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L.241 90-commentata da stampare, Sintesi del corso di Diritto Amministrativo

legge 241 1990 commentata! ottima per l'esame

Tipologia: Sintesi del corso

2011/2012
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fedeunicz88
fedeunicz88 🇮🇹

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Scarica L.241 90-commentata da stampare e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! LEGGE 7 agosto 1990, n. 241 Capo I Principi Articolo 1. (Principi generali dell'attività amministrativa) 1. L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell'ordinamento comunitario. (comma così modificato dall'articolo 1, comma 1, legge n. 15 del 2005 poi dall'articolo 7, comma 1, legge n. 69 del 2009) 1-bis. La pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente. (comma introdotto dall'articolo 1, comma 1, lettera b), legge n. 15 del 2005) 1-ter. I soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei princípi di cui al comma 1. (comma introdotto dall'articolo 1, comma 1, lettera b), legge n. 15 del 2005) 2. La pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria. L’art. 1 sancisce regole generali valide per tutti i procedimenti amministrativi. L’art. 1, co. 1° ci ricorda che l’attività amministrativa è un’attività funzionalizzata (attività finalizzata, a differenza dell’attività privata che non lo è), deve cioè sempre perseguire il fine pubblico: “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge”. La prima regola generale dell’azione amministrativa è costituita quindi dal principio di legalità, per il quale l’attività amministrativa deve perseguire i fini dettati dalla legge. In realtà è già connaturato alla natura pubblica della P.A. l’obbligo di perseguire tale finalità, rimanendo alla pubblica amministrazione solo la scelta sulle concrete modalità attuative. Gli altri criteri cui la pubblica amministrazione deve ispirarsi nell’esercizio delle sue attività sono quello dell’economicità, dell’efficacia, dell'imparzialità, della pubblicità e della trasparenza. Il criterio dell’economicità impone alla P.A. la realizzazione del massimo risultato in relazione ai mezzi a sua disposizione, ossia il conseguimento degli obiettivi legislativamente statuiti con il minor dispendio di mezzi e di strumenti, quindi attraverso un utilizzo ottimale delle risorse. E’ da sottolineare il fatto che l’amministrazione non ha come finalità la realizzazione di un freddo profitto, così come avviene nelle imprese private, bensì di un fine pubblico (tutela di un interesse pubblico). Il principio di economicità inteso in questo senso assume concretamente dei caratteri diversi dal principio di economicità finalizzato gelidamente al profitto. Perciò, secondo Pubusa sono da respingere in quanto integraliste e acritiche le posizioni di chi ritiene che per far funzionare al meglio la P.A. si debbano mutuare modelli privatistici. Questo criterio costituisce un’articolazione del principio costituzionale di buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 cost.). Mentre il principio di economicità individua il rapporto tra risorse impiegate e risultati ottenuti, il principio di efficacia indica il rapporto tra risultati ottenuti e obiettivi prestabiliti. Efficacia significa che l’attività deve essere orientata a raggiungere nel miglior modo possibile, le finalità pubbliche a cui è preordinata: ciò comporta che l’organizzazione o l’attività si svolga pensando al destinatario dell’attività o della prestazione, cioè pensando al cittadino. Anche il principio di efficacia, come quello di economicità, costituisce un’articolazione, in un’ottica spiccatamente privatistica e manageriale del principio di buon andamento dell’amministrazione. La lettera a) del comma 1 dell'articolo 7 della Legge 69 del 2009 introduce il criterio di imparzialità fra i principi generali dell'attività amministrativa. Tale principio afferma il dovere dell'amministrazione di non discriminare la posizione dei soggetti coinvolti dalla sua azione nel perseguimento degli interessi affidati alla sua cura e di non abusare della propria posizione quando entra in contatto con soggetti terzi. La pubblicità rappresenta uno strumento di attuazione del principio della trasparenza ed impone alla P.A. di rendere accessibili agli interessati notizie e documenti concernenti l’operato dei pubblici poteri. Con la legge 241 la pubblicità diviene la regola, mentre la segretezza viene relegata al ruolo di eccezione. La pubblicità è un carattere che costituisce conseguenza diretta della natura pubblica dell’amministrazione. Nemmeno l’avvento della legge sulla privacy del 1996 ha limitato la portata di questo principio. Ai criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità che in via generale devono informare l’attività amministrativa viene aggiunto (dalla novella del 2005) quello della trasparenza, prima richiamato dall’art. 22 in materia di accesso. Il principio di trasparenza ridefinisce il rapporto tra amministratori e amministrati e si concretizza nel diritto riconosciuto ai cittadini di esercitare un controllo sullo svolgimento dell’attività amministrativa al fine di verificarne e assicurarne la conformità agli interessi sociali ed ai precetti costituzionali. Il diritto di accesso non è però il solo mezzo che garantisce la trasparenza dell’azione amministrativa, anzi non sarebbe di per sé sufficiente ad assicurare la pienezza del controllo democratico cui è diretto, se non vi fossero altri strumenti quali la partecipazione dei soggetti privati al procedimento, cui è dedicato il capo III della novellata 241, e l’obbligo della motivazione in capo all’amministrazione. Dunque il criterio della trasparenza si pone come norma generale sull’azione amministrativa. Fondamentali articolazioni del principio di trasparenza, anch’esse soddisfatte dalla L.241/1990, sono: • l’obbligatorietà della motivazione del provvedimento amministrativo (art.3, L.241/1990), con conseguente possibilità del privato di controllare l’esattezza dell’operato della P.A.; • il diritto dei privati di partecipare attivamente al procedimento amministrativo, così da controllare dall’interno lo sviluppo dell’azione dei pubblici poteri (cd. principio del giusto procedimento: art.7 L.241/1990). Pubblicità e trasparenza sono principi che discendono direttamente dal principio di democraticità dell’ordinamento. L’art.1, nelle modifiche apportate dalla L.15/2005, introduce, al primo comma, ultima parte, il richiamo al rispetto dei “principi dell’ordinamento comunitario”, presa d’atto assolutamente doverosa che rinvia ad una fonte del diritto comunitario, che trae origine dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. Il rispetto dell’ordinamento comunitario è già sancito nell’art. 117, co. 1° cost. novellato, laddove si precisa che esso è un vincolo alla potestà legislativa dello stato e delle regioni. I principi dell’ordinamento comunitario, quali elaborati da una ormai cospicua giurisprudenza della Corte di giustizia, sulla base delle tradizioni giuridiche comuni degli Stati membri, reggono l’esercizio dell’attività amministrativa da parte degli organi e degli uffici dell’Unione Europea, nonché delle Amministrazioni nazionali, quando agiscono in applicazione di normative comunitarie. Si tratta di principi che incidono sulla legislazione e, quindi, sull’azione amministrativa degli Stati membri. Fra i principi comunitari rilevano in particolare: il principio di certezza del diritto, il principio del legittimo affidamento, il principio di proporzionalità, il principio del giusto procedimento, il principio di buona amministrazione. Altro principio che viene introdotto all’art.1 è quello secondo cui l’amministrazione “nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato”. L’amministrazione può agire attraverso gli strumenti di diritto comune (iure privatorum) qualora ponga in essere atti di natura non autoritativa, quindi negozi giuridici o contratti, ecc. e si pone in una posizione di parità con il contraente. Si opera una distinzione tra attività di diritto pubblico e attività di diritto privato della P.A. Ad una prima lettura sembrerebbe trattarsi di una disposizione fortemente innovativa, perché da un lato recepisce a livello normativo generale la distinzione tra atti a contenuto autoritativo e a contenuto non autoritativo e dall’altro sottopone l’azione amministrativa alle regole del diritto privato ogni qual volta essa non agisce nell’esercizio di potestà pubbliche. In effetti, a ben guardare, salvo che sia la legge a disciplinare in via speciale ipotesi del secondo tipo, non pare che la disposizione abbia un concreto e sostanziale contenuto innovatore, visto che già in precedenza ai rapporti tra amministrazione e amministrati in cui la prima non agisce in via autoritativa sono applicate le norme di diritto privato. E’ la stessa corte costituzionale che ha distinto tra esercizio del potere autoritativo e adozione degli strumenti negoziali da parte dell’amministrazione. La disposizione ha più natura enfatica, che portata reale. Anche i “soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative” sono tenuti al rispetto dei principi stabiliti dall’art.1 della l. 241/1990. La disposizione prevede che vi siano dei soggetti privati che esercitano poteri pubblici. E’ questo l’ulteriore principio fissato dal comma 1/ter, introdotto dalla L.15/2005. La disposizione è solo apparentemente chiara. Se da un lato non può che riferirsi a quelle attività che hanno rilievo pubblicistico, dall’altro non fornisce alcun criterio con riferimento alle ipotesi, sempre più frequenti, in cui è difficile distinguere tra attività di carattere imprenditoriale ed attività che siano espressione dell’esercizio di potere pubblicistico. Il principio va letto come limite ai processi di privatizzazione, nel senso che l’attribuzione a privati dello svolgimento di servizi, compiti ed attività di interesse pubblico, non può non comportare il loro assoggettamento alle regole dell’azione amministrativa. La mancata emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale (comma 9). Nel nuovo testo dell’art. 2 della legge n. 241/1990 sul procedimento amministrativo tra le novità di maggior rilievo si segnalano: 1) La revisione dei termini per la conclusione del procedimento In particolare la nuova disciplina sui termini del procedimento è la seguente: - fino al 4 Luglio 2010 (un anno dall’entrata in vigore della legge) il termine di conclusione del procedimento é fissato in 90 giorni, in assenza di appositi regolamenti; - fino al 4 Luglio 2010 occorre stabilire con appositi regolamenti i termini di durata dei procedimenti amministrativi; in particolare, in base ai regolamenti, il termine generale di conclusione del procedimento é ridotto da 90 a 30 giorni; per alcuni provvedimenti sono individuati termini comunque non superiori a 90 o 180 giorni; sono fatte salve le disposizioni di legge che prevedono un termine diverso; - dopo il 4 Luglio 2010 senza che i termini siano fissati si applica il termine generale di 30 gg. 2) La modifica della disciplina sulla sospensione dei termini per l’acquisizione d’informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni, In particolare, a seguito delle modifiche apportate alla L. n. 241/1990 per l’acquisizione d’informazioni o di certificazioni relative a fatte, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni, i termini possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni. In confronto alla disciplina previgente é stata quindi inserita la nuova regola della sospensione del termine per un periodo non superiore a trenta giorni. Le norme sulla sospensione dei termini procedimentali si devono coordinare: a) con l’obbligo d’integrazione e completamento delle istanze (art. 6, lett. B L. n. 241/1990 ); b) con la disciplina ex. art. 16 e 17 della L. n. 241/1990 in materia di pareri istruttori e valutazioni tecniche; in particolare il comma 7 dell’art. 2 fa salvo quanto previsto dall’articolo 17 in merito ai termini per l’adozione di un provvedimento per il quale debbano essere preventivamente acquisite, per disposizione espressa di legge o di regolamento, le valutazioni tecniche di organi o enti appositi; in dottrina si ritiene che quel “fatto salvo quanto previsto dall'art.17,” vada inteso nel senso che la richiesta delle valutazioni tecniche abbia efficacia solo sospensiva e non anche interruttiva del termine del procedimento principale il quale, pertanto, riprenderà a decorrere, e non ricomincerà, dall'acquisizione delle medesime. Secondo la dottrina, inoltre, ai fini della legittimità dell'indicata sospensione, sarà opportuno dimostrare di aver tentato con esito negativo l'applicazione dell'art. 43 del Testo Unico sulla documentazione amministrativa, che dispone che, per l'accesso diretto ai propri archivi, l'amministrazione certificante rilascia all'amministrazione procedente apposita autorizzazione, in cui vengono indicati i limiti e le condizioni di accesso. Le amministrazioni procedenti, dunque, per accelerare le proprie istruttorie debbono chiedere tali autorizzazioni almeno alle amministrazioni certificanti con cui si rapportano con maggiore frequenza. Se, infatti, l'amministrazione neppure ha tentato di conseguire tale accesso diretto, potrebbe sostenersi l'illegittimità della conseguente sospensione procedimentale e l'imputabilità a colpa dell'amministrazione della tardiva conclusione del procedimento per aver omesso l'utilizzazione di ogni strumento di accelerazione e semplificazione a sua disposizione. 3) La previsione legislativa espressa del risarcimento del danno da ritardo. Con la novella della legge n.241/1990 il legislatore ha posto espressamente a carico delle pubbliche amministrazioni il risarcimento del danno da ritardo, stabilendo, ex. art. 2 bis, che (I comma) “le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’art- 1 comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento” ( II comma) “le controversie relative all’applicazione del presente articolo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni”. Articolo 2-bis. (Conseguenze per il ritardo dell'amministrazione nella conclusione del procedimento) (articolo introdotto dall'articolo 7, comma 1, legge n. 69 del 2009) 1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all'articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. 2. [Le controversie relative all'applicazione del presente articolo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni.] (comma abrogato dall'Allegato 4, articolo 4, del decreto legislativo n. 104 del 2010) Le modifiche contemplano forme di responsabilità in caso di mancata emanazione del provvedimento o mancato rispetto del termine per la conclusione del procedimento. La legge 69/2009 disponeva al comma 2 la competenza del g.a. in materia di controversie tendenti al risarcimento del danno ingiusto a causa dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. Come precisato all’art. 2 –bis della L. n. 241/1990, introdotto dalla L. n. 69/2009, il diritto al risarcimento del danno ingiusto si prescrive in cinque anni e le controversie in materia sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. E’ importante rilevare come il rispetto dei tempi del procedimento, comunque essi siano fissati, rappresenta un importante incentivo al miglioramento dell’efficienza della pubblica amministrazione, divenendo anche elemento di valutazione dei dirigenti. Nella stessa ottica di efficientismo, si colloca il nuovo art. 2bis della L.241/1990. Tale disposizione, infatti, ha previsto in capo alla pubblica amministrazione una responsabilità per l’ipotesi di inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. Preliminarmente, si deve osservare che la previsione si applica sia alle pubbliche amministrazioni che ai soggetti di cui all’art.1, comma 1ter, della L.241/1990, ossia ai privati preposti all’esercizio di attività amministrativa: costoro, infatti sono i soggetti obbligati a risarcire coloro che hanno subito un danno ingiusto in conseguenza della inosservanza del termine. Circoscritto l’ambito soggettivo di applicazione,la norma, nel merito, stabilisce l’obbligo di risarcimento del «danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento» e che le relative controversie «sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni». Al di là di ogni possibile (prematura) considerazione sulle conseguenze applicative della norma, di sicuro rilievo è il richiamo dell’elemento psicologico (inosservanza dolosa o colposa) legato alla violazione del termine del termine: tale previsione è, prevedibilmente in grado di condizionare l’applicazione dell’articolo in questione in quanto il relativo onere della prova, in sede processuale, non è di facile soluzione, anche considerando le peculiarità dell’apparato amministrativo pubblico. Articolo 3. (Motivazione del provvedimento) (Rubrica aggiunta dalla Legge 11 febbraio 2005, n.15) 1. Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria. 2. La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale. 3. Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l'atto cui essa si richiama. 4. In ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere. L’art. 3 impone l’obbligo generale di motivazione del provvedimento amministrativo, cioè vi dev’essere una parte del provvedimento che enuncia l’iter logico seguito dall’amministrazione nell’emanazione dell’atto. Mentre prima dell’intervento della L.241/1990 non esisteva alcuna norma che sancisse in via generale l’obbligo di motivazione, l’art. 3, in ossequio al principio di trasparenza, ha sancito che ogni provvedimento amministrativo (compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale) deve essere motivato, ad eccezione degli atti normativi e di quelli a contenuto generale, che sono considerati a motivazione libera. Tradizionalmente la motivazione del provvedimento amministrativo che ha natura vincolata assume la denominazione di “giustificazione”; questa non riflette apprezzamenti della P.A. suscettivi di varia opinabilità, ma semplici fatti puntuali che, una volta accertati dall’organo amministrativo, conducono inesorabilmente lo stesso ad assumere una data statuizione predeterminata dalla legge. La mancanza di motivazione, l’insufficienza della stessa, la non indicazione e la mancata messa a disposizione dell’atto da cui risultano le ragioni della decisione costituiscono vizi di legittimità ed in particolare identificano il vizio di violazione di legge, laddove l’illogicità o la contraddittorietà della motivazione vengono fatti risalire invece al vizio di eccesso di potere. L’art. 3 della stessa L.241/1990, notoriamente, consacra l’obbligo della P.A. di motivare i propri provvedimenti. La motivazione del provvedimento di cui parla l’art. 3 della legge (da non confondere ovviamente con i motivi che legittimano sul piano sostanziale la statuizione assunta col provvedimento stesso) si concreta in un requisito attinente alla modalità con cui la volontà provvedimentale dev’essere esternata. La sua funzione giuridica è, secondo migliore dottrina e consolidata giurisprudenza, quella di permettere un controllo di logicità e di complessiva correttezza della decisione provvedimentale; beneficiari del controllo sono, in primis, coloro che da tale decisione abbiano subito un pregiudizio (e che potrebbero perciò avere interesse ad impugnare il provvedimento se illegittimo) e, in secondo luogo, il giudice adìto con l’eventuale impugnazione (ha invece valenza scolastica l’ulteriore finalità della motivazione che viene rinvenuta nell’esigenza di consentire il controllo pubblico sull’agire della P.A., visto che proprio la L.241/90 esclude l’obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi a contenuto generale, che sono proprio quelli in rapporto ai quali tale scopo si porrebbe in modo indefettibile). L’obbligo della motivazione si traduce, in sostanza, nell’onere della P.A. di riprodurre nel provvedimento amministrativo (o in altro documento accessibile all’interessato) le situazioni di fatto e le prospettazioni ideologico-concettuali che hanno influito sulla particolare decisione assunta dalla P.A. a conclusione del procedimento amministrativo. Secondo Pubusa, la motivazione è la spiegazione dell’esercizio del potere: quindi, deve dare conto dell’esercizio concreto del potere in relazione ai fatti risultanti dall’istruttoria e deve contenere la spiegazione alla luce del quadro normativo applicabile alla situazione, deve dare conto sia della situazione di fatto che della situazione di diritto, quale risulta dall’istruttoria. Attraverso la motivazione può esercitarsi un sindacato, un controllo dell’attività amministrativa e quindi della decisione, da parte dei soggetti interessati e da parte del giudice laddove il provvedimento venga impugnato. Come si può notare, istruttoria, decisione e motivazione sono strettamente collegati e consentono un controllo generale da parte della collettività sull’esercizio delle funzioni pubbliche, ma consentono poi più specificamente un controllo da parte dei soggetti, destinatari del provvedimento. Articolo 3-bis. (Uso della telematica) (Articolo aggiunto dalla Legge 11 febbraio 2005, n.15) 1. Per conseguire maggiore efficienza nella loro attività, le amministrazioni pubbliche incentivano l'uso della telematica, nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati. Con la L.15/2005 il legislatore ha inserito nel Capo I della L.241/1990, l’art.3bis che, nel segno di una maggiore efficienza della P.A. introduce formalmente il principio dell’informatizzazione dell’attività amministrativa. Tale disposizione, infatti, dispone il dovere delle pubbliche amministrazioni di incentivare l’uso della telematica sia nei rapporti interni tra le diverse amministrazioni sia tra queste e i privati. In particolare, questa linea direttiva è stata ripresa anche dalla L.69/2009 la quale, in varie diposizioni, incentiva le pubbliche amministrazioni a ricorrere a strumenti telematici: per quel che specificamente riguarda il procedimento amministrativo, si rimanda alla disposizione relativa alla trasmissione dei pareri, ovvero a quella inerente i lavori della conferenza di servizi. L’efficienza, che non viene ancora inserita tra i criteri generali dell’azione amministrativa dell’art. 1, compare invece come finalità dell’incentivo all’uso della telematica, sia tra Enti pubblici, sia tra P.A. e privati. Un’applicazione di questo principio si trova nel comma 5 bis dell’art. 14, il quale prevede che la conferenza dei servizi può essere convocata e svolta con l’utilizzo di strumenti informatici (c.d.” amministrazione digitale”), “previo accordo tra le amministrazioni coinvolte”. Capo II Responsabile del procedimento Quanto alle sue funzioni, il responsabile del procedimento è guida del procedimento, coordinatore dell’istruttoria e organo di impulso. Le principali funzioni del responsabile del procedimento amministrativo sono: • valutare, ai fini istruttori, l'esistenza delle condizioni di ammissibilità, dei requisiti di legittimazione e dei presupposti del procedimento amministrativo (rilevanti per l’emanazione del provvedimento); • compiere tutti gli atti istruttori necessariamente previsti per il provvedimento, come ad esempio eventuali accertamenti tecnici o richieste di documenti. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali; • eventualmente proporre lo svolgimento della conferenza di servizi di cui all’art.14; • curare le comunicazioni alle parti interessate, le pubblicazioni e le notificazioni inerenti il procedimento amministrativo (rapporti con i terzi); • firmare il provvedimento finale o, qualora l'adozione del provvedimento finale sia prevista a carico di un organo amministrativo, il responsabile deve trasmettere a tale organo gli atti del procedimento (funzione decisoria). E’ previsto che l’organo competente per l’adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non possa discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale. Il responsabile, inoltre rappresenta l’essenziale punto di riferimento sia per i privati, sia per l’amministrazione procedente, sia per gli organi di altre amministrazioni coinvolte, può anche chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete (funzione importante, perché l’amministrazione così ammette il cittadino a correggere gli errori materiali in cui sia incorso nella redazione di istanze o domande, nonché a compilare la documentazione incompleta o non) conforme a normativa. Il responsabile inoltre instaura il dialogo con i soggetti interessati al procedimento mediante la comunicazione dell’avvio del procedimento, nella fase di partecipazione e anche dopo l’emanazione del provvedimento finale (mediante comunicazione, pubblicazione e notificazione). L’individuazione del responsabile non comporta l’automatica attrazione in capo a tale soggetto della responsabilità civile, penale e disciplinare, soluzione che libererebbe dalla responsabilità gli organi competenti ad emanare i singoli atti endoprocedimentali, tuttavia le sue funzioni di impulso sollecitazione e vigilanza possono essere prese in considerazione al fine della valutazione della legittimità o liceità del comportamento tenuto. La riformulazione dell’art.6, lett. e), ad opera della L.15/2005, indica la volontà del legislatore di rafforzare il ruolo del responsabile del procedimento in sede decisoria. Infatti, nella disciplina del procedimento così come attualmente delineata, è possibile distinguere tra una fase decisionale in senso stretto e una fase provvedimentale. Il ruolo autonomo del responsabile del procedimento nella gestione dell’iter procedimentale è stato ribadito e rafforzato dalla recente modifica apportata all’art.16 L.241/1990, dalla L.18-6-2009,n.69: l’art.8 della citata disciplina ha, infatti, introdotto una specifica ipotesi di responsabilità in capo al responsabile, qualora questi, nel corso della fase istruttoria del procedimento, ometta di chiedere un parere (obbligatorio o facoltativo) all’autorità competente. Capo III Partecipazione al procedimento amministrativo Articolo 7. (Comunicazione di avvio del procedimento) (Rubrica aggiunta dalla Legge 11 febbraio 2005, n.15) 1. Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l'avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste dall'articolo 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l'amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell'inizio del procedimento. 2. Nelle ipotesi di cui al comma 1 resta salva la facoltà dell'amministrazione di adottare, anche prima della effettuazione delle comunicazioni di cui al medesimo comma 1, provvedimenti cautelari. Il principio di partecipazione costituisce uno dei capisaldi del nostro ordinamento giuridico ed uno dei criteri principali dell’attuale sistema amministrativo. Prima dell’entrata in vigore della L.241/1990, nel nostro ordinamento mancava una normativa che prevedesse, in via generale, il diritto dei privati di intervenire nel procedimento amministrativo. La legge sul procedimento amministrativo ha segnato una svolta in tal senso, dal momento che, per la prima volta, è stata sancita la possibilità per i cittadini di partecipare alla attività amministrativa su di un piano paritario con l’amministrazione, il tutto nell’ottica di una sempre più accentuata democratizzazione dei rapporti tra autorità e privati. Lo strumento indispensabile per attivare la partecipazione al procedimento è costituito dalla comunicazione di avvio del procedimento. La situazione d’urgenza esclude la comunicazione di avvio solo in un primo tempo, ma questa deve essere data appena possibile. L’avvio del procedimento deve essere comunicato: • ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti; • a quelli che per legge debbono intervenirvi (che sono generalmente enti pubblici) • nonché ai soggetti, diversi dai diretti interessati, che siano individuati o facilmente individuabili qualora dal provvedimento possa loro derivare un pregiudizio: tale categoria è difficilmente individuabile perché impone un giudizio prognostico relativo all’incidenza pregiudizievole del provvedimento nei confronti dei soggetti esterni. La comunicazione dell’avvio è un compito del responsabile del procedimento. In via di norma deve essere fatta mediante comunicazione personale (notifica, comunicazione a mezzo messo comunale, ecc.) ma può essere anche effettuata secondo modalità differenti stabilite e giustificate di volta in volta dall’amministrazione. Nel silenzio della legge, si deve ritenere che la comunicazione vada compiuta senza ritardo e comunque entro un ragionevole termine tenuto conto delle circostanze. La comunicazione di avvio riveste una posizione strategica all’interno del procedimento e le eccezioni sono esplicitamente stabilite dal legislatore: si tratta dei procedimenti cautelari e di quelli per cui sussistono ragioni di impedimento derivanti da peculiari esigenze di celerità connesse al procedimento stesso. In secondo luogo, la partecipazione subisce delle deroghe anche in caso di procedimenti amministrativi diretti all’emanazione di atti normativi e amministrativi generali di pianificazione e di programmazione. Per quanto concerne, infine, le conseguenze della omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, il provvedimento, al di fuori delle ipotesi previste dalla legge, è illegittimo per violazione di legge. Tuttavia, è necessario rapportare la normativa sulla comunicazione di avvio alla previsione di cui all’art.21octies della L.241/1990, che, al comma 2, prevede discipline parzialmente diverse per il caso della violazione di norme procedimentali e per l’ipotesi della omissione della comunicazione. La portata innovativa della disposizione in esame è evidente: è possibile affermare, attualmente, che non tutte le violazioni procedimentali debbano automaticamente dare luogo alla annullabilità del provvedimento, in quanto il giudice, in sede di esame della portata del vizio sul contenuto del provvedimento impugnato, non deve procedere all’annullamento laddove emerga che il vizio non abbia inciso in maniera significativa sull’assetto di interessi contenuto nel dispositivo. L’art.7 L.241/1990 prende in considerazione i cd. interventori necessari, soggetti, che non sono obbligati a partecipare al procedimento, ma a cui la comunicazione di avvio deve essere obbligatoriamente data; mentre l’art.9 individua i soggetti ai quali non si deve comunicare l’avvio del procedimento, ma se ne hanno notizia sono legittimati a partecipare. Articolo 8. (Modalità e contenuti della comunicazione di avvio del procedimento) (Articolo così modificato dalla Legge 11 febbraio 2005, n.15) 1. L'amministrazione provvede a dare notizia dell'avvio del procedimento mediante comunicazione personale. 2. Nella comunicazione debbono essere indicati: a) l'amministrazione competente; b) l'oggetto del procedimento promosso; c) l'ufficio e la persona responsabile del procedimento; c-bis) la data entro la quale, secondo i termini previsti dall'articolo 2, commi 2 o 3, deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell'amministrazione; (lettera introdotta dall'articolo 5 della legge n. 15 del 2005) c-ter) nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza; (lettera introdotta dall'articolo 5 della legge n. 15 del 2005) d) l'ufficio in cui si può prendere visione degli atti. 3. Qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al comma 2 mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall'amministrazione medesima. 4. L'omissione di taluna delle comunicazioni prescritte può esser fatta valere solo dal soggetto nel cui interesse la comunicazione è prevista. La comunicazione deve contenere i seguenti elementi: amministrazione competente, oggetto del procedimento, ufficio e persona del responsabile del procedimento, la data cui si deve concludere il procedimento, i rimedi contro l’inerzia della P.A., l’ufficio in cui si può prendere visione degli atti. L’omissione della comunicazione di avvio al procedimento configura un’ipotesi di illegittimità, che può essere fatta valere soltanto dal soggetto nel cui interesse la comunicazione è prevista. Tuttavia la giurisprudenza ha comunque spesso interpretato in senso restrittivo la norma: oltre all’individuazione di intere categorie di procedimenti nei quali sussisterebbero esigenze di celerità, essa ha escluso talora la sussistenza dell’obbligo nelle ipotesi di procedimento ad istanza di parte, adducendo che per certi procedimenti non sia utile o rilevante il contraddittorio. Nel caso in cui la comunicazione personale a tutti gli interessati non sia possibile o sia eccessivamente gravosa, l'amministrazione coinvolta dovrà comunque comunicare gli elementi sopra esposti con modalità stabilite di volta in volta (per esempio con cartelloni, pubblicità sui media, etc.). Per esempio: per i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria della rete stradale di importo non superiore ai 200.000 euro e' sufficiente la pubblicazione di un estratto dell'avvio di procedimento sul quotidiano locale. Nota importante: Se il procedimento concerne un provvedimento limitativo della sfera giuridica del privato cittadino, esso va notificato nel rispetto delle regole del codice di procedura civile, quindi a mezzo messo comunale o via posta (raccomandata a/r). Appare contraddittoria l’intenzione del legislatore che, da una parte appesantisce la comunicazione di avvio, dall’altra ne sminuisce l’importanza con il nuovo art. 21octies, laddove si stabilisce la non annullabilità del provvedimento per la mancata comunicazione in discorso, allorchè la P.A. dimostri in giudizio che il contenuto non è influenzato dalla comunicazione medesima, in ossequio al principio, di economia procedurale, di sanabilità del vizio per il “raggiungimento dello scopo”. Va evidenziato in particolare come, allo scopo di porre il privato nella condizione di poter effettivamente controllare l’esplicazione del potere amministrativo nei termini di legge, ed in caso di riscontro negativo al fine di dotarlo di uno strumento idoneo a sollecitare la definizione del procedimento, la nuova formulazione della disposizione preveda la preventiva individuazione del termine iniziale e finale del procedimento stesso, nonché dei rimedi esperibili nei confronti del silenzio della P.A. Ciò, in omaggio alla ratio dell’istituto, che consiste nel “consentire alla parte interessata di partecipare al procedimento amministrativo fin dal momento del suo concreto avvio, o quantomeno, di inserirvisi in una fase che non sia avanzata o, peggio, conclusiva, altrimenti risultando del tutto eluse le finalità partecipative e di trasparenza dell’azione amministrativa”. Fermo restando tale premessa, gli articoli 7 e 8 cercano tuttavia di mediare tra le esigenze di partecipazione e trasparenza, che inducono a conferire carattere tendenzialmente generale alla comunicazione in commento, e quelle, parimenti espresse dalla disciplina sul procedimento, ma che rispetto all’obbligo in esame si presentano come antitetiche, di economia e celerità procedimentale. Esito di tale bilanciamento è la previsione secondo la quale la P.A. può legittimamente pretermettere l’adempimento in oggetto allorquando il medesimo risulti eccessivamente gravoso o dispendioso, o comunque incompatibile con particolari esigenze di celerità sussistenti nella specifica circostanza. Articolo 9. (Intervento nel procedimento) (Rubrica aggiunta dalla Legge 11 febbraio 2005, n.15) 1. Qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento. L’art.9 ha consentito agli enti esponenziali degli interessi diffusi (interventori volontari, che si differenziano dagli interventori necessari dell’art.7 L.241/1990) di intervenire nel procedimento e quindi di presentare memorie ed osservazioni. Nel procedimento i potenziali destinatari dell’atto possono intervenire e quindi possono interloquire con l’amministrazione che sta esercitando il potere; possono interloquire sia per apportare dei contributi di conoscenza all’amministrazione e sia per difendere la propria posizione. Quindi esiste un principio dialettico che oggi incontestabilmente governa il rapporto tra cittadini e autorità, L’applicazione del principio del giusto procedimento consente ai privati di tutelare i propri interessi già nel corso del procedimento, senza dovere necessariamente attendere la conclusione dell’iter procedimentale ed impugnare, in via amministrativa o giurisdizionale, il provvedimento finale. La L.15/2005 ha voluto in particolare sviluppare questo aspetto estendendo la partecipazione anche alla fase predecisionale del procedimento, nel caso in cui l’amministrazione ritenga che vi siano i presupposti per l’adozione di un provvedimento negativo in un procedimento ad istanza di parte. In una simile prospettiva, il procedimento amministrativo, non più momento rigidamente separato dallo stadio processuale, rappresenta, in una visione sinergica, un elemento di anticipazione ed integrazione di quest’ultimo. La L.15/2005, introducendo il diritto di presentare le proprie osservazioni, in caso di comunicazione dei motivi dell’eventuale provvedimento di rigetto da parte della P.A., ha sicuramente prodotto l’effetto di deflazionare il contenzioso giurisdizionale nell’ottica del buon andamento. Il nuovo istituto di partecipazione non si applica alle «procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte». La ratio di tale previsione, come si legge nella relazione che accompagna la legge, è riferibile al grande numero di domande che normalmente caratterizzano le procedure in questione e quindi ai problemi che ne conseguirebbero in termini di snellezza e di funzionalità dell’azione amministrativa, ma in effetti, come è stato notato, tale previsione appare superflua visto che si tratta di procedure e procedimenti di natura vincolata. In sintesi, con l’entrata in vigore della nuova disposizione in discorso, il diniego di una richiesta contenuta in una istanza di parte, può essere emesso solo: • trascorsi 10 giorni dal ricevimento della comunicazione senza che l’interessato si sia attivato: • se le osservazioni e la documentazione prodotte siano ritenute non idonee a superare i motivi di diniego già esposti; • dietro motivazione del mancato accoglimento delle osservazioni da parte del responsabile del procedimento. Rispetto a questa disciplina l’art.21octies sembra andare in senso contrario: secondo Pubusa, vi è una contraddizione nel prevedere il preavviso di rigetto nei procedimenti ad istanza di parte e non prevederlo nei procedimenti d’ufficio. Nei procedimenti ad istanza di parte il soggetto sa già che la sua domanda potrà avere esito positivo o negativo, mentre nei procedimenti d’ufficio, il privato cittadino non è messo nelle condizioni di sapere se ad esempio un determinato provvedimento amministrativo limiterà la sua sfera giuridica senza essere avvisato in anticipo. Articolo 11. (Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento) (Articolo così modificato dalla Legge 11 febbraio 2005, n.15) 1. In accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell'articolo 10, l'amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo. (comma così modificato dall'articolo 7, comma 1, lettera a), legge n. 15 del 2005) 1-bis. Al fine di favorire la conclusione degli accordi di cui al comma 1, il responsabile del procedimento può predisporre un calendario di incontri cui invita, separatamente o contestualmente, il destinatario del provvedimento ed eventuali controinteressati. (comma introdotto dall'articolo 3-quinquies della legge n. 273 del 1995) 2. Gli accordi di cui al presente articolo debbono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo che la legge disponga altrimenti. Ad essi si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili. 3. Gli accordi sostitutivi di provvedimenti sono soggetti ai medesimi controlli previsti per questi ultimi. 4. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l'amministrazione recede unilateralmente dall'accordo, salvo l'obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato. 4-bis. A garanzia dell'imparzialità e del buon andamento dell'azione amministrativa, in tutti i casi in cui una pubblica amministrazione conclude accordi nelle ipotesi previste al comma 1, la stipulazione dell'accordo è preceduta da una determinazione dell'organo che sarebbe competente per l'adozione del provvedimento. (comma introdotto dall'articolo 7, comma 1, lettera b), legge n. 15 del 2005) 5. [Le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi di cui al presente articolo sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.] (comma abrogato dall'Allegato 4, articolo 4, del decreto legislativo n. 104 del 2010) La L.241/1990 ha sancito il cd. principio di contrattualità dell’azione amministrativa, per cui l’accordo tra P.A. e privati è concepito «non già come una rottura del procedimento, come una soluzione eccezionale ed anomala dei problemi aperti dall’iniziativa di procedimento, ma come uno sbocco alternativo all’atto e come questo direttamente e coerentemente discendente dallo sviluppo dello stesso procedimento». (NIGRO). Orbene, l’art. 11 della L.241, nel conferire dignità di istituto generale agli strumenti convenzionali dell’azione amministrativa, prevede che: a) in accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell’art.10, l’amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo; b) gli accordi in questione debbono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo che la legge disponga diversamente; c) ad essi si applicano, ove non sia diversamente previsto, i principi del codice civile in quanto compatibili; d) gli accordi sostitutivi di provvedimenti sono soggetti ai medesimi controlli previsti per questi ultimi; e) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l’amministrazione può recedere unilateralmente dall’accordo, salvo l’obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato; f) (le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi in esame sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.) Dopo l'intervento della legge 104 del 2010 questa parte della norma è stata abrogata. Viene in altri termini consentita la conclusione di accordi sostitutivi del provvedimento non solo nelle ipotesi tassativamente previste dal legislatore, ma ogni qual volta l’amministrazione ne ravvisi l’opportunità, equiparando, da tale punto di vista, gli accordi sostitutivi a quelli procedimentali. L’art.11 prevede due forme di accordi: 4) gli accordi integrativi (endoprocedimentali). Si tratta di accordi conclusi dall’amministrazione procedente con gli interessati al fine di determinare il contenuto del provvedimento. La previsione di tali accordi conferma l’accoglimento legislativo della concezione che considera il procedimento alla stregua di un luogo di confronto dialettico tra privati e P.A. ed il provvedimento come risultante di questo confronto; 5) gli accordi sostitutivi. Mentre gli accordi integrativi precedono il provvedimento e ne determinano il contenuto, gli accordi sostitutivi sono stipulati in sostituzione del provvedimento amministrativo. Attraverso le modifiche apportate dalla L.11-2-2005, n.15, all’art.11 L.241/1990, si è provveduto a generalizzare l’uso degli accordi sostitutivi in quanto non è più previsto che alla loro conclusione si possa addivenire nei soli casi previsti dalla legge. La disposizione è collegata al principio, sancito dall’art.1, comma 1bis L.241/1990, in forza del quale la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato. La L.15/2005 ha introdotto all’art.11 della L.241/1990 un comma 4bis che prevede che la stipulazione dell’accordo, integrativo o sostitutivo, sia sempre preceduta da una determinazione dell’organo competente per l’adozione del provvedimento. Ciò a garanzia dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa. L’art.11, comma 5, sanciva la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi e sostitutivi; ma l'Allegato 4, articolo 4, del decreto legislativo n. 104 del 2010, ha abrogato questo comma. Inquadrandosi, inoltre, (secondo la prevalente giurisprudenza) le questioni inerenti all’indennizzo di cui al comma 5 dell’art. 11 come questioni patrimoniali consequenziali, esse rientrano nella competenza del giudice amministrativo (ex art.7 L.205/2000). La possibilità di impugnare direttamente l’accordo sussisterà, peraltro, solo in tema di accordi sostitutivi, atteso che solo questi si palesano idonei ad incidere direttamente nella sfera giuridica dei terzi. Ove, invece, si verta in materia di accordi integrativi, aventi carattere non autonomamente produttivo di effetti esterni, il terzo dovrà attendere l’emanazione del provvedimento e, quindi, impugnare quest’ultimo, congiuntamente all’atto relativo. Articolo 12. (Provvedimenti attributivi di vantaggi economici) (Rubrica aggiunta dalla Legge 11 febbraio 2005, n.15) 1. La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione ed alla pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi. 2. L'effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1. La norma non pone particolari problemi applicativi, limitandosi a disporre che nei procedimenti finalizzati all’attribuzione di vantaggi economici, i criteri adottati dall’amministrazione competente al fine dell’individuazione dei beneficiari siano predeterminati, e quindi definiti in una fase antecedente alla presentazione delle candidature; resi pubblici, dunque conoscibili dagli interessati; ed infine richiamati dagli stessi provvedimenti attributivi dei benefici. Ci si può limitare ad osservare che la disposizione procedimentalizza una particolare categoria di provvedimenti amministrativi, allo scopo di garantirne l’imparzialità, e di consentire sui medesimi un agile e semplice controllo. Si tratta comunque di norma di indubbio rilievo ed importanza, destinata ad incerare ed esaurire il principio di trasparenza e concorsualità in una vasta serie di fattispecie applicative, come ad esempio nelle procedure per la valutazione delle proposte progettuali da realizzare in project financing, ai sensi degli artt.37bis e 3ter della legge109/1994 Articolo 13. (Ambito di applicazione delle norme sulla partecipazione) (Rubrica aggiunta dalla Legge 11 febbraio 2005, n.15) 1. Le disposizioni contenute nel presente capo non si applicano nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione. 2. Dette disposizioni non si applicano altresì ai procedimenti tributari per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li regolano, nonché ai procedimenti previsti dal decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni, e dal decreto legislativo 29 marzo 1993, n. 119, e successive modificazioni. L’art.13 della L.241/1990 esclude dall’applicabilità delle norme sulla partecipazione, ivi compresa la norma in tema di accordi, l’attività amministrativa diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione. L’articolo circoscrive l’ambito di applicazione del Capo dedicato alla partecipazione, escludendo dall’area di operatività delle fattispecie esaminate quelle attività della pubblica amministrazione dirette alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, ed i procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione. Capo IV Semplificazione dell'azione amministrativa facoltativa, invece, quando nello stesso termine sia intervenuto il dissenso di una delle amministrazioni interessate. Con la L.15/2005 viene raddoppiato (da 15 a 30 giorni) il termine entro cui l’amministrazione procedente indice la conferenza dei servizi decisoria, se non riceve i necessari concerti, assensi, nulla-osta, intese delle altre P.A. coinvolte nel procedimento. La conferenza può essere indetta anche se “una o più amministrazioni interpellate” abbiano risposto in modo negativo alla richiesta dell’Amministrazione procedente (art.14, comma 2). Per la tipologia di conferenza di servizi cd. decisoria (altrimenti detta “esterna” o “deliberante”), che resta obbligatoria dopo l'inutile esperimento della procedura ordinaria, al termine dell'art.14, comma 2, legge 241/1990 sono aggiunte le seguenti parole: “ovvero nei casi in cui è consentito all'amministrazione procedente di provvedere direttamente in assenza delle determinazioni delle amministrazioni competenti”. In questo modo viene chiarito che, in talune fattispecie, l'assenza delle determinazioni delle amministrazioni chiamate a pronunciarsi, entro 30 giorni in via ordinaria, non obbliga la pubblica amministrazione procedente ad indire la conferenza di servizi, in tutti i casi in cui esistano espresse previsioni normative che consentano alla amministrazione procedente di prescinderne, introducendo una vera e propria ipotesi di sostituzione prevista, tra l'altro, dall'art.4, d.p.r. 20 ottobre 1998, n.447 in tema di sportello unico per le attività produttive. Il comma 4 stabilisce, invece, una forma di impulso della conferenza ad opera del privato; qualora, infatti, la sua attività sia subordinata ad atti di consenso da parte di amministrazioni diverse, può richiedere l’indizione della conferenza all’amministrazione preposta all’adozione del provvedimento finale. Inoltre, quando l’attività del privato sia subordinata ad atti di consenso, comunque denominati, di competenza di più amministrazioni pubbliche, la conferenza di servizi è convocata, anche su richiesta dell’interessato, dall’amministrazione competente per l’adozione del provvedimento finale. In caso di affidamento di concessione di lavori pubblici, la conferenza di servizi è convocata dal concedente ovvero, con il consenso di quest’ultimo, dal concessionario entro 15 giorni fatto salvo quanto previsto dalle leggi regionali in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA). Quando la conferenza è convocata ad istanza del concessionario, spetta in ogni caso al concedente il diritto di voto. L'art.49 del decreto legge 31 maggio 2010, n.78 si propone di modificare le disposizioni contenute nella legge generale sul procedimento amministrativo in materia di conferenza di servizi (artt.14 e seguenti legge 241/1990) al fine di semplificare la relativa disciplina ed accelerare i tempi per l'adozione del provvedimento finale. In particolare, come indicato nella relazione al disegno di legge A.S. n.2228, l'art.49 reca disposizioni in tema di: a. attivazione della conferenza di servizi (art.14, legge 241/1990); b. procedimento di conferenza (art.14ter, legge 241/1990); c. disciplina del dissenso (art.14quater, legge 241/1990); d. ambito di applicazione (art.29, legge 241/1990). Articolo 14-bis. (Conferenza di servizi preliminare) (Articolo già sostituito dall'articolo 10 della legge n. 340 del 2000; Articolo così modificato dalla Legge 11 febbraio 2005, n.15) 1. La conferenza di servizi può essere convocata per progetti di particolare complessità e di insediamenti produttivi di beni e servizi, su motivata richiesta dell'interessato, documentata, in assenza di un progetto preliminare, da uno studio di fattibilità, prima della presentazione di una istanza o di un progetto definitivi, al fine di verificare quali siano le condizioni per ottenere, alla loro presentazione, i necessari atti di consenso. In tale caso la conferenza si pronuncia entro trenta giorni dalla data della richiesta e i relativi costi sono a carico del richiedente. (comma così modificato dall'articolo 9, comma 1, lettera a), legge n. 15 del 2005) 2. Nelle procedure di realizzazione di opere pubbliche e di interesse pubblico, la conferenza di servizi si esprime sul progetto preliminare al fine di indicare quali siano le condizioni per ottenere, sul progetto definitivo, le intese, i pareri, le concessioni, le autorizzazioni, le licenze, i nullaosta e gli assensi, comunque denominati, richiesti dalla normativa vigente. In tale sede, le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, si pronunciano, per quanto riguarda l'interesse da ciascuna tutelato, sulle soluzioni progettuali prescelte. Qualora non emergano, sulla base della documentazione disponibile, elementi comunque preclusivi della realizzazione del progetto, le suddette amministrazioni indicano, entro quarantacinque giorni, le condizioni e gli elementi necessari per ottenere, in sede di presentazione del progetto definitivo, gli atti di consenso. (comma così modificato dall'articolo 9, comma 1, lettera b), legge n. 15 del 2005) 3. Nel caso in cui sia richiesta VIA, la conferenza di servizi si esprime entro trenta giorni dalla conclusione della fase preliminare di definizione dei contenuti dello studio d'impatto ambientale, secondo quanto previsto in materia di VIA. Ove tale conclusione non intervenga entro novanta giorni dalla richiesta di cui al comma 1, la conferenza di servizi si esprime comunque entro i successivi trenta giorni. Nell'ambito di tale conferenza, l'autorità competente alla VIA si esprime sulle condizioni per la elaborazione del progetto e dello studio di impatto ambientale. In tale fase, che costituisce parte integrante della procedura di VIA, la suddetta autorità esamina le principali alternative, compresa l'alternativa zero, e, sulla base della documentazione disponibile, verifica l'esistenza di eventuali elementi di incompatibilità, anche con riferimento alla localizzazione prevista dal progetto e, qualora tali elementi non sussistano, indica nell'ambito della conferenza di servizi le condizioni per ottenere, in sede di presentazione del progetto definitivo, i necessari atti di consenso. 3-bis. Il dissenso espresso in sede di conferenza preliminare da una amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico, della salute o della pubblica incolumità, con riferimento alle opere interregionali, è sottoposto alla disciplina di cui all'articolo 14-quater, comma 3". (comma introdotto dall'articolo 9, comma 1, lettera c), legge n. 15 del 2005) 4. Nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3, la conferenza di servizi si esprime allo stato degli atti a sua disposizione e le indicazioni fornite in tale sede possono essere motivatamente modificate o integrate solo in presenza di significativi elementi emersi nelle fasi successive del procedimento, anche a seguito delle osservazioni dei privati sul progetto definitivo. 5. Nel caso di cui al comma 2, il responsabile unico del procedimento trasmette alle amministrazioni interessate il progetto definitivo, redatto sulla base delle condizioni indicate dalle stesse amministrazioni in sede di conferenza di servizi sul progetto preliminare, e convoca la conferenza tra il trentesimo e il sessantesimo giorno successivi alla trasmissione. In caso di affidamento mediante appalto concorso o concessione di lavori pubblici, l'amministrazione aggiudicatrice convoca la conferenza di servizi sulla base del solo progetto preliminare, secondo quanto previsto dalla legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni. L’art.14bis disciplina la cd. conferenza di servizi preliminare, ossia quella conferenza che può essere convocata quando vengono in rilievo progetti di particolare complessità e di insediamenti produttivi di beni e servizi, su motivata richiesta dell’interessato, prima della presentazione di una istanza o di un progetto definitivo, al fine di verificare quali siano le condizioni per ottenere, alla loro presentazione, i necessari atti di consenso. In tale ipotesi, la conferenza si pronuncia entro trenta giorni dalla data della richiesta e i relativi costi sono a carico del richiedente. Alla conferenza preliminare vengono apportate delle integrazioni che tendono, per un verso, a definirne meglio l’ambito, assimilando ai progetti di particolare complessità quelli concernenti “gli insediamenti produttivi di beni e servizi” e consentendo per snellezza che, in luogo di un progetto preliminare , l’istanza possa essere “documentata…da uno studio di fattibilità”; per altro verso ad estendere il procedimento rinforzato, previsto dall’art.14bis, comma 3 per i casi in cui sia richiesta la VIA, alle ipotesi in cui la conferenza riguardi opere interregionali e una amministrazione preposta “alla tutela del vincolo ambientale, paesaggistico territoriale, del patrimonio storico artistico, della salute o della pubblica incolumità” esprima il proprio dissenso (art.14bis, comma 3bis). Ciò comporta che l’autorità dissenziente deve esprimersi sulle condizioni per l’elaborazione del progetto, indicando le principali alternative, ivi compresa la non realizzabilità del progetto medesimo. Articolo 14-ter. (Lavori della conferenza di servizi) (Articolo già sostituito dall'articolo 11 della legge n. 340 del 2000; Articolo così modificato dalla Legge 11 febbraio 2005, n.15 e successivamente dalla Legge 18 giugno 2009, n.69) 01. La prima riunione della conferenza di servizi è convocata entro quindici giorni ovvero, in caso di particolare complessità dell'istruttoria, entro trenta giorni dalla data di indizione. (comma introdotto dall'articolo 10, comma 1, lettera a), legge n. 15 del 2005) 1. La conferenza di servizi assume le determinazioni relative all'organizzazione dei propri lavori a maggioranza dei presenti e può svolgersi per via telematica. (comma così modificato dall'articolo 9, comma 1, legge n. 69 del 2009) 2. La convocazione della prima riunione della conferenza di servizi deve pervenire alle amministrazioni interessate, anche per via telematica o informatica, almeno cinque giorni prima della relativa data. Entro i successivi cinque giorni, le amministrazioni convocate possono richiedere, qualora impossibilitate a partecipare, l'effettuazione della riunione in una diversa data; in tale caso, l'amministrazione procedente concorda una nuova data, comunque entro i dieci giorni successivi alla prima. La nuova data della riunione può essere fissata entro i quindici giorni successivi nel caso la richiesta provenga da un'autorità preposta alla tutela del patrimonio culturale. I responsabili degli sportelli unici per le attività produttive e per l'edilizia, ove costituiti, o i Comuni concordano con i Soprintendenti territorialmente competenti il calendario, almeno trimestrale, delle riunioni delle conferenze di servizi che coinvolgano atti di assenso o consultivi comunque denominati di competenza del Ministero per i beni e le attività culturali. (comma così modificato dall'articolo 10, comma 1, lettera b), legge n. 15 del 2005, poi dall'articolo 49, comma 2, legge n. 122 del 2010) 2-bis. Alla conferenza di servizi di cui agli articoli 14 e 14-bis sono convocati i soggetti proponenti il progetto dedotto in conferenza, alla quale gli stessi partecipano senza diritto di voto. (comma aggiunto dall'articolo 9, comma 2, legge n. 69 del 2009) 2-ter. Alla conferenza possono partecipare, senza diritto di voto, i concessionari e i gestori di pubblici servizi, nel caso in cui il procedimento amministrativo o il progetto dedotto in conferenza implichi loro adempimenti ovvero abbia effetto diretto o indiretto sulla loro attività. Agli stessi è inviata, anche per via telematica e con congruo anticipo, comunicazione della convocazione della conferenza dei servizi. Alla conferenza possono partecipare inoltre, senza diritto di voto, le amministrazioni preposte alla gestione delle eventuali misure pubbliche di agevolazione. (comma aggiunto dall'articolo 9, comma 2, legge n. 69 del 2009) 3. Nella prima riunione della conferenza di servizi, o comunque in quella immediatamente successiva alla trasmissione dell'istanza o del progetto definitivo ai sensi dell'articolo 14-bis, le amministrazioni che vi partecipano determinano il termine per l'adozione della decisione conclusiva. I lavori della conferenza non possono superare i novanta giorni, salvo quanto previsto dal comma 4. Decorsi inutilmente tali termini, l'amministrazione procedente provvede ai sensi ai sensi dei commi 6-bis e 9 del presente articolo"; (comma così modificato dall'articolo 10, comma 1, lettera c), legge n. 15 del 2005) 3-bis. In caso di opera o attività sottoposta anche ad autorizzazione paesaggistica, il soprintendente si esprime, in via definitiva, in sede di conferenza di servizi, ove convocata, in ordine a tutti i provvedimenti di sua competenza ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.42. (comma introdotto dall'articolo 49, comma 2, legge n. 122 del 2010) 4. Nei casi in cui sia richiesta la VIA, la conferenza di servizi si esprime dopo aver acquisito la valutazione medesima ed il termine di cui al comma 3 resta sospeso, per un massimo di novanta giorni, fino all'acquisizione della pronuncia sulla compatibilità ambientale. Se la VIA non interviene nel termine previsto per l'adozione del relativo provvedimento, l'amministrazione competente si esprime in sede di conferenza di servizi, la quale si conclude nei trenta giorni successivi al ► L’art. 14-ter, comma 4, prevede che nei casi in cui sia richiesta la VIA, la conferenza di servizi si esprime dopo aver acquisito la valutazione medesima ed il termine di conclusione del procedimento resta sospeso, per un massimo di novanta giorni, fino all'acquisizione della pronuncia sulla compatibilità ambientale. Se la VIA non interviene nel termine previsto per l'adozione del relativo provvedimento, l'amministrazione competente si esprime in sede di conferenza di servizi, la quale si conclude nei trenta giorni successivi al termine predetto. Tuttavia, a richiesta della maggioranza dei soggetti partecipanti alla conferenza di servizi, il termine di trenta giorni è prorogato di altri trenta giorni nel caso che si appalesi la necessità di approfondimenti istruttori. Per assicurare il rispetto dei tempi, l'amministrazione competente al rilascio dei provvedimenti in materia ambientale può far eseguire anche da altri organi dell'amministrazione pubblica o enti pubblici dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollenti, ovvero da istituti universitari tutte le attività tecnico istruttorie non ancora eseguite. In tal caso gli oneri economici diretti o indiretti sono posti a esclusivo carico del soggetto committente il progetto, secondo le tabelle approvate con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Nei casi in cui l’intervento oggetto della conferenza di servizi è stato sottoposto positivamente a valutazione ambientale strategica (VAS), i relativi risultati e prescrizioni, ivi compresi gli adempimenti di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 10 del D. Lgs. 152/2006, devono essere utilizzati, senza modificazioni , ai fini della VIA, qualora effettuata nella medesima sede ai sensi dell’art. 7 del D. Lgs. 152/2006 (art. 14-ter comma 4-bis). Articolo 14-quater. (Effetti del dissenso espresso nella conferenza di servizi) (Articolo già sostituito dall'articolo 12 della legge n. 340 del 2000; Articolo così modificato dalla Legge 11 febbraio 2005, n.15) 1. Il dissenso di uno o più rappresentanti delle amministrazioni ivi comprese quelle preposte alla tutela ambientale, fermo restando quanto previsto dall'articolo 26 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, regolarmente convocate alla conferenza di servizi, a pena di inammissibilità, deve essere manifestato nella conferenza di servizi, deve essere congruamente motivato, non può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza medesima e deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso. (comma così modificato dall'articolo 49, comma 3, legge n. 122 del 2010) 2. [Se una o più amministrazioni hanno espresso nell'àmbito della conferenza il proprio dissenso sulla proposta dell'amministrazione procedente, quest'ultima, entro i termini perentori indicati dall'articolo 14-ter, comma 3, assume comunque la determinazione di conclusione del procedimento sulla base della maggioranza delle posizioni espresse in sede di conferenza di servizi. La determinazione è immediatamente esecutiva.] (abrogato dall'articolo 11, comma 1, lettera a), legge n. 15 del 2005) 3. Al di fuori dei casi di cui all'articolo 117, ottavo comma, della Costituzione, e delle infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale, di cui alla parte seconda, titolo terzo, capo quarto del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163, e successive modificazioni, nonché dei casi di localizzazione delle opere di interesse statale, ove venga espresso motivato dissenso da parte di un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la questione, in attuazione e nel rispetto del principio di leale collaborazione e dell'articolo 20 della Costituzione, è rimessa dall'amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio dei Ministri, che si pronuncia entro sessanta giorni, previa intesa con la Regione o le Regioni e le Province autonome interessate, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali, ovvero previa intesa con la Regione e gli enti locali interessati, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali. Se l'intesa non è raggiunta nei successivi trenta giorni, la deliberazione del Consiglio dei ministri può essere comunque adottata. Se il motivato dissenso è espresso da una Regione o da una Provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, il Consiglio dei Ministri delibera in esercizio del proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate. (comma così sostituito dall'articolo 49, comma 3, legge n. 122 del 2010, che ha soppresso anche i commi 3-bis, 3-ter e 3-quater) 3-bis. [Se il motivato dissenso è espresso da una regione o da una provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, la determinazione sostitutiva è rimessa dall'amministrazione procedente, entro dieci giorni: a) alla Conferenza Stato-regioni, se il dissenso verte tra un'amministrazione statale e una regionale o tra amministrazioni regionali; b) alla Conferenza unificata, in caso di dissenso tra una regione o provincia autonoma e un ente locale. Verificata la completezza della documentazione inviata ai fini istruttori, la decisione è assunta entro trenta giorni, salvo che il Presidente della Conferenza Stato-regioni o della Conferenza unificata, valutata la complessità dell'istruttoria, decida di prorogare tale termine per un ulteriore periodo non superiore a sessanta giorni.] (abrogato dall'articolo 49, comma 3, legge n. 122 del 2010) 3-ter. [Se entro i termini di cui ai commi 3 e 3-bis la Conferenza Stato-regioni o la Conferenza unificata non provvede, la decisione, su iniziativa del Ministro per gli affari regionali, è rimessa al Consiglio dei ministri, che assume la determinazione sostitutiva nei successivi trenta giorni, ovvero, quando verta in materia non attribuita alla competenza statale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, e dell'articolo 118 della Costituzione, alla competente Giunta regionale ovvero alle competenti Giunte delle province autonome di Trento e di Bolzano, che assumono la determinazione sostitutiva nei successivi trenta giorni; qualora la Giunta regionale non provveda entro il termine predetto, la decisione è rimessa al Consiglio dei ministri, che delibera con la partecipazione dei Presidenti delle regioni interessate.] (abrogato dall'articolo 49, comma 3, legge n. 122 del 2010) 3-quater. [In caso di dissenso tra amministrazioni regionali, i commi 3 e 3-bis non si applicano nelle ipotesi in cui le regioni interessate abbiano ratificato, con propria legge, intese per la composizione del dissenso ai sensi dell'articolo 117, ottavo comma, della Costituzione, anche attraverso l'individuazione di organi comuni competenti in via generale ad assumere la determinazione sostitutiva in caso di dissenso.] (abrogato dall'articolo 49, comma 3, legge n. 122 del 2010) 3-quinquies. Restano ferme le attribuzioni e le prerogative riconosciute alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano dagli statuti speciali di autonomia e dalle relative norme di attuazione. [4. Quando il dissenso è espresso da una regione, le determinazioni di competenza del Consiglio dei ministri previste al comma 3 sono adottate con l'intervento del presidente della giunta regionale interessata, al quale è inviata a tal fine la comunicazione di invito a partecipare alla riunione, per essere ascoltato, senza diritto di voto.] (abrogato dall'articolo 11, comma 1, lettera c), legge n. 15 del 2005) 5. Nell'ipotesi in cui l'opera sia sottoposta a VIA e in caso di provvedimento negativo trova applicazione l'articolo 5, comma 2, lettera c-bis), della legge 23 agosto 1988, n. 400, introdotta dall'articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303. Con la modifica del comma 1 dell’art. 14 quater (art. 49, co. 3, lettera a, d.l. 78/2010) viene estesa la regola del “dissenso espresso”. È infatti estesa a tutte le amministrazioni (comprese quelle preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità) regolarmente convocate alla conferenza, la regola per cui il dissenso di uno o più rappresentanti delle amministrazioni, debba essere, a pena di inammissibilità, manifestato nella conferenza di servizi, debba essere congruamente motivato, non possa riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza medesima, e debba recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell'assenso. La nuova norma dispone che resta però fermo quanto previsto dall’art. 26 del d.lgs. n. 152 del 2006. Tale norma stabilisce l’obbligo della p.a. competente ad effettuare la VIA di adottare un provvedimento espresso e motivato, e disciplina le conseguenze di un eventuale silenzio, che vengono corrette, ove richiesto dalla p.a. procedente, attraverso una determinazione sostitutiva del Consiglio dei Ministri. Il dissenso di uno o più rappresentanti delle amministrazioni, ivi comprese quelle preposte alla tutela ambientale, paesaggistico- territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, regolarmente convocate alla conferenza di servizi, a pena di inammissibilità, deve essere manifestato nella conferenza di servizi, deve essere congruamente motivato, non può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza medesima e deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell'assenso (nuova formulazione art. 14-quater comma 1). Per quanto riguarda il “dissenso qualificato”, si stabilisce (art.14quater, comma 3) che: • se il dissenso si manifesta tra amministrazioni dello stato, la decisione è rimessa al Consiglio dei Ministri; • se il dissenso riguarda amministrazioni statali e regionali, la decisione è affidata alla Conferenza Stato-Regioni; • se il dissenso concerne oltre che le suddette Amministrazioni anche quelle locali (province e Comuni), la decisione è infine assegnata alla Conferenza Unificata (art.8 D.Lgs.281/1997). Alle Conferenze sopradette viene inoltre rimessa (art.14quater, comma 3bis) la decisione, anche nel caso di dissenso espresso da una regione in materia di propria competenza (quindi anche al di là della tutela dei beni primari di cui al comma 3). Il comma 3ter prevede che, in caso di superamento dei termini entro cui le Conferenza devono pronunciarsi, la decisione viene rimessa, in via sostitutiva: • al Consiglio dei Ministri, se si tratta di materie di competenza esclusiva dello Stato (art.117, comma2 cost.); • alla giunta regionale, in materia di esclusiva attribuzione statale; • al Consiglio dei ministri ugualmente, laddove, la Giunta regionale non provveda entro i 30 giorni successivi. Tale procedura non si applica qualora il dissenso riguarda Amministrazioni regionali e le stesse “abbiano ratificato, con propria legge, intese per la composizione del dissenso ai sensi dell'articolo 117, ottavo comma, della Costituzione” (comma 3quater). Sono fatte salve le attribuzioni particolari previste negli statuti delle regioni a statuto speciale e nelle relative norme di attuazione (comma 3quinquies). La norma, ancora, riscrive nuovamente la disciplina, invero alquanto complessa, sul superamento dei dissensi qualificati: in particolare, nel caso di dissenso espresso da un’amministrazione “sensibile” (Ambiente, Beni culturali e Sanità) la decisione è rimessa dall'amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio dei ministri, che si pronuncia previa intesa con la Regione (o le Regioni) e gli enti locali interessati. Conferenza di servizi: viene ulteriormente indebolito il potere di veto delle amministrazioni di tutela dei beni culturali, del paesaggio, della salute e della pubblica incolumità. L'art.49, L.122/2010 stabilisce che le amministrazioni di tutela sono obbligate a dare il parere solo nell'ambito della Conferenza. Se il rappresentante dell'amministrazione non manifesta dissenso scatta il silenzio-assenso. Non solo, ma l'eventuale parere negativo deve essere espresso in modo costruttivo indicando quali siano le misure che potrebbero rendere approvabile il progetto. I funzionari che non partecipano alla Conferenza, o ritardano la determinazione, rispondono sotto i profili disciplinari con conseguenze anche sulla retribuzione. Nel caso di dissenso espresso da amministrazioni di tutela su beni culturali, salute e pubblica incolumità, la decisione sulla realizzabilità dell'opera viene assunta dal Consiglio dei ministri. Nella conversione in legge è stato aggiunto un comma che consente alle amministrazioni di affidare ad altri soggetti, tra i quali le Università, l'istruttoria tecnica dei progetti sottoposti alla Conferenza di servizi. Articolo 14-quinquies. (Conferenza di servizi in materia di finanza di progetto) Articolo aggiunto dall'articolo 12, Legge 11 febbraio 2005, n.15 1. Nelle ipotesi di conferenza di servizi finalizzata all'approvazione del progetto definitivo in relazione alla quale trovino applicazione le procedure di cui agli articoli 37-bis e seguenti della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (ora articolo 153 del decreto legislativo n.163 del 2006 - n.d.r.) , sono convocati alla conferenza, senza diritto di voto, anche i soggetti aggiudicatari di concessione individuati all'esito della procedura di cui all'articolo 37-quater della legge n. 109 del 1994, ovvero le società di progetto di cui all'articolo 37-quinquies della medesima legge. Viene introdotta la conferenza di servizi pure in materia di “finanza di progetto”. Si prevede l’obbligo di convocazione alla conferenza anche dei concessionari e delle società di progetto, che non hanno però diritto di voto (art. 14quinqueis). Articolo 15. (Accordi fra pubbliche amministrazioni) Rubrica aggiunta dalla Legge 11 febbraio 2005, n.15 1. Anche al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune. 2. Per detti accordi si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste dall'articolo 11, commi 2 e 3. (comma così modificato dall'Allegato 4, articolo 3, comma 2, decreto legislativo n. 104 del 2010) L’art.15 prevede gli accordi fra le amministrazioni pubbliche finalizzati a disciplinare lo svolgimento di attività di pubblico interesse in collaborazione. Trattasi di accordi stipulati tra amministrazioni pubbliche per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse pubblico. Al riguardo, si applicano le disposizioni previste dall’art.11, commi 2, 3 e 5, in materia di accordi tra P.A. e privati. Articolo 16. (Attività consultiva) Articolo modificato dalla Legge 11 febbraio 2005, n.15 e successivamente dalla Legge 18 giugno, n.69. Articolo 18. (Autocertificazione) Articolo così modificato dalla legge 11 febbraio 2005, n.15 e dal decreto legge 14 marzo 2005, n.35 1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge le amministrazioni interessate adottano le misure organizzative idonee a garantire l'applicazione delle disposizioni in materia di autocertificazione e di presentazione di atti e documenti da parte di cittadini a pubbliche amministrazioni di cui alla legge 4 gennaio 1968, n. 15, e successive modificazioni e integrazioni. Delle misure adottate le amministrazioni danno comunicazione alla Commissione di cui all'articolo 27. 2. I documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l'istruttoria del procedimento, sono acquisiti d'ufficio quando sono in possesso dell'amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni. L'amministrazione procedente può richiedere agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti. (comma così sostituito dall'articolo 3, comma 6-octies, legge n. 80 del 2005) 3. Parimenti sono accertati d'ufficio dal responsabile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare. Un’altra previsione che consente di snellire e semplificare l’azione amministrativa è l’attuazione dell’istituto dell’autocertificazione (art.18) che consente al privato di poter provare,nei suoi rapporti con la P.A:, determinati fatti, stati e qualità a prescindere dalla esibizione dei relativi certificati semplicemente presentando una dichiarazione cd.sostitutiva. Trattasi di un istituto in forza del quale, per la semplificazione del procedimento e il miglioramento del rapporto tra amministratori e cittadini, la P.A. solleva il cittadino dall’onere di certificare, al fine del conseguimento di un certo atto, determinati requisiti e dati, accontentandosi di una sua dichiarazione, detta dichiarazione sostitutiva. L’istituto, coniato dalla L.15/1968, non aveva trovato attuazione in ragione del suo carattere fortemente innovativo e della conseguente impreparazione delle amministrazioni chiamate ad uniformarsi. La materia è attualmente disciplinato dal D.P.R. 445 del 28-12-2000 (Testo unico in materia di documentazione amministrativa, successivamente modificato) che rappresenta la fonte normativa di riferimento per la disciplina di tale materia. Il D.P.R.445/2000, in particolare, definisce “illegittima” la richiesta di certificati da parte delle amministrazioni pubbliche e dei gestori di pubblici servizi di atti e certificati concernenti stati, qualità personali e fatti che siano attestati in documenti già in loro possesso o che comunque esse stesse siano tenute a certificare. In luogo di tali atti o certificati i soggetti di cui sopra procedono all’acquisizione d’ufficio, previa indicazione da parte dell’interessato dell’amministrazione competente nonché degli elementi indispensabili ai fini del reperimento dei dati, ovvero accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta dall’interessato. Articolo 19. (Segnalazione certificata di inizio attività) (articolo così sostituito dall'articolo 49, comma 4-bis, legge n. 122 del 2010) 1. Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli imposti dalla normativa comunitaria. La segnalazione è corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti negli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, nonché dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia delle imprese di cui all’articolo 38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti di cui al primo periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell’amministrazione. Nei casi in cui la legge prevede l’acquisizione di pareri di organi o enti appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di cui al presente comma, salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti. 2. L’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all’amministrazione competente. 3. L’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. E' fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci, l’amministrazione, ferma restando l’applicazione delle sanzioni penali di cui al comma 6, nonché di quelle di cui al capo VI del testo unico di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo periodo. 4. Decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3, all’amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente. 4-bis. Il presente articolo non si applica alle attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e dal testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. (comma introdotto dall'articolo 2, comma 1-quinquies, della legge n. 163 del 2010) 5. [Il presente articolo non si applica alle attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, e dal testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Ogni controversia relativa all’applicazione del presente articolo è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il relativo ricorso giurisdizionale, esperibile da qualunque interessato nei termini di legge, può riguardare anche gli atti di assenso formati in virtù delle norme sul silenzio assenso previste dall’articolo 20.] (comma abrogato dall'Allegato 4, articolo 4, del decreto legislativo n. 104 del 2010) 6. Ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 è punito con la reclusione da uno a tre anni. ► Il 31 luglio 2010 è entrata in vigore la Legge 30 luglio 2010 n. 122, che ha convertito in legge, con modificazioni, il Decreto Legge 31 maggio 2010 n. 78 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”. Fra i contenuti della Legge, ha suscitato ampio dibattito l’art. 49, comma 4-bis, che riformula interamente l’art. 19 della Legge 241/1990 sostituendo la Dichiarazione di inizio attività (DIA), con la Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). L'art. 19 della L. 241/1990, infatti, aveva previsto il meccanismo della Dichiarazione di inizio attività con la quale, in luogo dell'autorizzazione, l'interessato poteva produrre un'autodenuncia di inizio attività, rispetto alla quale l'amministrazione doveva effettuare i suoi controlli autoritativi entro un termine certo. L'attività oggetto della dichiarazione poteva essere iniziata decorsi 30 giorni dalla data di presentazione della stessa all'amministrazione competente. Le nuove regole prevedono che: a) Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o di atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell'interessato (SCIA); b) la SCIA deve essere corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorietà (ai sensi degli artt. 46 e 47 del D.P.R. 445/2000), nonché dalle attestazioni di tecnici abilitati o dalle dichiarazioni di conformità rese dalle Agenzie per le imprese (istituite dall'art. 38 comma 4 del D.L. 112/2008), relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti per l'avvio dell'attività. Tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell'amministrazione. Tale documentazione sostituisce anche eventuali pareri di organi o enti appositi, ovvero l'esecuzione di verifiche preventive eventualmente richieste dalla legge; c) l'attività può essere iniziata immediatamente dalla data di presentazione della segnalazione all'amministrazione competente; d) in caso di accertata carenza dei requisiti necessari ed entro il termine di 30 giorni dal ricevimento della SCIA, l'amministrazione competente adotta motivati provvedimenti con cui dispone il divieto di proseguire l'attività e la rimozione degli eventuali effetti dannosi. L'interessato può evitare tali provvedimenti conformando alla normativa vigente l'attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a 30 giorni. Inoltre, ferma restando l'applicazione delle sanzioni penali, in caso di dichiarazioni sostitutive false o mendaci, l'amministrazione può sempre adottare (quindi, si ritiene anche oltre il termine di 30 giorni) i suddetti provvedimenti; e) è fatto salvo il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt. 21quinquies e 21nonies L. 241/1990; f) al di là di tali casi e decorso il termine dei 30 giorni dalla SCIA, all'amministrazione è consentito intervenire solo in presenza di pericolo attuale di un danno grave e irreparabile per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente; g) Ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l'esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 è punito con la reclusione da uno a tre anni; h) Le espressioni ''segnalazione certificata di inizio di attività'' e ''Scia'' sostituiscono, rispettivamente, quelle di ''dichiarazione di inizio di attività'' e ''Dia'', ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione più ampia, e la disciplina della SCIA sostituisce direttamente quella della dichiarazione di inizio di attività recata da ogni normativa statale e regionale. ESCLUSIONI Sono esclusi dalla disciplina sulla SCIA i casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e gli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito anche derivante dal gioco, nonché quelli imposti dalla normativa comunitaria. PROBLEMI APPLICATIVI La nuova disciplina sulla SCIA porrà vari problemi interpretativi e applicativi, in particolare per definirne l’ambito di applicazione. Sono annunciate e attese circolari esplicative da parte dei Ministeri competenti. La norma espressamente prevede che la disciplina sulla Scia sostituisce tutti i regimi statali e regionali vigenti previsti per la Dia. La nuova disposizione fa leva sui principi della tutela della concorrenza e dei livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117 della Costituzione per far imporre, con effetto immediato, alle Regioni le nuove regole, cercando così di evitare le censure possibili di incostituzionalità. In generale si può affermare che: a) Sono esclusi dalla disciplina sulla SCIA le autorizzazioni previste dal D. Lgs. 152/2006 (norme in materia ambientale) in quanto generalmente imposti dalla normativa comunitaria e comunque richiedenti valutazioni tecniche specifiche non riconducibili al mero accertamento di requisiti generali imposti dalla norma; b) Va tenuto conto che la SCIA si riferisce all'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale e pertanto vanno verificati i procedimenti e le autorizzazioni/abilitazioni rilasciate per tali attività; c) Rimane esclusa l’applicabilità della Scia ad ogni procedimento per il quale siano previsti specifici strumenti di programmazione settoriale finalizzati al rilascio di atti di assenso dell’amministrazione: è il caso, ad esempio, dell’esercizio dell’attività di commercio nelle medie e grandi strutture di vendita e dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande per le quali la legislazione prevede di norma un regime autorizzatorio, che risponde alle regole di una programmazione settoriale basata su criteri individuati dalle Regioni e dai Comuni; d) In materia edilizia, seppure non espressamente dichiarato, la SCIA dovrebbe sostituire certamente la DIA prevista dal DPR 380/2001: - Va tenuto conto infatti che, seppure la materia edilizia non attiene strettamente “alla tutela della concorrenza” come previsto a sostegno della introduzione della SCIA dal comma 4-ter dell’art. 49, ma al governo del territorio, non v’è dubbio che l’attività edilizia è attività di impresa fondamentale per l’economia; - la Scia, secondo la formulazione dell’art. 19, va corredata (se del caso) da «attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati», che rappresenta un esplicito riferimento all’edilizia; inoltre la disciplina della DIA richiede un mero accertamento di requisiti e presupposti previsti da normativa generale perfettamente coincidenti con le previsioni che legittimano la SCIA. Più controversa è l’applicabilità della SCIA in sostituzione del permesso di costruire; la conclusione dovrebbe essere negativa in quanto la Scia riguarda solo attività soggetta a mero accertamento di requisiti, mentre il permesso di costruire ha elementi di discrezionalità che si aggiungono alla mera verifica dei requisiti. Il recupero dei rifiuti in procedura semplificata La nuova normativa sulla s.c.i.a. parrebbe sostituirsi alla disciplina della dichiarazione di inizio attività presente in alcune normative di settore. Tra queste, in materia di gestione dei rifiuti, vi sono le “procedure semplificate” attribuite alla competenza delle Province, normate dal Capo V della Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006 “Testo Unico Ambientale”, tra le cui disposizioni l'art. 214, comma 9, prevede che : “Alle denunce, alle comunicazioni e alle domande disciplinate dal presente Capo si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni relative alle attività private sottoposte alla disciplina degli articoli 19 e 20 della L. 241”. Le procedure semplificate sono previste in specifica attuazione dell'articolo 11 della direttiva 74/442/C.E.E. (Direttiva del Consiglio delle Comunità Europee del 15 luglio 1975 n. 442, relativa ai rifiuti, pubblicata sulla G.U.C.E. n. L 194 del 25 luglio 1975) come modificata dalla direttiva 91/156/C.E.E., norma comunitaria che testualmente parla di casi che "possono essere dispensati dall'autorizzazione" e quindi di una "dispensa" che l'interessato può chiedere, ma può anche non chiedere. Tali "Procedure Semplificate", sono state recepite nel nostro ordinamento dagli artt. 31-32 e 33 del D.Lgs. 22/97 ed ora sono disciplinate dagli artt. 214-215 e 216 del D.Lgs. 152/06 e s.m.i. E', altresì, intervenuto il Decreto del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio 5 aprile 2006 n. 186, che ha introdotto sostanziali modifiche al D. M. 5 febbraio 1998 contenente "Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero, ai sensi degli articoli 31 e 33 del D. Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22". Le vigenti norme tecniche fanno ancora riferimento all'abrogato testo normativo (il D. Lgs. 22/1997), ma trovano comunque applicazione, in virtù di quanto disposto dall'art. 214 del D. Lgs. 152/2006 che, al comma 5, dispone "Sino all'emanazione dei decreti di cui al comma 2 (le nuove norme tecniche) relativamente alle attività di recupero continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai decreti del Ministro dell'Ambiente 5 febbraio 1998 e 12 giugno 2002 n. 161". del soggetto obbligato. Qualora l'interessato non ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono provvedere all'esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge. 2. Ai fini dell'esecuzione delle obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro si applicano le disposizioni per l'esecuzione coattiva dei crediti dello Stato. Con l’espressione esecutorietà del provvedimento amministrativo si indica la possibilità che la sua esecuzione sia compiuta, in quanto espressione di autotutela, direttamente e coattivamente dalla pubblica amministrazione, senza dover ricorrere previamente ad un giudice. Sebbene l’azione amministrativa sia governata dal principio di necessità, tuttavia la P.A. conserva una certa discrezionalità in ordine all’esecuzione (an, quando, quomodo). L’esecutorietà consiste,quindi, nella idoneità del provvedimento amministrativo ad essere realizzato coattivamente, senza, cioè, la cooperazione del suo destinatario ed addirittura contro la sua volontà, nelle ipotesi in cui egli non ottemperi spontaneamente, senza che sia necessario adire la via giurisdizionale che acclari la legittimità, fondamento e correttezza dell’esercizio del potere amministrativo. L’esecutorietà concerne solo i provvedimenti che richiedono un’attività esecutiva alla quale deve prestare la propria collaborazione il privato. L’art.21ter della L.241/1990 dispone, al riguardo, che nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi nei loro confronti. L’esecutorietà, secondo la tradizionale dottrina, trova il suo fondamento nella presunzione di legittimità degli atti amministrativi, i quali si considerano conformi a legge finchè non intervenga un altro atto che, dichiarandoli illegittimi, li annulli. Secondo quanto precisato dalla dottrina l’esecutorietà non è da considerare una qualità del provvedimento amministrativo. Essa, rappresenta l’espressione di un particolare potere pubblico, connesso all’imperatività delle decisioni dell’autorità amministrativa che subentra quando il provvedimento non determina in modo automatico gli effetti connessi all’intento pratico sotteso al provvedimento, ma sia necessaria un’attività da parte del destinatario e questo si rifiuti di porla in essere. La caratteristica dell’esecutorietà dunque è un rimedio contro l’inerzia o la volontà contraria del privato che non intenda assoggettarsi alle disposizioni stabilite dall’amministrazione con i propri provvedimenti amministrativi. Articolo 21-quater. (Efficacia ed esecutività del provvedimento) 1. I provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento medesimo. 2. L'efficacia ovvero l'esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell'atto che la dispone e può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze. La legge distingue tra efficacia ed esecutività del provvedimento avuto riguardo vuoi alla tutela della sfera giuridica dei privati cui il provvedimento è diretto, vuoi alla celerità ed efficienza della azione amministrativa Con riferimento a questo ultimo aspetto viene innanzi tutto affermato il principio del dovere in capo all’amministrazione di dare esecuzione immediata ai provvedimenti efficaci, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o sia lo stesso provvedimento a determinare il momento o il termine entro il quale deve procedersi a darvi esecuzione; in secondo luogo si definiscono i limiti, i termini e le modalità in presenza delle quali l’amministrazione può procedere alla sospensione della efficacia: -dallo stesso organo che lo ha emanato, salvo diversa previsione di legge; -per gravi ragioni; -per il tempo strettamente necessario e con indicazione nell’atto del termine della sospensione; -il termine può essere differito o prorogato per una sola volta, nonché ridotto per esigenze sopravvenute (art.21quater). L’efficacia non si risolve nella esecutività, ma ne costituisce il presupposto. L’esecutività indica l’astratta idoneità dell’atto ad essere eseguito in quanto, in relazione ad esso, si sono verificati tutti i requisiti di efficacia previsti dall’atto stesso (termine, condizione) o dalla legge (controllo, comunicazione ecc.). L’art.21quater L.241/1990, infatti, ha posto come regola generale quella per cui, salvo espressa previsione in senso contrario, i provvedimenti amministrativi sono «eseguiti immediatamente»: esecutivi sono anche i provvedimenti illegittimi, fino a quando non vengano annullati dall’autorità giurisdizionale amministrativa. In particolare, l’esecutività di un provvedimento amministrativo consiste nella sua idoneità «a produrre automaticamente ed immediatamente i propri effetti, allorchè l’atto sia divenuto efficace» (CASETTA). I due concetti –esecutività ed esecutorietà- pur differenti dal punto di vista giuridico, sono strettamente connessi tra loro, essendo entrambi attinenti alla fase di esecuzione di un provvedimento amministrativo, a prescindere dalla legittimità o meno dello stesso. Articolo 21-quinquies. (Revoca del provvedimento) 1. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo. (comma così modificato dall'Allegato 4, articolo 4, del decreto legislativo n. 104 del 2010) 1-bis. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione agli interessati e' parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilita' da parte dei contraenti della contrarieta' dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilita' di tale atto con l'interesse pubblico. (comma inserito dall'articolo 12, comma 4, del Decreto legge n.7 del 2007, soppresso dalla Legge di conversione 2 aprile 2007, n.40, reintrodotto dall'articolo 13, comma 8duodeviecies dello stesso Decreto legge n.7 del 2007, aggiunto dalla citata legge di conversione n.40 del 2007) 1-ter. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico. (comma, identico al comma 1-bis, aggiunto dall'articolo 12, comma 1-bis, legge n. 133 del 2008) La revoca è un provvedimento amministrativo di secondo grado, congruamente motivato, con cui la P.A. ritira, con efficacia non retroattiva (ex nunc), un atto inficiato da vizi di merito (inopportuno, inconveniente, inadeguato) in base ad una nuova valutazione degli interessi pubblici. Gli atti revocabili sono quelli ad efficacia durevole o prolungata (si proiettano nel tempo, spesso instaurando un rapporto tra il soggetto privato e l’amministrazione) che non hanno esaurito i loro effetti. La revoca è discrezionale perché si tratta di una valutazione dell’interesse pubblico espresso dallo stesso organo che ha emanato l’atto. L'art.4, comma1, n.14, dell'Allegato 4 del D. Lgs.2 luglio, n.104, ha abrogato al termine del comma 1 dell'articolo 21quinquies il seguente periodo: “Le controversie in materia di determinazione e corresponsione dell'indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.” Viene regolato l’istituto della revoca, recependosi anche in tal caso la tradizionale impostazione della dottrina e della giurisprudenza che ne individuano il fondamento nel potere di amministrazione attiva, quando l’interesse pubblico originariamente preso in esame venga a mutare ed appare necessario procedere ad una nuova valutazione. La revoca è espressione del cd. ius poenitendi, quando sia collegata a vizi di merito o sia necessario attualizzare l’azione amministrativo per adeguarla alle modifiche nel frattempo intervenute nella realtà fattuale, ovvero quando l’amministrazione si trovi di fronte ad un quadro di mutati interessi pubblici. Dottrina e giurisprudenza in passato, erano pervenute alla conclusione che la revoca, quindi il riesame che sta alla base della revoca, fosse legittimo solo nel caso in cui vi fosse la sopravvenienza di un fatto tale da rendere necessaria la rivalutazione degli interessi. L’art. 21quinquies ha stabilito invece che l’amministrazione può anche revocare l’atto sulla base di un riesame degli interessi originari («per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario…»), quindi anche se non vi è un fatto sopravvenuto. Il legislatore ha introdotto una disciplina che tende a bilanciare questo ampliamento del potere: stabilisce che se la revoca crea pregiudizio al soggetto che traeva beneficio dal provvedimento originario poi revocato, l’amministrazione sia tenuta a corrispondere un indennizzo. La revoca ha efficacia ex nunc; gli effetti dell’atto revocato cessano dal momento dell’operatività della revoca, mentre sopravvivono gli effetti già prodotti in precedenza. Il presupposto della revoca è diverso rispetto al presupposto dell’annullamento (anche se nella prassi dei comuni revoca e annullamento vengono spesso usati come sinonimi). La revoca si basa , infatti, su un vizio di merito: è un provvedimento che viene emesso in autotutela in ordine ad un precedente provvedimento della stessa amministrazione che si assume viziato non nella legittimità, ma nell’opportunità. Nella legittimità c’è un parametro oggettivo che è dato dalla legge e dai principi giuridici; nel vizio di merito, invece, il vizio attiene alla discrezionalità. Quindi, è discrezionale sia l’atto di primo grado, che l’atto di revoca. Il D.L. 7/2007, conv. in L. 2-4-2007 n.40 ha introdotto all’art. 21quinquies un ulteriore comma in tema di indennizzo. Tale previsione, che esclude dal calcolo dell’indennizzo il lucro cessante, consente di rendere più netto il distinguo fra indennizzo (obbligo che nasce di solito i conseguenza di un atto pregiudizievole) e risarcimento del danno (che sorge invece in virtù di un atto illecito). Articolo 21-sexies. (Recesso dai contratti) 1. Il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto. Anche il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione diviene un istituto di carattere generale che, qualora non previsto direttamente dalla legge, deve essere contenuto in una specifica clausola del contratto. E’ riconosciuto alla P.A. un diritto potestativo di recesso unilaterale dal contratto quando agisce iure privatorum, in questo ricollegandosi con quanto disposto dal comma 1bis. Pertanto il recesso potrà essere esercitato, nei contratti a prestazioni corrispettive, soltanto a prestazioni ineseguite; mentre, per i contratti ad esecuzione periodica o continuativa, il recesso fa salve le prestazioni eseguite dino a quel momento. Articolo 21-septies. (Nullità del provvedimento) 1. È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge. 2. [Le questioni inerenti alla nullità dei provvedimenti amministrativi in violazione o elusione del giudicato sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.] (comma abrogato dall'Allegato 4, articolo 4, del decreto legislativo n. 104 del 2010) Il legislatore, con la L.15/2005, recependo l’elaborazione giurisprudenziale in tema di nullità dell’atto amministrativo, ha introdotto, nella L.241/1990, l’art.21septies operando per la prima volta una positivizzazione della figura. La norma commina la sanzione della nullità al provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge; inoltre, la disposizione de qua attribuisce alla giurisdizione esclusiva del G.A. le questioni inerenti alla nullità dei provvedimenti amministrativi che violino o eludano il giudicato. La norma introdotta dalla L.15/2005 ha definitivamente positivizzato la figura della nullità, alla quale il legislatore ha assegnato la natura di rimedio tipico, contrapposta all’annullabilità, innovando in tal modo l’intero sistema della patologia. Ciò si traduce sul piano pratico, come evidenziato dalla dottrina, nella circostanza che, qualora non sia possibile sussumere un vizio dell’atto in alcuna delle ipotesi individuate dall’art. 21septies L.241/1990, lo stesso darà luogo ad una illegittimità annullabile, stante la natura tassativa dell’elencazione quivi contenuta. Ed invero, come riconosciuto anche dalla giurisprudenza amministrativa, le cause di nullità del provvedimento amministrativo devono quindi oggi intendersi quale numero chiuso. La costruzione della disposizione sulla falsariga dei principi generali dell’ordinamento civile implica che la nullità è una categoria della patologia dell’atto che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e senza preclusioni temporali, considerato che il diritto di agire in giudizio per ottenere la relativa declaratoria è imprescrittibile e, la relativa azione, non è soggetta a termini decadenziali.. Articolo 21-octies. (Annullabilità del provvedimento) 1. È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza. 2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. L’art.21octies al primo comma individua gli stessi vizi di legittimità menzionati dall’art.26 del R.D. 1054/1924 (incompetenza, eccesso di potere, violazione di legge) come cause di annullabilità del provvedimento amministrativo. L’atto annullabile è immediatamente efficace, ma è suscettibile di essere rimosso con una pronuncia costitutiva del giudice amministrativo ovvero attraverso un intervento da parte della stessa pubblica amministrazione (ossia un procedimento in autotutela).con l’espressione «atto annullabile» si indica che ad un atto imperfetto l’ordinamento consente una immediata efficacia, precaria tuttavia e passibile di una triplice sorte: la definitiva sanatoria (beninteso nell’ipotesi che l’imperfezione possa essere integrata da un fatto sanante); il definitivo annullamento, nel caso in cui l’accertamento dell’imperfezione insanabile dell’atto conduca alla sua definitiva rimozione, con conseguente cancellazione retroattiva degli effetti fintanto prodotti; una sorta di perdurante annullabilità, nel caso in cui una imperfezione sanabile o insanabile non sia stata oggetto di alcun intervento di sanatoria o di annullamento e prosegua nel suo regime di precaria efficacia. c) per "controinteressati", tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza; d) per "documento amministrativo", ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale; e) per "pubblica amministrazione", tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario. 2. L'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza. (comma così sostituito dall'articolo 10, comma 1, legge n. 69 del 2009) 3. Tutti i documenti amministrativi sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati all'articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6. 4. Non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo, salvo quanto previsto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di accesso a dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono. 5. L'acquisizione di documenti amministrativi da parte di soggetti pubblici, ove non rientrante nella previsione dell'articolo 43, comma 2, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, si informa al principio di leale cooperazione istituzionale. 6. Il diritto di accesso è esercitabile fino a quando la pubblica amministrazione ha l'obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere. Oggi, l’insieme delle pretese che il cittadino vanta, nei confronti della P.A., affinchè la sua azione sia «trasparente» è indicato come diritto di accesso agli atti ed ai documenti della P.A. Il diritto di accesso è stato sancito quale principio generale dell’ordinamento giuridico ad opera della L.241/1990, che, al Capo V, detta disposizioni applicabili a tutti i procedimenti amministrativi. L’art.22 della L.241/1990, che è stato novellato, in un primo momento, con la L.15/2005 e, successivamente, con la L.69/2009, specifica che le finalità perseguite dalla normativa in materia di accesso ai documenti amministrativi sono quella di favorire la partecipazione e di assicurare la trasparenza e l’imparzialità dell’azione amministrativa. Per quanto riguarda la trasparenza, essa attribuisce ai cittadini il potere di esercitare un controllo democratico sull’operato dei soggetti pubblici, al fine di verificarne la conformità agli interessi sociali ed ai precetti costituzionali. Ai sensi dell’art.22, inoltre, il diritto di accedere ai documenti amministrativi compete esclusivamente ai soggetti che vi abbiano specifico interesse (l’interesse deve essere concreto e personale) in relazione alla tutela di una situazione giuridicamente rilevante, ossia ai portatori di una situazione qualificata, differenziata e tutelata (diritto soggettivo, interesse legittimo ed interesse diffuso), con conseguente esclusione dei titolari dei meri interessi di fatto. L’art.15 della L.15/2005, sostituisce l’art.22 della L.241/1990, introducendo sia le definizioni sia i principi in materia di accesso ai documenti amministrativi, che non solo costituisce un aspetto fondamentale di quel sempre più paritario dialogo fra P.A. e privati, che prende il nome di partecipazione al procedimento amministrativo, ma anche un vero e proprio istituto giuridico a sé stante, concernente i soggetti privati “interessati” ad accedere ai documenti amministrativi. La novella ha introdotto nel sistema una netta definizione dell’accesso come diritto di prendere visione ed estrarre copia ai documenti amministrativi. La previdente formulazione si limitava ad offrire una generica definizione dei soggetti interessati all’accesso, dei controinteressati, dei documenti amministrativi e, infine, della stessa P.A. La legge si preoccupa di delimitare in modo preciso i titolari e i destinatari del diritto di accesso, l’oggetto e i controinteressati, tenendo ampio conto degli orientamenti giurisprudenziali in materia. In particolare, si è opportunamente collegata la definizione degli interessati-che sono soltanto i soggettiprivati-al combinato disposto degli artt. 9 e 10 L.241/1990, per cui oggi è la stessa legge a disporre che i titolari del diritto all’accesso siano anche i soggetti privati portatori di interessi pubblici o diffusi, purchè abbiano un interesse concreto, diretto ed attuale, collegato ad una situazione giuridicamente tutelata e connessa al documento cui si chiede di accedere. Si conferma l’esclusione dei meri interessi di fatto. La L.15/2005 ha aggiunto anche la definizione di «controinteressati»: si tratta di tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto che, dall’esercizio dell’accesso, vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza. I soggetti titolari di tale interesse devono, pertanto, essere messi in condizione di difendersi, essendo l’ostensione suscettibile di cagionare nei loro confronti effetti pregiudizievoli; in secondo luogo, bisogna chiarire che essi vanno individuati non solo in base ad elementi formali (come l’indicazione del soggetto in un dato provvedimento), ma anche e soprattutto secondo criteri sostanziali, tenendo presente i titolari, immediatamente o facilmente individuabili, di un interesse contrario a quello dell’aspirante accedente, diretto alla conservazione della situazione esistente. Per poter accedere ai documenti amministrativi non è più sufficiente, come nella originaria formulazione della L.241/1990, una situazione “solo” giuridicamente rilevante, ma anche giuridicamente tutelata, nonché collegata al documento cui si richiede di accedere. Il diritto de quo è, invero, strumentale ad acquisire la conoscenza necessaria a valutare la portata lesiva di atti o comportamenti posti in essere da una amministrazione pubblica. L’interesse sotteso ad una richiesta d’acceso deve essere: • attuale, cioè deve fare riferimento all’istanza in sé considerata e non all’interesse ad agire in giudizio per la tutela immediata della situazione sottostante; • personale, ossia deve emergere il collegamento tra il soggetto e l’interesse ad accedere, deve appartenere alla sfera dell’interessato; • concreto, nel senso di tangibilità dell’interesse, con riferimento alla necessità di un collegamento tra il soggetto ed un bene della vita coinvolto dall’atto o documento; non basta, ad esempio, il generico interesse alla trasparenza amministrativa, occorrendo un “quid pluris”, consistente nel collegamento tra il soggetto ed un concreto bene della vita; • serio e non emulativo, ossia meritevole di protezione in quanto non finalizzato a recare molestie e turbative. Quanto all’oggetto del diritto in esame, il legislatore italiano non ha ritenuto di addivenire ad una elencazione tipologica dei documenti accessibili, ma ha preferito darne una definizione generale: è considerato documento amministrativo ogni rappresentazione grafica, foto cinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale (art.22, comma 1, lett. d), L.241/1990). L’accesso non è quindi consentito quando determinati dati e informazioni non sono contenuti in un documento amministrativo, fatto comunque salvo quanto disposto dal d.lgs.196/2003 (Codice sulla privacy), quando cioè si tratti di dati personali non rappresentati in un documento amministrativo, ma detenuti da una P.A. in altre forme o con altre modalità. In tal caso va consentito l’accesso alla persona alla quale i dati si riferiscono. Per quanto concerne le finalità, l’artt.22 specifica che l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza, ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art.117, comma 2, lett.m), della costituzione. In ottemperanza a quanto previsto dall’art.23 della legge 11 febbraio 2005 n.15, il Governo con il D.P.R.184/2006, ha adottato il regolamento che disciplina le modalità di esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi in conformità a quanto stabilito nel capo V della novellata legge 7 agosto 1990, n.241, e successive modificazioni; esso è entrato in vigore il 2 giugno 2006. In base alle nuove prescrizioni il diritto di accesso ai documenti amministrativi può essere esercitato nei confronti di tutti i soggetti di diritto pubblico; nei confronti di tutti i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario, da chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento per il quale è richiesto l’accesso. La pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, qualora individui soggetti contro interessati, invita l’interessato a presentare richiesta formale di accesso ed è tenuta a dare comunicazione agli stessi, inviando copia mediante raccomandata con avviso di ricevimento, oppure per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione. I soggetti contro interessati sono individuati tenuto anche conto degli atti connessi. Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione, i contro interessati possono presentare motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. Decorso tale termine, la pubblica amministrazione provvede sulla richiesta, una volta accertata l’avvenuta ricezione della comunicazione. Qualora in base alla natura del documento richiesto non risulti l’esistenza di contro interessati, il diritto di accesso può essere esercitato in via informale mediante richiesta, anche verbale, all’ufficio dell’amministrazione competente a formare l’atto conclusivo del procedimento o a detenerlo stabilmente. In tal caso il richiedente deve indicare gli estremi del documento oggetto della richiesta, o gli elementi che ne consentano l’individuazione; specificare e, ove occorra, comprovare l’interesse connesso all’oggetto della richiesta; dimostrare la propria identità e, ove occorra, i propri poteri di rappresentanza del soggetto interessato. La richiesta è accolta mediante indicazione della pubblicazione contenente le notizie, esibizione del documento, estrazione di copie, o altra modalità idonea. Ove provenga da una pubblica amministrazione, la richiesta è presentata dal titolare dell’ufficio interessato o dal responsabile del procedimento amministrativo. Le pubbliche amministrazioni assicurano che il diritto d’accesso possa essere esercitato anche in via telematica. Articolo 23. (Ambito di applicazione del diritto di accesso) (Articolo così sostituito dall'articolo 4, comma 2, legge n. 265 del 1999; Rubrica aggiunta dalla Legge 11 febbraio 2005, n.15) 1. Il diritto di accesso di cui all'articolo 22 si esercita nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi. Il diritto di accesso nei confronti delle Autorità di garanzia e di vigilanza si esercita nell'ambito dei rispettivi ordinamenti, secondo quanto previsto dall'articolo 24. Sono obbligati (soggetti passivi) a consentire l’esercizio del diritto di accesso in base all’art.23, come modificato dall’art.4 L.265/1999: • le pubbliche amministrazioni. Nell’ambito delle pubbliche amministrazioni vanno ricompresi, ai sensi dell’art.22 L.241/1990, tutti i soggetti di diritto pubblico ed i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario; • gli enti pubblici. Nel novero di tali enti vanno ricompresi anche gli enti pubblici economici relativamente allo svolgimento dell’attività di diritto pubblico, come rimarcato dall’Adunanza generale del Consiglio di Stato con parere n.7 del 17-2-1987; • i gestori di pubblici servizi. L’originario art. 23 della L.241/1990 parlava di concessionari di pubblici servizi, ossia di quei soggetti privati legittimati, in virtù di un provvedimento concessorio, allo svolgimento di attività pubbliche; • le aziende autonome e speciali. Trattasi di organismi atipici, normalmente privi di personalità giuridica, ma dotati di una propria organizzazione amministrativa, incardinati nell’amministrazione statale, adibiti all’esercizio di attività ed alla gestione di servizi di carattere tecnico-economico e di enti di gestione di pubblici servizi locali, dotati di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e statutaria; • l’autorità di garanzia e di vigilanza; • l’amministrazione comunitaria; • le imprese di assicurazione. Articolo 24. (Esclusione dal diritto di accesso) (Articolo così sostituito dall'articolo 16 della legge n. 15 del 2005) 1. Il diritto di accesso è escluso: a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo; b) nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano; c) nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione; d) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relativi a terzi. sezione III del capo I del titolo I della parte III del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, o di cui agli articoli 154, 157, 158, 159 e 160 del medesimo decreto legislativo n. 196 del 2003, relativo al trattamento pubblico di dati personali da parte di una pubblica amministrazione, interessi l'accesso ai documenti amministrativi, il Garante per la protezione dei dati personali chiede il parere, obbligatorio e non vincolante, della Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi. La richiesta di parere sospende il termine per la pronuncia del Garante sino all'acquisizione del parere, e comunque per non oltre quindici giorni. Decorso inutilmente detto termine, il Garante adotta la propria decisione". (comma così sostituito dall'articolo 17, comma 1, lettera a), legge n. 15 del 2005, poi così modificato dall'articolo 8, comma 1, legge n. 69 del 2009) 5. Le controversie relative all'accesso ai documenti amministrativi sono disciplinate dal codice del processo amministrativo. (comma così sostituito dall'Allegato 4, articolo 3, comma 2, decreto legislativo n. 104 del 2010) 5-bis. [Nei giudizi in materia di accesso, le parti possono stare in giudizio personalmente senza l'assistenza del difensore. L'amministrazione può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente, purché in possesso della qualifica di dirigente, autorizzato dal rappresentante legale dell'ente.] (comma abrogato dall'Allegato 4, articolo 4, del decreto legislativo n. 104 del 2010) 6. [Il giudice amministrativo, sussistendone i presupposti, ordina l'esibizione dei documenti richiesti.] (comma abrogato dall'Allegato 4, articolo 4, del decreto legislativo n. 104 del 2010) Il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi. La richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata, essa deve essere rivolta all’amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente. Il soggetto che chiede l’accesso deve esplicitare le ragioni sottese alla richiesta di ostensione, dal momento che non è possibile che vi siano istanze di accesso preordinate ad un generico controllo sull’attività amministrativa, alla stregua di un’azione popolare. La richiesta d’accesso deve essere motivata. Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta questa s’intende respinta. Il quinto e il sesto comma dell’art.25 L.241/1990 assicuravano agli interessati una tutela giurisdizionale rapida ed efficiente nei riguardi sia dei dinieghi espliciti, che delle inerzie amministrative. Attualmente il comma quinto stabilisce che le controversie relative all'accesso ai documenti amministrativi sono disciplinate dal codice del processo amministrativo (D.Lgs. 104/2010), mentre il comma sesto è stato abrogato. Permane la doppia tutela nei confronti del denegato accesso espresso o tacito (silenzio rifiuto) o del suo differimento, davanti al TAR o al difensore civico competente per territorio, ovvero alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi nel caso di atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato (entro 30 giorni). Si stabilisce, a tal fine, che sia nell’ipotesi di diniego esplicito, sia in quella di inerzia protrattasi oltre i 30 giorni, l’interessato è legittimato all’esperimento del ricorso giurisdizionale al T.A.R., nel termine di 30 giorni. Il tribunale dovrà pronunciarsi in camera di consiglio, entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne facciano richiesta. Inoltre la nuova formulazione del comma 4 dell’art.25 citato prevede (in caso di rifiuto espresso o implicito o di differimento dell’accesso) la possibilità di ricorrere nello stesso termine (in alternativa al ricorso al T.A.R), al difensore civico competente per ottenere che venga riesaminata la determinazione. Se quest’ultimo ritiene illegittimo il diniego o il differimento, lo comunica all’autorità disponente che dovrà provvedere nel termine di 30 giorni dal ricevimento della richiesta. In mancanza l’accesso è consentito. Nello stesso art.25 si precisa che la competenza del difensore civico è ristretta agli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, mentre nei confronti delle amministrazioni centrali e periferiche dello stato il ricorso per riesame è inoltrato presso la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi di cui all’art.27 L.241/1990 nonché presso l’amministrazione resistente (art.25 comma 4, come modificato dall’art.8 L.69/2009). Sempre nell’ottica della facilitazione della tutela, giova ricordare che il comma 5bis, art.25 stabiliva che il ricorrente può stare in giudizio personalmente senza l’assistenza del difensore e l’amministrazione può essere rappresentata e difesa da un suo dipendente. Questi deve essere in possesso della qualifica di dirigente e deve essere autorizzato dal rappresentante legale dell’ente. Il comma 5bis è stato abrogato. La norma non precisa se la decisione del G.A. di disgelare (o meno) il contenuto dell’atto abbia natura di sentenza, ordinanza e decreto. Tuttavia, il carattere decisorio della pronuncia induce a ritenere che si tratti di una sentenza. Pertanto, a fronte di comportamenti della P.A. omissivi o elusivi del giudicato, l’interessato potrà ottenere tutela ricorrendo al giudizio di ottemperanza. Articolo 26. (Obbligo di pubblicazione) (Rubrica aggiunta dalla Legge 11 febbraio 2005, n.15) 1. Fermo restando quanto previsto per le pubblicazioni nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana dalla legge 11 dicembre 1984, n. 839, e dalle relative norme di attuazione, sono pubblicati, secondo le modalità previste dai singoli ordinamenti, le direttive, i programmi, le istruzioni, le circolari e ogni atto che dispone in generale sulla organizzazione, sulle funzioni, sugli obiettivi, sui procedimenti di una pubblica amministrazione ovvero nel quale si determina l'interpretazione di norme giuridiche o si dettano disposizioni per l'applicazione di esse. 2. Sono altresì pubblicate, nelle forme predette, le relazioni annuali della Commissione di cui all'articolo 27 e, in generale, è data la massima pubblicità a tutte le disposizioni attuative della presente legge e a tutte le iniziative dirette a precisare ed a rendere effettivo il diritto di accesso. 3. Con la pubblicazione di cui al comma 1, ove essa sia integrale, la libertà di accesso ai documenti indicati nel predetto comma 1 s'intende realizzata. Articolo 27. (Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi). (Articolo così modificato dall'articolo 18, Legge 11 febbraio 2005, n.15) 1. È istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi. 2. La Commissione è nominata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio dei ministri. Essa è presieduta dal sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed è composta da dodici membri, dei quali due senatori e due deputati, designati dai Presidenti delle rispettive Camere, quattro scelti fra il personale di cui alla legge 2 aprile 1979, n. 97, su designazione dei rispettivi organi di autogoverno, due fra i professori di ruolo in materie giuridiche e uno fra i dirigenti dello Stato e degli altri enti pubblici. È membro di diritto della Commissione il capo della struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri che costituisce il supporto organizzativo per il funzionamento della Commissione. La Commissione può avvalersi di un numero di esperti non superiore a cinque unità, nominati ai sensi dell'articolo 29 della legge 23 agosto 1988, n. 400. 3. La Commissione è rinnovata ogni tre anni. Per i membri parlamentari si procede a nuova nomina in caso di scadenza o scioglimento anticipato delle Camere nel corso del triennio. 4. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, a decorrere dall'anno 2004, sono determinati i compensi dei componenti e degli esperti di cui al comma 2, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri. 5. La Commissione adotta le determinazioni previste dall'articolo 25, comma 4; vigila affinché sia attuato il principio di piena conoscibilità dell'attività della pubblica amministrazione con il rispetto dei limiti fissati dalla presente legge; redige una relazione annuale sulla trasparenza dell'attività della pubblica amministrazione, che comunica alle Camere e al Presidente del Consiglio dei ministri; propone al Governo modifiche dei testi legislativi e regolamentari che siano utili a realizzare la più ampia garanzia del diritto di accesso di cui all'articolo 22. 6. Tutte le amministrazioni sono tenute a comunicare alla Commissione, nel termine assegnato dalla medesima, le informazioni ed i documenti da essa richiesti, ad eccezione di quelli coperti da segreto di Stato. 7. In caso di prolungato inadempimento all'obbligo di cui al comma 1 dell'articolo 18, le misure ivi previste sono adottate dalla Commissione di cui al presente articolo". Al fine di vigilare sulla effettiva attuazione del principio di piena conoscibilità dell’attività amministrativa, è stata istituita, a mente dell’art.27 della L.241/1990, la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi. Tale organo, nominato con decreto presidenziale, è adibito: • alla vigilanza sull’attuazione del principio di piena conoscibilità dell’attività della P.A.; • alla predisposizione di una relazione annuale sulla trasparenza amministrativa, da comunicarsi alle Camere ed al Presidente del Consiglio dei Ministri; • all’invio al Governo di proposte in ordine a modifiche legislative funzionalizzate ad una più ampia garanzia del diritto d’accesso. Articolo 28. (Modifica dell'articolo 15 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, in materia di segreto di ufficio) (Rubrica aggiunta dall'articolo 19, Legge 11 febbraio 2005, n.15) 1. L'art. 15 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, è sostituito dal seguente: "Art. 15 ( Segreto d'ufficio ). - 1. L'impiegato deve mantenere il segreto d'ufficio. Non può trasmettere a chi non ne abbia diritto informazioni riguardanti provvedimenti od operazioni amministrative, in corso o concluse, ovvero notizie di cui sia venuto a conoscenza a causa delle sue funzioni, al di fuori delle ipotesi e delle modalità previste dalle norme sul diritto di accesso. Nell'ambito delle proprie attribuzioni, l'impiegato preposto ad un ufficio rilascia copie ed estratti di atti e documenti di ufficio nei casi non vietati dall'ordinamento". Capo VI Disposizioni finali Articolo 29. (Ambito di applicazione della legge) (Articolo così sostituito dall'articolo 19 della Legge n. 15 del 2005 e dalla Legge 18 giugno 2009, n.69) 1. Le disposizioni della presente legge si applicano alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali. Le disposizioni della presente legge si applicano, altresì, alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all'esercizio delle funzioni amministrative. Le disposizioni di cui agli articoli 2-bis, 11, 15 e 25, commi 5, 5-bis e 6, nonché quelle del capo IV-bis si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche. (comma così modificato dall'articolo 10, comma 1, legge n. 69 del 2009) 2. Le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge. 2-bis. Attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione le disposizioni della presente legge concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione dell'interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di concluderlo entro il termine prefissato e di assicurare l'accesso alla documentazione amministrativa, nonché quelle relative alla durata massima dei procedimenti. 2-ter. Attengono altresì ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione le disposizioni della presente legge concernenti la dichiarazione di inizio attività e il silenzio assenso e la conferenza di servizi, salva la possibilità di individuare, con intese in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, e successive modificazioni, casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano. (comma così modificato dall'articolo 49, comma 4, legge n. 122 del 2010)
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