Larghezza di vedute significa dunque accessibilità della mente a qualsiasi considerazione che getti luce sulla situazione che abbia bisogno di essere chiarita, e che aiuti a determinare le conseguenze dell’agire in questo o in quel modo. L’efficienza nel raggiungere degli scopi stabiliti come inalterabili, può accompagnarsi alla ristrettezza mentale. Ma il crescere intellettualmente comporta una continua espansione degli orizzonti e la conseguente formazione di nuovi propositi e risposte. Queste sono impossibili senza una disposizione attiva ad accogliere punti di vista finora estranei, un desiderio attivo di accogliere delle considerazioni che modificano gli stati esistenti. La conservazione delle capacità di crescere è la ricompensa di questa ospitalità intellettuale. Avere una mente aperta significa conservare l’atteggiamento infantile; mentre avere una mente chiusa significa invecchiare intellettualmente. Il maestro che non permette ne incoraggia la diversità dei metodi nel trattare le questioni benda intellettualmente gli occhi agli scolari, limitando la loro visione a quell’unico sentiero che la sua mente giudica valido. La causa principale della devozione alla rigidità del metodo è, però che sembra promettere dei risultati rapidi, accuratamente misurabili, corretti. Lo zelo per le risposte spiega gran parte dello zelo per i metodi rigidi e meccanici. Le forzature e la pressione hanno la stessa origine, e lo stesso risultato su un interesse intellettuale pronto e variato. Una mente aperta, non è lo stesso che una mente vuota. I processi necessitano del tempo per maturare, se tutti gli insegnanti comprendessero che la qualità del processo mentale, e non la produzione di risposte giuste, è la misura dello sviluppo intellettuale, si opererebbe una specie di rivoluzione nell’insegnamento. 3) La convinzione. Il valore che si vuole dare qui a questa parola è quello di completezza dell’interesse, unicità dello scopo, assenza di scopi ulteriori, repressi ma operanti, dei quali lo scopo professato non è che una mascherata. Ciò equivale a integrità mentale. L’essere assorbiti, dediti, preoccupati dall’argomento per l’argomento in se stesso la alimentano. L’interesse diviso e 35 l’evasione la distruggono. L’integrità intellettuale, l’onestà e la sincerità esistono come qualità di una presa di posizione, l’intenzione cosciente ne favorisce l’acquisizione, ma è molto facile ingannarsi. La loro carica emotiva è grande, quando le esigenze e i desideri altrui impediscono la loro espressione diretta, sono facilmente sospinti in canali profondi e sotterranei. Una resa incondizionata e l’adozione senza riserve di un corso di azione richiesto da altri sono quasi impossibili. Ne possono risultare una rivolta deliberata o dei tentativi deliberati di ingannare gli altri. Ma il risultato più frequente è uno stato di interesse confuso che tradisce l’intento stesso. Gli istinti sociali, il forte desiderio di piacere agli altri e di ottenere la loro approvazione, l’educazione sociale, il senso generico del dovere e dell’autorità, la paura delle pene, tutto ciò conduce ad uno sforzo abominevole per conformarsi, per adattarsi alla lezione. Malgrado i nostri desideri coscienti, i desideri sotterranei determinano il corso principale del pensiero, le risposte emotive più profonde. Ne consegue come risultato un’attenzione sistematicamente divisa che esprime la duplicità dello stato di desiderio. Una specie di dualismo mentale. Se è così è ancor più importante ammetterne i tristi effetti intellettuali, è evidente la perdita di energia pensante immediatamente a disposizione, quando si sta coscientemente provando di stare attenti a una questione, mentre la nostra immaginazione tende a questioni che la interessano di più. Ugualmente serio è il fatto che si stabilisce una scissione fra il pensiero e l’attenzione cosciente e l’attenzione cosciente e l’affetto e il desiderio impulsivi e ciechi. Non si dà luogo a quella disciplina che nasce quando si stimola una sana reazione col proporre concreti quesiti, e ancor peggio l’interesse più profondo e le iniziative conformi all’immaginazione passano in seconda linea. Gli aspetti della scuola che che favoriscono una simile divisione fra imprese confessate, pubbliche e socialmente responsabili e private sono: quella che chiamiamo severa disciplina, il dare un senso alle imposizioni prospettando una ricompensa estranea a quel che si impone di fare. Tutto ciò che rende l’istruzione soltanto preparatoria lavora in questo senso, poiché i fini sono ancora fuori dalla portata dell’allievo, occorre far ricorso ad altri mezzi che provochino l’attenzione immediata ai compiti assegnati. Qualche effetto lo si ottiene, ma i desideri e le propensioni a cui non si è fatto appello devono trovare altri sfoghi. Altrettanto preoccupane è l’insistenza sugli esercizi meccanici che dovrebbero produrre l’abilità nell’azione, ma che non hanno altro scopo che la produzione di un’abilità automatica. La natura aborre dal vuoto mentale. Che cosa s’immaginano i maestri che avvenga del pensiero e dell’emozione, quando essi non hanno alcuno sfogo negli oggetti che impegnano l’attività immediata? Essi seguono il loro proprio corso caotico e indisciplinato. Quel che rappresenta il nativo, spontaneo, vitale reagire della mente rimane inoperoso e non provato, e le abitudini formate sono tali che queste qualità diventano sempre meno utili per fini pubblici e confessati. 4) le responsabilità come elemento nell’atteggiamento intellettuale, con ciò intendiamo la disposizione a considerare in anticipo le probabili conseguenze di qualsiasi passo progettato e di accettarle nel senso di tenerne conto, riconoscerle nell’azione non concedendo loro un semplice assenso verbale. Le idee come abbiamo visto sono al contempo dei punti di vista e dei metodi intesi a definire una situazione di incerto sbocco, previsioni calcolate di determinati effetti. È troppo comodo considerare l’accettazione di una dichiarazione o di una verità suggerita, l’assenso di uno che non ne ha preso in esame le conseguenze. Osservazione ed esame, professione di fede e assenso diventerebbero nomi per una pigra accettazione di ciò che ci viene presentato dall’esterno. Sarebbe molto meglio avere meno fatti e verità nell’istruzione, e poter avere invece un dato numero, anche se inferiore di situazioni intellettualmente elaborate, così la convinzione sarebbe qualcosa di reale., un dato numero di occasioni in cui la persona avesse la possibilità di identificarsi col tipo di condotta richiesto dai fatti e dalla previsione dei risultati. Fra i tristi effetti dell’indebita complicazione delle discipline e della congestione degli studi e delle lezioni, abbiamo il fatto che non viene reso chiaro ciò che è implicito nel conoscere e credere realmente a una cosa. La responsabilità intellettuale significa regole e norme severe, tali norme possono essere instaurate solo se ci si uniforma e si agisce in base al significato di ciò che è stato acquisito. Integralismo intellettuale è perciò un altro nome per l’atteggiamento che consideriamo. Completezza intellettuale significa portare le cose fino in fondo. Dipende dall’unità dello scopo, al quale sono subordinati i particolari. Si manifesta nella fermezza con il quale sviluppa il pieno significato dello scopo, non dell’attenzione, per quanto coscienziosa possa essere, ai passi di un’azione imposta e diretta dall’esterno. 36
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