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John Dewey Democrazia ed educazione, Dispense di Pedagogia

Riassunto dettagliato del libro democrazia ed educazione di Dewey, relativo alla materia di pedagogia

Tipologia: Dispense

2017/2018

Caricato il 01/07/2018

debora_boccafoli
debora_boccafoli 🇮🇹

4.3

(8)

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Scarica John Dewey Democrazia ed educazione e più Dispense in PDF di Pedagogia solo su Docsity! John Dewey – Democrazia ed educazione Obiettivo del libro: esporre in stile pragmatico le idee implicite di società democratica e applicazione di queste nel campo educativo (con riflessioni e domande su materie, metodo e amministrazione); riprendendo scopi e metodi dell’educazione pubblica oltre che valutando criticamente i vecchi principi e metodi ancora in uso. Il libro non è un manuale pratico ma una riflessione filosofica sull’educazione, con articolazione e spiegazione dell’educando attivo integrando il modello di società civile americana (idee sperimentate nella scuola di Chicago, luogo di difficile omogeneizzazione di culture e differenze fra classi sociali). Il libro è organizzato in coppie di concetti argomentati e confrontati (fini/mezzi, interesse/disciplina etc) al fine di fornire più chiavi di lettura per l’analisi della tensione all’agire democratico. Nel leggerlo bisogna tenere conto che è del 1916, relativamente recente a con un secolo di grossi cambiamenti (guerre, industrializzazione, modernità); all’epoca di Dewey non c’erano servizi educativi d’oggi e tema ancora attuale è la scuola come ambiente di formazione e mediazione fra l’eterogeneità culturale.-> per comprendere il libro bisogna tenere a mente il contesto e poi paragonarlo eventualmente ad altri: L’America in quel periodo è fortemente liberale (intervento minimo dello stato, la mia libertà finisce dove inizia quella altrui – politica è di chi ha esperienza, non è un lavoro; così come può votare solo chi passa le prove di censo e lingua); i migranti sono accolti con americanizzazione (condivisione di idee e concetti base Americani, oltre che saper lingua e stile di vita negli impegni ufficiali) e quartieri formati poi con modelli di madrepatria per vita privata quotidiana. Dewey portavoce delle idee “Progressive”, vede l’educazione come problema collettivo e istituzionalizzata a livello distrettuale (finanziate da fisco pubblico e donazioni provate); omnicomprensiva poiché esperienza di vita e omogenea, mirante al bene pubblico (vs liberalisti, ricerca del bene individuale per l’armonia sociale). L’idea di democrazia di Dewey non è quella che abbiamo oggi (decisione del popolo) e non è interessato ad ampliare la base aristocratica americana (suffragio maschile universale 1920) ma solamente far sì che chi governa pensi al bene pubblico, puntando alla problematizzazione etica. Pensa quindi ad una democrazia meritocratica con possibilità di ascesa sociale fornendo i mezzi ai cittadini per alfabetizzarsi e specializzarsi; questa poi sarà ordinata e organizzata grazie all’educazione dell’ordine e della libertà personale condizionata dal bene pubblico. Dewey quindi mira a ridurre il liberalismo con programmi omogenei di base scientifica; mentre in Europa (a quel tempo monarchica) interpretato come idea di educazione collettiva. È descritta un’educazione pragmatica di base per tutti e competenze specifiche superiori certificate-> obiettivo di omogeneizzare, centralizzare, formalizzare (con mediazione istituzioni/società). ->La sua priorità non è un’educazione accessibile a tutti, ma un’educazione che formi una mentalità democratica di partecipazione attiva secondo le capacità. L’accento quindi è sul gruppo e non sul maestro, poiché c’è bisogno di dinamicità e rinnovamento anziché di ripetizione dogmatica. Qualità e valore dell’educazione dipendono quindi dalla società circostante; la famiglia è educatore al pari degli altri gruppi (se con interessi comuni e libero scambio con associazioni esterne) [Capitolo 1, sintesi: vera natura dell’uomo e del vivente è quella di lottare per continuare ad essere, usando le risorse esterne e rinnovandosi->vita è processo di (auto)rinnovamento; alla base fisiologica vi sono nutrizione/riproduzione, mentre alla base sociale vi è l’educazione/comunicazione (ogni comunicazione poi è educativa, processo di esternalizzazione e condivisione dell’esperienza; con possibilità di migliorarla e trasformare valori del protagonista e di chi interagisce). Con la crescente complessità e l’evoluzione sociale di strutture e risorse, l’educazione formale si rende necessaria in quanto intenzionale e prestabilita (non basta più trasmissione orale fra generazioni). Problema principale di questo è però la divisione/scostamento fra l’esperienza vissuta e l’imparato a scuola; ossia l’applicazione della teoria imparata a scuola nella vita pratica-> bisogna evitare tecnicismi a scuola.] Capitolo 2 (educazione come funzione sociale) L’educazione è il principale processo di rinnovamento del singolo (membro immaturo) e del gruppo. Per educazione si intende un processo modellante la forma dell’attività sociale implicante attenzione alle condizioni di crescita; dall’etimologia “tirare su, guidare”. L’obiettivo dev’essere quindi quello di un’esperienza partecipe degli interessi del gruppo sociale; suscitando reazioni per mezzo dell’azione dell’ambiente (che lo porta a vedere/sentire una cosa piuttosto che un’altra, il comportamento non può essere addestrato ma è influenzato dall’approvazione altrui-> ambiente sociale). L’ambiente quindi non è solo ciò che ci circonda, ma la continuità delle tendenze attive in grado di mutare e formare le caratteristiche dell’essere umano (oggetti inanimati non subiscono influenza dell’ambiente)-> educa [diverso da addestra, poiché nell’educare si è soci di una comune attività e cambiano le radici degli istinti; altrimenti come gli animali possiamo variare momentaneamente il carattere ma in funzione sempre delle stesse fonti originarie di piacere/dolore; no basta perciò impartire norme con linguaggio orale/scritto, poiché non è processo fisico ma emozionale]. Uso lingua per trasmettere e acquistare idee, ma sempre legate all’atto dell’azione descritta; altrimenti perde di significato e l’azione è svolta da automa, in maniera fisica e temporanea. All’educazione indiretta (o accidentale, dell’ambiente sociale di sviluppo, nel quale si decide cosa è lecito/sospetto) è affiancato l’insegnamento cosciente, nel quale si può al massimo indirizzare le capacità acquisite in vasta area. Ambiti educativi sociali sono 3 principalmente: modi abituali della lingua materna (si potrà impararne altre in futuro, ma la nativa verrà sempre fuori in momenti di eccitazione); le buone maniere (morale minore, acquisita attraverso l’azione abituale, influenzate da atmosfera e spirito); il buon gusto (sviluppato se sguardo incontra spesso oggetti armoniosi, se ambiente misero il desiderio di bellezza soffocherà). Su questi ambiti l’insegnamento cosciente può solo indirizzare secondo il pensiero altrui ma non diventerà mai spontaneo, solamente nozione-> educazione dovuta a norme di cui non siamo coscienti; formate al di sotto della riflessione, nel continuo dare e ricevere nell’ambiente sociale. L’unico controllo cosciente nell’educazione (da parte degli adulti verso gli immaturi) è quello dell’ambiente, il quale a meno che non sia deliberatamente regolato(es. ambiente scolastico) è spesso casuale. Con la società sempre più eterogenea (formata quindi di diversi gruppi e ambienti) nasce l’esigenza di un ambiente istituzionale educativo, dove vi siano valori omogenei e equilibrati, di largo spettro e mirante all’unità sociale; con compito di coordinare le diverse influenze dell’ambiente e iniziare ai diversi codici da usare negli ambienti. La scuola come ambiente è quindi chiamata a tre compiti: formare una ambiente semplificato (corredato con soli dati fondamentali per ricezione positiva degli stimoli); purificare l’ambiente (eliminando influenze/pensieri dell’esterno; controbilanciando pregiudizi); equilibrare i diversi elementi dell’ambiente sociale garantendo la libertà del singolo. Capitolo 4 (l’educazione come crescita) Nel dirigere le attività dei giovani la società determina il proprio avvenire, in quanto questi saranno la futura società. La prima condizione di crescita e rinnovo è l’immaturità: questa deve essere presa non come mancanza comparativa con l’adulto (con senso statico); ma in senso assoluto come né negatività né positività, poiché un essere può svilupparsi e cambiare solo se non è sviluppato-> è quindi intesa come abilità a svilupparsi, con caratteristiche di dipendenza e plasticità. L’indipendenza come sviluppo completo della personalità nell’idealismo classico di Hegel). Natura diventa fornitrice di istinti e appetiti che vanno dominati e educati nelle generazioni; progresso attuato più velocemente se educazione orientata a valori del futuro (cosa difficile, si tende ad educare come vivere nel presente); lo sviluppo del singolo dev’essere quello dell’umanità->sistema di educazione pubblico, universale e obbligatorio; subordinazione dell’individuo all’istituzione. Dewey, considerando i vari tipi di educazione e la società di allora, non mira ad abolire le classi sociali ma a farle interagire fra loro per avere esperienze più complete (di novità e rottura pregiudizi); mantenendo il fine sociale in comune con Marx ma interessato alla democrazia e all’educazione anziché la rivoluzione come cambiamento. Capitolo 8 : Scopi nell’educazione [capitolo chiave, inerente la relazione fini- >mezzi] Dewey si occupa del contrasto fra scopi interni al proprio vissuto e imposti dall’esterno (->mezzi a fini altrui). Per distinguere uno scopo sviluppato dalle nostre esperienze da uno imposto bisogna contrapporre fini e risultati: mentre il risultato è conseguenza non volontaria di un’azione (do un calcio alla sabbia e non so dove va); il fine è programmato (faccio l’Università per avere tale lavoro). Lo scopo è inerente all’attività, non fornito dall’esterno-> insieme di risultati dati da serie di operazioni-> è “fine in lista”, implica un’attività ordinata, regolare e continua con previsione del possibile termine dell’azione. Egli dirige quindi l’attività e la influenza per raggiungere il fine; con tre modi di previsione collegati fra loro: • Osservazione delle circostanze allo scopo di stabilire i mezzi più adatti e rilevare impedimenti; • Suggerimento del giusto ordine nell’uso dei mezzi • Rende possibile una scelta fra alternative paragonando diversi modi di agire e stabilendo una preferenza. Possiamo perciò prevedere i risultati solo facendo un’analisi delle circostanze e l’interesse che portiamo al risultato fornisce la chiave di analisi. Lo scopo se interiore è flessibile; mentre se imposto il significato connesso al risultato è limitato (e di conseguenza anche i mezzi per superare ostacoli lo saranno). Agire con uno scopo è quindi agire intelligentemente, con attività intenzionale basata sulla percezione dei fatti e la loro relazione reciproca [avere un piano consapevole, conoscere possibilità di mezzi e difficoltà]->bisogna aver coscienza (essere coscienti) agire con significato e agire in rapporto all’intenzione volontaria in rapporto a questo. Nello stabilire degli scopi bisogna seguire dei criteri: • Lo scopo deve seguire spontaneamente il flusso di vissuti corrente (se imposto quindi limiterà l’intelligenza riducendosi a scelta meccanica dei mezzi); • Si delinea solo evolvendolo e coltivandolo con revisioni continue in base a mezzi e imprevisti, deve perciò essere flessibile per adattarsi al meglio alla circostanza e può essere usato per influire sulle circostanze-> è sperimentale, perfezionando tenendo presente il piano base • Deve essere una continuazione di attività, con un susseguirsi di obiettivi (che diventano mezzi, sono quindi fini attivi); quel che si fa con l’oggetto è il fine (non l’oggetto in sé)->fine è mezzo procedurale (scopo) quando traccia la condizione futura; diviene mezzo materiale quando è stato conseguito e traccia la direzione attuale (lo scopo è pertanto un mezzo, parte di attività). Uno scopo imposto porta a una separazione fini-mezzi. Qualsiasi scopo non è mai puramente individuale a sempre condiviso: può avere ripercussioni su famiglia, società etc. Gli scopi educativi devono quindi essere strutturati dall’educatore come abbozzi definiti in base alle qualità di ciascun allievo e al suo percorso scolastico (implicano quindi responsabilità, anticipazione e adattamento da parte dell’educatore) e saranno fini all’educazione in sé (in quanto l’educazione come idea astratta non ha scopi; solo le persone legate a questa possono averne). Vi è però l’inclinazione generale a porre scopi uniformi, trascurando così la parte individuale di ognuno e di conseguenza non traducibili in un metodo efficace al singolo. Il maestro a sua volta ha però scopi imposti dai superiori-> allievi sono ultimo anello di una catena con doppia o tripla imposizione di scopi, con conflitto perenne fra scopi naturali interni (dati dai loro vissuti) e scopi imposti (anche se generali per coinvolgere più connessioni); intelligenza turbata dall’adattamento a scopi esterni. Capitolo 9: Sviluppo naturale ed efficienza sociale come scopi Gli scopi generali sono le basi per esaminare i problemi di ogni tipo di educazione->un modello educativo è considerato valido se è facilmente applicabile e regga il confronto con gli altri scopi. Analizzando ciò in base a tre scopi generali come lo sviluppo secondo Natura, l’efficienza sociale e la cultura (intesa come arricchimento della personalità)si osserva che quando gli scopi sono vincolati ad una concezione, questi sono in conflitto fra loro. Lo sviluppo naturale considera le facoltà innate sviluppate spontaneamente come educazione; quando queste vengono modificate dall’educazione sociale sono corrotte [“tutto è buono nelle mani del Creatore/Natura e tutto si corrompe nelle mani dell’uomo”]. In modo simile, l’efficienza sociale (come scopo) intesa come servizio reso agli altri è in conflitto con l’arricchimento interno (cultura) e Natura [alla quale è opposta; educazione come adattamento dell’individuo alla società]. L’unica via per una buona educazione sarebbe quella di un’educazione sociale che punti alla coltivazione delle facoltà di partecipare liberamente ad attività comuni; implicando così un ambiente dove le facoltà innate siano adoperate al meglio con significato sociale. Per far questo è necessaria inoltre la cultura come arricchimento di sé e capacità di estendere le nostre percezioni di significati-> la separazione degli scopi nell’educazione è fatale alla democrazia; lo scopo dell’efficienza deve essere incluso nel processo di esperienza e cultura. Capitolo 10: Interesse e disciplina L’atteggiamento dell’uomo attivo (partecipe e orientante l’agire), presuppone interesse al corso degli eventi e l’ansietà riguardo alle conseguenze delle azioni; con tendenza ad agire per ottenere il risultato migliore. L’interesse è quindi legato alle possibilità dei mezzi e ai suoi scopi. In ogni azione vi è una situazione prevista oggettiva [fase intellettuale] e impersonale (es.ostacolo) seguita da risposta personale [fase volitiva]: queste pongono una differenza di accenti, ma sono necessariamente connesse all’interesse.-> interesse presuppone di progettualità (se vado in gita, mi interessa se piove) e permette di fissare obiettivi, dimostrando praticamente il legame soggetto/tema. L’interesse quindi presuppone una relazione continua fra la persona e il mondo al fine di migliorarne la situazione in sviluppo (implica la situazione, i mezzi e l’inclinazione/ preoccupazione/attenzione allo scopo); etimologicamente difatti “è la distanza fra due cose collegate” (situazione-scopo), con i mezzi nell’intermedio per attuare lo scopo. Disciplina invece è l’insieme di decisione e persistenza (ossia la messa in opera razionale per conseguire l’interesse), implica la volontà (forza volitiva) con due fattori: la chiarezza nella previsione dei risultati (non ostinatezza, ma riflessione fattiva) e l’interesse che la persona ha per il risultato-> disciplina è controllo nell’uso dei mezzi e nello spirito [intelligenza in quel che si sta facendo, fermezza di propositi]; impossibile senza l’interesse. In ambito educativo si dice spesso che gli allievi “non vogliono ascoltare”, la loro mente non si applica all’oggetto perché non le interessa e l’interesse è necessario per una buona esecuzione. Solo se si considera l’interesse dinamico di ogni allievo si avrà un metodo adatto e un buon risultato. Troppo spesso però la mente è posta al di sopra del resto ed è percepita come indipendente, con scarsi risultati poiché non considerante l’esperienza (educazione come addestramento mentale, c’è una pura applicazione meccanica del materiale nella mente; con colpa dell’insuccesso al fanciullo che “non si applica” e non all’educatore o al metodo->punito con più disciplina della quale si aveva un concetto negativo), apprendimento inefficace a lungo termine. Lo studio è invece efficace quando c’è un legame di un oggetto e argomento con la promozione di un’attività tendente a un fine interessato. La mente quindi andrebbe considerata come un flusso d’azione intelligentemente diretto (con scopi e mezzi dati dall’esperienza), per il quale si impegna e partecipa. Il problema dell’educazione è quindi trovare i mezzi giusti in un’attività che impegni la persona; gli argomenti quindi non saranno distaccati ma condizioni per il raggiungimento dei fini-> bisogna riorganizzare l’educazione di modo che l’insegnamento si compia in connessione con un’intelligente esecuzione di attività motivate (non basta formare gli educatori a questo, è un lavoro lungo di cambiamento sociale). • Interesse senza disciplina: obiettivo non raggiungibile; disciplina senza interesse: non ho obiettivi. Capitolo 11 : Esperienza e pensiero L’esperienza è costituita da sue elementi particolarmente combinati: uno attivo (“tentare”, fare un “esperimento”) e uno passivo (subire le conseguenze dei nostri tentativi). Il nesso di queste due fasi misura il valore dell’esperienza; poiché la sola attività sarebbe dissipante e senza attività non vi è cambiamento cosciente-> esperienza non è conoscitiva ma attivo/passiva ed è valida nella misura in cui porta a riconoscere le connessioni fra azione e conseguenze, per essere “istruiti” dall’esperienza. Se invece si separano le due fasi nel dualismo corpo/mente vi sono delle conseguenze che portano alla non-esperienza: se la si considera totalmente mentale, il corpo sarà represso in una rigida imposizione di silenzio e tranquillità; ma il corpo è necessariamente fonte di energia attiva e se trascurata si trasforma in attività innaturale del fanciullo sia nei comportamenti sia trasformandosi in forza repressiva. I sensi inoltre sono fondamentali per l’acquisizione di dati della mente e vanno allenati come muscoli adoperati in funzione di uno scopo e con intelligenza/significato (collego sensazione ad azione); ma spesso sono allenati ripetutamente in maniera meccanica- >routine, isolamento atto-percezione che ostacolerà l’esperienza intelligente; nemmeno la somma fra le percezioni e la mente è l’esperienza, poiché la somma è diversa dal tutto (con connessione). Nella percezione è quindi insieme impiegato il giudizio per darne valore; abituandosi alla routine della “semipercezione” non distinguiamo più queste dalle vere esperienze con campo educativo di molto ristretto supponendo che le relazioni siano percepibili a posteriori senza l’esperienza-> “Un’oncia di esperienza è meglio di una tonnellata di teoria”, perché l’ultima sarà sempre conoscenza non assimilata e quindi senza significato vitale (mentre un’esperienza è capace di contenere e generare qualsiasi teoria, una teoria senza esperienza non è percepita come semplice formula verbale). Tutte le esperienze partono quindi da una fase di prove ed errori, seguite poi da riflessioni. In base alla proporzione di riflessione si dividono due tipi di esperienze: • Esperienza irriflessiva: esperienza a sé, non si percepisce il come sia collegata con le conseguenze (il nesso); • Esperienza riflessiva: c’è un’analisi più profonda fra cause/effetti; permette di capire cosa determina il risultato e controllarne le circostanze/modificarle secondo lo scopo prefisso (rendendo possibile agire con un fine in vista) grazie a estensione dell’atto di deduzione->pensiero (tentativo intenzionale di capire il nesso).
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