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Joyce vita opere più importanti, Dedalus, Appunti di Letteratura

Joyce biografia e opere più importanti con approfondimento su Dedalus

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 26/05/2022

franco-bollo-10
franco-bollo-10 🇮🇹

4.3

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6 documenti

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Scarica Joyce vita opere più importanti, Dedalus e più Appunti in PDF di Letteratura solo su Docsity! JOYCE (1882-1941) James Joyce nasce a Dublino nel 1882 in una famiglia benestante profondamente cattolica. Nella sua formazione hanno un’importanza decisiva gli studi classici in un Collegio gesuita. Consegue la laurea in letteratura straniera, specializzandosi in francese e in italiano. Fin dall’adolescenza Joyce si appassiona alla letteratura ed in particolare a due scrittori contemporanei: Ibsen, i cui drammi mettevano a nudo falsità e ipocrisie della vita borghese; Yeats, rappresentante della letteratura nazionalista irlandese, che Joyce conobbe all’università e da cui in seguito prese le distanze. Studia anche l’Odissea e la Divina Commedia dantesca e comincia ad interessarsi al personaggio di Ulisse. L’invasione della Francia nel 1940 da parte dei nazisti costringe Joyce a riparare nuovamente in Svizzera dove muore, per le conseguenze di un'operazione chirurgica, nel 1941 a Zurigo. JOYCE E PROUST Joyce e Proust, questi due giganti della narrativa del XX secolo, meritano di essere accostati in un comune discorso sull’identità del romanzo moderno. Joyce è diverso rispetto a Proust (opera del 1913), il quale non ha il desiderio di detrarre qualcosa dalla comprensibilità, bensì lavora sull’interiorità umana e sul pensiero. Joyce esplora il territorio delle narrazioni interne, Dedalus infatti si chiude con monologo interiore, flusso di coscienza che riflette con fedeltà i pensieri di una persona, chiusi nella sua testa, che vengono narrati ma restano nella testa, servono per fluire-> difficoltà del lettore nel capire. L’autore non si cura degli spazi che lascia (tagli cinematografici): il lettore deve occuparsene, Joyce non mette a suo agio il lettore con un racconto lineare. E’ un romanzo pieno di mancanze nella composizione, ma fa assolutamente parte del patto tra un lettore che sa che l’autore fa parte del modernismo. Stephen Dedalus non è un personaggio qualsiasi: è presente in due opere, esce dall’una ed entra nell’altra. Si tratta di uno di quei segnali lanciati al “lettore ideale”, capace di interpretare gli elementi sottesi nel testo, da intendersi come indicatori di senso. Partendo dal titolo: molti scrittori hanno cercato di rappresentare se stessi intenti nello sforzo creativo, ma qui il progetto di Joyce è così esplicito che Dedalus cerca di diventare, da giovane ed involuto artista qual era, un artista adulto e significativo e quindi testimone dell’Arte stessa. E’ indispensabile che Joyce iniziasse da un “Ritratto dell’artista da giovane” perché si delineasse una precisa definibilità dell’Arte, e dell’Arte della Scrittura in particolare. Evoluzione delle opere (Il filo è hero-a portrait-ulisse.) Il 16 giugno 1904 è un anno di svolta e giorno in cui si svolgerà l’epopea di Leopold Bloom nell’Ulisse, quando Joyce conosce Nora Barnacle, sua compagna. Pubblica Musica da camera (Chamber music), libro in versi di ispirazione simbolista, e pianifica due nuovi progetti importanti: Nel 1904 a 23 anni, ha pronto il progetto di un romanzo pensato in ampio, in 63 capitoli, Stephen Hero, ma si ferma e scrive altro e ritorna al tema abbozzato ma rifacendo il progetto, conservando il personaggio Stephen. Nel 1905 va a insegnare inglese a Trieste dove farà conoscenze importanti (Svevo). Ritorna e dà vita al libro che leggiamo, riprendendo il nome di Stephen, in A portrait of the artist as a young man, nel 1916. Nei 12 anni di mezzo lavora ad altro, anche a Dubliners-> per pubblicarlo fatica con gli editori inglesi, perciò è pessimista riguardo la sua carriera da scrittore. Questo romanzo viene letto da Pound, che stava dirigendo un periodico letterario artistico dal nome ‘’The Egoist'', raffinata nello spirito modernista, interessata agli esperimenti. Non era entusiasta della prima pubblicazione a puntate che avviene tra 1914-1915, e poi 1916 a cura di Pound per una casa editrice americana. Ha successo di pubblico e critica. Stephen sarà anche in Ulysses, di ritorno da un’esperienza parigina che ha bruciato definitivamente i sogni di gloria dell’aspirante scrittore, per continuare un percorso di ricerca, sublimato infine nella figura di Leopold Bloom, coprotagonista del romanzo – e soprattutto incarnato in un corpo parlante che divora idiomi, suoni, grafie, soddisfando appetiti fisici e intellettuali. Ulysses (1922) spinge al massimo delle sue possibilità la forma romanzo e diventa un’immensa rete linguistica tesa a raffigurare simbolicamente l’intera storia del mondo e delle sue rappresentazioni. Con Finnegans Wake (1939) la sperimentazione formale e concettuale di Joyce si libera dell’impianto della sua odissea dublinese. Le vicende narrate ruotano intorno alla veglia notturna di un morto (Finnegan, che diventa però l’umanità intera), nell’abitazione dublinese della sua famiglia. E’ un sogno oppure un’immensa tela onirica disegnata nel buio della notte, nella quale le forme e le aspirazioni dell’umanità di ciascuno di noi si riversano direttamente sulla pagina dalle pieghe dell’inconscio. Il linguaggio Nelle prime pagine a parlare è un bambino, seguendo la mimesi di un linguaggio infantile. Vengono nominati nomi che non si possono conoscere e non vengono spiegati. Non esiste nessuna introduzione al racconto, tanto che uno studioso commentò: "ogni tema nell'opera principale intera di James Joyce è dichiarato su prime due pagine del Ritratto". L’esperimento è dichiarato da una rottura volontaria con le forme già provate, che serve per vedere come questa forma di frammentazione in realtà poi riesca a chiudersi in pienezza, il che poi inevitabilmente stupisce il lettore. La voce narrante (bambino) dal suo interno racconta il suo immediato mondo intorno, così come lo conosce, e il linguaggio si evolve a seconda dell’evoluzione del protagonista (anzi, si evolve tramite il linguaggio). La prima cosa che il lettore deve affrontare è il linguaggio, di tipo mimetico. Senza dirci che a parlare è un bambino, ci mette direttamente di fronte al linguaggio infantile, i suoi contenuti e la forma. Il bambino esprime qualche pensiero ma mantenendo il linguaggio di un bambino, che è essenzialmente senza dominio. Leggendo il romanzo si osserva un processo di evoluzione evidenziato dal lessico che da puerile nelle prime pagine, diventa ricco e forbito e che procede contemporaneamente a quella mentale e fisica di Stephen che, da bambino spensierato, si trasforma in un ragazzo conscio del mondo che lo circonda. Continua ad essere mimetico anche nell’ingenuità di Dedalus da giovane adulto, verso i capitoli 4-5. Ciò che rompe la linearità è che attorno convergono personaggi di cui non si sa nasce in questa magia, ci dice Joyce, e il giovane artista è diventato, infine, adulto perché, dopo aver riprodotto, in un luminoso ritratto, se stesso nella ricerca affannosa del giovane di fronte alla Vita, è riuscito, altresì, a mettere a punto la fenomenologia della bellezza, vero indiscusso obiettivo dell’Arte. Questa ricerca ha un carattere affannoso e doloroso e spinge Stephen a rivolgersi al padre. Il romanzo si chiude con un’invocazione al padre, la cui figura di narratore di fiabe era nell’incipit del romanzo stesso, e tale evidente circolarità narrativa rende Dedalus “l’artista”, sostenuto da un’atavica forza parentale, capace di librarsi in un volo cognitivo-estetico privo, però, dei pericoli noti a Icaro e, al contempo, lo rende capace di “forgiare nell’anima la coscienza increata della razza a cui un artista appartiene”(cap. V). I ragazzi che lo circondano sono colti e circola sul libero scambio di idee. Per Stephen è fondamentale l’estetica, la filosofia estetica. Le parole gli tornano in mente tra le mani in maniera docile, le nomina e parla di qualsiasi cosa. Parte da Aristotele, soffermandosi su San Tommaso che è l’autorità assoluta della filosofia del bello. E’ un discorso tutto ‘’codificato’’, Joyce infatti è drammaturgicamente intelligente nell’adattare la lingua a questo stadio di evoluzione intellettuale. Differenze tra i Bildungsroman: In letteratura per Romanzo di formazione s’intende un genere narrativo che descrive l’evoluzione, i cambiamenti e le esperienze del protagonista nel suo passaggio dall’età infantile e adolescenziale a quella adulta. Nasce in Germania alla fine del Settecento, poi è soggetto ad una diffusione ed un’evoluzione continua in vari temi e contesti: stati d’animo/psicologici dei protagonisti, ambiente sociale, esperienze autobiografiche dei loro autori. L’Ottocento tedesco: È la letteratura tedesca ad aggiudicarsi la maternità del Romanzo di formazione, il primo pubblicato nel 1796 con il titolo di ‘’Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister’’ di Goethe, il quale stabilisce una tipologia e a cui si deve la definizione stessa. Racconta le vicende del giovane Meister, che si realizza dirigendo un teatro dove vengono inscenati spettacoli di burattini. Alle spalle c’è l’idealismo tedesco che vede l’uomo che diventa buono per il suo volere spirituale. Racconta la storia di un ragazzo che cresce pieno di valori, poi da giovane decide di lasciare la casa paterna e il mondo borghese per tentare strada la dell’arte e sente di poter fare l’attore, tanto che tutti i suoi desideri si concentrano su quello. Nella Germania del tardo 700, entra nel mondo dell’estetica e impara l’arte presso piccole compagnie di teatro di passaggio. Si rende conto che non ha talento, prova una forte delusione e dolorosamente deve ammettere che è escluso dalla vita estetica come attore, rimane unicamente un lettore. Ha l’intelligenza però di capire che non è una persona da nulla, ma che deve trovare una realizzazione altrove, diventando una persona che si occupa di altri, un medico che salva vite. Questo Bildungsroman ha questa teologia, questo ‘’schema’’, una direzione verso un fine quasi previsto, delle avventure che hanno coerenza e arrivano alla fine ad avere un senso. Vi sono: saggezza, l’utopia settecentesca, la luce della ragione grazie alla quale l’individuo può prendere la buona strada (nel romanzo incontra la società della torre, composta da persone lungimiranti che lo guidano nel suo percorso, ed erano destinate ad incontrarlo). Il romanzo di formazione nel Novecento: la crisi: Nel XX secolo il Romanzo di formazione si trasforma e incontra un periodo di crisi. L'indagine sugli aspetti psicologici dei protagonisti si fa più complessa, mentre gli eventi politici e sociali impongono riflessioni più profonde sui rapporti tra il singolo e la società. Quello novecentesco preferisce dare una descrizione della realtà, delle sue contraddizioni, dell'Uomo e delle sue complessità compiendo una narrazione intima dei personaggi. Con il 900 e il crollo delle certezze cambia tutto: Quello di Joyce non è un Bildungsroman in quel senso, poiché è programmaticamente la storia di un fanciullo, a cui non ci introduce, che sin dall’infanzia cresce fino a diventare uno scrittore che trova se stesso, è un cammino tutto sommato con un finale positivo, ma ha all’interno una serie di passi che però non sono legati da un filo netto che porta verso uno scopo, ma sono episodi chiusi in se stessi senza la consapevolezza dell’eroe, bensì doloranti, dolorosi e dolenti, il personaggio è soffocato dalla crisi che attraversa e gli errori che commette, tanto che non si prospetta la luce verso il finale. Rivisitazione della ‘’forma’’ del Bildungsroman che riflette l’angoscia del 900, tutte le sue domande e drammi. Non si crede più nella teologia e non si sviluppa qualcosa di organico. Il personaggio si assesta alla fine ma senza provare di aver toccato quel senso aspirato. DEDALUS - RITRATTO DELL’ARTISTA DA GIOVANE (1916) L’opera ci conduce nel complesso mondo interiore di Stephen, che racchiude tra l’altro molti tratti della persona di James Joyce. Non è un’autobiografia, il personaggio ha forti tratti joyciani, ma è più fittizia. Con il cognome di Stephen, ‘’Dedalus’’, avviene la riattualizzazione della mitologia per la contemporaneità. La rassegna delle opere del ‘900 inizia con il Dedalus: è in questo romanzo che si può cogliere il teoretico-esemplificativo estetico di cui è circonfuso pienamente il personaggio. L’opera uscì tra il 1916 e il 1917 in Inghilterra e negli Stati Uniti; in Italia fu pubblicato nel 1933 nella traduzione di Cesare Pavese con la quale sviluppa la sua battaglia culturale di rinnovatore del panorama letterario. Non ebbe in Italia il successo meritato, poiché è un lavoro meta-letterario, più che un romanzo, cioè si occupa di spiegare cos’è l’arte della scrittura, più che raccontare e incalzare il lettore in avventurose e coinvolgenti vicende. TRAMA Si narra fino a 5 capitoli dei 63 previsti. Il primo capitolo è dedicato interamente all’infanzia di Stephen e traccia il suo ambiente familiare e scolastico. Il secondo capitolo tratta l’adolescenza in collegio, mentre il terzo si concentra sul giovane adulto che affronta una crisi spirituale e religiosa ai limiti del suicidio. Nei capitoli quattro e cinque, all’uscita dalla crisi, Dedalus prende una via dopo aver fatto pace con le contraddizioni e con il desiderio di scrivere e inizia a darsi fiducia per iniziare le prime prove di scrittura. Infine sarà già adulto e scrittore in Ulysses. Nella prima parte del romanzo racconta la sua infanzia che è fortemente segnata da tratti autobiografici di Joyce, dai primi giochi cresce dentro una famiglia borghese di buona cultura che decide di far educare in un collegio di gesuiti (autobiografia), il bambino è dispiaciuto, subisce un grande trauma a lasciare la protezione della casa. L’educazione impartita ai ragazzini piccoli è caratterizzata da un’enorme freddezza d’animo in cui lui cresce, con una sempre più lacerante nostalgia della casa (in cui torna un po’). La prima infanzia è segnata dal trauma e dal malessere. Questi anni segnano il giovane Dedalus, nel momento in cui esce e diventa un uomo con l’avvenire davanti-> si sente un’artista non sapendo però che mezzi espressivi utilizzare e cosa dire, ma la sua biografia giovanile prevede presto un’apertura verso tante possibilità creative e potenzialità letterarie. La parte successiva al collegio vede gli anni in cui il giovane cerca di trovare spazio per la sua arte in un futuro pensato diversamente per lui dalla sua famiglia. Ciò rimanda ad un conflitto generazionale. Si parla anche di letteratura e arte (una prima iniziazione alla letteratura, con tutti i suoi dubbi e le angosce iniziali) attraverso la biografia del giovane che vuole diventare un’artista. Il titolo ‘’artista da giovane’’ contiene qualcosa di profetico. La formazione di Stephen risulta estremamente dolorosa: nasce in un ambiente mai presentato, ma si tratta di un sobborgo residenziale altolocato alla periferia di Dublino. Lui vive in mezzo alla natura addomesticata. Tutte le percezioni vengono raccontate e trapassa tutto in maniera suggestiva. Il bambino si accorge di avere una posizione poco organica al gruppo di bambini, è un ‘’outcast, outsider’’ che si rende conto dell'isolamento da piccolo, non è integrato in un gruppo o alle caratteristiche di un leader, anzi risente dell'inferiorità, di essere strano agli occhi degli altri, è solo e non sa niente su di sé ed è costretto a decodificare la realtà circostante. I genitori sono distratti: il padre rincorre la borghesia e la madre è una religiosa accanita; un altro personaggio è Charles, zio o conoscente, che in realtà è la raffigurazione di un uomo politico del tempo estromesso dal parlamento, fa parte della famiglia allargata dove c’è anche una governante, ma sono tutti immersi in atmosfera religiosità molto forte. A 7 anni la sua è una visione oscura del mondo-> prova gradazioni della sofferenza (castighi). Lo salva quando è messo in contatto con un pensiero, un insegnamento, un libro, qualcosa che lo spinge ad andare avanti e capire, compensando la sua debolezza. La considerazione della vita fisica, sacrificata alla vita spirituale, lo porta a pensare di peccare sempre con una paura costante del peccato. In un episodio di coraggio inaspettato, sente la pace per un breve istante, quando dopo che un bambino in palestra gli ha rotto gli occhiali (lui non vede), lo spiega al padre insegnante e lui lo dispensa dai compiti per non sforzare la vista. Un giorno entra il prefetto del collegio, responsabile della condotta in classe, lo vede che non lavora e nonostante il padre gli spieghi di averlo esonerato, lui lo accusa di pigrizia e menzogna. Si fa carico di colpe con in seguito la punizione. Accusato di mentire quando non mente, a Stephen sale la rabbia per l'ingiustizia: quel pomeriggio va dal rettore, coraggioso, accusando il prefetto. cognome la tracotanza dell’antico Mito, ma nel nome di battesimo il vero destino dell’artista, il martirio: Stefano, protomartire ebreo di cultura ellenistica, fu lapidato e rappresenta per la comunità cattolica irlandese, a cui Joyce apparteneva, uno degli esempi più intensi della vocazione religiosa: così tra Dedalo e Stefano, Joyce costruisce l’exemplum dell’Artista che fa della Bellezza la sua ossessione, con la quale, a volte, riesce a “volare” tra le stelle. Le epifanie Con le epifanie, in Dubliners, lo sguardo si volge alla città d’origine e presenta un’umanità intrappolata. Si è incapaci di svolgere in modo decisivo, anche se il destino concede per istanti di vederne la possibilità in modo chiaro, poi tutto viene occultato dall’abitudine opprimente: accadono le cosiddette “epifanie”, l’evento significativo in un istante di verità resa accessibile al protagonista. Uno stato di paralisi perenne, lo definì lo stesso Joyce. Sono presenti anche in Dedalus: sono dei momenti in cui questo giovane artista riesce a togliersi di dosso tutti i legami e venire in diretto contatto con le realtà naturali che divengono la sua ispirazione, e di avere a questo momento di ispirazione la possibilità concreta di scrivere. (Dal capitolo 5, ‘’verso l’alba si svegliò’’, p. 263). Con ‘’patetico’’ indica ‘’pieno di pathos’’, emozioni. Parla di un istante che va via subito, ma è preciso, l’ispirazione, una forma indistinta nella nube. Villanella= piccolo poema semplice, riprende per statuto versi già detti in forma successiva. Il piacere fisico dal colore dell’alba, la luce, nella nube si concretizza una forma che scappa e ritorna, il cuore si è spezzato, ne scrive un pezzo, alla fine la poesia la scrive tutta. Viene ripartito in parti, ma c’è anche il racconto, per salvaguardare questo enorme talento lirico, inserendoli nel romanzo costruttivo. Fonde elementi lirici ed epici. Quando dopo aver studiato tanto inizia a scrivere, equilibra la necessaria definizione per scrivere all’esperienza mistica che non potrebbe esistere da sola, altrimenti sarebbe nulla. Questo lavoro richiede l'abbandono all’incoscienza naturale e anche coscienza di sé per cogliere la forma e trasformarla in versi: questo è il modo dell’epifania Joyce, legata però alla scrittura ed alle conoscenze diverse, che richiedono compresenza tra conscio e inconscio. Si tratta di un equilibrio fragilissimo, tutto sta in un momento. Modo Joyciano di elaborare dal punto di vista poetologico: certe forme eccelse di arte nascono nel momento in cui i grandi poli della mente si allineano per un lievissimo momento. Scrivere non è progettare in tutti i particolari, ma mantenere dentro di sé una predisposizione adatta per cogliere il momento. Sperimenta questo equilibrio capendo che non è un semplice abbandonarsi alla visione, ma c’è qualcosa che prende forma (il ritmo), e fruga per poterlo scrivere. Sono omenti intensi che riportano al principio lirico fondamentale, l’espressione del cuore, estroversione dell’anima senza particolare fine. Prospettiva di narratore: extradiegetico, totalmente esterno alla narrazione che non si fa sentire, un’istanza onnisciente che sa tutto e lo racconta in modalità decise da lui, onnisciente oltre ai fatti anche nella mente. Si viene a creare un patto di finzione autore-lettore, ci racconta proponendosi nella posizione di credibilità di conoscere tutta la storia e raccontarla a una persona che non sa, ovvero una gerarchia sa-non sa. Il bambino racconta in parte in prima persona e in parte no. Non è un monologo interiore compatto, dialogano tra loro le forme. La narrazione avviene in 3 persona, il narratore è esterno e onnisciente dal punto di vista formale senza mai romperlo, poi in certi momenti non si sa chi sia che parla: l’autore Joyce oppure il personaggio Dedalus, creando momenti di ambiguità. L’ambiguità è data dallo stile indiretto libero: questo discorso è uno stile misto, il cui maestro è Flaubert con l’opera Madame Bovary del 1860. Esempio: S pensò:<<partirò, farò molti viaggi, incontrerò molte persone…>>, il personaggio S è trattato da qualcuno in terza persona, un narratore alle spalle dice cosa pensa, mettendo le due virgolette, per dire in prima persona il contenuto del pensiero. Discorso diretto di narrazione in terza persona. S pensò: <<partirò.>> avrebbe fatto molti viaggi, avrebbe incontrato molte persone… Il discorso diretto si ferma e prosegue in altra maniera, nella prospettiva del narratore. La frase seguente è senza introduzione, senza soggetto e mostra segni di ambiguità, tanto che bisogna scegliere dentro un testo se a parlare sia S o l’autore. Questo è il discorso indiretto libero. Si tratta di una contaminazione (o continuazione del pensiero del personaggio, ma fatto in maniera ambigua). L’autore fa il possibile per portare in un punto sintatticamente più vicino possibile, il massimo punto di indistinzione: ciò rappresenta il modernismo che rivisita gli antichi modi di espressione con una riformulazione in modo tale che la percezione di concretezza e sicurezza vada perduta. Deve esserci un lavoro da parte del lettore, il quale deve accettare gli esperimenti. Altro esempio di frase principale che porta vicinissimi autore e personaggio: T non rispose. (Era ancora in tempo, poteva andarsene.): nessun segno che lo introduca come discorso. 1. IL SENSO: La fase iniziale è caratterizzata dalle prime, timide, acerbe domande e riflessioni sul significato delle cose, dei fatti, delle parole. La ricerca del senso è legata alla figura femminile, che ne fornisce la chiave interpretativa. Ma dall’esperienza dell’ingiustizia, della punizione, del dolore, dell’umiliazione scaturisce in Stephen la consapevolezza della propria dignità, dei propri diritti, iniquamente, brutalmente violati. Incapperà presto nelle punizioni corporali, tipiche di quei tempi e di quelle scuole, punizioni spesso ingiuste come quella subita per non aver potuto studiare a causa della rottura degli occhiali; ma Stephen, epico-eroico, diventato un collegiale, sottoposto a molestie dei compagni, che lo fanno cadere in una fontana melmosa e fredda con consequenziale malattia e incubi mortiferi da febbre, si ritrova con la sua prima vera ‘’conquista esistenziale’’: 2. IL PECCATO Dal rapporto di Stephen con la famiglia, l’amore e il sesso scaturiscono i temi «della notte, della brezza fragrante e del vergine splendore della luna. Un dolore indefinito era nascosto nei cuori dei protagonisti, mentre stavano in silenzio sotto gli alberi spogli, e quando era giunto il momento dell’addio, il bacio, rifiutato da uno, veniva dato da entrambi». Stephen vive in un’altra dimensione, la dimensione complessa e variopinta della propria interiorità, della propria individualità creativa. Oltretutto gli impulsi erotici, incontrollabili, indomabili lo assediano, sfociando nella pura depravazione, in fantasie orgiastiche che uccidono la poesia. Stephen prova a frenarli, a reprimerli, tentando, ma il tentativo fallisce ed egli torna a vagabondare senza meta per le più buie, strette, sporche e maleodoranti strade di Dublino, consumato dal desiderio e dalla lussuria. Momento critico della vita di Stephen: non riesce a domare gli istinti carnali che lo rodono nel profondo e lo dominano tutto, anima e corpo. La tensione psico-fisica accumulata da Stephen in questa seconda fase, complessa e ricca di sfumature, di spinte e contro-spinte, di pulsioni e ripulsioni, si scioglie nel bacio della giovane prostituta, ovvero nel peccato, inattesa fonte di pace. 3. L’ESPIAZIONE Dopo il peccato Stephen non prova rimorso, anzi, sente fluire dentro di sé una travolgente e impetuosa ondata di vitalità che si scioglie infine in una «pace misteriosa» tra corpo e anima. La devozione di Stephen scompare, abbandona la preghiera e sente che dal primo, violento peccato, scaturiscono tutti gli altri peccati capitali. Stephen è consapevole della propria caduta, ma non se ne cura, o meglio, non si affligge per essa. In questa fase uno dei padri vedendolo così religioso, gli chiede genericamente se non avesse considerato di diventare sacerdote. Si era già posto quella domanda e conosce la risposta: non è fatto per la vita ecclesiastica, per il peccato d’orgoglio, che avrebbe portato nella sua nuova vita. Ha già maturato tanti dubbi sulla religiosità personale, sentendosi così staccato dalla fede decide di abbandonare completamente questa condotta gesuita, e di rifare altro. Ancora non sa cosa, ma sa che la sua vera ragione dell’abbandono è che vuole coltivare il suo intelletto, di studiare (passione estrema, consapevole anche della propria identità intellettuale da ‘’eletti’’, dato il periodo) Lo stato di noncuranza non dura a lungo e il momento di svolta è rappresentato dal ritiro spirituale organizzato alla Belvedere School. Le fonti del discorso sono le visioni apocalittiche del giorno del giudizio (una visione post giudizio universale). In questa parte di testo sono evidenti le capacità lessicali di Joyce, scelte del lessico che rimandano agli scenari apocalittici, come il richiamo alla morte reso forte rimandando ai cinque sensi. Il coltello del predicatore affonda spietato nella coscienza del giovane protagonista che sente l’anima «incancrenita nel peccato». E’ tormentato dai peccati commessi.
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