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L'Agnese va a morire di Renata Viganò, Schemi e mappe concettuali di Letteratura

Riassunto e analisi del libro in modo dettagliato.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

In vendita dal 24/01/2024

l.verde
l.verde 🇮🇹

4.5

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Scarica L'Agnese va a morire di Renata Viganò e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura solo su Docsity! 1 TESTO ANALIZZATO AUTORE Renata Viganò TITOLO L’Agnese va a morire EDITORE Einaudi 1. CARATTERISTICHE DEL TESTO GENERE Romanzo di formazione con sfondo storico TEMI  Tema della guerra, presente nel corso di tutto il romanzo e affrontato con grande coinvolgimento; tema della morte, che freddamente colpisce i personaggi e li distrugge in silenzio; tema della vita, amata nonostante ogni circostanza sfavorevole, desiderata in barba a chi desidera toglierla; tema dell’amore, un amore lontano ma fortissimo; tema dell’amicizia e nella lealtà, che vediamo nelle figure dei partigiani; tema del tradimento, odiato e severamente punito; tema della libertà, difficile da raggiungere e bellissima fantasia per i personaggi in azione; tema della prigionia, terribile ma ravvicinante; tema della cattiveria e dell’omertà; tema dell’ingiustizia; tema della violenza; tema della fame, forse meno rilevante ma comunque con un grande significato; tema della speranza, a mio avviso il più importante. STILE  Distaccato, vero e affascinante. Sono presenti molte ripetizioni e termini comuni che permettono a tutti l’accesso al linguaggio utilizzato dall’autrice. I periodi, brevi e concisi, danno al racconto un carattere autoritario. Nonostante questi aspetti, la lettura non è semplice: il ritmo è piuttosto lento durante la quasi intera narrazione ed è molto facile perdere il filo del discorso. Ho trovato questo stile un po’ pesante in alcuni punti, specialmente nella terza parte del romanzo. NARRATORE È esterno ma non onnisciente, ci racconta i fatti da più punti di vista ma senza interventi personali o specificazioni di scena. Sono i personaggi a risolvere gli enigmi e a svelare i segreti e le sorprese disseminati nel racconto. RUOLI DEI PERSONAGGI E LORO INTERAZIONI Agnese è la protagonista della storia. Donna piuttosto abitudinaria ed introversa, è costretta da se stessa più che dagli altri personaggi, a cambiare radicalmente la propria vita. La morte di Palita, suo marito, un uomo simile ad Agnese, coraggioso, forte e sensibile, la scuote violentemente ed è ciò che le permette di cambiare, specialmente quando, non essendo sicura, era motivo di speranza 1 per Agnese. In questa donna assistiamo a una trasformazione sorprendente in una attiva partigiana, leale, paziente e affezionata ai compagni. Mi piace molto il suo personaggio perché la sua descrizione fisica si discosta molto dall’ideale di coraggiosa partigiana: una donna anziana e molto grassa, con pochi vestiti, un fazzoletto in testa, con una grossa faccia tendente ad arrossire per poco. Attorno a lei ruotano moltissimi personaggi, tra cui ricordo i più importanti. La Minghina e la famiglia, probabilmente responsabili della deportazione di Palita, fanno parte di quella classe benestante intenzionata a mantenere il proprio tenore di vita essendo disposti a riferire fatti ai tedeschi, adularli e servirli senza scrupoli. La loro orribile fine mette in luce non solo la precarietà di questo deplorevole stile di vita, ma anche la sensibilità estrema di Agnese, che si sente in colpa per la loro morte, specialmente per quella del marito e delle figlie. Ciò che più mi ha colpito nella Minghina è la sua estrema freddezza e sfacciataggine, una madre capace di offrire un destino di simile mancanza di dignità alle sue due figlie femmine. Se inizialmente appare semplicemente come una vicina sgradita e pettegola, più avanti si comprende la sua reale cattiveria e rassegnazione. Il Comandante della Resistenza è un uomo che appare agile e svelto anche nel pensiero come un ragazzo, istruito, chiamato “l’avvocato”, con una voce forte ma dolce. È stato in prigione per il suo eterno odio nei confronti dei fascisti. Vuole bene ad Agnese, quasi da subito, ma non lo dà a vedere. Specialmente nell’ultimo capitolo, infatti, si rende conto di non averla mai ringraziata abbastanza per l’aiuto che ha dato ai compagni. Clinto, un compagno partigiano, è molto simile al Comandante e così lo sono gli altri compagni, accomunati da un’unica speranza di libertà. Importanti simboli sono Rina e Tom, rappresentativi dell’amore e dell’importanza di questo legame in circostanze di guerra e Maria Rosa, la ragazza fidanzata con un partigiano che concedeva i suoi servigi ai tedeschi. Lo schiaffo che Agnese le dà è, secondo me, un urlo di rabbia da parte di quest’ultima, ormai insofferente nei confronti della situazione. Lo schiaffo rappresenta il desiderio di pace, la furia contro l’ingiustizia e soprattutto contro la slealtà. Tutti i personaggi, anche se secondari, interagiscono con altri e sono per questo rilevanti a modo loro. L’autrice fornisce un breve quadro di rappresentazione per ogni personaggio nominato. AMBIENTE (TEMPO E SPAZIO) La vicenda si svolge nelle Valli di Comacchio, in Emilia Romagna durante il periodo della Seconda guerra mondiale, nei terribili mesi precedenti la liberazione dell’Italia. AMBIENTE SOCIALE Ceto medio-basso per quanto riguarda la maggior parte dei personaggi. L’ambiente sociale è fondamentale per il destino di ogni personaggio, tuttavia, tutti i compagni della Resistenza, Agnese compresa, sono accomunati da uno stile di vita estremamente povero che cancella il ceto sociale da cui ognuno proviene. 2 contrastanti che offrono al lettore vari possibili punti di osservazione e tematiche. È un libro che fa riflettere. L’OPERA TI HA INDOTTO A CAMBIARE IDEA RISPETTO ALLA TEMATICA PRINCIPALE? Se la tematica principale è quella della guerra e delle sue ingiustizie, assolutamente no. Pur essendo fortunatamente lontana da questo tema, ho sempre immaginato situazioni del genere descritto dalla Viganò. Se la tematica principale è il desiderio di salvezza incondizionato, nemmeno. Vengo a contatto quotidianamente con questo tema, in situazioni sicuramente meno gravi, ma ugualmente importanti in proporzione. Spesso le persone sono cattive, sorprendenti con accezione negativa, davvero troppo fredde per essere considerate umane. Non mi sento di giudicare dall’esterno, poiché in una situazione di guerra non so come mi comporterei e non posso essere moralista. La mia filosofia di vita è, comunque, salvarsi da soli nel vero senso della parola, senza coinvolgere altre persone a meno che l’evento non sia alla propria portata o che l’aiuto ci venga offerto e, allo stesso tempo, offrire aiuto a chi è in grandi difficoltà. DAI UN VOTO AL TESTO DA 1 A 10 8, perché lo stile dell’autrice non mi ha fatto impazzire, avrei evitato molte parti a mio parere ripetitive e poco necessarie. L’ultima parte, prima della fine, mi è risultata un po’ pesante da leggere, soprattutto per il motivo appena citato. Nonostante ciò, la maggior parte del romanzo è scritta egregiamente e il contenuto è importantissimo. Mi piacciono le sfumature che l’autrice ha dato ai personaggi e al loro modo di affrontare la situazione. 4. L’AUTORE BREVE BIOGRAFIA Renata Viganò nasce a Bologna il 16 giugno 1900. È una scrittrice precoce, tanto che già a tredici anni riesce a far pubblicare la sua raccolta di poesie “Ginestra in fiore”. Il suo sogno di diventare medico viene spezzato dalle scarse possibilità economiche, che la costringono ad abbandonare il liceo e a lavorare come inserviente e successivamente come infermiera. Partecipa alla Resistenza con il Antonio Meluschi, un comandante, e il figlio, come staffetta, infermiera e collaborando alla stampa clandestina. Questo influenzerà molto la sua attività letteraria. Muore il 23 aprile 1976 a Bologna. ALTRE OPERE Mondine (1952), Arriva la cicogna (1954), Donne della resistenza (1955), Ho conosciuto Ciro (1959), Una storia di ragazze (1962), Matrimonio in brigata (1976). 5 AMBIENTE STORICO E/O SOCIALE PER COMPRENDERE MEGLIO L’OPERA Seconda guerra mondiale. Renata la vive in pieno, partecipando alla Resistenza come staffetta, infermiera collaboratrice in stampa clandestina. Questa scelta di vita influenza la mente della scrittrice moltissimo, la quale, già abile dall’età di tredici anni, trasferisce (probabilmente) i suoi sentimenti e i fatti reali a cui ha assistito in quest’opera, come in altre molto importanti. Questa, scritta nel 1949, è l’opera che le conferisce più prestigio in assoluto. 2 La considerazione di questo evento storico e dei suoi vari aspetti risulta prioritario nell'analisi di un romanzo considerato l'esempio più significativo e intenso della rievocazione della Resistenza emiliana (Asor Rosa). C'è anche chi sottolinea fortemente l'aspetto politico di questo testo ritenendolo un romanzo tipico della strategia culturale del partito comunista di quegli anni e l'esponente più persuasivo della versione italiana del realismo socialista (Falaschi). Quando il romanzo apparve la situazione politica e culturale italiana non era delle più serene e un'opera come L'Agnese si trovò al centro di aspre polemiche in cui gli argomenti politici superarono spesso quelli formali ed estetici. Il testo, sul piano culturale, è il frutto di quel particolare clima che, mutuando il termine dall'ambito cinematografico, si usa definire neorealistico. Si tratta non di una scuola, ma di un insieme di voci, di un nuovo modo di guardare il mondo, del rinnovato contatto fra l'intellettuale e il popolo. Vi era in effetti l'esigenza di scoprire l'Italia reale e insieme la fiducia nelle possibilità di rinnovamento e di progresso dell'umanità. Il neorealismo nasceva come il prodotto di un'incondizionata sicurezza nel processo storico, come il frutto di un'ottimistica coincidenza tra cultura e società. Italo Calvino parla di una «una frammentaria epopea, cioè un'avventurosa e provvisoria solidarietà, sostenuta da grande tensione ideale e dalla coesione biografica intorno all'esperienza bellica e resistenziale ma destinata ad un'esistenza precoce, cessate le ragioni di una connessione storico-politica». È forte l'esigenza di realizzare opere che rendano testimonianza delle condizioni oggettive della società, anche per incidere su di esse. Si può aggiungere, con una nota espressione che il neo- realismo è "una fame di realtà". 6 La Viganò sceglie la via più breve, per compiere questa operazione, quelle dell'ingenua epica popolare che scarta a priori le indagini sulle ragioni della lotta e parte dall'indiscussa asserzione di tutto il bene da una parte e tutto il male dall'altra. «Il suo merito fu quello di riuscire a conservare ad un testo così scopertamente di parte, la convinzione della verità assoluta, che rimane accettabile proprio perché non viene chiassosamente e ufficialmente bandita, ma semplicemente detta». Il libro «segna però un punto d'arrivo nella letteratura che tocca i temi della Resistenza, che d'ora in avanti sarà meno assertoria e più problematica, sfumerà le caratteristiche dell'eroismo e i contorni della verità, preferendo piuttosto peccare nella direzione dell'equivoco ideologico che in quella dell'ingenua rappresentazione» (Manacorda). LO STILE LETTERARIO L'Agnese va a morire è diviso in tre parti e queste, a loro volta, in capitoli la cui lunghezza media è di una decina di pagine, talora con frequenti spezzature interne la cui funzione è quella di accorciare il racconto per evitare particolari non interessanti. Si ha talora l'impressione di trovarsi davanti a una serie di racconti, nonostante che vi sia lo svolgimento di una storia e che l'opera debba essere letta nella sua completezza. Sul piano formale si osserva che la descrizione sembra predominare sulla narrazione; le parti narrative prevalgono, quantitativamente, su quelle dialogate; le battute del dialogo sono brevissime, spesso sostituite da gesti (come nella frase seguente: «Tom disse - lascia andare, tanto... e fece un piccolo segno rapido colla mano»); è più frequente il commento del dialogo («Andarono via il Comandante, Clinto e Tom; "in borghese" disse il Cino, come quella volta della spia. Avvertirono di non aspettarlo fino al giorno dopo. Tutti i partigiani furono subito inquieti e curiosi. Vanno a prelevare qualcuno, - dicevano - si scava una buca»). Una delle caratteristiche costanti dello stile della Viganò è l'uso di frasi molto brevi, al fine di creare un effetto di realismo, che sono più frequenti alla fine dei capitoli e dei paragrafi. Ci si chiede il motivo di tale posizione di privilegio riservata alla notazione oggettiva. Ciò che gli intellettuali avevano sempre interpretato attraverso un registro alto - le azioni eroiche compiute da gente semplice, durante la Resistenza - si scopriva ora nella sua reale radice di quotidianità: nel romanzo, le frasi semplici e oggettive, si trovano spesso nel momento della massima tensione drammatica: «Agnese riuscì a stento, per la distanza, a compitare la parola in grande sul cartello dell'impiccato. C'era scritto partigiano». Si crea, quindi, un divario tra la brevità della scrittura e la grandezza della passione che veicola. Trascrivendo l'eroismo in azioni puramente fisiche si suggerisce che dietro la semplicità di quelle azioni stanno valori assai più nobili: «Agnese finì che era già notte. In casa aveva il fuoco 7 in bicicletta attraverso la campagna sotto la pioggia. L'Agnese comincia poi a rassomigliare alla terra e all'acqua: «Le fissava i piedi: erano scuri e deformi con le dita tutte a nodi e storte, sembravano le radici scoperte di un vecchio albero». Viceversa, l'acqua sembra favorire la somiglianza assumendo caratteristiche umane: «L'avanzata dell'acqua era lenta, annegava dolcemente il terreno, sommergeva con pazienza i campi bruni già seminati a grano, s'introduceva con curiosità nelle case vuote». La valle è il luogo che nel romanzo unifica acqua e terra, una zona intermedia, una sorta di palude nella quale i partigiani combattono la loro lotta; la stessa Agnese si identifica con la valle: «ora stava meglio, respirava nel fresco dell'acqua come la valle». L'Agnese non è, inoltre, solo la protagonista del romanzo ma è soggetto e oggetto del sacrificio, reale sotto certi punti di vista ma disumana nella sua grandezza, per la sua capacità, spinta fino all'assoluto, di annullarsi nei fatti, nelle vicende. Si veda l'epilogo del libro preparato - come una messa a fuoco - dalle conclusioni della prima e della seconda parte. GLI ALTRI PERSONAGGI «"Il Comandante è il comandante" dice Agnese». È un intellettuale, lo conferma la taglia (piccolo, scarno, piccole mani, capelli biondo-grigi), il suo tratto distintivo è la voce (fredda, pacifica, dolce, amara), e ha più di altri diritto alla parola. È indubbiamente superiore, un leader esterno al mondo contadino che va a guidare e rappresenta l'elemento autocosciente della Resistenza, che viene celebrato in modo un po' agiografico, affinché risulti la compatta unità di un movimento condotto da un uomo che si eleva per meriti acquisiti e non ereditati: «sapevano, i partigiani, com'era dura la sua forza, avevano visto il suo coraggio, sempre in testa nelle azioni e sempre disposto a soffrire con loro, mai un privilegio né una distinzione che non fossero il diritto al comando, il carico delle responsabilità». A mio parere è un po' forzata l'interpretazione di Asor Rosa per il quale «il Comandante è il prodotto di un transfert autobiografico ed ideologico della Viganò che finisce per modellare la storia sugli schemi delle speranze dei programmi di ristretti gruppi di rappresentanti della cultura». Più convinvente l'affermazione di Vassalli: «il Comandante impersona un'idea, rappresenta il dovere e l'aspirazione lucida verso un mondo migliore, tanto intensi da configurarsi come una proiezione del super-io». I partigiani: attorno ad Agnese ci sono appunto i partigiani, di essi si sottolinea soprattutto che non sono "altro" dal popolo perché: «la forza della resistenza 10 era questa: essere dappertutto, camminare in mezzo ai nemici, nascondersi nelle figure più scialbe e pacifiche». Ai partigiani si oppone una natura avversa, il paesaggio è comunque monotono, «è un luogo triste, grigio, un orizzonte sconsolato, lo spazio nudo; anche col passare delle stagioni la terra resta desolata, ostile, è una palude. Il fango è vischioso come la colla, l'acqua torbida e sporca, viscida e calda, non certo fatta per spegnere la sete, acqua piena di erbe e fango, da cui emana un odore di mare guasto, di erbe disfatte». I tedeschi: i patrioti sono in lotta con un altro nemico, più forte della natura avversa; se infatti l'ambiente può essere assorbito dai partigiani fino a vivere in simbiosi, con i tedeschi l'assimilazione è impossibile. La lingua stessa dei tedeschi appare assurda, estranea ed è rifiutata («era un nome difficile, non lo ricordo più»). Nella contrapposizione partigiani/tedeschi compaiono nuclei antitetici: il dialetto locale/ la lingua tedesca; il silenzio degli uni/ il rumore degli altri; l'umanità dei partigiani/ la bestialità dei tedeschi. Il silenzio che avvolge gli atti dei partigiani si identifica con la tranquillità. Il rumore è invece sinonimo del pericolo e del caos che la presenza dei tedeschi porta con sé (comandi, imprecazioni, grida). «Loro sono amorfi, inespressivi, i soliti tedeschi rigidi, senza vita, numeri di matricola, ai comandi di un pazzo... hanno poco di umano: gli elmetti calcati sulle orecchie, le facce bionde, sbiadite, inespressive». Solo il riso rappresenta un segno del loro essere uomini, quello dei partigiani è scherzoso, amichevole, il loro è sadico e crudele, accompagna anche l'assassinio (negli episodi del partigiano impiccato e dell'Agnese alla fine). Tutto il romanzo è pervaso di lutti e morte, quella data dai tedeschi è lenta e inutile perché non può arrestare il corso degli eventi. Anche i partigiani danno la morte, ma sono sbrigativi, pratici, non lo fanno per crudeltà gratuita ma «per necessità priva di odio». Gli alleati: verso di loro la Viganò ha un atteggiamento ironico per la lentezza con cui collaborano col movimento dei partigiani; intende cioè mostrare che l'apporto degli alleati, almeno per i partigiani dell'Agnese, non fu determinante. Riprendendo poi un luogo comune consolidato, riporta la passione degli inglesi per lo sport: la guerra, per loro che non rischiano, diventa un gioco: «Gli inglesi sono degli sportivi, gli piacciono le belle imprese di forza. Gli aerei con quel girotondo pareva che giocassero. Avevano l'aria di fare delle scommesse, una gara per vedere chi riusciva a colpire il bersaglio; forse un aviatore, di buon umore perché rientrava al campo, disse al compagno di volo: Scommettiamo che ci prendo in quella casa là (agli anglo-americani piacciono le scommesse), e il collega rispose: Scommettiamo di no...». CONCLUSIONI 11 Una prima analisi del romanzo potrebbe anche concludersi qui, tuttavia è possibile aprire un altro terreno di indagine e rileggere oggi L'Agnese sulla base di nuovi strumenti di conoscenza; si pensi a quel filone di ricerca che, a partire dalla fine degli anni '70, dagli studi sulla storia delle donne della Resistenza si intreccia alla storia di genere e del femminismo. E questo per alcuni buoni motivi: perché la protagonista è l'Agnese, partigiana; per l'unanime riconoscimento attribuito alla Viganò per la sua attività di scrittura unita a un'intensa attività politica; per quel tanto di non detto che riguarda la presenza femminile nella Resistenza. Oggi con la storia orale, con il recupero della memoria, con l'apporto di Istituti della Resistenza e di associazioni di storiche si sono avviati studi e approfondimenti in questa direzione. Le ricerche sono comunque in buona parte ancora in itinere; alcune di loro ci offrono comunque spunti interessanti di riflessione, per esempio Ernesto Galli della Loggia ritiene che, sullo sfondo del conflitto con regimi costruiti sul mito della virilità, si sviluppi un'immagine della seconda guerra mondiale come guerra "femminile" di contro al carattere maschile e mono-sessuale della prima, e questo proprio a partire dai gruppi clandestini e della lotta partigiana, dove vicinanza e familiarità favoriscono valori e comportamenti libertari ed egualitari nel rapporto uomo-donna. È indubbio infatti che la guerra fu un evento totale che impegnò a fondo la quotidianità di ciascuno; è da questa demilitarizzazione del confronto bellico che trae origine il carattere "femminile" della seconda guerra mondiale. Su questa presenza ci sono però molti vuoti, c'è un vasto non detto e soprattutto non pensato. Sarebbe importante affrontare storicamente e politicamente lo studio delle presenze femminili, analizzare per esempio in profondità l'esperienza estrema delle partigiane inserite nel microcosmo della banda o costrette alla clandestinità o nel rapporto con altre donne partecipi del clima eccezionale della guerra di Liberazione. Valga solo un esempio: quello relativo alla tendenza all'asessualità delle donne della brigata, che rendeva possibile la convivenza in un collettivo prevalentemente maschile, ne favoriva il clima di amore fraterno dovuto alla particolarità del momento. Queste presenze inquietano, giovani donne mischiate ai maschi nelle formazioni sfidano troppe ideologie sul femminile, a partire da quella relativa al rapporto donne-armi; e non è certo un caso che, finita l'emergenza, vengano messe ai margini. Così come non è casuale che la partigiana ideale, il modello della resistenza femminile sia la protagonista de L'Agnese va a morire, ossia una donna informe, materna e in età. Per molte partigiane, comunque, il ritorno alla normalità, dopo il 1945, fu difficile, e non solo per la delusione politica. Nell'esperienza fatta si erano varcati i confini della famiglia e del paese, superati i limiti del proprio sesso, delle condizioni date. Infatti, come scrisse in una sua poesia Renata Viganò, per entrare nella Resistenza occorreva uscire «fuori della vita». 12
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