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Kant - Biografia e Pensiero, Appunti di Filosofia

Appunti schematici ed ordinati, accuratamente suddivisi in paragrafi e sottoparagrafi e corredati da porzioni evidenziate, riguardo alla vita ed il pensiero di Immanuel Kant.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 03/02/2021

heykai
heykai 🇮🇹

4.5

(2)

10 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Kant - Biografia e Pensiero e più Appunti in PDF di Filosofia solo su Docsity! Kant Biografia Immanuel Kant nacque nel 1724 a Konigsberg, piccolo paese della Prussia orientale dove trascorse la quasi totalità della sua vita in maniera abitudinaria e senza eventi particolarmente significativi. La sua formazione ebbe inizio presso il Collegium Fredericianum nel 1732, il cui direttore era al tempo il filosofo connazionale Schulze, per poi proseguire invece nella Università Albertina della medesima cittadina. I suoi interessi intellettuali si indirizzarono inizialmente all’ambito scientifico, in particolare abbastanza nota è una sua teoria cosmologica successivamente ripresa dal matematico francese Pierre Simon Laplace e per questo motivo nota come Teoria Kant-Laplace: secondo la stessa l’universo avrebbe avuto origine da una nebulosa attraverso l’azione di particolari forze naturali, fornendo quindi una spiegazione meccanicistica ed escludendo quindi l’intervento di Dio e la presenza di cause finali nella creazione. All’interesse scientifico fece poi seguito quello di carattere filosofico. Il filosofo di Konigsberg aveva infatti dato origine ad un nuovo sistema di pensiero noto come Criticismo, facente parte della corrente filosofica moderna come sappiamo caratterizzata dall’antropocentrismo. Kant riprende nelle sue riflessioni la centralità umana, ma fa ciò attraverso una prospettiva diversa. La filosofia dell’età moderna era stata infatti caratterizzata dalla contemporanea ed opposta diffusione di due correnti di pensiero opposte: il razionalismo, fondato su un sistema dogmatico in cui la conoscenza deriva dalla ragione e dal possesso di idee innate, e l’empirismo, che reputava la mente umana paragonabile ad un “foglio bianco” e che ritiene perciò che il sapere abbia necessariamente origine dall’esperienza e che la razionalità intervenga perciò in un secondo momento. Sappiamo però che durante l’Illuminismo l’importanza della ragione venne fortemente rivalutata. Il fondatore del Criticismo può essere in questo senso considerato figlio dell’Illuminismo, tuttavia supera comunque le istanze di quest’ultimo anticipando invece i temi del Romanticismo. L’obiettivo che Kant si pose era quello di sottoporre al tribunale della ragione la ragione stessa, ovvero stabilire le possibilità e i limiti della medesima distaccandosi sia dal dogmatismo razionalista che dallo strumentalismo empirista. L’opera che segna il passaggio dal periodo pre-critico a quello critico è la Dissertazione del 1770, più propriamente intitolata Sulla forma e i principi del mondo sensibile e intelligibile, preparata per partecipare ad un concorso ordinario che gli permise di diventare professore, in quanto fino a quell’anno egli aveva invece svolto la professione di libero docente direttamente retribuito dai suoi studenti. Negli anni avvenire, oltre alla Dissertazione, compone numerosi scritti tra cui la Fondazione della metafisica dei costumi [1785]. Nel 1781 venne però pubblicata quella che è ormai universalmente considerata l’opera magna di Kant: la Critica della ragion pura, orientata al problema della conoscenza, la cui prima edizione ebbe tuttavia scarso successo, inducendo il filosofo a rilasciare, sei anni dopo, una seconda edizione di carattere divulgativo che riscosse invece maggiore interesse. Negli anni successivi redasse poi altri due scritti, similmente intitolati Critica della ragion pratica [1788] e Critica della Giudizio [1790], all’interno delle quali si occupa rispettivamente della problematica morale (affrontata nell’opera del 1785 e poi ripresa nella Metafisica dei costumi [1797]) e della questione estetica. Secondo Kant la filosofia deve affrontare tre problematiche: - Che cosa può conoscere l’uomo? affrontata nella Critica della ragion pura - Che cosa deve fare l’uomo? affrontata nella Critica della ragion pratica - In che cosa può sperare l’uomo? affrontata nella Critica del Giudizio È importante notare come la prospettiva del filosofo si modifichi nel corso del tempo: se nella prima opera egli tratta infatti della realtà con approccio meccanicistico, nell’ultima egli affronta la stessa in maniera quasi finalistica, andando alla ricerca di un senso. Kant visse durante il governo prussiano di Federico II, sovrano illuminato amante e promotore della cultura presso il quale godeva peraltro di grande stima; la situazione tuttavia mutò con il suo successore, Federico Gugliemo II, con cui entrò in contrasto a causa di motivazioni religiose esposte dal filosofo ne La religione entro i limiti della sola ragione [1793] e che porteranno Kant a ritirarsi in solitudine dedicandosi ai suoi ultimi scritti. Immanuel Kant morì a Konigsberg nel 1804, venendo poi seppellito nella cattedrale della sua cittadina. Il Pensiero Introduzione: la fondazione del sapere Si dice che Kant abbia attuato in ambito filosofico una vera e propria Rivoluzione Copernicana: al pari di quanto aveva fatto l’omonimo astronomo ponendo il sole al centro dell’universo al posto della Terra, allo stesso mondo il filosofo riteneva che in ambito conoscitivo dovesse essere fulcro centrale non la realtà da conoscere, ma l’uomo stesso rivalutandone l’importanza. A questo proposito egli affermò peraltro che tutti gli uomini possiedano le medesime strutture conoscitive e che di conseguenza agli stessi la realtà appaia allo stesso modo, come se tutti indossassero delle lenti colorate di un unico colore: conseguentemente la realtà è come appare all’uomo, tuttavia egli non può conoscere tutto. Proprio in questo ambito è necessario compiere una precisazione, in quanto nella Dissertazione il filosofo aveva distinto contenuto e forma: - Il contenuto derivante dalla realtà esterna - La forma derivante invece dalle strutture percettive del soggetto Nella stessa opera egli aveva poi per altro attuato un’ulteriore ripartizione fra conoscenza fenomenica e conoscenza noumenica: la prima deriva da ciò che appare (fenomeno) ed è conoscibile dall’uomo, mentre la seconda va oltre l’apparenza o fenomeno. In particolare nella Dissertazione del 1770 Kant aveva affermato che l’uomo potesse conoscere il noumeno, mentre successivamente nella Critica della ragion pura negherà questa sua constatazione, in quanto lo stesso costituisce un’incognita sconosciuta spesso indicata come «cosa-in-sé». In particolare il fenomeno è conosciuto dalla matematica e dalla fisica (quindi dalle scienze), mentre il noumeno non può essere conosciuto, ma è oggetto di indagine della metafisica (non scienza): proprio qui risiede una differenza tra il filosofo e gli Illuministi, in quanto questi ultimi avevano messo al bando la metafisica mentre Kant ne recupera l’importanza dichiarandosene però un «innamorato deluso» poiché a differenza delle altre scienze non si è stati in grado, nel corso degli anni, di giungere ad una visione univoca. Kant va poi a rivedere le istanze del razionalismo e dell’empirismo, conferendo a Hume il merito di averlo risvegliato dal «sonno dogmatico» che la sua iniziale formazione razionalista gli aveva impartito. In particolare, per ogni categoria c’è uno schema trascendentale. È proprio in tale ambito che è inoltre evidente il superamento dell’empirismo da parte di Kant: se Locke aveva infatti criticato la causalità affermando che la stessa non consentisse all’uomo di conoscere le cose così come sono mentre Hume riteneva che avesse origine dall’abitudine, il filosofo di Konigsberg afferma invece che la causalità abbia valore scientifico in quanto forma a priori e categoria. Consegue in conclusione che la fisica, seguendo il principio di causalità, sia una scienza poiché anch’essa produce giudizi sintetici a priori, consentendo all’uomo di divenire «legislatore della natura». Dialettica trascendentale In questa sezione Kant prende in considerazione la ragione, separata dall’intelletto, che secondo lui pretende di andare oltre il fenomeno per poter conoscere il noumeno (o cosa-in-sé): quest’ultimo nella filosofia critica possiede sia una valenza negativa, in quanto limite della conoscenza umana, che positiva poiché costituisce un incentivo per l’uomo a superare i propri limiti. Metaforicamente nell’opera la conoscenza viene paragonata ad un’isola: l’uomo può conoscere tutti gli angoli e le caratteristiche dell’isola, ovvero il fenomeno, ma gli è invece sconosciuto l’immenso mare che la circonda, ovvero il noumeno. Proprio perché la ragione pretende di conoscere la realtà nella sua totalità, essa ha dato origine a tre discipline, di cui parlò Wolff: 1. la psicologia razionale 2. la cosmologia razionale 3. la teologia razionale 1. La psicologia razionale vuole conoscere la totalità dei fenomeni interni e si occupa dell’idea di Io. Secondo Kant essa non è scienza, in quanto si basa su un paralogismo (falso ragionamento) ovvero considerare l’Io Penso come anima vivificatrice e sostanza, nonostante esso sia per definizione unicamente una funzione conoscitiva. 2. La cosmologia razionale vuole studiare la totalità dei fenomeni esterni e si occupa perciò dell’idea di mondo, ma nel voler indagare sullo stesso cade in delle antinomie (contraddizioni) ovvero la formulazione di una tesi ed un’antitesi opposte ma entrambe dimostrabili, e quindi vere. Conseguentemente la cosmologia razionale non è scienza. 3. La totalità per eccellenza è l’idea di Dio, di cui si occupa la teologia razionale. Quest’ultima si basa su alcune prove sviluppate nel corso dei secoli: • la prova ontologica (a priori) • la prova cosmologica (a posteriori) • la prova fisico teleologica (a posteriori) La prova ontologica, elaborata da Anselmo d’Aosta e ripresa da Cartesio, afferma che Dio è un essere perfetto ed in quanto tale non può mancare dell’attributo dell’esistenza. Kant confuta però questa prova affermando che l’esistenza non è un concetto logico, bensì empirico poiché è necessario farne esperienza, non potendo perciò fare esperienza di Dio tale prova risulta non valida. La prova cosmologica, elaborata a partire da una delle cinque vie di San Tommaso d’Aquino, afferma che per tutto ciò che esiste vi è una causa e che, non potendo regredire di causa in causa all’infinito, è necessario ammettere l’esistenza di una causa prima incausata, cioè Dio. Secondo Kant invece tale argomentazione non è valida per dimostrare l’esistenza di Dio, in quanto la causa del mondo potrebbe non essere necessariamente Dio, ma anche la scienza stessa. La prova fisico-teleologica sostiene che, possedendo la natura un ordine perfetto, tale ordine deve essere necessariamente essergli dato da qualcuno che è Dio, in quanto perfetto. Anche in questo caso Kant muove un’obiezione, in quanto afferma che la prova è insufficiente a dimostrare l’esistenza di Dio in quanto l’ordine stesso potrebbe essere intrinseco alla natura, od al limite dimostrare l’esistenza di un «architetto del mondo». In conclusione, volendo la metafisica occuparsi del noumeno (costituito per l’appunto da Io, Mondo e Dio) essa non è scienza, poiché su questi argomenti possono esserci tante tesi così come tante antitesi che non consentono di giungere ad un punto di vista univoco. Le tre idee hanno quindi solamente una funzione regolativa, che consente all’uomo solamente di discutere su di esse. La Critica della ragion pratica La Critica della ragion pratica si occupa del problema etico. Il sottotitolo dell’opera recita «Critica della ragion pura pratica», un’espressione apparentemente ossimorica che va però ad esplicitare il proposito di Kant: studiare la ragione pratica nella sua purezza, cioè prescindendo dall’esperienza. Il filosofo di Konigsberg era infatti convinto che nella coscienza dell’uomo esista una legge morale. Si evince quindi l’obiettivo ultimo dell’opera: il fondamento della morale, e non la sua creazione in quanto insita nell’uomo stesso, similmente a quanto fatto con la conoscenza nella Critica della ragion pura. Secondo Kant, il fondamento della morale è la ragione umana, conseguentemente la stessa è: - universale, poiché tutti gli uomini sono dotati di ragione - incondizionata o autonoma, poiché fondata unicamente sulla ragione e quindi non condizionata da circostanze esterne, ovvero dall’esperienza - formale, poiché non si occupa di stabilire dei contenuti, ma unicamente la forma Massime e imperativi Il pensiero kantiano ritiene che gli uomini agiscano su spinta di massime e imperativi: le prime di valore sempre soggettivo, i secondi invece di valore oggettivo ma suddivisi in ipotetici e categorici. - Gli imperativi ipotetici assumono la forma «se...allora devi...» - Gli imperativi categorici assumono la forma del «devi puro» Conseguentemente, secondo Kant, è solamente l’imperativo categorico ad essere autenticamente morale perché non risulta essere condizionato da nulla, prescrivendo unicamente il dovere. Il filosofo di Konigsberg fornisce, riguardo agli imperativi categorici, tre formulazioni: la prima contenuta nella Critica della ragion pratica, le altre due invece redatte all’interno della Fondazione della metafisica dei costumi. - La prima formula afferma che l’uomo debba agire osservando una legislazione universale - La seconda formula prescrive all’uomo di considerare l’umanità insita in sé e negli altri uomini sempre come fine, e mai come mezzo prevedendo quindi il rispetto di sé stessi e degli altri - La terza formula afferma che la volontà deve agire non come se si sottomettesse ad una legge esterna, ma come se svolgesse invece una funzione autolegislativa, in quanto l’uomo deve sottostare a tale legge che però non è imposta dall’esterno bensì proveniente dalla propria ragione. Sensibilità e ragione La legge morale di Kant appare però di difficile attuazione, a causa della natura umana. L’uomo possiede difatti, come sappiamo, una duplice natura razionale e sensibile che regola il suo comportamento: la sensibilità, nella forma di istinti e passioni, non può però essere sempre controllata dalla ragione. La morale kantiana conseguentemente presuppone un ferreo controllo della dimensione sensibile. Colui che riesce a portare a compimento tale controllo, raggiunge uno stato che il filosofo definisce di santità in cui si mettono quindi completamente a tacere gli istinti, rendendosi degno del sommo bene ovvero l’unione di virtù e felicità. Tuttavia Kant successivamente precisa che nessun uomo sia in grado di arrivare a tale condizione, poiché, per quanto ci si possa sforzare, non è possibile mettere totalmente a tacere la sensibilità. Colui che invece in parte sacrifica le passioni sensibili, può essere considerato virtuoso ma non felice, in quanto l’acquisizione della virtù comporta dei sacrifici. In conclusione Kant distinse quindi fra sommo bene e bene, che tuttavia non può essere raggiunto attraverso l’osservanza di quelle morali eteronome che il filosofo criticò fortemente: Le morali eteronome sono tutte le concezioni etiche che non si fondano sulla ragione, ma su altri moventi (ad esempio il piacere, il sentimento o l’utilitarismo) che però, sempre secondo il filosofo, non rendono l’uomo virtuoso. La morale dell’intenzione Per parlare di morale è necessario però considerare l’uomo come essere libero: se egli non fosse infatti libero di scegliere, non avrebbe in alcun modo senso parlare di morale poiché tutto sarebbe già predeterminato in maniera meccanicistica, presupposto valido in ambito gnoseologico ma non etico. La libertà è quindi il postulato fondamentale della morale. La morale kantiana viene anche definita «morale dell’intenzione» poiché Kant distinse tra moralità e legalità, differenziate l’una dall’altra proprio sulla base dell’intenzione dell’individuo: la prima richiede unicamente un’ottemperanza esteriore del dovere, l’altra invece interiore. Antinomie e postulati In un secondo momento, Kant affermò che il fatto che l’uomo virtuoso non sempre sia felice vada a costituire un’antinomia, ovvero una contraddizione della morale stessa; egli quindi si propone di sciogliere tale discordanza attraverso la formulazione di due postulati: quelli dell’immortalità dell’anima e dell’esistenza di Dio. - Kant ammette l’immortalità dell’anima per esigenza pratica, in questo modo infatti l’anima umana ha un tempo infinito per migliorarsi, ovvero per raggiungere quello stato di santità che gli consente di godere del sommo bene e a cui invece non può arrivare sulla Terra. Il raggiungimento dello stato di santità rende però l’uomo unicamente degno di raggiungere il sommo bene, ma non gli conferisce la certezza di ottenerlo, per questo motivo subentra il secondo postulato: - Kant ammette l’esistenza di Dio in quanto quest’ultimo, per definizione, è buono e conseguentemente premia coloro che sono degni del sommo bene. Bisogna tener conto che questi due postulati non hanno valore conoscitivo, ma solo pratico, non portando quindi in contraddizione la prima e la seconda opera.
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