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L'affermazione delle dittature e dei totalitarismi, Appunti di Storia

L'ascesa del nazismo; le strutture del regime nazista; l’edificazione della Volksgemeinschaft (“comunità popolare o nazionale”); il fascismo italiano negli anni Trenta; la politica economica nella Russia di Stalin; repressione e conservatorismo staliniani; la guerra civile in Spagna; regimi dittatoriali e regimi totalitari

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 05/09/2023

AliceBonetta
AliceBonetta 🇮🇹

5

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213 documenti

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Scarica L'affermazione delle dittature e dei totalitarismi e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! L’affermazione delle dittature e dei totalitarismi La democrazia resiste in Irlanda, Gran Bretagna, Francia, Svizzera, Lussemburgo, Belgio, Olanda, Cecoslovacchia, Danimarca, Norvegia, Svezia e Finlandia. In tutto il resto d’Europa si instaurano regimi autoritari di destra, che nella maggior parte dei casi traggono ispirazione dall’esempio del fascismo italiano. Se si guarda la carta d’Europa nel 1938, e si tiene a mente che il colore delle divise della Milizia fascista è il ero, si può ben dire che ora il vero “Continente nero” è diventato l’Europa meridionale e centro-orientale. È la crisi delle democrazie europee. 1. L’ascesa del nazismo Il caso più eclatante di crollo di un sistema democratico è quello che si registra in Germania. Alle origini vi è l’impatto della crisi del ’29 che colpisce la Germania con una durezza inaudita. L’economia tedesca dipende direttamente dai finanziamenti che vengono dagli Stati Uniti, e quando l’economia statunitense va in crisi il sistema economico tedesco sprofonda. Nel 1932 i disoccupati sono quasi 6.000.000, un numero che è pari al 30% della forza lavoro tedesca. È un’enormità: vuol dire che un lavoratore su tre è disoccupato e per moltissimi è un vero dramma. In questo contesto avviene ciò che sarebbe sembrato assolutamente impossibile; il piccolo partito fondato da Hitler, la Nsdap, il Partito nazionalsocialista, riscuote un consenso crescente; nelle elezioni del 1930 ottiene il 18,3% dei voti, percentuale che lo fa diventare il secondo partito dopo il Partito socialdemocratico; nelle prime elezioni del 1932 raccoglie addirittura il 37,3% dei voti, una percentuale che lo fa diventare di gran lunga il primo partito; nelle seconde elezioni del 1932 la Nsdap ha una netta flessione ma, nonostante ciò, resta il partito più grande, col 33,1% dei voti. Il nazionalismo costruisce il suo successo su tre elementi primari:  un nazionalismo estremamente aggressivo, con chiare implicazioni belliciste;  un razzismo egualmente estremo;  una capacità di tradurre la sua aggressività verbale in concreti attacchi fisici a coloro che i nazisti identificano come “nemici del popolo tedesco”. Il nazionalismo soffia sul fuoco del risentimento contro le condizioni imposte alla Germania dal trattato di Versailles. Ma questa polemica diventa tanto più convincente quanto più nazisti affermano di conoscere i veri responsabili delle sofferenze del popolo tedesco. Questi responsabili no sono solo le potenze straniere e i partiti della Repubblica di Weimar, ma sono soprattutto gli ebrei e i comunisti: sono costoro che tramano nell’ombra e non desiderano altro che la rovina del popolo tedesco. In molti provano un certo conforto nell’ascoltare i nazisti e nell’illudersi di aver capito chi sono i veri colpevoli della loro disoccupazione, della loro misera, delle loro sofferenze. Le aggressioni a comunisti, a socialdemocratici e a cittadini di confessione ebraica, compiute dalle associazioni paramilitari naziste, sono tollerate dai governi e dalle autorità di polizia. Tragicamente, ciò aumenta il prestigio del Partito nazista. Il profilo sociale dei militanti o dei simpatizzanti nazisti dice ancora altre cose sulle ragioni del successo della Nsdap. Una gran parte degli iscritti al Partito nazionalsocialista è composta da giovani o da giovanissimi. La loro giovinezza è apprezzata da molti e soprattutto dai loro coetanei i quali vedono nell’aggressività verbale e fisica dei nazisti una rivolta generazionale per la quale provano simpatia. Un buon numero dei sostenitori della Nsdap viene dalla classe operaia. Ma il nucleo della base elettorale è composto da ceti medi dai liberi professionisti e dagli studenti. Inoltre, un certo numero di importanti imprenditori elargisce cospicui finanziamenti al Partito nazista. Dopo una rapida sequenza di crisi di governo, al presidente della Repubblica, il generale Paul von Hindenburg, non resta che dare l’incarico di Primo ministro a Hitler. Il 30 gennaio 1933 Hitler riceve il mandato e forma un governo di coalizione nel quale i ministri nazisti sono tre su undici, mentre gli altri incarichi sono attribuiti a esponenti degli altri partiti della destra moderata. Non passa un mese che un episodio mai del tutto chiarito offre a Hitler l’occasione per raggiungere il suo vero scopo, e cioè imporre un regime politico a partito unico. L’episodio accade nella notte del 27 febbraio 1933, quando la sede del Parlamento viene data alle fiamme. La responsabilità viene attribuita ai comunisti e subito Hitler sfrutta l’occasione per sospendere i diritti costituzionali e per ordinare alla polizia di arrestare migliaia di dirigenti e militanti comunisti. Nel marzo del 1933 si tengono nuove elezioni. I nazisti ottengono un risultato trionfale, che li mette in condizione di governare da soli. Ma Hitler non vuole governare in un contesto parlamentare. Hitler presenta al Parlamento un decreto che gli dovrebbe concedere i pieni poteri. Il Parlamento approva. È la fine della Repubblica di Weimar e la nascita del Terzo Reich nazista, l’Impero tedesco che succede al Sacro romano impero e all’Impero guglielmino. 2. Le strutture del regime nazista Tra i primi mesi del 1933 e il 1934 il governo nazista mette in atto la Gleichschaltung (“coordinamento o allineamento”). In primo luogo. Hitler ordina subito lo scioglimento di tutti i partiti di opposizione. Gli oppositori vengono arrestati e cominciano a essere rinchiusi in luoghi appositi, chiamati Konzentrationslager, “campi di concentramento”. Nel luglio del 1933 Hitler emana un decreto col quale la Nsdap viene proclamata l’unico partito legalmente ammesso. Nel novembre del 1933 si tiene un’elezione plebiscitaria sulla base di una lista unica nazista, che ottiene un risultato forzatamente trionfale. Il 2 agosto del 1934 la carica di presidente del Reich è cumulata con quella di capo del governo e attribuita a Hitler. Sin dai primi anni Venti uno degli elementi peculiari della Nsdap è stato il possesso di una speciale forza paramilitare, le Sturmabteilungen, i Reparti d’assalto o SA. Al fianco delle SA, sin dal 1926, sono state costituite le Schutzstaffel, Squadre di protezione o SS, la cui funzione originaria è quella di proteggere la persona di Hitler e degli altri dirigenti del Partito nazista. Le SS si dotano anche di divise specifiche, nelle quali domina il colore nero. Dopo la conquista del potere, il capo delle SA, Ernst Röhm, ambisce esplicitamente a diventare il capo della Wehrmacht, l’esercito regolare tedesco. Hitler percepisce queste ambizioni come una minaccia diretta alla sua leadership. Per questo ordina alle SS di compiere un attacco contro il quartier generale delle SA di uccidere Röhm e gli altri dirigenti principali delle SA, ciò che viene compiuto tra il 30 giugno e il 2 luglio del 1934 nel corso di un’operazione ricordata come la “Notte dei lunghi coltelli”. La formazione paramilitare continua a esistere, con una nuova dirigenza fedele a Hitler, ma in posizione nettamente subordinata alle SS. Alle SS viene affidato il controllo della Gestapo, la polizia segreta di Stato, e del Sichernheitsdienst, il servizio segreto. Queste due organizzazioni svolgono una terribile azione intimidatoria nei confronti di tutti quei settori della popolazione che anche dopo il 1933 continuano a nutrire sentimenti critici o ostili nei confronti del regime nazista. Sin dal 1934 si forma anche un reparto militare delle SS, le Waffen-SS, che costituisce un corpo militare autonomo che affianca la Wehrmacht, l’esercito tedesco. Le Wehrmacht mantiene una sua larga autonomia, sebbene sia posta sotto il controllo politico del governo nazista. Sin dal 1933 viene avviata una politica di potenziamento dell’esercito. Per i nazisti è fondamentale il controllo di tutti gli istituti di socializzazione. I programmi scolastici sono immediatamente modellati sui principi ideologici del nazionalsocialismo. I nazisti presentano una speciale attenzione ai simboli e ai rituali pubblici: tali liturgie devono servire a instillare un sentimento di effettiva appartenenza alla nuova società nazista; devono trasmettere l’idea di una invincibile coesione interna del popolo tedesco e di un legame inscindibile tra i popolo e il suo Fürher, cioè Hitler. Inoltre, sin dal suo insediamento, il governo nazista procede alla costituzione di organismi che inquadrano obbligatoriamente tutti i ragazzi, tutte le ragazze e tutti i lavoratori e le lavoratrici all’interno di organizzazioni dipendenti direttamente dal Partito nazista. La Chiesa luterana dà subito un solido sostegno al regime nazista. Più complessi i rapporti con la Chiesa cattolica. Nel 1933 viene firmato un Concordato che avvicina al regime molti cattolici della Germania sud- occidentale. Tuttavia gli sviluppi neopagani e razzisti inducono il pontefice, Pio IX, a pubblicare un’enciclica, Mit brennender Sorge, “Con bruciante preoccupazione”, nella quale condanna molto chiaramente l’ideologia razzista del nazismo. 3. L’edificazione della Volksgemeinschaft (“comunità popolare o nazionale”) È evidente che i nazisti non hanno voglia di risolvere gli eventuali contenziosi internazionali in altro modo che con azioni di guerra. Prova ne è la decisione presa dal governo nazista nell’ottobre del 1933, quando esce dalla Società delle Nazioni. Lo fa perché è intenzionato a rimettere in discussione tutti gli aspetti fondamentali del trattato di Versailles e vuole avere le mani libere per farlo come meglio desidera. In effetti già la stessa politica di ricostituzione e di riarmo della Wehrmacht è attuata in violazione al trattato di pace. Così come in provocatoria violazione di uno degli articoli del trattato è l’occupazione militare della Renania, che secondo il trattato sarebbe dovuta restare zona smilitarizzata e che invece l’esercito tedesco occupa nel marzo del 1936. In questo contesto va vista anche l’interruzione dei pagamenti delle riparazioni ai paesi vincitori della Grande Guerra. Dal 1933 i pagamenti per le riparazioni non vengono più ripresi, e ciò consente al governo nazista di disporre di un bilancio statale che si è liberato di una pesantissima voce passiva. si precisa che sia nelle amministrazioni pubbliche sia in quelle private il personale femminile non può superare il 10% del totale degli impiegati. A spingere le donne verso l’esclusivo ruolo di madri provvede anche la legge del 10 dicembre 1925 che crea l’Opera Nazionale per la protezione della Maternità e dell’Infanzia (Onmi), ente assistenza per madri povere e nubili. La politica demografica del regime ha anche una componente repressiva: l’aborto è considerato un crimine contro lo Stato; la contraccezione è risolutamente scoraggiata; i celibi devono pagare una speciale imposta che li punisce per non aver costituito una famiglia; gli omosessuali sono perseguitati, sebbene non con l’accanimento del regime nazista. I risultati sono contraddittori: la popolazione lavorativa femminile si mantiene stabile intorno al 28% del totale della popolazione attiva; il tasso di natalità non cresce come in Germania; nondimeno la popolazione nel suo complesso registra un certo aumento. A Mussolini i risultati sembrano più che sufficienti per decidere di attaccare l’Etiopia (ottobre 1935). Le truppe del sovrano etiope Hailè Selassiè sono sopraffatte. Le tecniche adottate dall’esercito italiano, guidato dai generali Pietro Badoglio e Rodolfo Graziani, sono estremamente brutali e non risparmiano la popolazione civile. Vengono bombardati villaggi; si usano massicciamente i gas asfissianti, che vengono lanciati dagli aerei sull’esercito etiope, ma anche sui civili, sul bestiame, sui pascoli, sui corsi d’acqua; si procede alla deportazione di massa della popolazione. Nel maggio del 1936 l’Etiopia forma la nuova colonia dell’Africa Orientale Italiana (Aoi); Mussolini proclama la nascita di un Impero italiano e il sovrano, Vittorio Emanuele III, assume il titolo di imperatore. La Società delle Nazioni protesta contro l’iniziativa italiana e approva l’attuazione di sanzioni economiche, bloccando i rifornimenti di materiali destinati all’industria bellica italiana. L’Italia riceve in questa occasione il sostegno diplomatico ed economico della Germania nazista. L’appoggio della Germania e l’affinità tra i due regimi fanno sì che si giunga a un patto di esplicita alleanza, siglato nell’ottobre del 1936, l’“Asse Roma-Berlino”: i due paesi si riconoscono reciprocamente due diverse potenziali sfere di influenza. L’accordo viene consolidato ed esteso con la firma di un patto antisovietico, sottoscritto da Italia, Germania e Giappone (novembre 1937) e con l’uscita dell’Italia dalla Società delle Nazioni (dicembre 1937). L’avventura etiope sollecita la produzione di una legislazione razziale riservata all’Africa Orientale Italiana, volta a scoraggiare le relazioni tra i “cittadini” e i “sudditi”: l’organizzazione urbanistica delle città coloniali e la vita quotidiana nell’Aoi si ispirano a pratiche di vero e proprio apartheid, che la normativa sulle relazioni sessuali-matrimoniali non fa che rendere più esplicita e aspra. Una legge del giugno 1936 stabilisce che una donna italiana la quale sposi un “suddito” diventi “suddita” anch’essa. Una legge del 1938 vieta i matrimoni con persone di altra razza, quindi anche con “sudditi o suddite” dell’Aoi. Una norma del 1939 introduce il reato di “lesione della razza” che viene commesso quando un “cittadino” lavori alle dipendenze di un “suddito”. Una legge del 1940, infine, contiene le “norme relative ai meticci” che sono completamente equiparati ai “nativi” e quindi trattati come “sudditi”. Tanto l’ossessione per la contaminazione razziale quanto l’avvicinamento alla Germania nazista inducono il regime fascista a produrre un’ulteriore legislazione razziale esplicitamente antisemita. Questa fase è aperta dalla pubblicazione del Manifesto della razza (13 luglio 1938), un testo approvato dal ministero della Cultura popolare e firmato da studiosi fascisti, docenti nelle Università italiane. Il testo afferma il carattere ariano della popolazione italiana, che sarebbe priva di commistioni significative con altre razze, mentre dichiara esplicitamente anche che gli ebrei non appartengono alla razza italiana. Il 7 ottobre 1938 il Gran Consiglio del fascismo rende pubblica una sua Dichiarazione sulla razza, nella quale si chiariscono i presupposti della legislazione che è già in corso di emanazione. La reazione della società italiana a questa valanga legislativa è in qualche caso di aperto sostegno; in qualche caso di sconcerto; nella grandissima maggioranza dei casi di acquiescenza o di indifferenza. Anche la Chiesa cattolica non assume una posizione ufficiale in merito, sebbene privatamente Pio XI si sia dichiarato decisamente contrario all’antisemitismo; ma il suo progetto di un’enciclica di condanna cade per la sua morte e il suo successore, Pio XII, non dà seguito all’iniziativa. La propaganda fascista vuole trasmettere un’idea rigorosamente organicistica della nazione, considerata come un corpo compatto, diviso solo da distinzioni funzionali, ma non da diversità di interessi. A questo principio si ispira anche la didattica scolastica. Su questa base il fascismo innesta due ulteriori sviluppi originali: il culto della Roma imperiale, considerata come il modello da imitare e la matrice originaria della nazione italiana; e il culto del duce, considerato come la personificazione e la sintesi di tutte le virtù dell’uomo nuovo prodotto dalla rivoluzione fascista. Il culto del duce trova i suoi momenti di apoteosi nelle “adunate oceaniche” in cui Mussolini incontra masse osannanti, o nei comizi dal balcone del suo ufficio di Palazzo Venezia, a Roma, a fianco del Vittoriano. Nel 1927 viene fondato l’Ente italiano audizioni radiofoniche, a cui è affidata la programmazione radiofonica. Poiché gli apparecchi radio posseduti da privati in Italia sono relativamente pochi, spesso le trasmissioni radiofoniche sono diffuse da altoparlanti, posti in luoghi pubblici. Ancora più efficace è l’iniziativa affidata all’Istituto Luce, che dal 1927 ha il compito di preparare e diffondere nei cinema i “cinegiornali”. 5. La politica economica nella Russia di Stalin Isolata nel lontano Est d’Europa, l’Unione Sovietica segue degli obiettivi economici e sociali che sembrano completamente diversi da quelli delle dittature di destra: se queste non intendono mettere in discussione le gerarchie economiche e sociali esistenti, la società comunista insegue il sogno di una società integralmente egualitaria; i risultati, tuttavia, sembrano lontani dalle ambizioni. Tra il 1927 e il 1929 Stalin si è imposto come il dirigente indiscusso del Partito comunista sovietico e della stessa Unione Sovietica. Dopo aver difeso il valore della nuova politica economica, che ha parzialmente liberalizzato gli scambi commerciali e le attività produttive, in particolare quelle agricole, Stalin decide di cambiare completamente linea di azione, promuovendo l’industrializzazione del sistema produttivo e la completa collettivizzazione dell’agricoltura. Per realizzare questo progetto ricorre allo strumento della pianificazione sotto il controllo e la guida degli organi centrali di governo. Nel 1928 viene messo a punto il primo “piano quinquennale”; dal 1932 al 1937 entra in vigore il secondo; nel 1928 ne viene messo a punto un terzo. Per un aspetto almeno i risultati sono strabilianti. La produzione industriale cresce a ritmi assolutamente sorprendenti. La rete stradale e ferroviaria, sulla quale viaggiano queste masse migranti, è enormemente potenziata. Egualmente rafforzate sono le strutture educative, specie quelle che servono alla formazione di personale tecnico da impiegare nei ruoli direttivi delle industrie. Gli studenti crescono dagli 8.000.000 del 1918-1919 ai 35.500.000 del 1939-1940. Risultato complessivo: nel 1940 l’Unione Sovietica è diventata la terza potenza industriale al mondo, con indici produttivi che sono inferiori solo agli Stati Uniti e alla Germania. Dal punto di vista puramente sociale tutta questa operazione si basa su un’enorme compressione del tenore di vita della popolazione. I salari sono bassi e non si muovono al passo con l’andamento dei prezzi, che crescono più rapidamente. Sebbene questi aspetti diano già la misura dello sforzo che l’industrializzazione accelerata costa al paese, sono assolutamente niente quando sono confrontati col trattamento riservato ai produttori agricoli. A fianco dell’industrializzazione, infatti, Stalin e i suoi collaboratori hanno deciso di attuare una completa collettivizzazione delle aziende agricole. Tutti i contadini, e in particolare i kulaki, sono costretti ad associare le loro aziende a cooperative agricole (i kolchoz) o a cederle ad aziende possedute e gestite dallo Stato (i sovchoz). Poiché molti contadini, e ovviamente i kulaki per primi, non vogliono aderire spontaneamente al piano di collettivizzazione dell’agricoltura, vi sono forzati con brutali metodi coercitivi: le aziende vengono espropriate; i proprietari vengono deportati; in molti casi chi si oppone viene giustiziato come “nemico della Rivoluzione”. Economicamente e socialmente questo aspetto dell’azione del governo sovietico si rivela un disastro: tra il 1928 e il 1937 la produzione agricola è in declino ovunque, non solo per la difficoltà di riorganizzare l’intera produzione sulla base delle nuove direttive ma anche perché molti dei contadini che sono forzatamente costretti a lavorare nei kolchoz o nei sovchoz lo fanno senza alcun entusiasmo. Il momento più drammatico di tutta questa vicenda è quello che, nel 1932-1933, travolge l’Ucraina, dove scoppia una tremenda carestia di fronte alla quale il governo non fa assolutamente niente. Gli esiti sono terribili: si stima che i morti per fame siano stati tra i 7 e i 10.000.000. 6. Repressione e conservatorismo staliniani Un’operazione delle proporzioni dell’industrializzazione forzata e della collettivizzazione integrale non può essere condotta che con elementi coercitivi. Se l’intimidazione violenta delle opposizioni è un ratto originario della Rivoluzione sovietica, essa diventa lo strumento essenziale di controllo e di governo adottato dallo Stato sovietico negli anni Trenta. Con un certo fondamento si può dire che la vera caratteristica dello stalinismo, cioè dallo stile politico introdotto da Stalin, è il governo attraverso la paura e il sospetto. Chi ha paura cerca di conformarsi ai voleri delle autorità; cerca perfino di anticiparli, eccedendo nello zelo. Per questo motivo viene elogiato come un “eroe del comunismo”. I valori collettivi, e in particolare l’ubbidienza allo Stato e ai suoi rappresentanti devono venire prima di tutto; certamente devono venire prima degli affetti privati, che devono essere anche sacrificati quando è necessario. Scardinare le relazioni private, fino a far penetrare la paura nell’intimo delle famiglie, fino a far temere che ogni familiare possa trasformarsi nell’accusatore degli altri familiari, è un’idea accarezzata anche da altri regimi autoritari degli anni Trenta. Ma nel caso dello stalinismo peculiare è che il sistema delle differenze è incredibilmente più pervasivo e spaventoso, perché il confine tra noi e loro non è mai del tutto chiaro; si muove continuamente e tra gli stessi cittadini sovietici: dove si collochi quel confine dipende solo dalla volontà di Stalin e di chi gli sta intorno. Ci sono alcune categorie più facilmente di altre identificate come “nemici da abbattere”: i kulaki; alcuni gruppi etnici; i preti ortodossi. Ma quel confine non è rigido, perché coinvolge molti altri e passa addirittura all’interno dello stesso Partito comunista. Sin dalla fine degli anni Venti sono state messe in atto espulsioni ed emarginazioni di capi comunisti che si sono opposti a Stalin. Tutto ciò si trasforma in vero e proprio sistema a partire dal 1934. Nel pieno dello sforzo della pianificazione nessuna opposizione è ammessa. L’allontanamento progressivo di dirigenti comunisti che si oppongono a Stalin diventa un rituale ricorrente che si esprime in alcune liturgie particolarmente vistose; nel 1936 viene allestito un processo farsesco contro sedici oppositori, tra i quali vi sono anche importanti dirigenti bolscevichi della prima ora, come Grigorij Zinoviev e Lev Kamenev. Costretti a confessare un crimine che non hanno commesso, gli imputati sono tutti condannati e giustiziati. Stessa sorte tocca nel 1938 a un altro autorevole dirigente sovietico, Nicolaj Bucharin. Anche Trotskij, che si è trasferito in Messico, e che da lì continua la sua polemica contro lo stalinismo, viene ucciso nel 1940 da sicari inviati da Stalin. Queste vicende danno un’adeguata misura del funzionamento della “politica della paura e del sospetto” messa in atto da Stalin, se non si ricorda che esse sono parte di un’epurazione di massa che colpisce tanto il Partito comunista sovietico quanto i quadri direttivi dello Stato. Il 10% dei comunisti viene giustiziato; gli altri vengono deportati in luoghi appositi, organizzati sin dagli anni Venti. Si tratta dei campi di concentramento, che in Unione Sovietica vengono organizzati con grande anticipo sul sistema concentrazionario nazista e che nel 1931 sono amministrati dalla Glavnoe Upravlenie Lagerei, l’Amministrazione centrale dei campi, i Gulag. Le condizioni di vita in questi luoghi sono assolutamente proibitive. La mortalità raggiunge il livello pazzesco del 300%. Ai morti dovuti alle terribili condizioni di vita cui sono costretti nei campi si devono anche aggiungere le persone giustiziate con esecuzioni capitali di cui è rimasta traccia documentaria. Tutto questo sistema ha bisogno di un nucleo operativo duro e fedele a Stalin. Sebbene nessuno possa mai sentirsi salvo per davvero in questo sistema della “politica della paura e del sospetto”, pure c’è bisogno di personale “tecnicamente preparato”, in grado di attuare il sistema. Fondamentale, in questo quadro, è l’azione svolta dalla Direzione Politica di Stato (Gpu), dotata di ampi poteri, ed estremamente disinvolta nella scelta delle tecniche di indagine e di repressione. La polizia è alle dipendenze del Commissariato agli Affari Interni (Nkvd), che coordina e controlla le operazioni di polizia e che fa capo allo stesso Stalin. Alla pressione violenta e intimidatrice si affianca la costruzione di un culto della personalità, riservato a Stalin, presentato come il vero padre della patria sovietica. Negli anni Trenta si sostituisce una linea che vuole ricomporre e rinsaldare la coesione delle famiglie. In parte è una scelta che deriva dal conservatorismo culturale di Stalin e dei suoi collaboratori. In parte deriva dalla necessità di far fronte a un notevole disordine nelle relazioni familiari che la legislazione sovietica degli anni Venti ha causato. E così dal 1934 l’omosessualità è considerata un reato. Nel 1936 l’aborto viene vietato e il divorzio viene reso molto più complesso di prima. La maternità è pubblicamente apprezzata e incentivata con un sistema di assegni familiari. Al tempo stesso Stalin in persona non smette di elogiare il contributo che le donne stanno dando alla crescita e alla trasformazione economica dell’Unione Sovietica. Effettivamente il numero di donne impiegate nell’industria e nell’agricoltura è in aumento e passa al 43& nel 1940. Tuttavia il contesto economico e politico della metà degli anni trenta non sembra aiutarle davvero. D’altro canto è ben difficile che le famiglie siano compatte e serene in un contesto come quello che si vive nell’Unione Sovietica del “grande terrore”, in cui mogli e figli possono essere arrestati e deportati per il solo fatto di essere parenti di condannati. E così, alla fine, anche contro le intenzioni di Stalin, la “politica della paura e del sospetto” non aiuta in alcun modo a ricomporre e consolidare i legami familiari. L’Unione Sovietica si trova a lungo emarginata nell’Est europeo, fuori dai circuiti economici che collegano i paesi occidentali. L’unico modo che ha per esercitare una qualche influenza è attraverso i partiti comunisti che si sono formati nei paesi occidentali. Dopo aver incoraggiato i partiti comunisti europei a contrapporsi duramente ai socialisti democratici. Nel 1934 arriva da Mosca una nuova direttiva, motivata dal preoccupante successo del nazismo in Germania e dalla evoluzione autoritaria e imperialista del Giappone; adesso si invitano i comunisti a cercare accordi con i socialdemocratici, una linea che si traduce nella breve stagione dei Fondi popolari. La prima sperimentazione di questa nuova linea ha luogo in Francia; dopodiché è la volta della Spagna. 7. La guerra civile in Spagna
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