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John Pope-Hennessy, La scultura italiana. Il Cinquecento e il Barocco, Sintesi del corso di Storia dell'Arte Moderna

Riassunto del primo tomo. Ho segnato solo le cose che ritenevo più importanti e che possono colmare quelle dette a lezione

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

Caricato il 31/05/2024

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Scarica John Pope-Hennessy, La scultura italiana. Il Cinquecento e il Barocco e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! La scultura italiana- Il 500 e il Barocco, Pope-Hennessy I protagonisti dei tre periodi della scultura per Vasari sono: Nicola Pisano, Donatello e Michelangelo, e il suo criterio di giudizio è il rapporto in cui stanno rispetto all’arte antica. Pisano migliorò l’arte della scultura, Donatello fu il più simile alle eccellenti opere degli antichi greci e romani, ma poi Michelangelo ha passato e vinto gli antichi. Questa teoria di un continuo miglioramento era rafforzata dalla convinzione che così fosse già accaduto nella Grecia antica con Canaco, Mirone e Policleto. La scoperta di queste sculture permise ai coetanei del Vasari di raggiungere l’apice dell’arte. Il Vasari non poté prevedere che la rivoluzione di Michelangelo sarebbe stata seguita da altre due stilistiche, capitanate dal Giambologna e dal Bernini; e che anche queste sarebbero nate dai capolavori classici. Michelangelo fu il primo artista nel quale contemporanei riconobbero un genio, canonizzato prima di morire. L’influenza dell’Accademia dei Medici fu significativa poiché egli intraprese il cammino dell’arte senza partire da uno stile convenzionale. Scrisse la sua vita il suo allievo Ascanio Condivi. è inesatto dire che Michelangelo non deve niente all’insegnamento di Bertoldo, direttore dell’Accademia. Questa concentrazione ossessiva sulla figura umana sta alla base di tutte le sue sculture. Nel suo corpus il numero di opere non finite sopravanza quello delle opere compiute. A volte lo scultore era scontento del marmo, a volte lo aveva danneggiato, a volte era in contrasto con il commissionante o insofferente al soggetto. Le sue sculture incompiute introdussero nell’arte un fattore nuovo. Studiò l’anatomia di cadaveri. Il cardinale Riario incoraggiò Michelangelo a venire a Roma per studiare, dove si mantenne grazie alla protezione di alcuni collezionisti privati, tra cui Jacopo Galli, ricco raccoglitore di antichità. Per egli scolpì dei Cupidi andati perduti e il Bacco del Bargello. Nella scultura romana i soggetti sono presentati con un punto di vista dominante, abitualmente disposte sul medesimo piano. Ma a Firenze l’estetica della statua si era evoluta in altro modo: prima Donatello aveva inventato, nella Giuditta, un tipo di figura con 4 punti di vista; poi il Verrocchio aveva creato, nel Putto col delfino, una figura serpentina godibile da ogni lato. Nel Bacco di Miche, la posa a spirale del satiretto sarebbe inconcepibile senza gli esperimenti del Verrocchio. Nella scultura sacra il riferimento all’arte antica era meno diretto, eppure è presente nella prima opera religiosa di Miche, eseguita a Bologna per l’arca di San Domenico. A Roma scolpisce la Pietà, gruppo plastico con la Vergine che presenta il Cristo morto allo spettatore, come rivela la sua mano stesa. Costruzione a piramide. Le pieghe del manto scendono a terra come le masse d’acqua di una cascata. Nella scultura italiana del quattrocento non troviamo alcun motivo simile, perciò si sono cercate analogie nell’arte nordica e fra le Pietà della scultura francese; Il gruppo è stato commissionato da un cardinale francese. Le emozioni sul volto sono rese con classica misura, il volto era gelato sintomo di un affetto interiorizzato. Per il David egli si ispirò ai Giganti di Montecavallo, ossia ai Dioscuri davanti al Quirinale, ma, come scrisse il Vasari, il David superò quelli e tutte le altre statue colossali di Roma. Per lui il pregio della statua risiedeva non nelle sue dimensioni, ma nelle sue proporzioni. Per la sua velocità nel lavoro, gli venne commissionata la realizzazione dei 12 apostoli per la navata del Duomo in 12 anni, non tenendo conto del temperamento di Miche e di quello del Papa. Si era già impegnato anche per l’affresco della battaglia di Cascina per il palazzo della Signoria quando il Papa lo mandò a chiamare per la realizzazione della sua tomba. Probabilmente capì di aver scelto il sentiero sbagliato quando giunse ben presto ad una crisi: a corto di fondi, sospettoso del Bramante e offeso, ricorse alla fuga a Firenze, dove lavorava agli apostoli. Questo tumulto di emozioni è rispecchiato nella statua del San Matteo, che si accinse allora a scolpire -> dinamismo che non ha precedenza, ciò si spiega in parte con la scoperta del Laocoonte del 1506. È come se, dopo la mortificazione sofferta a Roma, Michelangelo avesse attaccato il blocco inerte in uno sforzo di affermare, non al mondo, ma a sè stesso, che egli era in verità quel genio supremo che egli sentiva di essere. Il Papa gli promise l’immunità al suo ritorno e il Soderini, impotente a proteggerlo, lo esortò a ubbidire, e così fece. Il prezzo della riconciliazione fu che Miche dovette fare il ritratto del mecenate che temeva, in un materiale che non amava, il bronzo. Per più di quattro anni poi fu occupato con la volta della cappella Sistina, dove sviluppò pittoricamente il concetto del San Matteo. Gli Ignudi hanno la compattezza di statue marmoree. Dopo la morte di Giulio II venne eletto un Papa che non prediligeva l’arte di Michelangelo, che venne lasciato in pace per i primi tre anni a lavorare al sepolcro del defunto pontefice. Ma nel 1515 Leone X decise di affidargli la chiesa medicea di San Lorenzo, cambiando poi idea verso la cappella di famiglia (C. Medicea), che doveva costituire un pendant alla Sagrestia vecchia. Le figure adagiate sopra ai sarcofagi e le divinità fluviali furono conservate fin nello schema finale. Il punto focale era l’altare, e da qui dovevano essere contemplate le tre tombe. Visti dall’altare, ambedue i capitani rivolgevano lo sguardo sulla Madonna. Nel 1527 il lavoro nella cappella subì un arresto, in quell’anno si ebbe il sacco di Roma e alla fine del mese si costituì a Firenze un governo repubblicano. La situazione si fece sempre più minacciosa ed egli lasciò Firenze per qualche mese, tornando quando la città assediata dovette arrendersi a Papa Clemente VII. Era stato rovesciato un regime che rispecchiava gli ideali politici di Michelangelo, la delusione esacerbó il suo ritmo di lavoro. Il Papa, vedendo in pericolo il compimento della cappella e per alleviargli il peso del lavoro, propose che le statue più grandi fossero affidate ad altre mani: Tribolo, Raffaello da Montelupo ed il Montorsoli. Morto questo papa comprensivo, Miche non mise più piede a Firenze. La Notte e il Giorno risultano più monumentali dell’Aurora e il Crepuscolo. Il Giorno probabilmente venne scolpito per primo, a quell’epoca le allegorie erano concepite come figure aggressive, fedeli ai moduli dell’arte classica. La concezione armoniosa che vediamo oggi sulla tomba di Lorenzo non esisteva ancora nella sua mente. Per la realizzazione della Notte attinse ad un sarcofago romano con una Leda, oggi scomparso. L’ultima allegoria, l’Aurora preannuncia le forme aperte dell’arte barocca. Il volto di Lorenzo risulta in ombra, ciò fece sì che nel sette e ottocento egli divenne celebre come “il pensieroso”. I fiumi (significato geografico) che avrebbero dovuto stare sotto ai sarcofagi per creare uno schema di tre ordini sovrapposti, vennero ripensati. Le sculture sono quasi tutte non finite, soprattutto il Giorno sul retro. Verso la fine dell’ottocento le interpretazioni tendevano al neoplatonismo: dal terrestre al celeste, vita attiva e vita contemplativa. Secondo il Condivi, biografo e amico di Miche, la notte e il giorno significano il tempo che tutto rode e consuma. Per Vasari l’antitesi è fra terra e mondo. Le fasi della giornata esprimono profondo e incurabile dolore. La più antica è anomala delle sculture e la Madonna, unica improntata ad un movimento violento, tanto da sembrare un po’ irriverente nel cui atto complesso delle tombe. La sua posta deriva da una copia romana ellenica del V secolo. È possibile che le statue scolpite per Giulio secondo vennero scambiate con quelle della cappella medicea, giustificazione dell’incongruenza del gruppo della Madonna. lo sguardo di Maria sarebbe destinato al pontefice bensì che ad un punto arbitrario nel mezzo della cappella. L’aspetto finale del sepolcro di Giulio II è alquanto deludente. La prima cosa che salta gli occhi è l’incongruenza architettonica fra parte alta e parte bassa: sembrano fatte da due diverse artisti. Il grande Mosé centrale non riesce a integrarsi col resto, né come stile esistevano gruppi con figure sollevate da terra. Ha utilizzato diversi pezzi di marmo. Un altro gruppo marmoreo di grande importanza è l’Ercole che abbatte il centauro nella loggia dei Lanzi. Il suo punto di partenza fu l’Ercole e il centauro di De’ Rossi, nel quale vediamo il centauro con un fianco per terra. Pressioni e costrizioni fisiche rese con grande libertà, tensione nelle gambe del centauro, messaggio di movimento. Rispetto al Sansone scolpito trent’anni prima, aveva attuato una rivoluzione. Il sepolcro nel pieno Rinascimento A Roma le figure destinate alle nicchie dei monumenti sepolcrali assumevano abitualmente un aspetto classicheggiante. Cellini per il suo progetto tombale ebbe una visione mentre era imprigionato in Castel Sant’Angelo, 16 anni prima. Eseguì del bozzetto solo il Crocefisso in marmo nero, da cui prende il Cristo in marmo bianco. Alla fine non fu posto nella tomba, ma donato a Eleonora da Toledo, rifiutato e giunto all’Escorial. È prodotto supremo della scultura manieristica fiorentina. Capacità espressiva che ritroviamo nella testa di Medusa. Per il monumento funebre a Michelangelo, Vasari disegnò il sepolcro e le sculture vennero assegnate a diversi artisti giovani: Lorenzi e Bandini (allievi del Bandinelli) e Cioli. Il sarcofago disegnato dal Vasa è una misera parodia dei sarcofagi michelangioleschi nella cappella medicea. È alquanto ironico che Miche sia commemorato dagli eredi spirituali del Bandinelli. Allievo del Giambologna, il Tacca reagì contro lo stile del maestro preferendo il bronzo al marmo per la maggior libertà che gli concedeva. Era un artista emotivo e con forte senso drammatico. Nelle sue tombe riconosciamo i primi grandi monumenti di Firenze barocca. Il rilievo nel pieno Rinascimento I soli pensieri che Michelangelo espresse in rilievo erano documentati dalla Battaglia dei centauri e dalla Madonna della scala (ambedue conservati nel suo studio e quindi inaccessibili) e dai tondi di casa Pitti e di casa Taddei (privati). Se almeno uno di questi fosse stato condotto a finimento, avrebbe certamente ispirato una scia di imitazione, ma non esercitarono molta influenza. Un’eccezione consiste nella Vergine del Rustici, ora al museo del Bargello, dove la lezione spaziale della composizione michelangiolesca era stata parzialmente raccolta. Su Sansovino non ebbero la minima influenza, le madonne mature di Raffaello invece sì, ubbidisce agli stessi criteri della Madonna di Foligno. Il rilievo ebbe ruolo maggiore nella produzione di Sansovino che in quella di qualsiasi altro scultore del tempo. Una delle sue prime opere fiorentine, l’altare Corbinelli in Santo spirito, fu concepita essenzialmente in rilievo. La novità sta nelle sue composizioni spaziali con prospettiva fuggente, visuale avventurosa e illusione spaziale. Quanto importante è la decorazione plastica eseguita in pieno Rinascimento del rivestimento marmoreo della Santa casa nella basilica di Loreto a Roma, tempietto disegnato dal Bramante. La volta della Cappella Sistina fu una lezione meno importante per la scultura che per la pittura; era naturale che gli scultori della metà del cinquecento si assumessero il compito di tradurre nel rilievo lo stile di suoi affreschi. Fu certo questo il proposito di Pierino da Vinci quando scolpì al suo ritorno da Roma il rilievo marmoreo di Cosimo I e il modelletto in cera del Mosè di Miche; in questo rilievo fu la volta della Sistina a fornirgli una visione dalla bellezza e coerenza della figura umana, che tradusse in scultura. Questo rilievo si distingue per il suo garbo e per la sua eleganza, due qualità cospicuamente assenti nei rilievi di Bandinelli. Egli aveva un tipo di intaglio rozzamente classicheggiante che ha ben pochi meriti. Le superfici levigate di Pieri erano estranee al Bandi perfino nei pannelli per l’altare Maggiore del domo di Firenze, che rappresentano la sua opera più riuscita. Pierino era il solo scultore del suo tempo usare il basso e bassissimo rilievo. Vincenzo Danti non valutava molto il lavoro di rifinitura, le figure in fondo sono appena sgraffite, come in Mosè e il serpente di bronzo. Rivela la propria visione interiore sulla scia del sentimento e non quello della logica. Col Giambologna la ragione fu rimessa in onore. Per chiarire al pubblico il tema del Ratto delle Sabine, eseguì un rilievo bronzeo per il piedistallo. Rispetto al Danti lui accentua la profondità prospettica e raggruppa le figure in lucide unità indipendenti. Modella le figure in primo piano quasi a tutto tondo. La nostra conoscenza del Cellini come autore di rilievi si basa su un solo lavoro: il rilievo bronzeo sul piedistallo del Perseo, “Perseo libera Andromeda”. Sistema di narrazione multipla come fenomeno della metà del ‘500. Si spiega con l’ammirazione per la Porta del Paradiso. La fontana fiorentina Solo nel ‘500 si giunse a considerare la fontana come una forma d’arte valida per sé stessa. Sulla più famosa, a palazzo Medici, si ergeva la Giuditta di Donatello. La cacciata dei Medici nel 1494 pose un fermo all’erezione di fontane, ma si ricominció dopo il loro ritorno nel 1512. Nel frattempo, il palazzo mediceo era stato privato della Giuditta. 1537: assassinio di Alessandro de’ Medici. La Signoria passa in mano al cugino Cosimo I. Con lui comincia la storia della fontana fiorentina nel pieno Rinascimento. Concentrò il suo interesse sul giardino (all’italiana). Sono il genere di scultura più stabile e sedentario. Il Tribolo era allievo di Jacopo Sansovino e nella scultura da giardino della villa di Castello applicò molte predilezioni classicheggianti. La fontana del Labirinto (la più piccola), è basata sul motivo a candelabro dell’antichità e classico è il suo repertorio iconografico. Fontane simili esistono anche nel ‘400, ma le proporzioni di questa riflettono il gusto del suo tempo: aumentata altezza della colonna con lunghi zampilli manieristici. Statuetta eseguita dopo la morte del Tribolo da Giambologna. Fontana dell’Ercole e Anteo (la più grande), coronamento del gruppo eseguito dall’Ammannati. Nuovo ruolo assegnato alla scultura: marmo usato non solo per rilievi, ma per figure a tutto tondo -> rapporto animato fra i getti d’acqua e le figure, che apre la via alle fontane del Bernini. L’elemento scultoreo più bello sono i 4 putti con le oche, che sembrano derivare dalla pittura del Pontormo. La mente del duca passò (finalmente) a un progetto di fontana pubblica in piazza della Signoria. In tutto il 400 non si era costruita a Firenze una sola fontana pubblica monumentale. Ma nel ‘500 altre città, soprattutto Messina, elevavano fontane pubbliche. Proprio queste, fatte dal Montorsoli, scultore fiorentino, servirono di stimolo a Firenze. La sua prima era la più vasta d’Italia. Complessità della pianta senza precedenti: era un 12cagono. Il Monto aveva assorbito l’insegnamento di Miche, la sua statuaria vive di una vita indipendente. L’ altra sua fontana (del Nettuno) deve avere pure ispirato il Bandinelli. Nel ‘58 Cosimo primo acquistò un blocco di marmo di Carrara, conteso Da Cellini e Ammannati, i quali insisterono per l’allogazione della statua in concorso, limitando nella partecipazione a loro stessi e al Bandinelli, il quale geloso lo sfregiò e poi morì. Il concorso divenne aperto a tutti. Vinse l’Ammannati avendo l’appoggio di Michelangelo. Egli dovette adeguarsi alla pianta e misura fissate fra il Bandinelli e Cosimo I e ad un blocco troppo grande per la vasca a cui era destinato. La fontana dell’Ammannati a Firenze a più di 70 zampilli, ma per la maggior parte non connesse con la statuaria. Nella fontana di Bologna ogni figura è giustificata dalla sua funzione idraulica, salvo il Nettuno. Perciò, una volta terminata, risultò il modello più progredito d’Italia. In ambiente naturale, la scultura ha una funzione diversa che in una strada o in una piazza o in una chiesa: circondata dai viventi organismi delle piante e degli alberi, ne riceve una vita riflessa, come fosse cresciuta organicamente anch’essa lá dove si trova. Lo scultore che per primo riconobbe questa verità fu il Tribolo, quando creò la statua di una divinità fluviale nella villa Corsini. Lo scultore che sfruttò questa vena nel modo più pieno fu il Giambologna, un primo accenno lo avvertiamo già nella fontana dell’Oceano, dove gli antichi dei fluviali spaziano, carichi di tutta l’esperienza della terra. Crea il bozzetto dell’Appennino, fedelmente riprodotto nella statua colossale, egli è un artista a due facce. La scultura nel pieno Rinascimento a Venezia Una delle conseguenze del Sacco di Roma fu che gli artisti operanti presso la corte pontificia si dispersero in tutta la Penisola. Prima che il sacco l’obbligasse a fuggire, Jacopo Sansovino “aveva già Roma in potere suo” (Vasari) e Venezia non doveva essere che una tappa della sua andata in Francia. Ma non appena arrivò, la sua presenza fu segnalata al doge dal cardinale Grimani. Forse a influenzarlo nella decisione di restare a Venezia fu il poeta Piero Aretino, per il quale fece una copia in stucco del Laocoonte. Certamente fu l’Aretino che lo dissuase un decennio più tardi dal tornare alla corte pontificia. A Venezia fu subito accolto dagli artisti ormai affermati come uno di loro. Diventò amico di Tiziano, Tintoretto gli farà un ritratto. Come architetto, Sansovino mutò l’aspetto della sua città adottiva. Il Vasari elenca con cura i suoi edifici veneziani, ma dedica soltanto un breve paragrafo alle sculture, eppure la loro importanza fu grandissima in quanto a Venezia il Sansovino si trovò circondato dal vuoto. Specialmente gradito doveva essere l’artista che mostrava di essere il naturale erede dei lombardi. Egli portò quell’ideale classico dell’integrazione fra forme architettoniche e plastiche che Raffaello aveva illustrato nelle sculture dipinte della scuola ad Atene. L’opera in cui questo messaggio si manifesta più chiaramente è la loggetta ai piedi del campanile di San Marco. Quattro statue bronzee nelle nicchie, Pallade, Apollo, Mercurio e la Pace, simboleggiano il governo veneziano. Opposizione a Michelangelo e ammirazione per Raffaello. Queste statue determinarono più di ogni altra, la forma dei bronzetti veneziani del tardo cinquecento. Nella tomba Venier, applica gli stessi principi della Loggetta. Con il suo arco trionfale sopra l’effigie del defunto, questa tomba derivava da quella di Vendramin, di Tullio Lombardo. Per Questa prevede solo due sculture, ma di grande qualità, Speranza e Carità nelle edicole laterali. La sintesi classica fu una qualità propria solo al Sansovino. Tuttavia nel tardo cinquecento la scultura veneziana tende a reagire contro i suoi principi. Inizialmente ciò si avverte nell’opera del suo allievo Danese Cattaneo. Vedi altare Fregoso in Sant’Anastasia a Verona, con sezioni piuttosto strette, da cui risulta un accentuato verticalismo. La statuaria è concepita in opposizione alla cornice architettonica, contrasto fra statua e sfondo mediante il colore. Il Vittoria, altro allievo di Sansovino, stava sperimentando in direzione analoga. Il suo altare in San Francesco della vigna è più modesto dell’altare Fregoso, ma rivela la stessa tendenza ascensionale. L’abbandono del principio sansovinesco di una perfetta integrazione fra scultura e architettura aprì la via a un tipo di sepolcro in cui il progettista e lo scultore erano due artisti diversi. Sansovino dedicò gran parte delle sue meditazioni plastiche al rilievo, intimi furono i suoi legami con la pittura, non disdegnava di imparare dalla teatro, esperienza che si riflette nelle sculture con accorgimenti scenici. L’esempio supremo è l’Estasi di Santa Teresa. Alessandro Algardi fu rivale del Bernini, godé un breve periodo di favore alla corte pontificia durante il regno di Innocenzo X. Sepolcri papali In San Pietro erano stati eretti due sepolcri papali: quello per Papa Paolo III e quello in onore di Papa Gregorio 13º. I due progetti confluirono in una soluzione combinata: instillare una tomba a sinistra della tribuna e l’altra nella nicchia a destra. Autore di questa metamorfosi fu Bernini. Egli alterò la tomba di Paolo, aumentando l’altezza e la larghezza, dando la forma di una piramide. I due monumenti dovevano essere simmetrici. Per riempire lo spazio intermedio introdusse un sarcofago (variante di quelli della cappella medicea). Fontana barocca Nel tardo cinquecento, l’influsso della fontana fiorentina si sparse verso il sud. In Sicilia, oltre alle fontane del Montorsoli a Messina, fu installata una terza fontana fiorentina nel 1573. Il consiglio della città di Palermo acquistò da Don Garzia de Toledo i seicento e più pezzi della fontana iniziata per montarli nella piazza del Pretorio. La fontana fu ingrandita, l’elemento centrale è una derivazione delle fontane del Tribolo a Castello. Pietro Bernini collaborò Alla fontana di Nettuno di Domenico Fontana presso Napoli. Il primo gruppo da fontana di Gianlorenzo fu posto su una vasca ovale nota come Peschiera, disegnata dallo stesso Domenico Fontana; si tratta del gruppo di Nettuno e Tritone. Rappresenta un’azione connessa al sito in cui era posta. La scultura e l’acqua erano ancora trattate, come durante tutto il cinquecento, quali elementi contrastanti, ma nella fontana del Tritone per i Barberini la barriera fra i due elementi è abolita. Durante tutta la sua vita, Berni fu affascinato dalla possibilità di usare l’acqua per intensificare il movimento simulato della scultura. La fontana in Piazza Navona fu voluta da Innocenzo 10º. L’idea era di dare l’impressione che l’obelisco non sia propriamente sorretto e poggi sulla roccia in modo precario. Le quattro figure sottolineano quest’illusione, specialmente il Rio della Plata, che fissa l’obelisco stupefatto per il miracolo d’equilibrio che lo tiene fermo lassù. Disegnó anche la fontana minore, sul lato meridionale della piazza. La figura centrale imprime alla statica vasca un’illusione di circolarità. Ancora una volta il Bernini cerca di rendere l’instabilità con l’equilibrio precario della conchiglia, il pesce sollevato dall’acqua. Busto barocco Gianlorenzo segna una rottura con la convenzione del ritratto romano. Il suo primo ritratto è quello di Paolo V, eseguito a sette anni. Crea un senso di movimento che nessun busto scolpito a Roma prima di allora aveva mai avuto. Uno dei suoi compiti principali era quello di creare un’illusione di colori differenziando la qualità della superficie uniformemente bianca. Suo figlio Domenico ci dice che, quando doveva scolpire un ritratto, il Bernini non voleva che il figurato stesse fermo, ma che con la sua solita naturalezza si muovesse. I suoi busti implicano nella parte bassa un movimento. A Roma il solo rivale del Bernini nella scultura dei ritratti fu Algardi, difensore del ritratto statico. Usa meticolosa attenzione al dettaglio fedele e delicatezza, eppure manca di quell’immediatezza con cui il Bernini isola l’essenza dell’individuo. Mentre erano in vita, i due artisti godevano di pari fama come ritrattisti. L’ammirazione del Bernini per il Papa suo mecenate trovò sfogo in otto ritratti. Il retaggio del Bernini Egli creò un nuovo tipo di scultura religiosa che appagò così perfettamente le esigenze dell’epoca, da diventare un canone ortodosso al quale altri artisti, volenti o nolenti, dovettero aderire. Nessuno fra i suoi contemporanei vantò simili facoltà. Verso la fine del secolo la frattura fu sanata, quando il Canova elaborò a Venezia la sintesi poi disegnata con il nome di neoclassicismo, che nuovamente attinse all’antichità per rinnovare l’arte del tempo.
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