Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

l'alleanza con le famiglie: una potente risorsa educativa di Alessandra Gigli, Schemi e mappe concettuali di Pedagogia dell'infanzia e pratiche narrative

riassunto completo del libro per l'esame di pedagogia dell'infanzia e della famiglia con la prof. Elena Luciano

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2023/2024

Caricato il 14/02/2024

pipp01
pipp01 🇮🇹

4.3

(3)

1 documento

1 / 32

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica l'alleanza con le famiglie: una potente risorsa educativa di Alessandra Gigli e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Pedagogia dell'infanzia e pratiche narrative solo su Docsity! FAMIGLIE CONTEMPORANEE E SERVIZI EDUCATIVI IN ITALIA: LA NECESSITÀ DI UNA RELAZIONE CO-EVOLUTIVA LAURA FRUGGERI - INTRODUZIONE A seguito di sostanziali trasformazioni economiche, politiche, sociali e culturali, anche il panorama delle famiglie italiane è notevolmente cambiato a causa di diversi fattori: • L’aumento del tasso di separazioni e divorzi e alla diminuzione del numero di matrimoni • L’incremento di famiglie multiculturali • La rivendicazione da parte degli omosessuali del riconoscimento legale della loro aspirazione a “fare famiglia” si fa sempre più pregnante. • L’intensificarsi della crisi economica che ha colpito l’Occidente, inoltre, ha modificato profondamente i rapporti tra le famiglie e le comunità e il contesto sociale di appartenenza. Da un punto di vista socio-psicologico, le trasformazioni che hanno investito il modo di “fare famiglia” sono riconducibili a tre diversi e interconnessi aspetti: 1. la qualità delle relazioni interpersonali nelle famiglie è mutata 2. le forme familiari si sono moltiplicate e a fianco di quelle nucleari tradizionali coesistono forme diverse per struttura e appartenenza culturale 3. il rapporto tra famiglie e contesto sociale è diverso rispetto al passato. Si tratta di processi ormai irreversibili che interrogano in modo radicale i servizi socio-psico-educativi, i quali sono infatti sempre più chiamati a familiarizzarsi con richieste e processi inusuali. - I CAMBIAMENTI A LIVELLO INTERPERSONALE: DAI RAPPORTI TRA RUOLI ALLE RELAZIONI TRA PERSONE parità e reciprocità: Da tempo, i rapporti interpersonali, nelle famiglie, si sono trasformati nella direzione di una maggiore parità e reciprocità, sia tra coniugi sia tra genitori e figli, e sono regolati dallo scambio, del dialogo, delle relazioni tra persone, piuttosto che sulla base dei ruoli di genitori-figli e di marito-moglie. La riduzione dell’asimmetria hanno reso i contesti familiari luoghi consoni allo sviluppo, ma gli interrogativi che ormai rimbalzano dalle famiglie alle altre istituzioni educative e viceversa sono: è giusto che le famiglie deleghino ad altre agenzie parte delle proprie funzioni specifiche? Possono i servizi accettare la delega a gestire una parte dei compiti familiari? Quali conseguenze per le famiglie e per i servizi? Come restituire autorità alle famiglie senza intaccare la qualità della rete affettiva? 1 - MOLTEPLICITÀ, PLURALITÀ, DIVERSE NORMALITÀ Dal punto di vista strutturale, le famiglie contemporanee presentano una serie di discontinuità sconosciute alle famiglie nucleari tradizionali che invece sono caratterizzate da una serie di coincidenze. Nelle famiglie nucleari si ha: • la funzione genitoriale e quella coniugale sono esercitate dalle stesse persone (coppia coniugale e coppia genitoriale coincidono) • il gruppo familiare coincide con il nucleo convivente • i ruoli familiari sono organizzati sulla base della differenza di genere socialmente costruita (il maschio è padre e marito, la femmina è madre e moglie) • la genitorialità biologica coincide con quella socio-affettiva (le figure allevanti corrispondono ai genitori biologici) • il modello di famiglia è culturalmente omogeneo alla comunità più vasta. Molte delle famiglie contemporanee si differenziano da quella a forma nucleare proprio per l’assenza di queste coincidenze (Fruggeri, 2005). Esse anzi sono attraversate da discontinuità: • la coppia genitoriale può non coincidere con quella coniugale • i confini spaziali possono essere diversi da quelli affettivi • i ruoli di genere non necessariamente si sovrappongono a quelli familiari • l’appartenenza culturale dei membri può essere varia • la genitorialità può essere definita anche in termini non biologici. Queste discontinuità strutturali comportano delle conseguenze sul piano interpersonale. la plurigenitorialità: le figure di riferimento sono più di due e devono coordinarsi per esercitare la funzione genitoriale costruendo un’alleanza tra adulti che rispetti le differenti posizioni e i diversi ruoli, come nelle situazioni familiari caratterizzate dalla presenza simultanea di genitori affidatari e biologici, o di genitori biologici e genitori acquisiti attraverso una seconda unione. monogenitorialità: l’esercizio della funzione genitoriale comporta sempre una collaborazione tra parti, perfino nella monogenitorialità, il genitore single, infatti, esercita la funzione genitoriale coordinandosi con terzi al di fuori della famiglia. plurinuclearita’: Quando una famiglia si articola in diversi nuclei o convivenze. In tale condizione di plurinuclearità, le identità dei membri della famiglia si sviluppano in un contesto di pluri-appartenenza. Queste sono le situazioni che caratterizzano le famiglie con genitori separati, le famiglie ricomposte, oppure le famiglie coinvolte in un intervento di affido. La ricerca psicologica ha ormai ampiamente dimostrato come i figli che crescono in famiglie con genitori conviventi, separati, risposati, single, omosessuali, 2 La competenza relazionale fa riferimento dunque alla capacità dell’operatore stesso di analizzare il livello relazionale dell’intervento, la capacità, cioè, di saper leggere il processo interattivo che ha luogo mentre mette in atto le proprie competenze tecniche. Questa competenza relazione s’incardina all’interno di premesse e modelli teorici di tipo costruttivo e co-evolutivo. Il modello eco-evolutivo: Un modello co-evolutivo, a differenza di quello istruttivo, orienta un operatore a interrogarsi sul significato che assume per la famiglia il proprio intervento e, conseguentemente, a organizzarlo non semplicemente sulla base di che cosa ritiene utile rispetto al problema presentato, ma anche sulla base di ciò che ritiene possa potenziare le risorse intrafamiliari. La scommessa degli educatori oggi è quella di offrire un sostegno genitoriale e costruire al tempo stesso la competenza dei genitori. Il modello co- evolutivo, rivolgendo l’attenzione al processo di costruzione dei significati e dunque al valore che l’intervento espletato viene ad assumere nella vita delle persone, orienta a programmare interventi che non puntano soltanto a risolvere il problema presentato, ma anche a costruire competenze e identità positive di tutte le persone coinvolte. In questo modo, i servizi educativi, in particolare quelli della prima infanzia, possono diventare la prima porta di accesso alla costruzione di una storia tra famiglie e servizi che può essere evolutiva, inclusiva e favorire il benessere di genitori e bambini che si affacciano e partecipano a una comunità in trasformazione. Il modello diadico-istruttivo: modello che enfatizza lo sviluppo di competenze tecniche, ovvero riguardanti l’applicazione di teorie e modelli. Questo orientamento è fondato sul rapporto di due entità – l’esperto competente da un lato e l’utente dall’altro – è indubbiamente efficace e ha prodotto ottimi risultati sul piano sociale e educativo. SCENARI DI ALLEANZE EDUCATIVE ALESSANDRA GIGLI - IL LATO OSCURO DELL’ALLEANZA: CATTIVE INTERPRETAZIONI E RISCHI DELLA PRESENZA GENITORIALE NEI SERVIZI EDUCATIVI E SCOLASTICI Il coinvolgimento dei genitori nella vita scolastica dei figli, già dalle prime esperienze nei servizi educativi zero-sei anni, è questione cruciale. La cosiddetta “comunità educante” dovrebbe agire in modo compatto per il benessere dei minori; le famiglie dovrebbero essere considerate partner attivi del processo di co- educazione. 5 Il “cosa fare” e “come farlo” è delegato agli operatori dell’educazione, che hanno l’onere di gestire direttamente e quotidianamente il rapporto con le famiglie. Questo ulteriore carico è assunto di buon grado, ma non senza difficoltà: entrambi i soggetti protagonisti dell’alleanza (scuole e famiglie). Ecco uno schema che evidenzia alcuni passaggi chiave delle trasformazioni del sistema educativo: • classi più numerose • scarsa continuità lavorativa dei docenti ed educatori precari • incremento della dimensione burocratica • generale tendenza a svalutare, sia culturalmente sia economicamente, il lavoro dell’insegnante/educatore • affermarsi del modello del “genitore cliente” e della “scuola azienda” • cancellazione, per insostenibilità economica, dei servizi di consulenza esterna (ad es., supervisione pedagogica, counseling ecc.) • indebolimento, a causa della scarsità di risorse, del lavoro di rete tra la scuola e le altre agenzie formative e i servizi sociali spazi di dialogo: Si può facilmente notare che non si tratta di cambiamenti che facilitano il lavoro educativo ma che, anzi, lo rendono più arduo. Tuttavia, l’alleanza viene ricercata, vengono creati spazi di dialogo e occasioni formative rivolte ai genitori. Tuttavia, secondo l’analisi pedagogica, spesso si riscontra soltanto un “primo livello” dell’alleanza: quello informativo/interazionale, in cui si cerca di dare spazio alla comunicazione per informare sui quanto accade, di rendere trasparente e accessibile il progetto educativo e formativo, di “gettare ponti” perché i due mondi (scuola e famiglia) non restino all’oscuro uno dell’altro. A. numerose ricerche e studi comprovano che l’adeguata partecipazione dei genitori alla vita scolastica dei figli è in grado di favorire il successo scolastico, aumentare il benessere individuale e sociale, incrementare l’autostima, migliorare il comportamento in classe, facilitare le competenze relazionali e sociali. B. Viceversa, quando la partecipazione non è adeguata, si possono presagire spirali negative: in questi casi la famiglia può diventare un ulteriore ostacolo al successo scolastico e personale. Questo e un elemento da tenere in forte considerazione parlando di alleanza educativa. Disfunzionalità famigliare: La disfunzionalità familiare può anche manifestarsi con due comportamenti estremi, entrambi controproducenti: l’iperpresenza genitoriale, che a volte rasenta l’invasività, o l’ipopresenza, ossia una sostanziale assenza (fisica e psicologica) dei genitori. I figli di genitori competenti (quindi centrati nel loro ruolo) e dotati della possibilità di dedicare tempo, impegno, competenze e, non di rado, risorse economiche, per 6 rispondere adeguatamente alle richieste del mondo scolastico, partono sicuramente con una marcia in più. Qual è la sorte, invece, di tutti coloro la cui famiglia non è dotata di queste possibilità? Mettere la “presenza genitoriale” troppo al centro della scena, si rischia di alimentare la marginalizzazione, ostacolando chi è già penalizzato. - INSEGNANTI E GENITORI: LO STATO DI SALUTE DELL’“ALLEANZA EDUCATIVA” E FENOMENI DI DIS-ALLEANZA «Per alleanza s’intende un patto, un accordo, tramite il quale due o più soggetti, individuali o collettivi, contraggono un reciproco impegno di appoggio e collaborazione teso al raggiungimento di un obiettivo comune» (Contini). Accordo reciproco: Non un semplice informare o comunicare iniziative, criteri, programmi, ma qualcosa di più: si tratta di trovare un reciproco accordo, stilare un patto per arrivare insieme a un obiettivo comune, in questo caso – presumibilmente – il benessere e il progresso formativo dei figli/alunni. Come ogni altro rapporto collaborativo, quindi, prevede una grande consapevolezza dei ruoli e dei loro confini, la reciproca fiducia nella capacità dell’altro di compiere le sue funzioni specifiche, e una tolleranza per le diversità non comuni e, soprattutto, difficili da ottenersi “a scatola chiusa”. il corso di ricerca: Nel corso della ricerca “Alleanze educative, il punto di vista di insegnanti ed educatori” di nidi e scuole dell’infanzia e primarie, si è cercato di monitorare sia i punti di forza che gli aspetti problematici della relazione tra personale educativo e genitori. Non mancano episodi e racconti emblematici, che raffigurano madri e padri confusi e incapaci di assertività che narrano la crisi della capacità normativa familiare; così come sono frequenti reazioni difensive e, talvolta, di “aggressività” genitoriale davanti alla minima “messa in discussione” del comportamento del proprio figlio, quasi fossero un prolungamento del proprio essere, quasi come se qualsiasi piccola défaillance del bambino mettesse in discussione il mito del genitore perfetto. Alcune tipiche “cattive abitudini” dei genitori nella relazione con gli insegnanti: • Lamentarsi tra genitori: insinuare dubbi e criticare, evitando il confronto diretto con gli insegnanti. • Sentirsi un “cliente”: pretendere la risposta ai propri bisogni senza considerare il contesto di collettività. È un atteggiamento individualista quello che porta “pensare solo al “proprio figlio”. 7 CREARE LE CONDIZIONI PER COSTRUIRE UN’ALLEANZA EDUCATIVA CON LE FAMIGLIE PETER MOSS Il concetto di alleanza e collaborazione tra le famiglie e i servizi educativi per l’infanzia suggerisce un certo tipo di relazione, costruita sul rispetto reciproco, sull’ascolto e sull’accoglienza delle prospettive e sulla conoscenza di tutti i partner. Un rapporto che sia dialogico, che non solo riconosca pari importanza e ascolto a tutti gli interlocutori, ma che sia un processo entro cui i suoi protagonisti rinuncino al bisogno di controllare e di dominare gli altri e si rendano disponibili a spingersi in territori nuovi e ad aprirsi alla possibilità di trasformazione. In passato, e anche oggi, continuano a predominare altre relazioni: quelle connotate da rimozione, distanza e sfiducia, nelle quali alle famiglie è stato chiesto di consegnare i figli al sistema educativo e scolastico perché ritenute incapaci di soddisfare le esigenze educative del regime economico e sociale. Predomina altresì una relazione di “educazione parentale” nella quale la presunta inadeguatezza della famiglia porta a ritenere necessario un intervento pedagogico atto a migliorare le disposizioni, le attitudini e il comportamento. Evidenziamo alcune condizioni che potrebbero mettere in moto e alimentare un processo di cambiamento trasformativo nel rapporto tra le famiglie, da un lato, e i servizi educativi e le scuole dall’altro, capace di produrre un rapporto forte e paritario, disponibile e dialogico, creativo e basato sul rispetto. - CHE IDEA ABBIAMO DELLA SCUOLA? Oggi le immagini dominanti della scuola sono strumentali ed economicistiche: è un’azienda che vende servizi educativi, uno stabilimento industriale che fornisce risultati predeterminati applicando le “tecnologie umane” prescritte, una “fabbrica di esami” o un “investimento sociale” che procura alti ritorni. Ci sono però altre rappresentazioni. Quella che sembra particolarmente efficace per creare un’alleanza con le famiglie dipinge le scuole come luoghi pubblici di discussione all’interno della società civile, luoghi nei quali bambini e adulti partecipano insieme a progetti di rilevanza sociale, culturale, politica ed economica. La scuola così immaginata è uno spazio pubblico, uno spazio di incontro tra cittadini, adulti e bambini. Come tale, è un luogo di infinite potenzialità, la scena di moltissime possibilità e progetti. 10 Qui di seguito viene indicato un elenco di alcuni dei progetti che possono essere intrapresi dai servizi e dalle scuole: riprodurre e co-costruire conoscenze, valori e identità co-costruire culture per l’infanzia e educazione praticare e rinnovare la democrazia partecipativa e la cittadinanza attiva sostenere le famiglie rafforzare la coesione sociale sostenere la diversità delle culture e dei linguaggi sviluppare l’economia locale sperimentare nuovi progetti pedagogici e sociali promuovere l’uguaglianza di genere e di altro tipo. - LA DEMOCRAZIA COME VALORE FONDAMENTALE Sebbene vengano usati termini come “partecipazione”, “coinvolgimento” e “impegno” per descrivere le aspirazioni “a un rapporto più paritario tra le scuole e le famiglie, penso che dovremmo guardare al concetto politico di “democrazia” come al modo migliore per strutturare e definire questo rapporto. Cosa si intende per “democrazia” e come può essere praticata nelle scuole? La democrazia è un concetto multi-dimensionale da applicare a molti livelli, dalla condotta delle organizzazioni internazionali al modo in cui gli individui si rapportano gli uni con gli altri. Per Dewey (2008), può essere in particolare concepita come più di una forma di governo: è prima di tutto una modalità di vita associativa, un’esperienza congiunta comunicata. Si tratta, dirà anche, «di un modo di vivere personale controllato non solo dalla fede nella natura umana in generale, ma anche dalla fede nella capacità degli individui di esprimere giudizi e compiere “azioni intelligenti, quando vengono create le condizioni giuste» (Dewey, 1939). La democrazia così intesa è un’esperienza vissuta, una pratica della vita quotidiana, un modo di essere nel mondo e una “qualità dell’essere nella scuola”. Questa è la democrazia intesa come un approccio alla vita e ai rapporti, un ethos e un modo di agire che può e dovrebbe pervadere tutti gli aspetti della vita quotidiana, non da ultimo la scuola. La democrazia a scuola dovrebbe coinvolgere tutti gli interessati all’istituzione, inclusi i genitori e l’intero personale. La democrazia nella scuola può implicare anche un lavoro comune per favorire il cambiamento: lavorare per esempio con nuove teorie, affrontare nuovi problemi, cercare nuove forme organizzative o sviluppare nuovi progetti. 11 La democrazia fornisce il fondamento logico e la logica per forgiare una partnership forte e paritaria tra le scuole e le famiglie, nonché tra i bambini e gli educatori: Contesta i rapporti autoritari ed affermazioni quali non esiste alcuna alternativa riconosce e accoglie punti di vista e proposte diversi, persino conflittuali rispetta le conoscenze e le esperienze di ciascuno, ma riconosce che ogni persona è parziale e necessariamente dotata di una propria prospettiva riconosce infine che per costruire un progetto, soprattutto un progetto educativo, è fondamentale il punto di vista di tutti in un dialogo con gli altri all’interno di una cornice di valori condivisi. - L’ETICA RELAZIONALE CHE RISPETTA LA DIVERSITÀ L’educazione è un’attività relazionale e la forma che la relazione assume sarà improntata e sostenuta dal tipo di etica relazionale che scegliamo di adottare. “Quale etica per la scuola?” sembra che un’etica dell’incontro sia molto calzante all’immagine della scuola come luogo di incontri e che la sua enfasi sul rispetto, abbia una grande rilevanza rispetto alla costruzione di un’alleanza tra le famiglie e le scuole basata su uguaglianza e dialogo. L’etica dell’incontro rende necessario un maggior rispetto per la diversità, intesa principalmente come singolarità irriducibile, alterità dell’Altro. Perciò un’alleanza tra le famiglie e gli educatori deve basarsi sia sul rispetto delle singolarità sia sulla costruzione di rapporti di solidarietà, di quelle identità condivise che le singolarità possono costruire. Tale alleanza è costruita sull’idea che la diversità sia la norma, non l’eccezione, e che non sia solo normale, ma anche benaccetta e apprezzata. - UN PROFESSIONISTA DEMOCRATICO Il “professionista democratico”: Tale immagine si fonda su rapporti e alleanze partecipativi: enfatizza un’azione collaborativa tra i colleghi professionisti e le altre persone coinvolte. Sottolinea l’importanza di impegnarsi e fare gruppo con la comunità locale. Questo professionista democratico deve: • sentirsi a proprio agio con l’incertezza, la complessità e prospettive molteplici • non deve avere problemi a confrontarsi • deve accettare il fatto che la propria interpretazione sia solo una delle tante possibili e che come tale dovrebbe essere valutata insieme alle altre all’interno di processi democratici di deliberazione pubblica • deve identificarsi in un individuo che apprende e co-costruisce conoscenza (così come i bambini con i quali lavora). 12 ACEPP: l’Associazione dei gruppi di bambini, genitori e professionisti in Francia, ha anche provato che il cambiamento di politica da parte di una struttura educativa può influire sulla frequenza di sottogruppi sino ad allora difficilmente raggiungibili (Combes, 1990). I nidi parentali gestiti in genere dai genitori sono riusciti ad abbattere i diversi ostacoli legati all’ammissione di tutti i bambini. Per ovviare alle difficoltà di funzionamento, hanno combinato l’ammissione immediata, senza condizioni (grazie a posti riservati appositamente a tale scopo), l’ammissione occasionale e l’ammissione permanente (cioè per tutta la “settimana). Le famiglie di qualsiasi livello professionale possono accedere alla struttura educativa anche senza essersi iscritte precedentemente e possono, a seconda dei cambiamenti lavorativi, modificare in corso d’anno il numero delle ore di frequenza del figlio. La partecipazione finanziaria, calcolata a ora, varia in caso di riduzione dell’orario di lavoro e, dunque, del reddito. Così, il bambino può rimanere nella struttura indipendentemente dalle variazioni nella situazione professionale dei genitori. MEQ: Nell’ambito di una struttura educativa per la prima infanzia nella città di Aalst, in Belgio, il progetto meq ha condotto anche un piano di assunzione volutamente mirato. Si trattava di una struttura molto grande che accoglieva principalmente famiglie “normali” della classe media con due redditi, ma che si trovava in uno dei quartieri più svantaggiati della città, caratterizzato da una maggioranza di famiglie appartenenti alle minoranze etniche. Dopo un anno di sforzi e di tentativi, il numero di bambini provenienti dalle popolazioni più disagiate del quartiere è aumentato. Ciò è stato possibile grazie a diverse azioni: - l’adozione di una comunicazione multilingue - l’assunzione di un educatore turco-belga - la collaborazione con personalità chiave della comunità (e, all’occorrenza, con un centro di integrazione locale, una commissione di quartiere e una struttura per la Protezione materna e infantile-pmi) - il miglioramento delle pratiche di ambientamento; la partecipazione - soprattutto, la diffusione in tutto il quartiere di un messaggio che chiariva come il centro fosse aperto alle varie pratiche educative, pur con la loro diversità. PROGETTO SOCIALE: Prima di elaborare un progetto educativo, ciascuna struttura deve avere, innanzitutto, un progetto sociale che tenga “conto dei seguenti punti: - a quale pubblico si rivolge il servizio? - L’unico scopo della struttura è quello di aiutare le famiglie a conciliare la vita professionale con quella familiare o si tratta di un obiettivo educativo e sociale che va oltre questa prima missione? Non è, dunque, sufficiente elaborare un progetto educativo sbrigativo e aspettare che questo arrivi al pubblico prescelto. In tal caso, soltanto una parte di tale pubblico sarà raggiunta e, per molti bambini e le loro famiglie, le occasioni di socializzazione e di allargamento dell’ambiente educativo saranno rinviate o andranno perse. 15 - ACCOGLIENZA E SEPARAZIONE La struttura deve impegnarsi a creare le condizioni ideali per un’accoglienza di qualità che garantisca il benessere del bambino. Tali condizioni devono essere definite insieme ai genitori, Al fine di rendere possibile la doppia appartenenza del bambino e di assicurargli una certa continuità con l’ambiente familiare. La prima, nonché la più grande separazione tra genitore e figlio, che avviene nel momento in cui il bambino lascia l’ambiente familiare per recarsi per la prima volta presso la struttura educativa, è di fondamentale importanza. Si tratta di un evento estremamente serio che può rivelarsi di fatto doloroso, ma che costituisce una tappa necessaria nel processo di sviluppo del piccolo. maison verte: La Maison verte ( Françoise Dolto creò la prima Maison Verte a Parigi nel 1979, come un luogo per accogliere i bambini con le loro famiglie). Si ispira ai lavori di Françoise Dolto sul tema della separazione. L’obiettivo di luoghi di questo tipo consiste soprattutto nell’accompagnare il genitore e il bambino attraverso la separazione e la socializzazione. Dopo un lungo periodo di profonda intimità, durante il quale il bambino si trova a essere il centro di interesse di tutta la famiglia, arriva il momento inevitabile dell’ingresso nella società, in genere tramite la struttura educativa o la scuola dell’infanzia. Il ruolo svolto dalla struttura educativa nella socializzazione esige rispetto e tolleranza, poiché rappresenta in qualche modo il primo contatto con la società che il bambino userà come modello di riferimento. - La maggior parte delle strutture educative per la prima infanzia applica una politica di ambientamento chiaramente definita che mira principalmente all’integrazione del genitore e del bambino nella struttura educativa. La politica di ambientamento ideale si basa sul principio “uno più uno uguale tre”: si tratta di un processo di reciprocità in almeno tre fasi: 1. La prima coincide con la scoperta, da parte di ciascuno, degli usi e delle aspettative dell’altro 2. la seconda fase consiste nell’individuare le eventuali differenze 3. la terza nel negoziare un approccio. 16 - UNA POLITICA DI AMBIENTAMENTO RECIPROCO - LA PRIMA FASE: L’ESAME DELLA SITUAZIONE La prima tappa dell’incontro tra gli educatori e i genitori è rappresentata dall’osservazione attenta degli usi e delle aspettative reciproche. Il servizio educativo ha innanzitutto il dovere di presentare le proprie finalità, i propri metodi e le condizioni in cui lavora. Ciò si rivela più semplice quando la struttura educativa, la quale deve prevedere anche una visita completa dei locali a beneficio del bambino e del genitore, ha un progetto educativo e sociale chiaramente definito. primo sottosistema: è importante, che i genitori possano esprimere i propri desideri e le proprie preoccupazioni nei confronti della struttura educativa (primo sottosistema). A causa delle differenze che esistono tra gli individui, l’educatore non è in grado di individuare le priorità di ciascun genitore. Deve, dunque, discutere prima con loro per poter scoprire le ragioni esatte della scelta di quella particolare struttura e di quella modalità di accoglienza, il perché di quel servizio, le loro priorità per il figlio in materia di educazione, le loro angosce, le loro domande.. Secondo sottosistema: La scoperta delle pratiche educative (secondo sottosistema) è probabilmente uno dei compiti più complicati. Al fine di raggiungere l’obiettivo “uno più uno uguale tre”, il servizio deve acquisire una conoscenza approfondita delle abitudini educative relative all’alimentazione, al modo di far addormentare il piccolo, al maternage e così via. Non sempre i genitori sono in grado di spiegare esattamente come fanno addormentare i figli, ad esempio, dunque tali pratiche devono essere mostrate, più che essere spiegate. Terzo sottosistema: Per quanto concerne le educatrici domiciliari, è assolutamente indispensabile che esse siano supportate dal responsabile “dell’agenzia” o della crèche parentale nel corso del primo incontro. L’analisi del terzo sottosistema (la comunità) può anche essere affrontata, in una certa misura, nel corso di questi primi colloqui. La politica della struttura educativa deve spiegare chiaramente che: • Non è assolutamente necessario determinare in anticipo la durata o la frequenza delle visite dei genitori e del piccolo. • Non c’è alcun interesse nel far venire i genitori più spesso di quanto non desiderino o nell’impedire loro di rimanere perché “il tempo a disposizione è terminato”, quando invece hanno ancora bisogno di qualche istante per prepararsi alla separazione. • è utile chiedere ai genitori di recarsi presso la struttura portando con sé gli oggetti utilizzati di solito a casa per dare da mangiare ai bambini o per farli addormentare. Ciò permette di ridurre notevolmente le differenze tra il nido e l’ambiente domestico, così i genitori non sono obbligati ad adoperare gli “strani” oggetti del centro. 17 - I PADRI Numerosi educatori affermano che è difficile coinvolgere i padri. D’altra parte, la maggioranza degli educatori è rappresentata da donne che sono spesso anche madri. Quando le educatrici si rivolgono alle mamme, al momento dell’accoglienza e del ricongiungimento, parlano loro da donna a donna e come madri, piuttosto che come educatrici professionali. Con i padri, invece, il dibattito è maggiormente centrato sul comportamento del bambino presso la struttura educativa e non affronta mai argomenti personali. Tale situazione unita al fatto che la maggior parte dei padri non si sente particolarmente a proprio agio in un ambiente essenzialmente femminile, dà all’educatore l’impressione che essi siano meno coinvolti delle madri. Di conseguenza, l’educatore si rivolge loro raramente, creando così una sorta di circolo vizioso, una profezia che si auto-avvera. FAMIGLIE VULNERABILI, SERVIZI SOCIALI E SERVIZI EDUCATIVI DALLA FRAMMENTAZIONE DEGLI INTERVENTI ALLA CONDIVISIONE DELLE RESPONSABILITÀ OMBRETTA ZANON, SARA SERBATI E PAOLA MILANI - IL BAMBINO “INTERO” E GLI INTERVENTI INTEGRATI FRA SERVIZI EDUCATIVI E SOCIO-SANITARI Una concezione globale dell’infanzia appartiene alla tradizione del pensiero pedagogico, a partire dal momento storico in cui il bambino, in particolare con le teorie di Rousseau e Pestalozzi nel XVIII secolo e successivamente di Maria Montessori, è divenuto soggetto autonomo di studio e non semplicemente il destinatario di adattamenti dei modelli teorici riferibili agli adulti. Più recentemente, con il pensiero di Dewey, Vygotskij, Lewin e con la prospettiva sistemica, la riflessione psicologica e socio-educativa si è avviata verso la ricomposizione delle dimensioni dello sviluppo umano in senso olistico e contestuale, con l’intento di non disperdere e frammentare i “cento linguaggi” dei bambini. La conseguenza di questi presupposti teorici è una concezione relazionale della crescita del bambino, di cui tenere conto nel lavoro educativo che si svolge sia nei contesti di normalità sia nei contesti dove è necessario un intervento esplicito di protezione e/o tutela da parte dei servizi socio-sanitari a favore del bambino, a causa di fenomeni di negligenza o maltrattamento che si verificano nell’ambiente familiare. Secondo tale concezione, il soggetto della protezione non è tanto il bambino, quanto l’intero “mondo del bambino”, composto dai suoi ambienti e legami affettiva“mente importanti e dalle connessioni che fra essi si vanno a intrecciare. 20 Mentre le teorie e le pratiche di partenariato con le famiglie nei servizi per l’infanzia sono ormai diffuse, consolidate e si avventurano in territori sempre più innovativi, la costituzione e il funzionamento di équipe multiprofessionali tra i nidi d’infanzia e le scuole dell’infanzia, i servizi socio-sanitari e le famiglie vulnerabili risultano ancora incerti e parziali. È questo un problema oggi assai rilevante che merita di essere preso in considerazione per diversi motivi: le famiglie vulnerabili, nell’attuale contesto caratterizzato da precarietà sociale e economica, sono sempre più numerose e inoltre la vulnerabilità di queste famiglie è in rapida evoluzione qualitativa. Non si tratta più, oggi, di casi isolati, quanto di contesti sociali in cui sempre più frequentemente si generano forme di violenza, maltrattamento e trascuratezza che colpiscono l’infanzia. Queste famiglie ogni tanto riescono ad arrivare ai servizi e a chiedere aiuto, ma se i servizi non riescono a creare integrazioni fra loro, e famiglie e i bambini cadono nelle maglie lasciate troppo larghe dai vuoti istituzionali. la negligenza famigliare: La negligenza familiare è intesa come «una carenza significativa o l’assenza di risposte ai bisogni di un bambino, bisogni riconosciuti come fondamentali, sulla base delle conoscenze scientifiche attuali e/o dei valori sociali adottati dalla comunità in cui il bambino vive».Il termine viene da nec-ligere che significa non legare, non creare relazioni e non scegliere, ossia non crescere i bambini avendo cura della complessità dei loro bisogni evolutivi e senza dare loro il senso di essere “eletti”, scelti da qualcuno. - Il programma Pippi: Il programma pippi (Programma di Intervento Per la Prevenzione dell’Istituzionalizzazione: Milani et al., 2011), è un programma intensivo rivolto al contrasto dell’istituzionalizzazione dei bambini, che si propone di dare risposta ai problemi legati alla negligenza familiare, sperimentando un approccio di ricerca e intervento pertinente rispetto alle caratteristiche di queste famiglie. Il programma è denominato pippi in nome di Pippi Calzelunghe, che è l’immagine di sfondo che crea un orizzonte di senso centrato sulle possibilità di cambiamento della persona, sulla resilienza e la conseguente importanza delle reti sociali e dei legami affettivi. Nel programma pippi la collaborazione tra i servizi socio-sanitari e il nido d’infanzia o la scuola frequentata dal bambino è uno dei dispositivi irrinunciabili e un mediatore di efficacia del percorso di accompagnamento delle famiglie vulnerabili. il programma prevede l’attivazione di quattro “dispositivi di intervento”: 1.forme di collaborazione tra scuole-famiglie e servizi 2.percorsi di educativa domiciliare 3.attività di gruppi con i genitori 4.attivazione di famiglie d’appoggio. 21 - I SERVIZI PER L’INFANZIA CON LUOGO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE • La continuità e l’intimità della relazione che si stabilisce quotidianamente tra i bambini piccoli e gli adulti educatori in una molteplicità di situazioni routinarie e didattiche rendono i servizi per l’infanzia un luogo privilegiato per la precoce rilevazione e risposta ai bisogni “ordinari” e “speciali” dell’infanzia e delle famiglie. • L’esperienza attuale degli educatori conferma come sia sempre più ampio il numero di bambini “delicati” che segnalano, prevalentemente attraverso i comportamenti, qualche forma di disagio, in particolare nelle aree dell’espressione ed elaborazione delle emozioni e delle relazioni sociali. • Secondo la prospettiva bioecologica dello sviluppo umano, il sostegno alla crescita di un bambino si sostanzia soprattutto con il consolidamento delle relazioni tra lui e i suoi familiari nel loro ambiente sociale, per cui il contributo dei nidi d’infanzia e delle scuole dell’infanzia al più ampio progetto di crescita di un bambino coinvolge direttamente anche i suoi genitori. • Molti sono infatti i momenti nel corso della giornata e dell’anno scolastico, programmati o spontanei, in cui le educatrici incontrano i genitori e hanno l’opportunità di aprire gradualmente con loro degli spazi trasformativi di ascolto e di pensiero su quelle che sono state individuate come le aree di attenzione e di supporto all’interno della famiglia e nel rapporto con la realtà esterna. • Questo dialogo continuo può contare in un servizio per l’infanzia su alcuni elementi facilitanti, come la confidenza e la fiducia che si sono venute a creare con la famiglia nel l’accudimento condiviso del figlio piccolo e la non connotazione terapeutica del nido d’infanzia o della scuola che, se non elimina completamente, almeno riduce significativamente nei genitori l’attivazione dei fantasmi di anormalità e di valutazione negativa. - UNA STORIA DI RELAZIONE CHE PROMUOVE E SI MUOVE NELL’ECOLOGIA DEL BAMBINO LIDIA E FRANCESCO: La storia da cui prendiamo spunto per argomentare sulla necessaria ricomposizione fra servizi e interventi di natura più propriamente educativa e servizi e interventi sociali e/o socio-sanitari nei confronti delle famiglie negligenti, riguarda un nucleo monogenitoriale, composto da una mamma di 27 anni, Lidia, di nazionalità eritrea e dal suo bambino di dieci mesi, che chiameremo Francesco. Lidia è una giovane donna scappata dall’Eritrea, Paese in cui viveva con i genitori, all’età di 18 anni per sottrarsi alla chiamata alle armi. È arrivata in Italia dopo aver vagato per alcuni anni in vari Stati. Con l’aiuto di una connazionale ha trovato lavoro come donna delle pulizie e sistemazione 22 È dimostrato infatti che la possibilità di conservare delle modalità di cura dei bambini piccoli appartenenti alla propria storia culturale, se non sono lesive per la loro sicurezza fisica e psicologica, è un fattore decisamente identitario e protettivo per i genitori migranti (in particolare per le madri) e quindi per la loro relazione con i figli. - QUARTA TAPPA: INTEGRARE LE PROFESSIONALITÀ E COMPLETARSI A VICENDA NELL’AZIONE La sfida intrapresa dai servizi in questa situazione è stata quella di mettersi in gioco. Si è dunque provato ad investire in un importante lavoro di dialogo e integrazione reciproca tra i servizi sociali, i servizi socio-sanitari e il nido d’infanzia frequentato dal bambino. Questa collaborazione, come descrive l’assistente sociale, ha consentito di portare a dei miglioramenti significativi: “La mamma, presa dal lavoro, non riusciva a trovare il tempo per accompagnare Francesco presso l’ambulatorio della neuropsichiatria per un’osservazione del bambino”. Di fronte alle resistenze di Lidia, l’educativa domiciliare si è realizzata appieno perseguendo il criterio-per-la-prassi che valorizza una domiciliarità come apertura al territorio. Infatti, nella delicatezza dell’atto dell’“andare verso” (propria degli interventi domiciliari) risiede la necessità di non fermarsi entro il perimetro del domicilio, costruendo in questo modo interventi chiusi tra le mura di casa. Inizialmente l’educatrice domiciliare svolgeva il suo intervento un paio di volte alla settimana solamente all’interno del nido d’infanzia poi, con il tempo, si è creato un rapporto di fiducia per cui anche la madre ha in qualche modo “aperto le porte” di casa sua e ha accettato la presenza e l’aiuto dell’educatrice domiciliare la quale ha mantenuto una parte di intervento al nido d’infanzia e una parte a casa di Francesco. - QUINTA TAPPA: SOLITI PROBLEMI, MA CON NUOVE DOMANDE Queste stesse azioni si sono svolte anche nella volontà di perseguire il criterio-per-la-prassi della promozione della resilienza. La sfida è dunque quella di lavorare sul potere della vulnerabilità per ottimizzare le capacità di resilienza dei bambini, dei genitori e delle comunità sociali in cui essi vivono a partire dal creare integrazioni fra persone, soggetti e contesti, a livello di micro, meso e macrosistema. - GLI INTERVENTI EDUCATIVI NELLA RETE DELLA PROTEZIONE A conclusione di questo capitolo, rileggendo il particolare di questa singola storia di relazione fra famiglie e servizi educativi e sociosanitari, proviamo a risalire al generale, per descrivere alcune azioni a favore delle famiglie negligenti nei servizi per l’infanzia e nelle scuole di grado successivo. Tali azioni potrebbero essere ricondotte prevalentemente a due tipologie complementari, sia con i bambini sia con i genitori: interventi specifici e personalizzati; interventi trasversali e diffusi. 25 Interventi con i bambini: Specifici e personalizzati La progettazione globale per Francesco prevedeva nello specifico di rinforzare le competenze nell’area dell’autonomia personale e sociale, dell’esplorazione percettivo-sensoriale e dell’elaborazione cognitiva delle informazioni. In questo percorso di sviluppo si è inserita la figura dell’educatrice domiciliare, presente al nido d’infanzia per alcune ore settimanali nella parte iniziale dell’anno e che successivamente ha trasferito il suo intervento a casa del bambino. Questa professionista non si è occupata in maniera esclusiva e “separata” del bambino, ma ha affiancato le educatrici nell’intero gruppo dei bambini, fungendo da mediatore tra Francesco e la realtà fisica (spazi, tempi, attività e materiali) e relazionale (rapporti con se stesso, con gli adulti e con i compagni), stimolando e facilitando la sua piena partecipazione alle routine e alle varie proposte didattiche. Trasversali e diffusi per i bambini Molto efficaci si sono dimostrati i percorsi educativo-didattici proposti a tutti i bambini della sezione o dell’intero nido d’infanzia o scuola dell’infanzia, programmati a partire dalla rilevazione di un bisogno individuale a cui si cerca di dare risposta collettivamente secondo un approccio di inclusione e di partecipazione. Si fa qui riferimento a percorsi di alfabetizzazione emotiva, di espressione narrativa e di sviluppo della capacità prosociali e cooperative Interventi con i genitori: Specifici e personalizzati Tutti i contatti informali durante la giornata (nell’accoglienza e nel ricongiungimento) e i colloqui periodici con i genitori mettono a disposizione uno spazio comunicativo in cui gli educatori non “istruiscono”, ma guidano con atteggiamento comprensivo i genitori a descrivere e riflettere sulla propria esperienza, per comprendere meglio cosa sta succedendo con il loro bambino, per scoprire insieme quanto già fanno in maniera “sufficientemente buona” e quali altre possibilità educative potrebbero ancora mettere in campo. Trasversali e diffusi incontri collettivi con le famiglie nei nidi d’infanzia e nelle scuole dell’infanzia con finalità informativa, formativa e ricreativa (riunioni, feste, laboratori, giornate aperte, mostre, coinvolgimento nelle attività didattiche e nei lavori di manutenzione della scuola ecc.). Gli appuntamenti con le famiglie che vengono già organizzati in molti nidi d’infanzia e scuole dell’infanzia, i “gruppi di parola” e i “gruppi del fare” costituiscono uno dei dispositivi di intervento previsti nel programma Pippi per affiancare i genitori nel loro compito educativo. Questa attività ha l’obiettivo di facilitare attraverso un approccio animativo e riflessivo il mutuo supporto fra i familiari presenti e di attivare la circolazione di emozioni e pensieri sulle fatiche e soddisfazioni che l’occuparsi e il pre-occuparsi di un bambino piccolo comportano inevitabilmente. 26 PARTE SECONDA SGUARDI SULLE FAMIGLIE CONTEMPORANEE FAMIGLIE CHIARA SARACENO La pluralità dei modi di fare e intendere la famiglia, di essere genitori e figli, cui siamo di fronte oggi può apparire una novità: 1. La vera novità, forse, è che oggi la diversificazione non riguarda più soltanto società o periodi storici differenti, ma è sempre più interna alle singole società. Convivenze e procreazione senza matrimonio, nuove nozze che non seguono a vedovanza ma a divorzi, famiglie ricomposte attraversate da confini mobili, filiazione per adozione o tramite fecondazione assistita, famiglie costituite da coppie dallo stesso sesso sono tutti esempi di questa diversificazione. 2. Il secondo mutamento riguarda i rapporti tra le generazioni. Esso dipende innanzitutto dal mutato contesto demografico nei Paesi sviluppati: a fronte di una fecondità molto contenuta, che ha drasticamente ridotto il numero di figli per famiglia, si vive più a lungo. Si hanno perciò meno fratelli/sorelle, ma più nonni (ed è più facile essere nonni a lungo). 3. Il terzo fenomeno ha a che fare con i processi di formazione e dissoluzione della coppia e della famiglia. Sempre più, anche in Italia, si va a vivere insieme prima di – o senza – sposarsi. E anche la nascita di un figlio può precedere il matrimonio. Ci sono figli che transitano dalla famiglia di un genitore all’altra, genitori che non vivono stabilmente con i propri figli pur continuano ad averne responsabilità e adulti che assumono di fatto, anche se non di principio, un ruolo di co-genitorialità rispetto a figli non loro. 4. Il quarto fenomeno riguarda la messa in discussione dell’eterosessualità ed eteronormatività come fondamento della famiglia, in larga parte debitore di processi che hanno modificato dall’interno la famiglia eterosessuale, con l’emergere della centralità dell’amore, lo scollamento tra sessualità e riproduzione e tra genitorialità e riproduzione biologica. Quest’ultima distinzione sicuramente è stata rafforzata dalla riproduzione assistita, che consente di ricorrere a donatori/donatrici ma non si esaurisce in essa. 27 rifiuto e depressione. Questi bambini devono essere molto rassicurati ripetendo loro che non sono responsabili della rottura del matrimonio dei genitori. C. Nella preadolescenza prevalgono invece atteggiamenti di rabbia e aggressività, comportamenti messi in atto per il bisogno di attirare l’attenzione, soprattutto avvalendosi del linguaggio del corpo, del rapporto con il cibo, inventando o somatizzando disturbi e malattie per attirare l’attenzione di entrambi i genitori (“se vado all’ospedale verranno tutti e due da me”). D. Nell’adolescenza poi le reazioni si fanno più incontrollabili: dall’apatia verso lo studio, verso lo sport e verso gli amici, alle ribellioni, alle proclamazioni di autonomia e autosufficienza (“io non ho più bisogno di voi”). I genitori devono saper rimanere, invece, più che mai riferimento educativo, anziché assecondare, come spesso accade, queste presunte autonomie che si connotano di profondi sentimenti di solitudine e sfiducia esistenziale. - EVITARE I CONFLITTI DI FEDELTÀ E I RICATTI, COSTRUIRE LA CO- GENITORIALITÀ Per un adattamento sereno alle nuove situazioni i genitori devono mostrare ai figli che la gioia non è perduta per sempre, che sono ancora possibili momenti di felicità, di umorismo e di ironia. Quando i genitori iniziano ad accettare con serenità la loro separazione, lo fanno anche i figli. Poiché la decisione della separazione non è sempre simmetrica, essa porta con sé ferite da abbandono, vendette, anche molto crudeli, nelle quali spesso sono i figli ad essere usati come strumento di ritorsione. Ferire l’altro genitore attraverso i figli è un comportamento molto diffuso e le cronache ci riferiscono quanto frequentemente la tragedia di Medea si rinnovi. Quando un genitore, più o meno inconsapevolmente, insinua nei figli ostilità e rifiuto verso l’altro, coinvolgendoli in una sorta di “patto di fedeltà” nelle alleanze o coalizioni, dà origine ai diffusi conflitti di lealtà o di fedeltà. La tentazione di demolire l’immagine dell’altro è molto forte, soprattutto nel caso del coniuge che ha subito l’abbandono o il tradimento. La responsabilità educativa genitoriale nelle separazioni si esprime nello sforzo di mantenere le condizioni di co-genitorialità e salvare ciò che resta dell’“essere stati” famiglia. Un’educazione condivisa è il requisito basilare per accompagnare i figli nella separazione. Se la coppia può separarsi, la genitorialità è “per sempre”. Trovare aree di co-educazione aiuta i figli a sentire che i genitori continuano ad esserci, entrambi, con il loro affetto e la loro presenza. 30 IL SENSO DEL NOI IN FAMIGLIA, TRA REALTÀ E SIMBOLO LAURA FORMENTI “Noi siamo una famiglia”: come si impara questo “noi”? Raramente ci pensiamo. Viviamo quotidianamente situazioni e relazioni che implicitamente ci formano, ma rare sono le occasioni di pensiero riflessivo e critico, di apprendimento trasformativo. L’atteggiamento quotidiano crea il familiare, ciò che percepiamo come ovvio. Prevale la risposta soggettiva – «Per me, questa è la mia famiglia» – ma il senso del noi è più della somma di tante posizioni individuali e va oltre ciò che è conscio ed esprimibile a parole. Quando ci affidiamo alle parole emergono più probabilmente miti e luoghi comuni, posizioni ideologiche, formule retoriche. Dunque per comprendere il senso del noi bisogna osservare ciò che accade, in particolare nel rapporto tra la famiglia “praticata” e la famiglia “rappresentata “ Ciò che si fa e ciò che si dice. “il motore dell’azione è la mamma (capita spesso che le mamme siano considerate registe delle relazioni familiari). Nella punteggiatura si perde il senso del noi, della «struttura che connette» tutti gli attori nel gioco. Un osservatore diverso potrebbe dire che Susanna chiama nel gioco entrambi i genitori o che Piero “contiene” la relazione mamma-figlia con un atteggiamento partecipe e sintonico. Chi osserva porta la sua idea di questa famiglia. Che sia un’educatrice, un operatore sociale, un’ostetrica, un pediatra o un membro della famiglia, ciò che vede dipende dalla sua posizione, reale e metaforica. - IL CORPO FAMILIARE Ogni componente della famiglia si muove in relazione agli altri. Se osserviamo abbastanza a lungo, ripetizioni e coerenze suscitano in noi la sensazione di essere in presenza di un organismo sovra-individuale: il “corpo familiare”. La coerenza d’insieme sembra determinare il ventaglio di movimenti e posture possibili: se uno dei danzatori si sposta o cambia ritmo, anche gli altri dovranno farlo per mantenere l’equilibrio o ritrovarlo. Più di ogni altro sistema sociale, la famiglia dà corpo ai suoi membri, poiché tocca le sfere più immediate del vivere: cibo, riposo, gioco, movimento. Li educa al di là di ogni intento educativo finalizzato e cosciente. - LA FAMIGLIA REALE: UNA COREOGRAFIA COMPLESSA La famiglia praticata produce regole implicite e habitus, educa i corpi a una postura, un modo di respirare, di camminare, di svegliarsi, di mangiare. Attraverso le sue pratiche il corpo famigliare “si mostra”. 31 Ad esempio durante un pranzo: le persone sono distribuite a tavola, qualcuno porge il cibo, il contatto oculare facilita lo scambio tra chi sta di fronte, il ritmo del masticare, respiro, voce si coordinano. Per dare senso a questi coordinamenti reciproci si può chiedere alle persone di osservarsi e diventare riflessive. Alcune pratiche di ricerca o intervento chiedono ai membri della famiglia di osservarsi in relazione, ad esempio tramite l’uso del video. Non è facile per tutti distinguere tra l’esperienza sensoriale e le categorizzazioni; si possono ignorare «una quantità enorme di informazioni basate sul sensoriale» e così «perdere il contatto con gli eventi in atto nel campo dell’interazione». - LA FAMIGLIA SIMBOLICA: IL POTERE DELL’OGGETTO EVOCATIVO Le storie e i simboli che usiamo per rappresentare la famiglia non sono estranei alla famiglia percepita dai sensi. Quando la rappresentazione è simbolica, incorpata, estetica, il confine tra famiglia praticata e rappresentata diventa più sfumato. Ciò avviene, ad esempio, in alcune pratiche – le “sculture viventi”, il disegno simbolico della famiglia ecc. – usate in terapia, consulenza e formazione per dare corpo al “noi”. Caillé e Rey definiscono queste rappresentazioni simboliche “oggetti fluttuanti”: dando forma al “sapere famigliare “o “Assoluto familiare” lo rendono accessibile (Caillé, Rey, 2005). Gli oggetti fluttuanti creano uno spazio intermedio nel quale essere creativi e vedere il noi in una luce nuova; non hanno un significato univoco, ma propongono un’idea dinamica del noi, come qualcosa che è sempre in movimento. Generano pensiero trasformativo. - EDUCAZIONE CON LA FAMIGLIA Come si educa il senso del noi? Come si inserisce nelle pratiche di educazione con la famiglia? L’aumento della domanda e dell’offerta di formazione, soprattutto rivolta ai genitori, alimenta oggi una lettura strumentale e individualistica dei nuovi bisogni educativi della famiglia e produce interventi che non celebrano il senso del noi, ma puntano al rinforzo delle competenze individuali e alla soluzione di problemi. La famiglia è vista come carente, mancante. Invertire la rotta richiede una capacità di coltivare la bellezza, moltiplicare gli sguardi e lavorare sulle connessioni. Il lavoro educativo con la famiglia sostiene tutti i membri del sistema nel dare corpo al noi, sul piano reale e simbolico insieme. Vedere tutti i membri della famiglia nelle loro reciproche composizioni è un modo per riapprendere e rigenerare la diversità, che della famiglia è il tessuto vitale. 32
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved