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John Dewey in Italia, Prove d'esame di Pedagogia

sintesi sul contributo di Dewey nella pedagogia italiana

Tipologia: Prove d'esame

2017/2018

Caricato il 24/02/2018

livia.sparanese
livia.sparanese 🇮🇹

4.5

(43)

21 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica John Dewey in Italia e più Prove d'esame in PDF di Pedagogia solo su Docsity! INTRODUZIONE L’incontro della cultura italiana col pensiero di Dewey avvenne dopo il 1945,quando l’Italia passò da monarchia a repubblica e venne a darsi nel 1948 una nuova Carta Costituzionale,accompagnata da un intenso dibattito politico. Fu proprio la trasformazione politica a dare la spinta all’innovazione culturale stessa. Furono i laico-progressisti(ex azionisti e socialisti)a introdurlo nel dibattito culturale,leggendolo soprattutto come politologo e come pedagogista. Sarà la casa editrice”La Nuova Italia”di Ernesto Codignola a promuovere la traduzione massiccia delle opere di Dewey. Intorno alle opere e al pensiero di Dewey si aprì proprio negli anni 40/50 una battaglia aspra di interpretazione/ valutazione del suo messaggio filosofico,pedagogico e politico. Fu difeso, con decisione e acutezza,dai laico- progressisti,fu attaccato da comunisti e cattolici. Tre sono state le fasi di questo dialogo critico e aperto: 1)anni 50: viene letto e riletto,subisce un fascio di interpretazioni che ne amplificano il pensiero,lo rinnovano,lo decantano. 2)anni 60: oblio parziale. Anni 70: ne rilanciano alcune categorie chiave come la transazione. 3)anni 80/90: riletture storiche e critiche. Le diverse opere pedagogiche vengono presentate e recepite sia come una nuova filosofia dell’educazione che pone al centro il nesso io-mente-società e una precisa teoria dell’esperienza che nella nozione di interazione/transazione trova il principio teorico più complesso e significativo sia come una teoria della scuola attiva. Nei deweyani filosofia dell’educazione,teoria della scuola e didattica innovativa(=attivistica)si saldano strutturalmente insieme. Si sostengono a vicenda. Tale prospettiva si impose in Italia come un modello di punta e una palestra di innovazione pedagogica e scolastica. I laici attraverso Dewey fissano un modello di pedagogia scientifica e riflessiva,aperta e ispirata ai valori della laicità,sociale e libertaria insieme,capace anche di dialogare con le varie scoperte delle scienze umane. Per dar corpo,così,a una serie di teorie educative moderne ed efficaci da proporre come il modello attuale più avanzato di innovazione educativa e scolastica. Difese e battaglie negli anni ‘50 Cattolici e marxisti invece respingono Dewey come modello di pedagogia. Del suo pensiero pongono in luce i supposti limiti o le differenze ideologiche. Dal fronte marxista l’accusa di americanismo,di visione adialettica del pensiero e a- classista della società e di un modello di scuola senza cemento morale e di povera cultura. Per i cattolici è la visione deweyana dell’uomo(laica,immanentista,sociale)che viene denunciata come troppo povera,poiché non aperta ai valori della trascendenza in senso ontologico e non soltanto axiologica. Approfondimenti,integrazioni:gli anni 60 Lo scenario culturale è connotato dall’affermarsi di forti istanze di rinnovamento,da cui scaturisce un intenso dibattito sul ruolo e sulle funzioni delle istituzioni educative,e in particolare della scuola,la cui identità viene ripensata in profondità,anche sulla scorta dell’affermarsi di una visione laica e marxista dei fenomeni sociali,che determina nuovi orientamenti e scelte politiche. Le questioni dibattute in ambito internazionale riverberano,in Italia,da un lato la necessità di educare la cittadinanza tutta alla convivenza democratica,nella prospettiva del dialogo e del confronto,dall’altro quella di offrire alle classi sociali emergenti strumenti per la crescita culturale ma anche per la formazione e lo sviluppo professionale;il focus della riflessione pedagogica diventa,pertanto,la scuola come istituzione cui sono assegnati delicatissimi e vitali compiti di formazione culturale,politica,professionale in funzione dello sviluppo sociale. Testimonianza della pregnanza dei temi in questione nell’ambito della ricerca pedagogica italiana sono gli atti del V congresso nazionale di Pedagogia tenutosi a Bologna nel 1960. Le tematiche del convegno evidenziano,come nota Borghi nella relazioni introduttiva,una forte consapevolezza della responsabilità sociale dell’educazione e dell’intrinseco legame che avvince la scienza dell’educazione a quella della società. Nel 1962 assistiamo in Italia all’istituzione della scuola media unica,che nelle intenzioni avrebbe dovuto configurarsi come il contesto egualitario di formazione del cittadino di uno stato laico e democratico. Questo cambiamento,di fatto,mette invece in luce una serie di profonde contraddizioni ed incongruenze nel sistema scolastico e nelle pratiche educative,dove le disuguaglianze culturali e sociali venivano ad accentuarsi e non a risolversi. Nel 1964 in corrispondenza con le indagini sulla scuola,ampio spazio viene dato ad una riflessione sulla funzione della ricerca pedagogica all’interno dei mutati scenari politici e culturali e del contributo che essa può offrire alla riforma di istituzioni ed all’orientamento delle politiche educative del paese. In tale contesto,diffuso è il riconoscimento di una forte istanza scientifica,da cui scaturisce una ricerca attenta ad identificare le coordinate epistemologiche del sapere pedagogico e le condizioni di possibilità del suo rapporto con le altre scienze. Nel dibattito pedagogico italiano degli anni 60 Dewey è un interlocutore con cui si deve necessariamente fare i conti,sia per quanto riguarda le sue analisi del rapporto che intercorre tra scuola e società,sia per quanto riguarda il ruolo e la funzione sociale dei saperi scientifici e nello specifico della scienza dell’educazione. Si avverte la necessità di approfondire alcuni nuclei fondanti del pensiero deweyano,riconosciuto come matrice culturale della pedagogia laica in Italia. Assistiamo ad un ripensamento maturo della speculazione deweyana secondo 3 filoni: a) ricostruzione storica ed identificazione dei fondamenti culturali della riflessione di Dewey e delle implicazioni pedagogiche del suo pensiero. b)analisi del rapporto intercorrente tra scuola e società c)identità epistemologica della pedagogia intesa come scienza dell’educazione. Tra la metà e la fine degli anni 60 l’intensificarsi delle tensioni e dei conflitti sociali determina una serrata critica del ruolo e delle funzioni delle istituzioni educative che non riescono a stare al passo con i processi di trasformazione sociale in cui sono situate. In tale scenario,il rapporto tra scuola e società viene profondamente ripensato e discusso,mettendo a fuoco le insufficienze e gli elementi di crisi di una istituzione che non riesce a dialogare con la compagine sociale e a rispondere alle profonde istanze di sviluppo che ne emergono. Su queste basi anche l’idea deweyana di una scuola intesa come bacino di incubazione dei saperi e delle competenze che formano,viene messa criticamente in discussione. Nel contesto del dibattito pedagogico che si snoda in Italia tra la fine degli anni 60 e la metà degli anni 70,sulla scorta del pensiero di Dewey di cui si colgono le molteplici implicazioni epistemologiche e fondative,la pedagogia viene legittimamente riconosciuta come scienza-ovvero come insieme di direzioni molteplici ed articolate di ricerca empirica e sperimentale-ma non come una specifica disciplina scientifica. In tale prospettiva l’educazione viene ad essere considerata come un insieme di eventi storicamente e socialmente dati,determinati da cause necessarie,dovute a fattori fisici,biologici e materiali oggettivamente osservabili e quantificabili attraverso procedure di indagine scientificamente validate. La pedagogia non viene considerata come sistema di saperi,concluso e definito,ma come attitudine alla ricerca scientifica sui problemi dell’educazione,che racchiude una classe di metodi,ricerche,competenze connotati da una convergenza educativa. Su queste basi viene anche a ridefinirsi il rapporto teoria-prassi in ambito pedagogico:la teoria deriva dallo studio della pratica e,a sua volta,la pratica è migliorata dalla formulazione di una teoria scientifica ad essa adeguata. Dewey aveva puntualizzato che la teoria è la più pratica di tutte le cose,perché questo estendersi del raggio dell’attenzione al di là dello scopo e del desiderio immediato finisce col tradursi nella creazione di mete più vaste e più lontane,e ci consente di sfruttare un campo di condizioni e mezzi molto più ampio e profondo di quello coperto dall’osservazione dei primitivi intenti pratici. Ciò ha forti implicazioni di ordine culturale in quanto si riconosce al sapere pedagogico uno statuto pratico,offrendogli possibilità di incidenza reale ed effettiva sui fenomeni e sulle pratiche educative ma anche sulle condizioni politiche e sociali dell’agire educativo. In tale contesto,l’istanza deweyana del rapporto indissolubile che connette scuola e società viene ripresa e sviluppata con una forte tensione verso la necessità di una educazione alla partecipazione alla vita democratica ed alla cittadinanza attiva. Un attenzione di fine secolo Alla fine degli anni 70 vengono riformati i programmi della scuola media,con una forte focalizzazione sulla unitarietà e multidisciplinarietà del curricolo,orientato in prima istanza alla formazione dell’uomo e del cittadino attraverso un confronto critico con una molteplicità di saperi e di esperienze. In ambito internazionale e nazionale gli anni 70 sono segnati da una significativa crisi di identità della pedagogia,che sembra dissolversi e parcellizzarsi nella variegata compagine delle scienze dell’educazione e ricerca. Nel contesto del dibattito epistemologico di questi anni,l’approccio pluralista è fortemente tributario al pensiero deweyano,identificando l’educazione come oggetto materiale che può essere fruttuosamente indagata solo da molteplici osservatori qualificati. Questo approccio ha l’indubbio vantaggio di un’apertura a settori disciplinari fino ad allora sostanzialmente esclusi dal panorama culturale pedagogico,ma pone anche una serie di questioni problematiche che determinano l’avvio di una profonda crisi epistemologica del sapere pedagogico. Ci si interroga sul ruolo del sapere pedagogico in un contesto multidisciplinare,domandandosi,inoltre,se esista un limite alla latitudine delle scienze che si occupano dell’educazione o se si tratta di un confine aperto. Visalberghi mette a fuoco i due elementi di base che consentono di identificare il carattere scientifico di un complesso di conoscenze in un primo elemento di ordine metodologico e in un secondo logico-strutturale,che costituiscono l’ossatura teorica ed argomentativa delle tesi espressi. Il dibattito sullo statuto delle scienze dell’educazione è complementare a quello sulla identità e sul ruolo professionale degli insegnanti e sulla loro formazione. L’insegnante viene identificato come ricercatore,in grado di realizzare all’interno dei campi di ricerca educativa percorsi euristici autonomi;sulla scorta di una chiara istanza deweyana viene messo a fuoco come professionista che necessità di formazione continua di cui si fanno carico vari enti ed istituzioni. La logica deweyana consente di sottoporre ad indagine il carattere frammentario dell’esperienza umana realizzando una significativa integrazione tra momenti ideazionali e momenti esistenziali in continuo riferimento alle condizioni contestuali;l’interesse prevalente di Dewey concerne la possibilità di esprimere simbolicamente le condizioni contestuali di un fenomeno che è un problema tipico delle scienze sociali ed umani,ed il modello di indagine sui fenomeni da lui proposto parte dal rifiuto di ogni dicotomia. Tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90 si assiste a profondi cambiamenti negli assetti politici nazionali ed internazionali. I mutati scenari culturali e socio-politici impongono anche un ripensamento della categoria di educazione e della sua funzione sociale,in quanto pratica che promuove lo sviluppo di una razionalità dinamica,critica,profondamente democratica. In questo scenario si ha un costante e profondo riferimento a Dewey in quanto autore che ha dato il maggior contributo alla costruzione di una pedagogia come di una metodologia educativa democratica e quindi ispirata a criteri di libertà,di solidarietà e emancipazione personale e sociale. Il dibattito pedagogico degli anni 90 è profondamente legato ad un complessivo e sistematico ripensamento dei sistemi educativi e formativi che si realizza in relazione con la pubblicazione,nel gennaio del 1997,del primo Documento di discussione sulla riforma dei cicli di istruzione,ad opera del Ministero della Pubblica Istruzione,in cui si sottolinea la necessità di superare la distinzione,tipica del sistema formativo italiano tradizionale,fra cultura e professionalità e,quindi,fra formazione culturale e formazione professionale. In questa temperie politica e culturale si assiste,in pedagogia,ad un ripensamento critico della categoria di formazione,che avviene attraverso un intenso e approfondito confronto. Si può quindi affermare che la complessa crisi culturale e sociale con cui si chiude il XXsecolo solleciti un attento e consapevole ritorno a Dewey,con una particolare focalizzazione sulla interpretazione di alcune categorie del suo pensiero,che richiedono una precisa contestualizzazione storico-epistemologica per essere adeguatamente comprese ed utilizzate all’interno del dibattito pedagogico contemporaneo. La presenza costante Dewey ha rappresentato un punto di riferimento costante per la riflessione pedagogica italiana dal dopoguerra ad oggi. Ha consentito di tematizzare con fondatezza e rigore il problema della fondazione epistemologica del sapere pedagogico in riferimento ad un paradigma di”scienza dell’educazione”;ha sostenuto una riflessione critica sul rapporto Ha avuto la fortuna di inserire il suo insegnamento in un ambiente di democrazia in isviluppo per la sua aderenza concreta. Nucleo centrale sul quale si è dibattuto con accanimento è quello dell’instinguibilità dei mezzi dai fini. Il nucleo della sua filosofia e il cardine del suo concetto di democrazia. Democrazia è comunicazione,collaborazione in finalità congiunte:ciò che conta è il metodo,non le finalità. Ogni presupposizione di fini assoluti limita la discussione e menoma l’uomo. Dewey non vuole nessuna società pianificata,ma una società perennemente pianificantesi dal proprio interno. La sua fede democratica ha per lui dignità di un metodo la cui validità ed efficacia è universale. La filosofia non ha altro compito che enuclearlo e formularlo con sempre maggior concretezza,mostrandone l’applicabilità illimitata. Jhon Dewey riuscì a trarre una concezione unitaria della vita,che ne accetta la problematicità senza indulgervi,che ne delinea i motivi di progresso senza cullarsi in illusioni dannose,che elimina ogni dualismo,reinserendo l’uomo nella natura quale ci è mostrata dalla fisica e dalla biologia senza tuttavia ridurlo a meccanismo. L’individuo è essenzialmente un prodotto della società. Il filosofo dello spirito scientifico Dewey si interessa alla metodologia della ricerca,nella cui complessa struttura la logica ha precise funzioni strumentali rilevanti nei due momenti ideazionali. Il modello generale dell’indagine è concepito il modo da evitare di far incontrare una materia empirica ed una forma razionale scisse fin dall’inizio. Di qui la continua relazione-distinzione istituita fra proposizioni esistenziali e proposizionali puramente ideazionali,queste relative a operazioni,quelle ai risultati delle stesse sul materiale esistenziale. Dewey tende così ad eliminare l’immediato,il dato meramente sensoriale dal campo della ricerca. Quando l’equilibrio vitale è perturbato,si ha una reazione istintiva o appresa,e la buona integrazione con l’ambiente viene ristabilita. Il modello dell’indagine presenta uno stadio iniziale di situazioni problematica,intellettualizzazione del problema,osservazione e sperimentazione,ragionamento e verifica. L’arte è esperienza non nel senso di riqualificazione del quotidiano,di percezione più ricca e armonica dei comuni significati della vita;anche la fede religiosa è esperienza della compartecipazione umana in fini integrati. Il concetto di transazione Rappresenta il punto nodale della riqualificazione critica del naturalismo. Nel mondo contemporaneo impostazione naturalistica significa sempre piena accettazione del metodo scientifico come solo capace di fornirci conoscenze attendibili. La sua rilevanza,ma anche la non completa chiarezza con cui è stato a volte enunciato,dipendono in parte dal fatto che le molteplici esplorazioni che hanno dovuto compiere in campi scientifici diversi per giungere ad una soddisfacente formulazioni,non sempre appaiono sorrette da una padronanza completa dei metodi e delle tecniche scientifiche che vi operano. Nel naturalismo deweyano la considerazione del metodo scientifico non fu mai limitata da una visione della realtà di tipo puramente internazionale. Di una visione,la quale presuppone entità e prefissata rispetto all’osservazione e all’indagine. Al contrario Dewey intrattenere una visione totale della complessità del cosmo. Questa visione dinamica e critica dei compiti della scienza e insieme della realtà che essa studia,viene contrapposta come transazionale alla visione puramente interazionale. Educazione e libertà in una società del progresso Le società più stabili sono quelle nate in forza di una costellazione di interessi che ordinariamente si connettono fra loro agevolmente. L’ambiente geografico,fattori etnici e storico culturali alimentano la costellazione di interessi forse più comune e più consistente. Società di diritto: nel senso che,se nessun gruppo di quelli di fatto è in se costante ed essenziale,tale è invece il processo del loro continuo costituirsi,trasformarsi,scomparire e ricostituirsi nuovamente. L’attività costitutiva del diritto è l’attività speculativa e pratica che esprime le strutture generiche sociali. Per Dewey la scuola non è soltanto l’organo della trasformazione sociale. Se da un lato è vero che la scuola non può efficacemente educare senza tenere presenti le condizioni,i costumi,le idee dominanti nel gruppo social in mezzo al quale essa sorge,per un altro lato è anche vero che le occupazioni e i modi di vita di questo gruppo devono venire semplificati e purificati quando si introducono nella scuola. L’unità della pedagogia,scrive Visalberghi,non è di metodo,né strettamente parlando,di oggetto. La sua unità è funzionale o pragmatica. Non è scienza pura,ma scienza applicata. In questo contesto la filosofia dell’educazione svolge un’attività rilevante: quella di stimolare la scienza prospettando la complessità dei problemi contro semplificazioni indebite. Visalberghi registra un processo di unificazione crescente di scienza e filosofia,raggiungendo interdipendenza e comprensione reciproca. LA RIPRESA FRA IL ’60 E L’80 Questi anni hanno messo a fuoco del pensiero di Dewey diverse dimensioni e sfaccettature. In particolare viene indagato il rapporto tra scuola e società,evidenziandone i nodi problematici e le forti implicazioni politiche. Metelli Di Lallo Ne mette in evidenza le potenzialità ricostruttive ma anche i limiti individuati nel rapporto tra istituzioni formative e società civile che appaiono essere in soluzione di continuità e non integrati in un comune orizzonte di sviluppo progettuale e prospettico. Per quanto riguarda il rapporto tra scuola e società,la riqualificazione democratica dell’uno dovrebbe promuovere la riqualificazione democratica dell’altra. La società industrializzata americana si fa termine di confronto per l’impianto e l’esito del discorso pedagogico. Con Dewey abbiamo una trasposizione del lavoro scolastico da propedeutica professionale ad opportunità pedagogica(occasione di crescita),ma un limite è che va rilevato quell’aspetto del lavoro scolastico,come teorizzato e applicato dal Dewey è fatto proprio da gran parte della pedagogia contemporanea,per cui le attività dei ragazzi risultano estraniate dalla drammaticità della situazione lavorativa nella realtà sociale del mondo. La scuola resta un “hortus conclusus”di attività serena in un mondo agitato da rivendicazioni socioeconomiche a cui proprio la scuola dovrebbe fornire le forze di risoluzione in vista di un più lontano avvenire. La scuola è idonea a formare disposizioni più quietistiche che impegnate al rinnovamento sociale del mondo. Nel mondo e nel tempo si daranno condizioni umane per cui non si vede come una pedagogia sociale di impronta Deweyana possa risultare idonea. Dewey presenta nella sua opera un continuum con il passato,ed in particolare con il filo cosmopolitico e ugualitario del puritanesimo originario. Il punto critico da sottolineare nella delineazione dell’obiettivo democratico,preposto da Dewey alla nuova educazione del mondo,sta nell’eccesso di connotazioni culturali introdotte in un modello dato per teorico;pertanto,la capacità di generalizzazione del modello si inceppa per mancanza di corrispondenza con domini socioculturali non disposti ad immagine e somiglianza della società industrializzata che ha costituito il punto di avvio per la costruzione della teoria. All’interno,poi,della stessa società industriale,il lavoro appare teorizzato e applicato in modo da non espletare quelle potenzialità educative che pur gli sono rivendicate. Altro luogo critico del “continuum”col passato è quello della “scuola per tutti”: su questo punto il discorso deweyano è in linea di continuità e di sviluppo col precedente movimento dei puritani e dei dissenters. Fin dal 1647 i puritani avevano provveduto all’istituzione di scuole,considerata compito primario della comunità;in seguito,l’istituzione e la crescita della democrazia americana hanno mantenuto in posizione di preminenza le questioni dell’istruzione a tutti i livelli. Per Dewey Jefferson costituisce un punto fermo di riferimento,soprattutto per la connotazione educativa di una democrazia da difendere e da fondare con la partecipazione effettiva di tutto il popolo. Jefferson ha istituito la versione americana dell’illuminismo europeo,mantenendone i cardini fondamentali della libertà di fede e di ricerca scientifica,dell’appello alla ragione come via di superamento delle tensioni separatistiche per diversità di cultura e di interessi. Inoltre,ricorrono nei suoi scritti asserzioni di origine rousseauiana sulla bontà della natura umana,sulla base popolare del potere e sul mantenimento controllato della proprietà privata. La dottrina di Dewey vede in se oltre la linea puritana anche la convergenza di apporti di tutto il patrimonio precedente,rimessi in discussione e recuperati o respinti. Nando Filograsso Che cosa debba intendersi per società e a quale modello di società indirizzare le nostre preferenze sono questioni ricorrenti negli scritti deweyani,il quale affronta il problema in”Democracy and Education”. Dewey estrapola dalle molte società esistenti due caratteri che ne costituiscono il comune denominatore: una certa comunanza di interessi ed una scambievole interferenza tra le diverse classi in cui la società appare solitamente stratificata. Ogni divisione della società in classi privilegiate e soggette deve essere combattuta e può esserlo permettendo la massima libertà di scelta delle occupazioni. La schiavitù si trova praticamente ovunque gli uomini siano occupati in attività che sono sì socialmente utili,ma di cui essi non capiscono l’utilità e per cui non provano interesse personale. Queste due condizioni ricorrono nella società democratica,la quale,dunque ripudia il principio dell’autorità esterna. Da ciò si comprende anche che la democrazia è qualcosa in più di una forma di governo,è prima di tutto un tipo di vita associata,di esperienza congiunta. Di quì la strettissima relazione tra vita democratica e educazione e l’impegno alla difesa dei valori umani. Il fatto che noi oggi dobbiamo compiere con intenzione deliberata ciò che prima era più o meno un dono della grazia rende il problema di carattere morale. La moralità se non è un portato della democrazia,ne costituisce certamente un tratto saliente non potendovi essere società nel senso desiderabile se non in una comunità organizzata che per sua natura stessa implichi il rispetto della persona umana. All’idea di una società che avanza sulla via maestra del progresso,il Dewey non accompagna mai un correlato edonistico. Non che il piacere e la felicità siano esclusi a priori dall’ambito del progresso che pure sembra promettere,ma gli è che progredendo l’individuo umano aumentano anche le sue ansie e i suoi desideri. La pianificazione deve intendersi come impegno della comunità democratica e realizzare la giustizia sociale con un arricchimento del valore dell’intelligenza,strumento regolatore della nostra condotta. Il discorso torna perciò a interessare la scienza come causa prima del progresso. La scienza assicura il dominio sulle forze della natura e ne svela i segreti mostrando l’inconsistenza degli idola che l’ignoranza ha generato. La scienza libera l’intelligenza degli ostacoli che la irretiscono dal di fuori e dal di dentro: in questa liberazione continua è la sua moralità,la sua qualità umana. Alla ricerca della certezza dovrà sostituirsi la ricerca della sicurezza per mezzo del controllo attivo del corso mutevole degli eventi. I metodi educativi hanno sempre riflettuto il prevalere del punto di vista tradizionale,divenendone anacronisticamente difensori proprio nel momento in cui la scienza mostra con l’evidenza dei fatti la sua totale insufficienza a garantire alcunché di durevole e sulla base di una fede implicita nell’ordine universale delle cose. Lo spirito di osservazione,la libera circolazione delle idee,il confronto sistematico delle opinioni,sono valori educativi al massimo,ma che l’educazione tradizionale,per comprensibili ragioni,si è guardata bene dal mettere in essere. Dewey capovolge il tradizionale rapporto tra filosofia e pedagogia. Se siamo disposti a considerare l’educazione come il processo di formazione di certe disposizioni fondamentali,intellettuali ed emotive verso la natura e gli essere umani,la filosofia può definirsi anche la teoria generale dell’educazione. All’integralismo della filosofia deweyana oggi si tende a sostituire una concezione della vita e della società chiaramente dualistica e selettrice. L’educazione implica necessariamente una concezione aperta e dinamica della vita. Alberto Granese La transazione è un fatto tale che nessuno dei suoi costituenti può essere specificato se si prescinde dalla specificazione degli altri e consente un trattamento completo(descrittivo e funzionale)di tutti i contenuti interni o esterni dell’uomo. In tal modo la ricerca stessa e il suo metodo diventano oggetto di indagine e in primo piano viene messa l’esigenza di un collegamento interdisciplinare funzionale tra le scienze naturali e le scienze dell’uomo. Quello che è il problema del rapporto spirito-materia,corpo-mente,trova per Dewey una soluzione nella prospettiva transazionale,secondo la quale l’organismo umano è una fase del processo cosmico,con tutte le sue attività. In questa prospettiva assume un nuovo significato il rapporto tra logica,psicologia e realtà oggettiva dell’ambiente fisico,che il giovane Dewey aveva ritenuto di poter affrontare idealisticamente proclamando il primato della psicologia e teorizzando un deciso rigetto del formalismo. Con questo non intendeva limitare la ricerca o predisporre uno schema,ma piuttosto voleva garantire la massima apertura dell’indagine,escludendo ogni forma di riduttivismo meccanico. A proposito della distinzione fra logica e psicologia Dewey riconferma il proprio rifiuto di ogni separazione arbitraria ed insiste sull’assurdità della pretesa fatta valere unilateralmente da logici o psicologi di porre la logica a base della psicologia o la psicologia a base della logica. La chiave di una corretta interpretazione di questo rapporto sta nel fatto che la conoscenza,le argomentazioni razionali,le ricerche matematiche e scientifiche sono autentici comportamenti umani negli aspetti più concreti come nelle loro più elevate astrazioni. Nella prospettiva transazionale Dewey affina e perfeziona la tesi strumentalistica,definendo meglio il contesto”esistenziale”in cui divengono operativamente significative le strutture logiche e tutti i processi di formalizzazione e di astrazione. Con ciò Dewey fornisce una risposta forse non del tutto soddisfacente,ma certo non priva di valore e di coerenza agli addebiti di unilateralità mossi da alcuni critici al suo monismo metodologico a impronta naturalistica. Mario Manno Dewey riconosce che anche entro il gruppo più sociale vi sono molte relazioni che non sono ancora sociali. Cioè non sono capaci di esprimere la dimensione dell’umano. Gli individui usano l’uno dell’altro per conseguire i risultati desiderati,senza riferirsi alle disposizioni emotive e intellettuali o al consenso delle persone adoperate. Ove questo consenso non è certo una forma di compiacenza,ma è quel sentire che indica il pensare come comportamento sociale produttivo. Ove fosse mera compiacenza si tratterebbe di una relazione che non tocca quella profonda struttura che è l’umano. Soltanto a tale livello la vita è pensare. La società continua ad esistere non solo nella comunicazione ma anche per mezzo della comunicazione. Attraverso questa gli uomini giungono a possedere cose in comune e possedendole vivono in comunità. Ciò che devono avere in comune gli uomini per poter formare una comunità sono gli scopi,le credenze,le aspirazioni,la conoscenza come comune modo di intendere. Da ciò segue che: 1. ogni esperienza per essere trasmesse deve essere formulata 2. vi è una conoscenza in senso specifico come conoscenza delle forme o dei principi che consentono la sua continuazione o trasmissione. 3. quando un esperienza consapevole viene trasmessa nella sua strumentalità (cioè come mezzo di ulteriore esperienza,grazie a cui vivere)abbiamo il momento pedagogico,cioè l’educazione. Vi è un’educazione in senso generico,e in questa forma possono rientrare tutto ciò che i sociologi studiano come comportamenti ripetuti e istituzionalizzati. Attraverso la ripetizione di questi comportamenti ritenuti validi,i componenti nuovi del gruppo possono rispondere ai condizionamenti ambientali. Ma sono stati trasmessi fatti economici non l’economicità del pensare in quanto tale. Abbiamo oltre al senso generico di educazione anche il senso genuino: che è l’educazione al pensare puro e critico,ovvero,l’educazione alla scienza del pensare,alla filosofia come criticità. Abbiamo così la Logica,la Filosofia e la Scienza dell’Educazione come i tre momenti e le tre istituzioni di una teoria antropologica complessa e interdisciplinare. Lydia Tornatore Per Dewey,atteggiamento e metodo sono sostanzialmente uniti,in quanto caratterizzanti una scienza che non è né un principio né un’astrazione,ma ha una sua consistenza storica,un ruolo centrale nella storia dell’umanità. Se si prescinde dalla loro unità si ha un vuoto moralismo da una parte e un cieco metodologismo dall’altra. In Dewey stesso non è difficile trovare enunciazioni che isolate dal contesto possano corroborare l’una o l’altra accezione. L’atteggiamento scientifico,come è qui concepito,è una qualità che si manifesta in tutti gli aspetti della vita. È il desiderio di ricercare,di discriminare,di dedurre conclusioni sulla sola base dei fatti. La vasta influenza che Dewey ha avuto sui modi di intendere l’educazione scientifica di base si lega soprattutto alla teoria della scienza come indagine ed all’analisi dell’indagine nei suoi momenti: suggestione,intellettualizzazione,ipotesi,ragionamento e controllo dell’ipotesi. Il modello dell’indagine non può essere assunto come un discorso conchiuso ed autosufficiente,ad essa occorre guardare per il posto che ha nel complessivo pensiero deweyano. Con essa infatti la scienza viene ad avere una sua collocazione nell’ambito dell’attività umana e nella”natura”. È in questo contesto che va vista la centralità che assume l’educazione dell’intelligenza. Dewey distingue intelligenza da ragione. La ragione va intesa nel significato tecnico datole dalla tradizione filosofica classica,l’intelligenza invece è connessa al giudizio: cioè alla selezione dei vari mezzi da impiegarsi per il raggiungimento di un determinato scopo. Un uomo è intelligente non in virtù della ragione con la quale riesce a cogliere le verità prime e indimostrabili circa i principi fissi,ma in virtù della sua capacità di calcolare le possibilità di una determinata situazione e di agire in conseguenza. Nel significato più generico della parola,si può dire che l’intelligenza è tanto pratica quanto la ragione è teorica. Pratica,non in quanto il conoscere sia subordinato a finalità pratiche ma in quanto il conoscere è un agire che costituisce l’oggetto conosciuto. L’aver compreso che
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