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L'altra metà dell'europa di Francesco Guida, Sintesi del corso di Storia

evoluzione storica e politica dei paesi dell'Europa sud orientale

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016
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Caricato il 15/08/2016

Andrea.Cecchini
Andrea.Cecchini 🇮🇹

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Scarica L'altra metà dell'europa di Francesco Guida e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! L’attentato di Sarajevo che portò all’uccisione di Francesco Ferdinando il 28 giugno 1914fu destinato ad avere un importante seguito a livello politico. Se dopo le guerre balcaniche e il riassetto geopolitico che esse avevano indotto erano considerati da qualcuno una vittoria della Russia, l’ultimatum del governo austro ungarico indirizzato a quello serbo costituiva a sua volta una sfida al gabinetto di Pietroburgo. Esso nel 1908 non aveva reagito militarmente all’annessione all’impero della Bosnia-Erzegovina. La prima guerra mondiale presentava i connotati di un conflitto totale e persino la periferica Turchia si lasciò coinvolgere molto presto, attirata dalla possibilità di consolidare la propria posizione facendo leva sul blocco germanico e con l’esplicita volontà di sottrarsi all’influenza economica e politica di Londra e Parigi. Anche lo stesso governo bulgaro cedette alla sirena di un massiccio prestito di guerra di Berlino e vide prospettarsi la rivincita verso la Serbia, se non verso altri paesi confinanti. La stragrande maggioranza dei deputati votò a favore della guerra. Prima di scendere in campo Sofia ottenne dalla Turchia una piccola rettifica della frontiera in Tracia, utile per garantire autonomia alla linea ferroviaria che portava all’Egeo. Anche il governo romeno guidato da Bratianu preferì la neutralità : tale opinione prevalse in un consiglio della corona che comprendeva anche presidenti del consiglio del partito conservatore e di sentimenti filo germanici. I governi tedesco e austriaco offrirono a quello di Bucarest in cambio di una partecipazione bellica nel conflitto la Bessarabia, regione abitata in maggioranza da romeni e soggetta allo zar. In modo speculare i governi dell’intesa offrirono invece i territori soggetti all’Austria Ungheria. Questa secondo offerta era sicuramente più allettante ma dopo due anni di incertezze a indurre Bratianu a un entrata in campo al fianco dell’intesa fu la situazione militare, apparentemente favorevole alla Russia sul fronte orientale. Molto restia a farsi coinvolgere nel conflitto fu la classe dirigente ellenica. Per l’intervento, ma a fianco dell’intesa, era il leader liberale Eleftherios Venizelos che, per raggiungere il suo scopo, non esitò a costituire un governo a Salonicco sotto la protezione delle armi intensiste. Solo nel 1917 la Grecia scese ufficialmente in guerra ma essa in qualche misura e per opera delle flotte alleate occidentali aveva subito la sorte tanto deprecata dal Belgio occupato dalla Germania. Una volta rinunciato alla neutralità l’avversario naturale era la Turchia, alleata degli imperi centrali, nella quale abitava una cospicua comunità greca. Si prospettava la possibilità di realizzare la Megali Idea propugnata lungo tutto il risorgimento ellenico e dare luogo a una Grecia erede dell’impero bizantino anche in Asia. L’Albania non fu soggetto attivo nel conflitto : troppo recente la sua indipendenza e troppo instabile la sua situazione politica interna dopo la fuga del principe Guglielmo di Wied. Di fatto la presenza militare italiana nella terra delle aquile fu la più significativa, avendo riconosciuto le altre potenze dell’Intesa che l’Albania rientrava nella sfera d’influenza dell’Italia. Per polacchi, cechi e slovacchi il conflitto generale offrì il destro per una ripresa o il lancio di iniziative volte a conseguire l’indipendenza. In realtà la gran parte della popolazione e delle classi dirigenti di quei popoli mantenne a lungo un atteggiamento di lealismo verso la dinastia e la Monarchia duale. Alcuni leader boemi preferirono continuare la loro battaglia politica espatriando, per ottenere un più efficace sostegno da parte dei governi dell’Intesa e così proponendosi quali dirigenti del futuro stato indipendente. Durante il conflitto lo zar promise di riunire tutti i polacchi in uno stato dotato di grande autonomia in seno all’impero zarista. Anche Berlino e Viena fecero promesse tali da convincere i propri sudditi polacchi ad arruolarsi in Legioni e combattere contro l’esercito russo e quando le province polacche dell’impero zarista furono occupate si progettò la costituzione di un regno di Polonia sul cui trono sedesse un principe tedesco. I tre popoli baltici aveva preso sempre più coscienza della propria identità nazionale, sia nei confronti dei russi che nei confronti dei tedeschi sia pure dei polacchi. La Finlandia era legata alla Russia in unione personale e il suo popolo manteneva da sempre la sua specificità e proprie istituzioni. Nota è anche l’opposizione dei serbi contro le preponderanti forze austro-ungariche che poterono occupare la Serbia solo dopo oltre un anno di combattimenti : quanto restava dell’esercito serbo fu evacuato via mare da navi dell’intesa e tornò a operare nei Balcani più meridionali, da dove fu in grado di risalire l’intera penisola, quando le sorti del conflitto volsero al peggio per gli imperi centrali. L’esercito bulgaro già alla fine del 1915 occupò i territori serbi, cioè la Macedonia. L’esercito romeno sceso in campo nell’agosto del 1916, fu costretto nel giro di poche settimane a ritirarsi verso sud e successivamente l’intera Valacchia e la Dobrugia furono occupate dalle truppe nemiche, che non poterono però entrare in Moldavia dove si era rifugiata anche la corte con il governo. In seguito alla pace di Brest-Litovsk conclusa dal governo Lenin con gli imperi centrali anche la Romania firmò la pace separata di Bucarest nel maggio del 1918. Seguì il vittorioso conflitto con l’Ungheria che permise la conquista di tutte le province verso cui si volgevano le aspirazioni dei romeni. Dal gennaio 1919 la conferenza della pace riunita a Parigi delineò non senza fatica e polemiche i nuovi confini dell’Europa tutta. La rinata polonia era il risultato di un insieme di contingenze e di disparate iniziative di uomini e gruppi che avevano finito per coniugarsi per dare luogo a un esito su cui pochi avrebbero scommesso nel 1914. Dello stato polacco entrarono a far parte i territori già soggetti all’impero zarista, a quello germanico e all’Austria- Ungheria, cioè a potenze schierate su fronti opposti durante la guerra. Fine della grande guerra Romania e cecoslovacchia combatterono contro l’Ungheria guidata da un governo social comunista per garantirsi il controllo di importanti regioni. La Cecoslovacchia potè annettersi l’intera Slovacchia, inclusa la parte in cui gli ungheresi era maggiormente presenti. La Romania acquisì la Transilvania, Maramures e Crisana battendo l’armata rossa magiarae arrivando a occupare improvvisamente la stessa Budapest. Per ottenere parte del grande banato, inclusa l’importante città di Timisoara non fu necessario l’uso della forza contro la Jugoslavia, erede della Serbia. Furono le potenze vincitrici nella conferenza della pace di Parigi a decidere in tal senso. Infatti la sanzione alle nuove frontiere venne da quella conferenza attraverso i trattati già citati. Quelli di Versailles e Saint-Germain riguardarono la Germania e Austria Ungheria e perciò tutti gli stati successori. Il trattato di Neuilly decise le sorti della Bulgaria nel 1919, quello del Trianon punì severamente l’Ungheria nel 1920. Il primo dicembre 1918 però l’elemento romeno di Transilvania votò l’unione con la Romania, pur prevedendo un periodo di transizione in cui la regione sarebbe stata governata da un Consiglio dirigente. Perché quella decisione si potesse concretizzare fu però necessario che le truppe romeno intervenissero per piegare quelle ungheresi, con un appoggio quasi senza riserve delle potenze vincitrici in ragione del regime rivoluzionario che si era imposto in terra ungherese. Una guerra particolarmente sanguinosa fu quella greco-turca tra il 1921 e il 1922. Una nuova pace siglata dai delegati greci e turchi a Losanna nel 1923 restituì alla Turchis il controllo sull’intera penisola. All’ombra delle potenze tedesche fu costituito un Regno di Polonia solo formalmente indipendente. L’11 novembre 1918 Josef Pilsudski fu nominato comandante in capo delle forze armate dal consiglio di reggenza insediato dai tedeschi. Quella viene da molti considerati la data di proclamazione dell’indipendenza polacca. Le truppe polacche si trovarono a contrastare le iniziative delle nazioni baltiche che aspiravano all’indipendenza : in particolare sorsero conflitti con i lituani per la città di Vilnius, abitata in prevalenza da polacchi ed ebrei, ma circondata da un contado etnicamente lituano. Seguì dunque il conflitto tra la Polonia e la Russia bolscevica. Gli uomini di Pilsudski penetrarono allora anche nell’Ucraina occupando in modo effimero Kiev. Un’impetuosa controffensiva dei bolscevichi fece pronosticare la nasciata di una Repubblica sovietica anche in territorio polacco. Infine con la pace di Riga del 1921 il confine russo polacco si stabilizzò in modo da includere nella Polonia cospicue minoranze di ucraini e bielorussi. Anche Vilnius fu occupata con un colpo di mano nell’ottobre del 1920. In Polonia già nel 1919 si svolsero le elezioni per la l’assemblea costituente. Fu dunque approvato un documento passato alla storia come Piccola Costituzione, con il quale si impostò una questione politica cruciale per l’ulteriore svolgimento della storia nazionale. Infatti la piccola costituzione dava al presidente della Repubblica poteri poco ampi. La costituzione infine varata nel 1921, non recepì le richieste di Pilsudski stato cruciale per la duplice Monarchia. I cechi sono avvertiti dalle altre comunità etniche come i padroni dello stato, dominando nell’amministrazione e nell’esercito, nonché nelle più avanzate attività economiche. Il partito popolare di monsignor Hlinka, la principale forza politica slovacca, manifestò chiare tendenze autonomistiche che sfumavano verso l’aspirazione all’indipendenza. Anche il ruolo che la chiesa cattolica aveva in Slovacchia più che in Boemia entrò in conflitto con un certo laicismo del ceto politico e dirigente ceco. No ostante le varie vicissitudini la Cecoslovacchia fu il paese dell’Europa sud orientale dove la democrazia fu radicata e duratura. Non meno del partito socialista nazionale di Masaryk e Banes, costantemente al governo dal 1922 al 1938 fu il partito repubblicano degli agricoltori e piccoli contadini del ceco Antonin Svehla, cui subentrò uno slovacco di fede protestante, Milan Hodza. Il quadro politoc era anche più variegato a causa del sistema elettorale proporzionale. L’aggressione tedesca del 1938 andava ricercata nella presenza della numerosa minoranza tedesca in Cecoslovacchia, minoranza che alla fine della prima guerra mondiale aveva manifestato il desiderio di restare legata all’Austria. Nell’estate del 1938 il governo germanico avanzò la richiesta di cessione della regione dei Sudeti, popolata da tedeschi. La diplomazia internazionale si mise subito al lavoro affinchè si facilitasse il passaggio alla Germania dei distrtti in cui la popolazione tedesca fosse dominante. Si optò dunque la via per la quale i governi occidentali imposero a Praga di cedere ampi territori ma soprattutto decisero di mettere mano alla soluzione della questione anche per le altre minoranze presenti in Cecoslovacchia. Infatti alcuni territori furono ceduti alla Polonia e all’Ungheria. Infine alla Slovacchia e alla Rutenia fu concessa l’autonomia da tempo richiesta. Nel marzo 1939 Hitler avviò una nuova complessa manovra politica : dopo aver offerto l’indipendenza alla Slovacchia e all’Ungheria l’annessione della Rutenia sub carpatica, fece occupare senza difficoltà Boemia e Moravia che divennero parte del reich sottoforma di protettorato. Solo nel 1939 gli ambienti tedeschi manifestarono il loro dissenso per quanto stava avvenendo. Dal punto di vista militare, si può dire che con il successo dell’operazione Antropoid si trasformò nella liquidazione della resistenza, duramente colpita dalla reazione germanica. In slovacchia nel 1939 si era costituito il regime capeggiato dall’esponente del partito popolare, monsignor Tiso. Questo aveva accettato di proclamare l’indipendenza, dopo che il suo rivale e capo dell’effimero governo slovacco installato da Praga, Karol Sidor, aveva respinto l’invito/ordine di Hitler. Se Tiso fu il capo del nuovo stato indipendente, egli nominò alla guida del governo un elemento ben più radicale, Vojtech Tuka. Il regime di Tiso era filotedesco e in parte imitò le forme del regime germanico ma dal punto di vista ideologico non era omogeneo al nazional-socialismo. Come altri satelliti dell’asse, la Slovacchia aderì al patto tripartito e a quello anti-Komintern, diresse la maggior parte della sua produzione verso il mercato germanico. Contro questo regime la resistenza fu più vivace che non nei paesi cechi e divenne particolarmente attiva dal 1944 : alla fine di quell’anno fu costruito in clandestinità un consiglio nazionale slovacco, in cui significativo fu il ruolo dei comunisti. Oltre a voler sottrarre il paese all’influenza tedesca, si pensava di ricostituire la Cecoslovacchia. Contro le attività della resistenza dovette intervenire l’esercito germanico poiché intere unità dell’esercito slovacco erano riuscite a prendere il controllo dell’importante città di Banska Bystrica proclamando l’insurrezione generale. Quella significativa iniziativa militare in capo a due mesi fu repressa dalla Wehrmacht e le vittime assommarono ad alcune migliaia nonostante le forze sovietiche si trovassero non molte lontane. Proprio nella città di Kosice all’iniizo dell’aprile del 1945 si costituì un governo provvisorio cecoslovacco con a capo l’ambasciatore cecoslovacco a Mosca, il socialdemocratico Fierlinger. Il cosiddetto Programma di Kosice in realtà lasciava intendere parzialmente che a esso sarebbe seguita la trasformazione della Cecoslovacchia in una repubblica popolare a regime comunista. Tuttavia lo stesso Banes fece significative concessioni ai comunisti riguardo alla politica economica e sociale della futura repubblica, mentre sin dal 1943 avreva concluso un trattato di amicizia con l’unione sovietica. Con la fine della guerra lo stato romeno radoppiò territorio e popolazione. La riforma agraria produsse un’ampia assegnazione di lotti confiscati ai grandi proprietari, alla corona, ai possidenti stranieri e la forte crescita della classe dei piccoli proprietari. La produzione cerealicola su un territorio duplicato dai trattati di pace divenne una delle più significative su scala mondiale. Le campagne romene registrarono un profondo mutamento a livello dei rapporti di proprietà, molto meno sul piano delle tecniche e della capacità produttiva. Si registrò anche un notevole inurbamento. La Romania godeva nel complesso di un sistema democratico, ma di fatto fortemente elitario, e l’introduzione del suffragio universale, elevando il numero degli elettori da 100.000 a quasi quattro milioni. Il partito conservatore si frantumò in diverse entità nessuna delle quali potè porsi come alternativa all’altro partito storico, quello nazional-liberale, che subì uno spostamento in senso moderato. Si affacciarono così nuovi partiti come quello contadino e il partito nazionale romeno. Quando queste due formazioni si unirono nacque il partito nazional-contadino capace di raccogliere i più ampi consensi tra le masse. Liberali e nazional-contadini si alternarono sino alla sospensione della democrazia voluta dal re Carol II nel 1938. Sempre a livello politico con l’andare degli anni crebbe una cospicua destra radicale e antisemita che comprese varie formazioni, tra le quali la più importante fu la Legione dell’arcangelo Gabriele. Nella prima parte del dopoguerra le nuove forze politiche riuscirono a sottrarre il governo ai liberali : tra di esse una potè governare da sola per un anno dal 1920 al 1921. Era la lega del popolo guidata dal generale Alexandru Averescu. Richiamati al governo dal re nel 1922, i liberali di Ion Bratinau, che due anni prima avevano ottenuto appena 16 seggi alla Camera e uno al Senato, conseguirono una vittoria schiacciante. Ripreso il controllo dell’esecutivo, l’anno dopo i liberali vararono una nuova costituzione che in realtà non si allontanava molto da quella precedentemente vigente. Tra le novità vi furono la cittadinanza generalizzata, il suffragio universale maschile, il bilanciamento tra diritto di proprietà e interesse pubblico, il ruolo dello stato in economia. Per il resto il governo liberale attuò una decisa politica economica di protezionismo a vantaggio dell’industria nazionale. I partito del popolo ottenne una inaspettata vittoria durante le elezioni politiche del 1926-27. In modo parallelo con il conforto di un grande successo elettorale, il Partito nazional-contadino assunse la guida del paese deciso a mutare soprattutto la politica economica. Iuliu Maniu e i suoi colleghi di partito non ebbero il tempo di farlo in modo efficace, a causa della crisi economica del ’29 e del ritorno di Carol dall’esilio parigino. Quest’ultimo dal punto di vista politico limitò il raggio d’azione delle formazioni politiche in causa. Tuttavia si aprì una legislatura quelle del 1934-37 tutta caratterizzati da esecutivi retti dal liberale Tatarescu il quale guidò il paese in una nuova fase di espansione economica e relativa modernizzazione, mentre divenivano importanti i rapporti con l’economia della rinata potenza germanica. La guardia di ferro divenne nel corso del tempo sempre più popolare. Essa toccò il massimo dei consensi nelle elezioni del 1937 collocandosi al terzo posto dietro liberali e nazional-contadini. Ma dopo il colpo di stato del re Carol nel 1938 la costituzione fu abolita e sostituita da una di stampo non democratico, mentre le elezioni e il parlamento ebbero funzioni puramente esornativa : la Grande Romania trovò la sua fine. Nello stesso 1938 seguì l’arresto e l’uccisione di Corneliu Zelea Codreanu, leader dei legionari o guardisti. La dittatura del re durò solo due anni : nel 1940 il governo di Bucarest era ormai legato al filo doppio con l’Asse e soprattutto con Berlino. Il patto Ribbentrop-Molotov lasciò per molti aspetti la Romania priva di protettori di fronte al revisionismo sovietico. Un ultimatum di Stalin nel 1940 costrinse la Romania a cedere la Bessarabia e la Bucovina settentrionale che andarono a costituire la repubblica sovietica della Moldavia, nell’ambito dell’Unione Sovietica. A fine agosto avvenne il colpo più duro : il secondo arbitrato di Vienna a opera di Ciano e Ribbentrop preluse alla cessione di buona parte della Transilvania all’Ungheria. La situazione costrinse il re Carol II ad abdicare in favore del figlio Michele, che lasciò il potere nelle mani di un uomo forte quale Ion Antonescu. Egli di fatto governò per pochi mesi con l’ausilio della guardia di ferro. Hitler aveva consentito ad Antonescu di liberarsi della Guardia di ferro e governare senza oppositori o pericolosi alleati poiché aveva bisogno che la Romania godesse di stabilità nell’imminenza dello scontro con l’Unione Sovietica. Il consenso verso il conductor scemò quando ancora più rapidamente si comprese che la guerra sul fronte orientale era ben lungi dall’essere vinta. Se l’intervento era stato giustificato dal desiderio di riconquistare i territori ceduti e per riaprire, in modo indiretto, anche la questione della Transilvania, ora esponenti dell’opposizione iniziarono a trattare con i governi occidentali e fu dunque aperto anche un canale di trattative con Mosca. L’esito del conflitto armato portò i vertici romeni a stringere trattative segrete con i governi della coalizione antitedesca, i leader di alcuni partiti con l’appoggio di settori militari e il pieno avallo di re Michele attuarono un colpo di mano. Ion Antonescu fu arrestato e fu costituito un governo guidato dal generale Sanatescu che si affrettò a dichiarare il rovesciamento delle alleanze. Armistizio molto severo siglato a Mosca nel 1944 : in buona parte si posero le premesse per una riannessione dei distretti della Transilvania perduta nel 1940. Su tale evento pesò anche il rapido insediamento nel marzo 1945 di un governo orientato a sinistra e filosovietico, capeggiato da Petru Groza, ma già egemonizzato dal partito comunista. La presenza dell’armata rossa protratta sino al 1958, ben al di là della firma del trattato di pace significò non solo una garanzia per la costituzione del regime comunista e per l’inserimento nel blocco sovietico, ma anche la rinuncia a ogni speranza di recuperare i territori ceduti nel giugno 1940. La scena politica in Jugoslavia era dominate da varie formazioni politiche : il tradizionale partito radicale serbo, il partito democratico, il partito contadino croato, nonché altri partiti sloveni e musulmani. Il partito contadino croato ebbe una storia dai caratteri cangianti : dal radicalismo degli anni ’20, che lo portò ad affiliarsi al Krestintern, andò spostandosi verso posizioni più moderate. Dopo la morte dei fratelli Radic il nuovo capo Vladko Macek accettò sia la collaborazione politica con i partiti serbi, sia una forte affinità con la chiesa cattolica, sia infine di firmare lo sporazum o compromesso nel 1939, per assicurare alla Croazia una discreta autonomia. Il voto contadino in Serbia favorì il partito radicale ma poiché questo non poteva dirsi portatore di un’ideologia contadini sta, presero piede altre formazioni, tra le quali l’unione degli agricoltori di Jovan Jovanovic. Gli accordi di Rapallo e di Roma allentarono la tensione con l’Italia giunte al culmine con l’occupazione di Fiume da parte di D’Annunzio e dei suoi legionari, mentre restarono più minacciose le aspirazioni revisionistiche di altri paesi limitrofi. Con nuovi accordi nel 1924 e nel 1925 Belgrado riconobbe l’annessione di Fiume all’Italia, acquisendo in tenue compenso il Porto Baros. Negli anni venti le coalizioni tra partiti variarono di anno in anno : resta iil fatto che lo stato diede nel giorno di San Vito una Costituzione votata a maggioranza semplice. Non stupisce che nel 1928 si giungesse addirittura all’omicidio politico perpetrato in pieno parlamento : tra le vittime vi fu Radic, capo del contadino croato. Di fronte a un quadro politico così difficile da governare, il re Alessandro Karadjordjevic sospese la costituzione nel 1929, tentando di porre le basi per uno stato radicalmente jugoslavo, una patria comune per tutti i suoi sudditi. Jugoslavia divenne il nome ufficiale. Nel 1935 Milan Stojadinovic portò al successo elettorale la sua comunità radicale jugoslava, e fu nominato presidente del consiglio dal reggente Paolo. Dopo una vittoria elettorale di dimensioni ridotte nel 1938, l’anno successivo fu sostituito da Dragisa Cvetkovic : non godeva ormai della fiducia del reggente e anche per le sue simpatie filo italiane e filotedesche era sgradito al governo inglese, che ne volle l’esilio dorato nelle lontane isole Mauritius. Il nuovo esecutivo mise a segno un notevole successo : dopo un lungo periodo di trattative, il reggente Paolo, secondato dal nuovo presidente del consiglio Cvetkovic, il 26 agosto 1939 seppe trovare la via dell’accordo con il partito contadino croato e il suo leader Vladko Macek. La Croazia sulla base di questo accordo divenne una banovina estremamente estesa e dotata di una propria autonomia. Il governo jugoslavo, distaccandosi da una tradizionale politica aglofila e francofila, era stato il primo a togliere significato al proprio impegno nella piccola intesa. Da una parte aveva fatto seguire alla firma dell’Intesa o Patto Balcanico un deciso riavvicinimento alla Bulgaria. Con Stojadinovic si erano fatte migliori le relazioni con Germania e Italia. Realizzato l’accordo con i Croati, il reggente Paolo e Cvetkovic sotto l’impressione degli eventi bellici firmarono prima un trattato d’amicizia con l’Ungheria, quindi aderendo al patto tripartitico. Molto interessante fu l’intreccio tra questione nazionale e questione ideologica in Macedonia. Durante la seconda guerra mondiale l’occupazione bulgara era stata ben accolta dalla popolazione, soprattutto nei limitato ed erano sostanzialmente emarginate dalle maggiori forze politiche. Il pericolo per la democrazia veniva dalle file della Lega militare. Con gli anni particolare successo ebbe il circolo politico e culturale Zvenò che nel 19345 attuò un nuovo colpo di stato che non detronizzò il re Boris III, ma gli impose la nomina del colonello Kimon Georgiev a capo del governo e l’immediata sospensione della Costituzione del 1879, esso non compì alcun atto di simpatia verso Roma, bensì effettuò una precisa apertura diplomatica verso Belgrado. Il nuovo regime ebbe vita breve. Già nel 1935 Boris III puntando sull’ala monarchica della lega militare, esautorò Georgiev e il colonnello Velcev. Non ripristinò però la costituzione ma diede il via a un regime personale, fondato su un partito nazionale e quasi unico a lui e su un parlamento opportunamente eletto. L’unica eccezione era costituita da un pugno di oppositori che non approvarono nel 1940 l’adesione al patto tripartito, mentre il vicepresidente della camera Dimitar Pesev nel pieno del secondo conflitto mondiale riuscì a impedire la deportazione dell’intera comunità ebraica di Bulgaria. Per il resto il modello autoritario bulgaro era simile a quelli che si erano diffusi nell’Europa centro orientale. Le forme parlamentari erano tuttavia conservate e nel 1937 fu persino approvata la legge che diede il voto alle donne sposate. Anche quando fu firmato l’adesione al patto tripartito e si consentì il transito di truppe tedesche dirette in Grecia, il governo bulgaro capeggiato da Bogdan Filov, peraltro decisamente filotedesco, restò fuori dal conflitto mondiale, soltanto procedendo nel 1941 all’occupazione dei territori macedoni sia della Grecia sia della Jugoslavia. Tuttavia le operazioni militari non toccarono il suolo bulgaro per i primi anni di guerra. Soprattutto, la Bulgaria non partecipò all’aggressione contro l’unione sovietica, con la quale mantenne normali rapporti diplomatici. Morto per cause naturali re Boris III nell’agosto 1943 la reggenza proseguì in una politica prudente. La reggenza ebbe sempre più difficoltà nel barcamenarsi nelle pressioni che provenivano da Germania e Unione Sovietica in primo luogo e qualche tempo dopo cercò di sganciarsi dall’alleanza con la Germania, nominando a tale scopo nel giugno 1944 il governo guidato da Ivan Bagrjanov. All’inizio del settembre 1944 con l’Armata rossa ormai alle porte questi cedette il passo a un esecutivo capeggiato dall’esponente del partito contadino Konstantin Muraciev, che si spinse fino a dichiarare guerra alla Germania. Ciò non bastò poiché Mosca dichiarò guerra alla Bulgaria e occupò il territorio. Intanto il Fronte patriottico proclamò l’insurrezione e assunse il potere, arrestando reggenti e ministri. In realtà affinchè il colpo di stato si concretizzasse fu fondamentale il ruolo del ministro della guerra Ivan Marinov e dei militari a lui fedeli. Si stava profilando un cambiamento politico di lunga durata con la costituzione del regime comunista e la satellizzazione nei confronti dell’Unione Sovietica. GRECIA Turbinose furono anche le vicende della Grecia che acquisì nuovi vasti territori in Tracia e nelle isole egee, ma fall’ l’ambizioso tentativo di insediarsi anche in Asia Minore, sulla scorta della Megali Idea. Dopo che i greci organizzarono un’offensiva nella penisola anatolica, la risposta dei turchi guidati da Kemal non si fece attendere e le sue truppe riuscirono a respingerli verso il mare. Nel porto di Smirne le navi italiane imbarcavano i soldati ellenici in ritirata. Pace di Losanna - essa sancì la frustrazione delle aspirazioni greche e si parlò da parte ellenica di catastrofe d’Asia : la Tracia orientale e tutti i territori asiatici rimasero parte integrante nella Rwpubblica turca. Non meno difficile fu l’integrazione nello Stato ellenico dei territori acquisiti in seguito alle guerre balcaniche e alla Grande guerra. Politicamente le province neo acquisite si dimostrarono favorevoli al Partito liberale e a formazioni ancora più progressiste, come il Partito comunista capeggiato da Nikos Zachariadis. La sconfitta militare ebbe una risonanza soprattutto a livello di politica interna : non solo si seguirono governi di diverso segno e continui colpi di stato militari , ma si giunse persino a due riprese a costringere il re all’abdicazione o all’esilio e a proclamare la repubblica, e altrettante volte si ripristinò il potere del monarca. Re Costantino che era andato in esilio nel 1917, tornò sul trono nel 1920 ; nel 1923 il suo successore Giorgio II dovette lasciare il paese e nel 1924 la repubblica prevalse con il 70 % dei suffraggi in un referendum voluto dagli ambienti militari che di fatto sostenevano il governo liberale in carica. Anche a cauda di un’effimera dittatura del generale Pangalos la nuova Costituzione entrò in vigore solo nel 1927. Il nuovo sistema parlamentare bicamerale fu accompagnato dal voto proporzionale per poi essere soppresso da Venizelos. Il nuovo e ultimo periodo di Venizelos si concluse nel 1932, anno in cui le elezioni politiche diedero un risultato di pareggio tra i liberali e i popolari di Panagis Tsaldaris. Ciò indusse il generale Plastiras a tentare un nuovo colpo di stato nel marzo 1933 fallito nel peggiore dei modi ma tale da indebolire la posizione di Venizelos che fu fatto segno di un attentato. Le correnti monarchiche ormai prevalevano : dopo un successo quasi plebiscitario dei popolari alle nuove elezioni dovuto anche all’estensione dei liberali, Tsaldaris fu costretto a cedere la guida dell’esecutivo al generale Kondylis il quale proclamò il ritorno dell’istituto monarchico e fece poi svolgere un referendum che confermò la sua decisione. Fu nominato il professor Demertzis a capo del governo. Le trattative che Tsaldaris e Sofulis avviarono con quest’ultimi non sortirono effetti concreti e indussero invece la corte e alcuni settori militari a cercare una soluzione forte in una particolare contingenza che vide la morte in rapida successione dei più esperti uomini politici ellenici tra cui Demertzis. Re Giorgio affidò dunque la guida dell’esecutivo al generale Metaxas, capo di un piccolo partito di destra. Era la premessa per la costituzione di un regime autoritario che avvenne il 4 agosto 1936 attraverso la sospensione di diversi articoli costituzionali. Il regime di Metaxas si ispirò in buona parte a quelli tedesco e italiano : grande era l’ammirazione personale del dittatore per la civiltà germanica tanto da parlare di terza civiltà ellenica a imitazione del terzo reich. c Gli eventi del 1956 portarono gli studenti e gli intellettuali a manifestare la loro insoddisfazione : il regime scelse però la linea dura e non quella del dialogo. Secondo il dettato di Mosca andava ripristinata la legalità socialista ma senza mettere in dubbio le basi del potere esercitato dal partito. Il gruppo dirigente sembrava continuare a credere nel modello politico,sociale e economico che si voleva realizzare : lo dimostrava l’orgoglio di definire socialista la Repubblica e comunista il partito. Posizione di Sik - critica dal punto di vista economico alle scelte intraprese riguardanti gli scambi commerciali con l’area del Comecon e l’Unione Sovietica. Sik spiegava che questo rivolgersi a mercati certi, ma poco esigenti induceva l’obsolescenza della produzione nazionale, non incentivata ad ammodernarsi. Intorno al ministro degli interni Rudolf Barak sembrò costituirsi un gruppo alternativo ma Novotny seppe eliminare il potenziale pericolo e farlo condannare a 15 anni di carcere per reati comuni nel 1964. Tuttavia in quegli anni si registrarono dei cambiamenti soprattutto per quanto riguarda i vertici politici : nel settembre 1963 Siroky lasciò la presidenza del Consiglio a Jozef Lenart. Si mise anche in luce il personaggio politico poi divenuto emblematico nel 1968 : Alexander Dubcek. Nel 1966 si registrò un giro di vite contro le tendenze innovatrici : Vaclav Havel fu estromesso dalla direzione dell’Unione degli scrittori, mentre gli scrittori Ivan Klima e Ludvik Vaculik furono espulsi dal partito. Nel 1967 si giunse a un cambiamento sostanziale in seno al partito : liberali, centristi e autonomisti slovacchi riuscirono a mettere in minoranza Novotny, Hendrych e gli altri esponenti della correnti conservatrice. Da quel momento gli elementi più riformisti assunsero di fatto la guida del partito, imprimendo una forte accelerazione al cambiamento. Novotny perse poi la presidenza a favore di Ludvik Svoboda e tutti i posti di rilievo furono occupati dai riformisti. Dubcek ebbe il difficile compito di mediare tra le aspirazioni della popolazione e dei comunisti di destra e gli avvertimenti di Mosca e degli altri partiti. Il partito approvò un programma d’azione alquanto avanzato. I dirigenti sovietici, tedesco-orientali e polacchi si convinsero al contrario che esistessero rischi per la frontiera occidentale del Patto di Varsavia, per la fedeltà di Praga al blocco e all’Unione Sovietica, come pure per la stessa esistenza del regime comunista in Cecoslovacchia. Da una parte vi furono numerosi tentativi a trattative perché il gruppo dirigente cecoslovacco richiamasse all’ordine il partito e il paese, dall’altra si preparò per tempo l’intervento miliatre dei paesi del patto di Varsavia. Intanto Tito e Ceaucescu esprimevano il loro consenso al nuovo corso Dubcekiano. Nonostante l’arresto dei principali esponenti della primavera con Dubcek in testa, Svoboda rifiutò di nominare alla guida del governo l’ultraconservatore Alois Indra, come Mosca avrebbe voluto. Tuttavia il 26 agosto 1926 Dubcek e Cernik accettarono il diktat sovietico noto come protocollo di Mosca, smentendo le delibere del congresso straordinario e rinunciando a larga parte degli obiettivi riformistici. Alcuni personaggi che si erano esposti molto come Jiri Pelikan e Sik preferirono la via dell’esilio temendo non a torto di subire misure pesanti, che peraltro furono prese nei confronti degli elementi più liberali del partito e le associazioni mate in seno alla società, il club degli impegnati senza partito e il Klub 231. Alcuni mesi dopo Breznev si preoccupò di terrorizzare la giustificazione di quanto avvenuto : la cosiddetta dottrina che da lui prese il nome affermava che se il socialismo fosse stato in pericolo in un paese, gli altri stati socialisti avevano diritto di intervenire. Era una chiara limitazione della sovranità dei singoli stati. Nel gennaio 1969 si ebbe la più clamorosa denuncia del sopruso che la Cecoslovacchia subiva : lo studente universitario Jan Palach si diede fuoco nella centralissima piazza san Vanceslao, imitato nei giorni successivi da altri studenti. I funerali di Palach furono una impressionante manifestazione contro il corso politico che si stava imponendo e contro l’occupazione sovietica. Nella primavera del 1969 Dubcek fu rimosso dalla segreteria del partito e sottoposto in via progressiva a semplice cittadino sotto vigilanza. Nel 1970 un nuovo trattato di amicizia sovietico-cecoslovacco sancì la permanenza dell’armata rossa sul territorio della repubblica. In definitiva tra il 1969 e il 1971 un terzo degli iscritti al partito furono espulsi, si dimisero o andarono in esilio. Per molti l’espulsione significò la perdita del proprio posto di lavoro. L’ascesa di Lubomir Strougal alla presidenza del consiglio nel 1970 faceva sperare che un più moderato riformismo fosse possibile ma in vano. Il fatto di Husak dal 1975 fosse anche presidente della Repubblica oltre che segretario del partito , era quasi un simbolo di stalinismo ritornante, sebbene in veste moderata. Si pose fine anzitempo al quarto piano quinquennale, avviato nel 1966, rinunciando a proseguire nell’esperimento volto a consentire una relativa autonomia alle aziende pur nell’ambito dell’economia socialista. Il sistema centralizzato sembrò tornare in auge, come il primato riconosciuto all’industria pesante. Fu mantenuto l’obiettivo di industrializzare la Slovacchia e altre regioni arretrate ma i risultati continuarono a essere deludenti. L’economia restava tuttavia solida, giovandosi delle tradizioni di civiltà e dal’to livello di istruzione e professionalità. In definitiva lo shock politico non ebbe effetti negativi sulla sorte economica della Repubblica ma anzi ci furono cospicui investimenti nella produzione meccanica. Con il settimo piano crebbero gli investimenti nel settore chimico e si manifestò persino sensibilità per i problemi ambientali. Il conservatorismo in politica interna non vietò di migliorare la relazioni internazionali, in particolare con l’Austria e con la Germania federale. Nel 1973 il governo di Bonn riconobbe come non valido il patto di Monaco del 1938 e rinunciò a ogni pretesa sui territori cecoslovacchi abitati da tedeschi sino alla fine del conflitto mondiale. Gli anni in cui Rakosi dominò la scena politica ungherese furono solo otto dal 1948 al 1956, eppure sono ricordati come un pesante e lungo periodo buoio nel quale la popolazione visse in uno stato di profondo timore. Non solo per quanti andavano non simpatizzando per il regime che si andava costituendo i quali andarono in contro a molteplici forme di repressione. La chiesa cattolica tentò di opporsi in maniera netta al nuovo regime e ai valori che andava cercando di proporre alla società. La chiesa cattolica e in particolar modo i suoi vertici cercarono di opporsi al nuovo regime. Era uno scontro totale che non riguardava soltanto la visione gestionale della res publica ma investiva i vari aspetti della società come ad esempio il tema dell’educazione che il mondo cattolico tentava di gestire almeno in parte, mentre il governo vi operò una significativa riforma. I massimi esponenti della Chiesa non mancarono di fare sentire la propria voce anche in campo politico soprattutto con l’scesa al potere del primate Jozsef Mindszenty il quale affrontò il governo nazional-contadino guidato da Alexandrescu, la frazione dissidente e filocomunista del tradizionale partito diretto da Maniu ; infine anche nel 1953 anche questa formazione si dissolse essendo chiaramente prevalsa l’idea che solo un partito dovesse governare il paese. Alle elezioni del 28 marzo 1948 gli ormai indiscussi detentori del potere si presentarono con il nome di Fronte della democrazia popolare, ottenendo quasi tutti i seggi disponibili. Dopo di allora le elezioni ebbero un carattere puramente rituale. Al congresso di fondazione del PLR si registrarono anche i primi passi di una pulizia interna degli stessi ranghi comunisti, con l’attacco al ministro della Giustizia Patrascanu. Per lui fu solo l’inizio di un lungo processo che poi lo condusse a morte. Furono le prime purghe che si consumarono all’interno dei paesi satelliti dell’Unione Sovietica e le maggiori accuse che furono mosse proprio nei confronti di Patrascanu vertevano su presunti illeciti rapporti che egli deteneva nei confronti delle potenze occidentali e di simpatie titoiste. Questo episodio si intrecciò con una purga ben più rilevante : nel 1952 avvenne lo scontro aperto tra i massimi dirigenti romeni : da una parte il segretario Gheorghe Gheorgiu-Dej, dall’altra la notissima Ana Rabinsohn Pauker, ministro degli esteri, dopo la rimozione e l’uccisione del segretario Stefan Foris a opera dei suoi stessi compagni il partito era diretto dal 1945 da quattro persone : DEj, Pauker, Georgescu e Vasile Luca. La camera proclamò la repubblica nel 1947 e approvò la nuova Costituzione il 13 aprile 1948 : seguì una copiosa legislazione che portò ala nazionalizzazione di banche, industrie, miniere, assicurazioni e trasporti. La nascita della commissione statale per la pianificazione economica mette in risalto la piega che ormai stava prendendo la politica economica : era quello l’organo che nell’ottica dell’Unione Sovietica doveva presiedere per quanto concerne la trasformazione del paese. Per un paese agricolo come la Romania di fondamentale importanza fu la politica agraria. Dopo che nel 1948 furono create le stazioni di macchine e trattori di proprietà statale, il 5 marzo 1949 una risoluzione del Comitato centrale del partito decise la trasformazione dell’agricoltura in senso socialista. Furono espropriate le poche proprietà ancora superiori a 50 ettari per un totale di circa 340.000, si allegerì in modo significativo il peso fiscale sulle piccole e medie aziende agricole e si cominciò a costituire aziende collettive con i vari appezzamenti secondo il modello sovietico : parallelamente i proprietari privati dovettero soggiacere a pesanti consegne fissate per decreto. In circa 12 anni la collettivizzazione delle campagne era completata. La classe contadina mostrò una grande insoddisfazione e ostilità nei confronti del nuovo indirizzo e fece resistenza, tanto che decina di migliaia di contadini furono processati. I dirigenti politici erano convinti che solo la collettivizzazione avrebbe garantito lo sviluppo del settore agricolo e l’accumulazione di risorse da investire del settore industriale. Alla resistenza sociale si affiancò anche quella armata. Gruppi armati sostennero i contadini nelle loro opposizioni alla collettivizzazioni delle terre, e in taluni casi organizzarono delle rappresaglie contro ungheresi ; infatti essi furono attivi soprattutto in Transilvania come il caso di Sumanele negre fece capo al generale Aurel Aldea ; di militari era composto anche Graiul sangelui e in parte i combattenti di Avram Iancu. La resistenza armata si fece con il passar del tempo sempre più debole via via che i suoi membri furono uccisi o catturati . come il il caso di quattro giovani fuggiti all’estero guidati da Oliviu Beldeanu occuparono la Legazione romena di Berna finchè si arresero e furono arrestati dalla polizia svizzera. Con il loro gesto intendevano dimostrare che la loro scarsa resistenza al regime romeno non era fenomeno isolato. Nel clima della prima destalinizzazione Gheorgiu-Dej nell’aprile 1954 lasciò l’incarico di segretario generale del partito. L’atteggiamento che il gruppo dirigente romeno aveva tenuto durante il 1956, fu di assoluto allineamento e collaborazione con l’unione sovietica alle cui truppe si diedero agevolazioni logistiche, utili per le operazioni in terra ungherese, mentre Gheorghe-Dej e Valter Roman incontrarono il capo di governo magiaro per indurlo a una linea conciliante verso Mosca. BULGARIA. Dopo gli eventi del 1944, pomposamente definiti come rivoluzione, il Fronte patriottico, assunse il potere : di fatto si trattava di una larga coalizione comprendente l’UNAB,il PCB, il partito socialdemocratico e lo Zveno, che esprimeva il presidente del consiglio, Kimon Georgiev. Zveno aveva attuato nel 1934 un colpo di stato e Georgiev era stato per circa un anno alla testa dell’esecutivo. mentre Zveno si rivelò un partner docile, fu nell’UNAB e nelle file dei socialdemocratici che presto si manifestarono serie remore a collaborare con il PCB. Per i comunisti il vero avversario da battere era l’UNAB che godeva ancora della maggioranza dei consensi nel paese. Il suo leader Georgi M. Dimitrov aveva immaginato a suo tempo persino un colpo di stato per rovesciare il regime autoritario di Boris e condurre la Bulgaria nel campo occidentale contro la Germania, e perciò era riparato dall’estero. Tornato in patria fu costretto a dimettersi e a rifugiarsi presso l’ambasciata statunitense e poi emigrò negli USA sotto minaccia di pena capitale che gli era comminata. Ancora più significativa fu l’azione politica compiuta presso una parte dei dirigenti agrari, capeggiati da Alexander Obbov, i quali accettarono di continuare a collaborare con l’OF senza particolari condizioni, a danno della maggior parte della dirigenza e dei militanti che preferirono sottrarsi a un’alleanza in cui non si riconoscevano. Una scissione simile fu operata dal PSD mettendo in difficoltà il suo leader Lulcev. Questi e Petkov si ritirarono dal governo e passarono all’opposizione, rifiutando di partecipare alle elezioni del novembre 1945. Ciò permise all’OF di vantare l’86 % dei suffraggi. L’8 settembre 1946, in occasione del referendum istituzionale di governo e di opposizione si trovarono uniti : sebbene i dati furono falsati, la vittoria della repubblica sulla monarchia sembra essere stata reale. A fine ottobre nelle elezioni per la costituente l’opposizione ottenne un buon successo, non tale da poter scalzare dal potere l’OF, forte di oltre il 70 % dei voti. Agrari e socialdemocratici si batterono per mantenere i principi liberali dell’antica costituente di Tarnovo, ma i comunisti e i loro alleati approvarono un testo ispirato alla carta costituzionale dell’unione sovietica. Georgi Dimitrov assunse la guida dell’esecutivo. La questione principale sul fronte estero riguardò la Macedonia. Alla Bulgaria restò soltanto la piccola regione macedone del Prin. I progetti più arditi riguardavano un’unione che comprendesse pure la Macedonia greca : gli esiti della guerra civile in Grecia posero fine ai sogni di annettere la Macedonia greca rimasero incompiuti. Il giorno stesso in cui Washington ratificò il trattato di pace, Petkov fu privato dell’immunità parlamentare per essere arrestato e inquisito per tradimento ; a seguire molti deputati del suo gruppo furono dichiarati decaduti e infine l’Unab fu messa fuori legge con una decisione da parte della costituente. Une mese dopo fu eseguita la sentenza capitale comminata a Petkov. Anche l’altro troncone dell’UNAB, quello filocomunista, subì delle epurazioni e lo stesso Obbov fu sostituito da Georgi Trajkov, cui spettò il dubbio onore di organizzare il 27° congresso con cui il partito agrario rinunciava al tradizionale obiettivo di guidare il paese a nome della classe contadina, per riconoscere invece il primato del PCB. Se gli esponenti agrari ebbero compagni di prigionia anche i socialdemocratici non comunisti, i socialisti furono assorbiti nel partito egemone. Da li a poco anche altri alleati furono incorporati nell’OF, organizzazione di massa al servizio del regime. L’unico partito che mantenne la sua identità fu l’UNAB. In seguit le furono riserbate alcune cariche e soprattutto il ruolo di garante dei rapporti tra governo e classe contadina. Fu avviata anche la collettivizzazione delle campagne e nel 1958 l’organizzazione delle campagne in fattorie collettive era quasi completata. La formula della fattoria collettiva in Bulgaria fu molto diversa dal modello sovietico poiché i soci della cooperativa non persero totalmente memoria della proprietà che avevano conferito, godendo di una retribuzione variata in relazione a tale conferimento e non solo alla prestazione lavorativa. Parallelamente nel 1949 fu attuata una robusta industrializzazione soprattutto il settore dell’industria pesante ebbe una netta crescita. Il 1949 non vide solo il lancio della nuova politica economica di stampo sovietico, ma pure la scomparsa del leader Dimitrov e di un possibile successore, Trajco Kostov. Il quale fu ben presto individuato come vittima principale nel clima delle purghe con l’accusa chiave di titoismo. Mandato a morte nel 1949, fu riabilitato solo diversi anni più tardi. Dimetro lasciò la guida del governo a un altro leader storico e vissuto all’estero come Vasil Kolarov, presto scomparso, e quella del partito al proprio cognato Valko Cervenkov, uomo che parve essere per qualche tempo lo Stalin di Bulgaria. Cervenkov restò sulla scena a lungo, ma già con la morte di Stalin il suo potere fu ridimensionato in omaggio al criterio della dirigenza collettiva. Con il VI congresso del PCB nel 1954 lasciò la segreteria del partito a un emergente quale Todor Zivkov. Quest’ultimo pur essendo segretario, sembrava essere ancora in posizione secondaria tanto che non partecipò al XX congresso del PCUS. In realtà egli aveva incominciato una marcia verso la conquista del potere reale, con l’emarginazione degli altri maggiori concorrenti, durata otto anni e conclusa nel 1962. Sulla scia del XX congresso del PCUS, dopo uno storico pllenum del comitato centrale tenuto nell’aprile del 1956 Jugov assunse la guida dell’esecutivo, ma Cervenkov mantenne il posto nel Politburo e la vicepresidenza del consiglio. Con la destalinizzazione esponenti politici agrari di varie correnti tornarono in libertà e furono integrati nel regime, con il ruolo affidato all’UNAB di cui si è detto. La segreteria di Zivkov si inquadrava nel nuovo clima politico creato da Chruscev e i nuovi passaggi della destalinizzazione la resero più salda nel 1961, con l’estromissione da ogni posto di potere di Cervenkov che non volle fare autocritica e nel 1962 l’allontanamento di Jugov dal governo. Nei primi anni di quel lungo mandato di Zivkov si ridusse drasticamente il numero delle fattorie collettive accorpandole e si decise di realizzare in largo anticipo gli obiettivi previsti sul piano quinquennale del 1958. I risultati furono però fallimentari e la politica economica bulgara tornò a ispirar sial modello sovietico con qualche variante locale. Non tutti nel partito accettarono la leader di Zivkov tanto che si parlò anche dell’attuazione di un colpo di stato militare mai reralizzato e che portò agli arresti dei promotori ai quali furono irrogate penje fino ai 15 anni di carcere. Peraltro si continuava a tenere in funzione una notevole rete di campi per i detenuti politici. Il regime bulgaro fu uno tra quelli che più favoriva la simbiosi tra sentimento nazionale e ideologia marxista leninista. JUGOSLAVIA. Il clima del primo dopoguerra in Jugoslavia fu decisamente pesante : le vendette persnali consumate furono numerose e la repressione di chi non fosse simpatizzante del regime fu durissima e cruenta. È stato calcolato che nella piccola Slovenia 90.000 persone persero la vita o espatriarono in conseguenza della guerra mondiale. I britannici consegnarono ai titini 20.000 croati e oltre 13.000 domobranci sloveni detenuti nel campo di Viktring in Austria, passati tutti per le armi. La chiesa cattolica non esitò a manifestare la sua scara simpatia nei confronti dell’ideologia comunista. Le vittime più illustri furono l’arcivescovo di Zagabri9a Stepinac e l’arcivescovo di Lubiana Gregorij Rozman. Il 29 novembre 1945 il parlamento abolì la monarchia e proclamò la Repubblica federativa popolare di Jugoslavia. Competenze federali e competenze delle repubbliche erano ben distinte, ma le costituzioni di ogni repubblica erano limitate da quella federale che pure ammetteva il diritto di seccessione. Alivello parlamentare furono create due camere : una federale e una delle nazionalità. Alle elzioni i comunisti si erano presentati insieme con il partito democratico serbo e con quello contadino croato, e con altre organizzazioni. Tutti insieme costituivano il fronte nazionale che conseguì il 90 % dei suffragi. Il partito comunista tenne in vita inseguito anche il partito nazionale, che fu l’organizzazione e lo strumento che andò progressivamente inquadrando tutta la popolazione. Il gruppo dirigente fu poi attento a eliminare le basi sociali ed economiche del potere dei ceti avversi al nuovo regime. Rapidamente si procedette alla riforma agraria con la sparizione del latifondo, ma pure alla nazionalizzazione delle banche e delle industrie. Anche il dinaro venne deprezzato. Nel 1947 riprendendo il modello sovietico si decise il lancio del primo piano quinquennale che avrebbe dovuto riportare l’economia del paese alla normalità e a un nuovo sviluppo. La riforma agraria che si attuò non spiacque ai contadini essi non furono lieti di dover effettuare le consegne obbligatorie dei loro prodotti ne accolsero con entusiasmo la creazione delle prime fattorie collettive. La rottura politica nel 1948 tra Belgrado e Mosca fu fondamentale per un’ulteriore sviluppo della storia politica albanese. Hoxha colse l’occasione sia per liberarsi dall’ipoteca jugoslava sia per un regolamento di conti interno al gruppo dirigente. All’interno la principale vittima del repulisti avviato da Hoxha fu il numero due del regime il segretario organizzativo del partito e ministro degli interni Koci Xoxe, ma con lui caddero metà dei membri del comitato centrale. Fu facile attribuire a quei dirigenti l’accusa di titoismo. La scelta del gruppo dirigente di Tirana comportava un assoluto allineamento alla politica di Stalin, che veniva visto come il capo indiscusso del movimento comunista internazionale. Al di là del credo ideologico, era necessario l’aiuto economico dell’Unione sovietica ora che si rinunciava a quello della Jugoslavia. La crisi economico si presentava come strascico del conflitto mondiale, ma anche come conseguenza dei contadini ai progetti di introdurre le fattorie collettive. Da mosca pervennero addirittura derrate alimentari, così come strumenti tecnici ed esperti che contribuissero a diffondere buone pratiche nelle attività produttive. Intanto il partito comunista già durante il suo primo congresso tenuto nel novembre del 1948, assunse la denominazione di partito del lavoro, che meglio rendeva il concetto dell’alleanza tra la piccola classe operaia e la maggioritaria classe contadina e riprendeva una scelta fatta anche in altri paesi satelliti dell’Unione Sovietica. Nel 1955 l’Albania fu ammessa all’Onu. Nonostante la morte di Stalin l’Albania ocntinuò ad usufruire del sostegno sovietico per incrementare il processo di sviluppo economico appena avviato, ma con il tempo quell’aiuto cominciò ad essere avvertito con fastidio, sia il nuovo corso politico russo fu avvertito in maniera negativa. Nel 1954 Hoxha lasciò ad Mehmet Shehu la guida del governo conservando quella del partito. Secondo una interpretazione condivisa, in Albania una vera struttura statale, capace di raggiungere tutto il territorio dello Stato, fu creata solo con il regime comunista. Anche l’accanimento contro le religioni ha a che vedere con questa esigenza di controllo. Ancora nel 1955 erano stati colpiti sia dirigenti filo jugoslavi, sia altri che si erano manifestati con troppa foga ostili alla Jugoslavia. Pochi mesi dopo il III congresso del partito, il 25 novembre 1956 l’Albania registrò l’apice di quelle che si possono definire purghe in ritardo. Nel 1957 Mosca accordò un prestito di 160 milioni di rubli all’Albania, e accordi similari furono siglati con altri stati comunisti. Nel giugno 1959 Chruscev visitò Tirana, ma le espressioni di amicizia usate in quell’occasione nascondevano a stento la prossima rottura. Nonostante un incremento degli aiuti economici da parte di Mosca, Hoxha eprimeva le sue simpatie per idee maoiste e neanche la visita in Albania di Anastas Mikojan servì a ricomporre le divergenze che ormai si palesavano. Hoxha era pronto a esprimere critiche aperte al revisionismo sovietico ancor prima che lo facessero in modo netto i dirigenti cinesi. Il leader albanese alla conferenza dei partiti comunisti tenuta a Mosca nel novembre 1960, pronunciò un intervento di aperta critica nei confronti di Chruscev e ai suoi collaboratori ; il leader sovietico rispose con pari franca ostilità nell’ottobre 1961 al XXII congresso del PCUS. Seguì la rottura delle relazioni diplomatiche tra Unione sovietica e Albania. Rispetto al blocco sovietico Tirana attuò l’ultimo strappo nel 1968, quando decise l’uscita del Patto di Varsavia in seguito all’invasione della Cecoslovacchia a opera delle truppe del patto. CAPITOLO III GERMANIA La stabilizzazione degli anni ’60 consentì alla DDR di divenire progressivamente il paese del blocco comunista con la migliore economia in termini di produzione e di reddito pro capite. Ma dietro l’apparente solidità e ai successi sia reali sia di immagine, permanevano elementi strutturali di debolezza. Soprattutto era inevitabile il confronto con la Germania federale del miracolo economico. L’8 ottobre venne rifondato il Partito socialdemocratico. Dopo che si era parlato di sostituire Honecker, questi fu costretto a rinunciare alla leadership ed Egon Krenz ne prese il posto quale segretario. Appena un mese dopo il governo e l’intero Politburo si dimisero dalla guida dell’esecutivo sul quale fu posto il riformista Hans Modrow, già sindaco di Dresda. Una incerta indicazione del nuovo governo riguardante la libertà di oltrepassare il muro per recarsi a Berlino ovest fu la premessa per l’evento simbolo della caduta non solo del regime tedesco orientale, ma anche degli altri regimi comunisti. Il 9 novembre migliaia di tedeschi non solo superarono la linea che separava in due Berlino ma incominciarono anche a praticare alcune brecce nel muro per facilitare il transito. In dicembre nella SED si ebbe una vera e propria rivoluzione poiché Honecker e altri dirigenti furono arrestati con l’accusa di corruzione, Krenz si dimise e con lui tutti i componenti dell’ufficio politico e del Comitato centrale, furono sciolte le milizie operaie. Il 12 dicembre alla segreteria fu eletto il riformista Gregor Gysi il quale attuò il ripristino del pluralismo politico : si ricorderà che un pluralismo di facciata esisteva da sempre e ora ci fu solo bisogno che i partiti smettessero da fungere da semplici fiancheggiatori e si proponessero come alternativi alla SED. La Volksammer abolì contemporaneamente il primato della SED. Il 20 febbraio l’introduzione di una fondamentale modifica costituzionale sciolse il Fronte Nazionale restituendo credibilità alle consultazioni elettorali. Il 18 marzo 1990 si svolsero le elezioni politiche nelle quali vinse ampiamente l’Allianz fur Deutschland composta da CDU,CSU e Demokratischer Aufbruch. Il cristiano sociale De Maiziere costituì un esecutivo di coalizione nazionale comprendente anche liberali e socialdemocratici. In quelle prime elezioni libere, la SED con il nuovo nome di Partito del socialismo democratico, ottenne un discreto 16 % dei consensi. Restato fuori dal nuovo esecutivo, il PDS fu dunque l’unico partito a votare contro la dissoluzione della DDR in vista dell’unificazione. De Maiziere pur compiendo il primo viaggio all’estero per rendere visita a Gorbacev, non potè che far capire al suo interlocutore che aveva programmi ben diversi da quelli desiderati a Mosca, mentre il 15 maggio fu siglato l’accordo tra le due Germanie per l’unificazione economico-monetaria. Ci volle il settembre 1990 per la firma del trattato di pace da parte delle ex potenze vincitrici. L’unificazione fu ufficialmente sancita nell’ottobre 1990. I contingenti dell’Armata Rossa nel giro di alcuni mesi rientrarono in Unione Sovietica. L’unificazione sembrò essere un’annessione. Dall’ottobre 1990i cinque Lander orientali si integrarono nella struttura federale della Germania Ovest. Si registrarono anche i primi scioperi dopo molti anni per ottenere parità di salario con i lavoratori del Lander occidentali, oltre alla certezza del posto di lavoro in buona misura garantito. Il nuovo grande stato tedesco andò progressivamente assumendo una posizione quasi egemonica nel continente e poi nell’Unione europea. I suoi governi seppero fare fronte alle necessità finanziarie che l’unificazione presupponeva, in parte scaricandone il costo anche sull’economia europea. POLONIA A conferma che il regime comunista polacco era diverso da quello vigente negli altri paesi del blocco, Gomulka non lasciò il posto di segretario alla sua morte ma di fatto egli fu allontanato dalla leadership per decisione maturata in seno al gruppo dirigente in seguito ai violenti disordini scoppiati in Polonia nel dicembre 1970 ; i disordini avevano una motivazione prettamente economica , cioè erano conseguenza degli aumenti imposti ai prezzi del consumo. A porre fine alla stagione di Gomulka contribuirono soprattutto i comunisti patriottici che facevano capo a Moczar e i quadri che di più credevano nella possibilità di riformare l’intero impianto economico, dei quali il maggior esponente fu Edward Gierek. In breve però l’alleanza tra le due correnti vennero meno e il nuovo leader, rimosso Moczar dall’incarico di governo, proseguì la sua esperienza. La prima parte degli anni settanta fu caratterizzata da un trend economico positivo. Se la Polonia era lo stato del Blocco che aveva consentito la sopravvivenza della piccola proprietà contadina dal 1971 aveva sospeso la consegna obbligatoria del prodotto e allargato il sistema previdenziale ai contadini autonomi, negli anni successivi furono introdotte norme che furono avvertite come vessatorie. Infine si tornò ad aumentare i prezzi di consumo. Nel 1976 fu costituito il Comitato di difesa degli operai per opporsi alle misure governative messe in atto contro gli scioperanti. Massimi esponenti ne furono intellettuali revisionisti o dissidenti. Mentre l’economia continuava a declinare, la società dimostrava una vitalità sempre maggiore nel senso che le varie forme di autoorganizzazione risultavano ormai incomprimibili e incontrollabili per il potere politico. Nell’agosto 1980 i fermenti che erano in incubazione in vari settori della società si manifestarono apertamente con nuove manifestazioni operaie che culminarono nell’occupazione dei cantieri navali di Danzica e di alcune fabbriche. Cobntemporaneramente fu fondato il sindacato Solidarnosc che ebbe subito un enorme seguito, acquisendo il peso politico di un movimento o partito. L’esistenza del sindacato libero fu legalizzata e il governo lo accettò come interlocutore politico non limitandosi a trattare sulle rivendicazioni avanzate da esso per conto degli operai. Inevitabilmente Gierek dovette cedere il posto di segretario a Stanislaw Kanya, ma il ricambio al vertice non sembrò sufficiente per ridare slancio al POUP. IL quadro politico subì una rapida trasformazione quando il generale Wojciech Jaruzelski, ministro della difesa, nel febbraio 1981 assunse la guida del governo, ma in ottobre sostituì Kanya alla guida del partito, un fatto inedito. Nel 1981 ci fu la proclamazione dello stato di emergenza. Nel novembre 1982 dopo la morte di Breznev e l’elezione di Jurij Andropov a segretario generale del PCUS, Walesa fu riemesso in libertà : era rimasto in carcere per undici mesi. Nel 1985 Jaruzelski lasciò la guida del governo a Messner per assumere la carica di presidente del consiglio di Stato. Intanto Solidarnosc aveva ricostruito una sua struttura clandestina, organizzando nuovamente scioperi e manifestazioni di massa. Jaruzelski si dimostrò propenso a cercare soluzioni di compromesso. Le elezioni politiche del 1985 videro l’introduzione del ballottaggio tra diversi candidati, ma continuò a escludersi un certo pluralismo politico sollecitato dalla popolazione. Nell’estate e nella primavera del 1988 si susseguirono una serie di importanti scioperi. Nel settembre 1988 si insediò come capo del governo Rakowski, propenso al dialogo. Nel dicembre del 1988 Walesa si confrontò con il capo del sindacato ufficiale Alfred Miodowicz con un successo che arrise al leader di Solidarnosc. Presto i sindacati ufficiali scomparvero e il disciolto sindacato libero fu nuovamente legalizzato, non senza resistenza da parte delle teste di cemento nel comitato centrale riunito nel gennaio 1989, alle quali Jaruzelski minacciò le sue dimissioni e quelle del governo. Tutto ciò fu preliminare alla tavola rotonda cioè a una discussione a tutto campo tra il governo e l’opposizione sul futuro del paese. Gli accordi frutto di quella trattativa furono siglati da Janusz Reykowski per il governo dello storico Bronislaw Geremek per l’opposizione. Gli accordi prevedevano il pluralismo sindacale e la riassunzione di quanti avevano perduto il posto di lavoro dopo il 13 dicembre 1981. Furono ripristinati la presidenza della Repubblica e il senato. Tra le altre decisioni fu fondamentale l’accettazione di elezioni parzialmente libere e con sistema uninominale. Completamente libere dovevano essere per la ripristinata Camera Alta, ma non per il Sejm, la camera dei deputati, dove la coalizione di governo riservava il 65 % dei seggi. Nelle elezioni di giugno 1989 Solidarnosc riuscì vittoriso in tutte le circoscrizioni corrispondenti al restante 35 % dei seggi del Sejm. Di fronte a una situazione politica paradossale il Partito contadino e le altre formazioni che detenevano i restanti 460 seggi del Sejm chisero che l’esecutivo fosse presieduto dal vincitore delel consultazioni politiche, Jaruzelski fu costretto ad accettare, rinunciando alla nomina del generale Czeslaw Kiszczak quale primo ministro. Nel settembre il cattolico Tadeusz Mazowieski divenne il primo capo di governo non comunista : tra i ministri 12 erano di Solidarnosc e 4 del POUP. CECOSLOVACCHIA La nuova fase della distensione internazionale rappresentata dagli accordi di Helsinki del 1975 favorì anche in Cecoslovacchia la ripresa di forme di dissenso. Alla fine del 1976 fu istituita Charta 77, nel 1971 erano stati fondati il movimento della gioventù rivoluzionaria e il movimento socialista dei cittadini cecoslovacchi, i cui esponenti principali furono arrestati. In Charta 77 confluirono soggetti di diverse correnti. La più vivace era fatta di personalità antiregime, come il drammaturgo Vaclav Havel e il filosofo Jan Patocka. Le Quanto al potere personale di Ceausescu, va ricordato che l’articolo 13 dello statuto approvato nel 1965 vietava che la carica di segretario generale potesse essere accumulata con altre ; eppure nel 1967 gli fu concesso di sostituire Chivu Stoica quale presidente del consiglio di stato. In seguito, se il X congresso lo confermò alla guida del PCR, l’XI ribadì l’elezione direttamente in sede congressuale, ma in più egli fu eletto nello stesso 1974 anche presidente della Repubblica, e di conseguenza capo delle forze armate. Bucarest aderì poi nel 1971 al GATT, e nel 1972 alla Banca mondiale e al Fondo monetario internazionale. Nel 1973 ottenne dal mercato comune europeo un trattamento privilegiato in campo commerciale. Seguirono anche una serie di prestiti cospicui utili a dare nuovo slancio all’economia romena. La fondazione nel 1968 della Banca romena per il commercio estero confermò soltanto che le novità riguardavano essenzialmente gli scambi commerciali, mentre la costituzione di società miste fu limitata dalla norma che imponeva il controllo di esse da parte dello Stato romeno, almeno con il 51 % della proprietà. Di interesse più generale fu la riforma del sistema pensionistico, poiché essa riguardava finalmente anche i contadini non iscritti a cooperative. Intanto i lavoratori inseriti in una unità socialista divennero fiscalmente esenti poiché la struttura in cui lavoravano assumeva ogni responsabilità al loro posto. Il tasso di crescita economica si mantenne alto fino alla fine degli anni ’70 essendo bassa la base di partenza, ma scarsa era la produttività del lavoro, così come la qualità dei prodotti, mentre strumentazioni e infrastrutture presentavano un mediocre profilo tecnologico. A diversi anni dalla conclusione della collettivizzazione delle terre il sistema di produzione agricola non era soddisfacente e la legislazione cercava di offrire incentivi a chi producesse di più di quanto pianificato. Nuove scelte di carattere economico dìsi dimostrarono controproducenti. La penuria di petrolio indusse a importare grezzo per investire nell’industria di trasformazione. Intanto il consenso con l’andar degli anni andò diminuendo nonostante il partito contasse tre milioni di iscritti. Forte reazioni causarono il lancio di un programma di ristrutturazione delle campagne lanciato negli anni ’80. L’accorpamento dei villaggi in centri di maggior dimensione avrebbe dovuto giovare alla razionalizzazione dei servizi, ma sconvolgeva gli usi delle popolazioni, e l’equilibrio etnico di alcune componenti nelle varie regioni, come il caso degli ungheresi in Transilvania che destò molto scalpore a livello internazionale fino ad arrivare a creare un vero e proprio isolamento internazionale della Romania. Il regime nella sua maturità continuava ad ammettere i culti religiosi sulla base della costituzione del 1965 e della legge sui culti religiosi sulla base della costituzione del 1965 e della legge sui culti del 1948. Quattordici organizzazioni religiose erano considerate ammesse dallo Stato, tutte dotate di un proprio statuto tranne quella cattolica. Intanto a fine anni ’80 la popolazione si abituò all’uso della tessera alimentare. Il regime intendeva poi azzerare il debito estero e a metà 1989 fu annunciato il raggiungimento di tale scopo : era una scelta che costava però sacrifici enormi alla popolazione ne contribuì a migliorare il quadro economico o a sollecitare gli investimenti all’estero. BULGARIA Se l’ideologia al potere in Bulgaria acquisiva negli anni una forte coloritura nazionale, essa non rinunciò ai principi del marxismi leninismo, ribaditi nella costituzione entrata in vigore nel 1971. La fedeltà nei confronti dell’unione sovietica restò intatta nel corso degli anni e fu ripagata con un cospicuo sostegno che, in combinazione con la politica economica, garantì alla popolazione un tenore di vita non alto ma sufficientemente sereno, soprattutto a livello alimentare. Era chiara la dipendenza nei confronti dell’URSS soprattutto per quanto riguarda il rifornimento energetico. Si proseguì nell’industrializzazione fino a creare una centrale nucleare, che però non ebbe i successi sperati. Nello spirito della coesistenza pacifica propugnata da Chruscev migliorarono le relazioni con la Grecia, con la quale si trovò un compromesso riguardo alle riparazioni di guerra e nel 1964 furono conclusi accordi di carattere commerciale e culturale. In accordo con la nuova linea nazional-comunista i governanti bulgari nel 1984 optarono per una decisione molto pericolosa, soprattutto per l’immagine del paese all’estero la snazionalizzazione attuata attraverso nuovi nomi all’anagrafe. Si vietarono la circoncisione e le pratiche di sepoltura di stile musulmano. Tale tesi si basava sulla tesi che i musulmani di Bulgaria fossero slavi ottomanizzati che dovevano essere indotti a riassumere la propria identità bulgara. Negli anni ’80 le relazioni tra i due stati toccarono il punto più basso a causa della politica di bulgarizzazione. Non solo Ankara non poteva accettarla, ma più grave fu che la minoranza in questione reagì in modo non passivo. Molti furono coloro che chiesero di emigrare anche in base ad un nuovo accordo con Ankara, il che causò un notevole danno all’economia della Bulgaria. Mentre ancora lo stato e la società bulgara dovevano riprendersi da questi pesanti traumi a livello economico e sociale si profilò all’orizzonte ill ciclone Gorbacev. Zivkov per quanto duttile non era l’uomo adatto a guidare il paese. Invano aveva cercato di prepararsi un erede : il figlio non mostrò le qualità politiche per sostituirsi al padre, qualità che ebbe invece la figlia Ludmila, per alcuni anni al vertice delle attività culturali in Bulgaria. Ma morì a soli 39 anni. Intanto la società si era messa in movimento sull’esempio di quanto accadeva anche il altri paesi comunisti. Dapprima si formarono movimenti che puntavano a risolvere specifici problemi a tutti evidenti, come quelli riguardanti l’ambiente. L’8 marzo 1988 a Ruse fu costituito un comitato per la difesa della città, che accusava il governo di Sofia di non fare nulla per proteggere il territorio e la salute della popolazione, su quella scia altri gruppi ecologisti andarono a costituirsi. Vi era ormai ilo clima perché si costituisse un movimento di carattere più esplicitamente politico : fu il caso del Club per sostenere la perestrojka e la glasnost, capeggiato dal filosofo Zelju Zelev il quale anni prima aveva avuto il coraggio di assumere posizioni eterodosse. Nacque così il sindacato libero Podkrepa che era guidato da Konstantin Trencev e si ispirava al modello polacco Solidarnosc. Ll’aggregarsi di tutte quei movimenti di opposizione, dal 7 dicembre 1989, nell’Unione delle forze democratiche fu il sigillo alla fine del regime, dopo ache avevano alzato bandiera bianca i regimi comunisti di altri stati. I maggiori esponenti del PCB decisero di estromettere Zivkov dal potere. L’anziano leader presentò al Comitato centrale una relazione nella quale accettava in sostanza le tesi di Gorbacev e ammetteva la necessità di avviare radicali riforme. Una Trojka sembrò assumere le redini : il ministro della difesa Dobri Dzurov, il presidente del consiglio Andrej Lukanov e il ministro degli esteri Petar Mledanov, che assunse la segreteria del partito e la presidenza del consiglio di stato. Da li a poco cedette la segreteria ad Alexander Lilov, allontanato dal Politburo del vecchio PC nel 1983, e nell’estate del 1990 lasciò anche la presidenza della Repubblica. ALBANIA Il gruppo dirigente albanese portò avanti una rivoluzione culturale dalle proporzione piuttosto importanti e che finì per lambire soprattutto la dimensione sociale della realtà in cui operavano : il velo che re Zog aveva combattuto non si vide più o quasi sui volti delle donne musulmane, e il codice consuetudinario di origine medievale non ebbe più applicazione generale, neppure nel nord cattolico, che aveva maggiormente resistito al nuovo potere. Una delibera del Comitato centrale abolì l’uso dell’abito bianco per le spose. Dal 1957 Tirana fu dotata della prima università albanese e nel 1960 vi fu inaugurato l’Alto istituto delle arti. Nei villaggi furono impiantati centri e case di cultura. Sempre nel 1960 furono avviate le trasmissioni della televisione albanese mentre si faceva di tutto per disturbare il segnale radio e televisivo che giungeva d’oltre frontiera. Il regime continuava a dettare le regole a scrittori e artisti, e persino i temi da trattare. Segnali inquietanti giunsero dall’esposizione d’arte di Tirana del 1971 e da quella dell’anno seguente, intitolata Primavera 1972. CAPITOLO IV POLONIA Il ripristino della democrazia non poteva significare trovare con un colpo di bacchetta magica la soluzione per i problemi dell’economia. La trasformazione indolore e pacifica del regime garantì un atteggiamento amichevole da parte dell’occidente : il sostegno concesso in passato alla Polonia comunista non poteva mancare a quella post-comunista. Nonostante il debito estero fosse alquanto elevato, gli stati occidentali, la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale continuarono a garantirne il rifinanziamento, chiedendo in cambio profonde riforme economiche. Jaruzelski dopo mesi di una campagna che spingeva in tal senso , accettò di dimettersi da presidente della Repubblica e con le nuove elezioni del novembre-dicembre 1990 fu Walesa a prendere il suo posto ; a sorpresa questi dovette confrontarsi con Mazowiecki e con un ricco polacco tornato dal Canada, Stanislaw Tyminski, capace di giungere ala ballottaggio. Il nuovo presidente decise di ricevere le consegne non da Jaruzelski, ma da Ryszard Kaczorowski, l’ultimo presidente del governo in esilio che potè a questo punto dissolversi. Il confronto tra i due candidati entrambi provenienti da Solidarnosc era la confermava che in quel movimento albergavano più anime. Tale fatto segnò le sorti del paese e causò la debolezza del grande vincitore del 1989, tanto da consentire il ritorno al potere di uomini provenienti dal Poup. Di fronte al calo della popolarità del primo governo democratico, Mazowiecki passò la mano a Jan Bielecki finchè non si delineò meglio la conferma del nuovo sistema politico. Il risultato fu paradossale per il nuovo sistema politico adottato : appena il 48 % degli elettori andò alle urne e ben 29 partiti entrarono alla Camera Bassa e 21 al Senato, ma nessuno ottenne più del 13 % dei consensi. Gli ex comunisti guadagnarono il 12 % come l’Unione democratica di Mazowiecki. Solo nel dicembre 1998 fu creato l’Istituto della memoria nazionale che in parte rispondeva alle esigenze di creare una completa rottura con il passato. L’ultima significativa modifica costituzionale la si avrà nel 1992 e riguardò le modalità estremamente complesse per la formazione del governo : essa lasciò ampi margini di ambiguità sulle competenze dei diversi poteri statali. Solo nel 1997 fu approvato un nuovo testo costituzionale, che servì in primo luogo a chiarire i rapporti tra i diversi poteri istituzionali. Nel settembre 1993 gli elettori furono nuovamente convocati e di nuovo l’afflusso alle urne si fermò al 51.5 %. Le forze centriste non riuscirono a dare luogo a un blocco, spianando la strada alla vittoria dell’alleanza della sinistra democratica, capeggiata dall’ex comunista Aleksander Kwasniewski, affiancata dal partito democratico di Waldemar Pawlak, e dell’unione del lavoro. La conseguente formazione del gabinetto Pawlak sembrò dare soddisfazioni alle richieste dei contadini e di altri ceti perché il passaggio all’economia di mercato fosse rallentato. La strutturazione della società polacca e il contesto internazionale, oltre che le nuove opinioni della classe politica, non consentirono la cancellazione delle scelte strategiche operate dopo il 1989. Nel febbario 1995 Pawlak si dovette dimettere perché accusato di corruzione nella pratiche di privatizzazione. Il suo successore Jozef Oleksy, dell’alleanza della sinistra democratica, si dimise un anno dopo perché fu dimostrata la sua collaborazione con i servizi sovietici. Subentrò alla guida dell’esecutivo il suo compagno di partito Wlodzimierz Cimoszewicz. All’instabilità dei governi si aggiungevano i difficili rapporti esistenti tra le istituzioni : esecutivo, presidenza della Repubblica, parlamento. Di tale conflittualità fu protagonista Walesa, accusato dagli avversari di eccessivo protagonismo se non persino di autoritarismo. Nel 1995 l’uomo si8mbolo di Solidarnosc fu battuto di misura alle elezioni presidenziali dall’ex comunista Kwasniewski, però nel 1997 l’Alleanza elettorale Solidarnosc ottenne il 34 % dei consensi e potè dar vita a un nuovo esecutivo, guidato da Jozef Buzek, insieme con l’unione liberale di Balcerowicz, altra formazione filiata da Solidarnosc : questa volta il centro destra non commise l’errore di presentarsi diviso alle urne. subentrato all’esecutivo di centro destra, aveva aderito senza incertezze alla Partneship for peace lanciata dal presidente Clinton e dopo che Budapest aveva ospitato nel maggio 1995 l’assemblea parlamentare della NATO, per la prima volta tenuta in uno stato non membro spettò dunque al governo Orban il compito di siglare l’ingresso dell’Ungheria nella NATO confermando il suo orientamento filooccidentale. Le relazioni soprattutto con la Romania non furono facili per la grave questione della minoranza ungherese in Transilvania mai sopita negli anni del comunismo e riaccesasi proprio prima della caduta del regime. A creare tale clima contribuirono anche gli incidenti di Targu-Mures del 1990. I governi ungherese e romeno accettarono reciproci controlli aerei delle basi militari aderendo al trattato internazionale sui cieli aperti ; nel 1996 fu siglato un trattato di amicizia che servì ad attenuare la grave questione della minoranza ungherese di Transilvania nonostante i rigurgiti di nazionalismo affiorati nei due paesi. Il vecchio personale politico non pagò un prezzo eccessivo se già alla seconda legislatura il Partito socialista fu in grado di allinearsi con i liberaldemocratici e assumere la guida del governo, mentre il Forum democratico restava all’opposizione con la Fidasz e altre formazioni, senza che ciò causasse seri problemi politici ne creasse preoccupazioni nei governi. Il governo Antall era durato per l’intera legislatura salvo un rimpasto nel febbraio 1993 e la sostituzione del premier con il ministro dell’interno Peter Boross. Il MDF era però una classica formazione ombrello e dopo le scissioni subite fu nettamente sconfitto alle elezioni del 1994 e finì per perdere una sua identità politica, mentre il suo elettorato cercava altri referenti. In quel caso i socialisti si allearono con i democratici, dando luogo a una vasta maggioranza parlamentare. Anche il governo di Gyula Horn durò per l’intera legislatura. Le privatizzazioni e l’apertura verso i capitali stranieri procedettero con tale ritmo da inquietare l’opposizione di destra. Tuttavia nelle successive elezioni del 1998 una buona parte dell’elettorato preferì orientarsi verso un’altra forza politica, i giovani liberali capeggiati dal nuovo premier Viktor Orban. Egli continuò nella politica di contenimento della spesa pubblica, ma puntò pure sulla riduzione delle tasse, dell’inflazione e della disoccupazione. La produzione industriale aumentò molto a partire dal 2000 ma crebbe anche il debito estero e rimase in deficit la bilancia dei pagamenti. Le elezioni parlamentari del 2002 videro l’affermazione della coalizione costituita dal Partito socialista e dall’alleanza dei liberi democratici, contro i 188 seggi conquistati dall’Unione civica ungherese. Il governo di sinistra guidato da Peter Medgyessy approvò dei provvedimenti destinati a sostenere l’aumento degli stipendi statali e delle pensioni, a razionalizzare la politica fiscale, a riformare il sistema sanitario. Cxedette ai privati le ultime tre banche pubbliche e firmò il trattato di adesione all’Unione europea. L’aumento del 50 % degli stipendi della pubblica amministrazione causò un impennata del deficit pubblico, mentre diminuivano gli investimenti nell’industria e la crescita economica. Fu inevitabile la perdita di credibilità dell’esecutivo, come attestarono le elezioni europee del giugno 2004 nelle quali il partito socialista conquistò 9 seggi contro i 12 della Fidesz. Ferenc Gyurcsany sostituì Medgyessy quale primo ministro e si tornò a politiche più liberiste privilegiando il risanamento dell’economia e del debito pubblico. Ne conseguirono l’aumento della disoccupazione e la mancata realizzazione di investimenti nell’edilizia sociale, mentre le condizioni di vita della popolazione peggiorarono. Tornò a crescere il PIL e si ridusse l’inflazione. Tutto ciò indusse Orban a scelte sempre meno liberali e a contrastare la posizione filoeuropeista del partito socialista. Nonostante ciò alle elezioni del 2006 il partito socialista prevalse ottenendo 186 seggi e con gli alleati liberali 210. Gyurcsany avviò massicci aumenti di tasse, ulteriori privatizzazioni e lo smantellamento sostanziale del welfare : per far fronte alla bancarotta imminente del sistema sanitario furono introdotti ticket ambulatoriali. Nel 2008 su iniziativa dell’opposizione un referendum per l’abolizione dei ticket ambulatoriali segnò una pesante sconfitta per l’esecutivo. Gyurcsany si dimise da primo ministro nell’aprile 2009, spinto dalle proteste della popolazione e dai disordini conseguenti. Gli anni di Gyurcsany non erano facili da dimenticare e nel 2010 socialisti e liberali subirono una pesante sconfitta. Ben 269 seggi furono assegnati alla Fidesz, che ebbe la maggioranza utile per introdurvi nuove misure costituzionali. ROMANIA La seconda legislatura dal 1992 al 1996 registrò le novità più significative, ma non un radicale cambio come poteva essere aspettato. Esso avvenne nella terza legislatura, ma i risultati non furono brillanti e così fu necessaria un’ulteriore ristrutturazione il complessivo processo di trasformazione, tanto da fare della Romania un solido partner europeo, al di là dei problemi che il paese registra in più campi e delle esperienze del tutto particolari che esso ebbe a vivere. Gli anni 1990-1992 furono i più agitati. La scena politica almeno inizialmente fu dominata dal Fronte di salvezza nazionale con presidente Ion Iliescu, un dirigente comunista caduto in disgrazia negli ultimi anni e del capo del governo, il giovane professore universitario Petre Roman. In realtà il quadro politico era estremamente vario, essendosi costituiti o ricostituiti partiti di ogni genere ed essendo presenti in piazza manifestanti che non consideravano legittimi l’indirizzo politico che andava prevalendo. La costituzione di un consiglio provvisorio di unità nazionale, quasi un pre-parlamento in cui metà dei seggi furono assegnati alle diverse dal FSN, non fu sufficiente per placare la protesta e in giugno giunsero i minatori della valle del Jiu a sgomberare la piazza dell’università con la violenza. Le elezioni del 1990 sancirono la netta egemonia dell’FSN e Iliescu ebbe modo di divenire l’uomo più noto del paese. Ne seguì un semiplebiscito per lui, che assunse la presidenza della Repubblica in grado ora di avviare il processo costituzionale. La carta costituzionale si ispirò almeno in parte a quella francese e infatti il ruolo di Iliescu continuò a essere preponderante, sino al punto di estromettere dal governo Petre Roman. La divisione interna all’FSN non fu sufficiente per spingerlo all’opposizione nella seconda legislatura. Le elezioni del 1992 confermarono Iliescu alle presidenza e il partito di cui deteneva le redini al governo, ma solo grazie a faticose alleanze con l’Unione democratica degli ungheresi di Romania. Nonostante tale eterogeneità il governo Vacaroiu durò per l’intera legislatura. Nel 1996 i partiti di centro-destra con l’appoggio dei democratici di Roman elessero il nuovo presidente Emil Constantinescu e diedero vita a un esecutivo diverso dai precedenti. Ma il governo non diede prova di coesione. Furono attuate riforme in campo economico e sociale, e avvicinandosi sia alla NATO sia all’unione europea. Poiché il centro destra fu in grado di eleggere il presidente della Repubblica Traian Basescu grazie all’incertezza di cui si è detto, potè dar vita a un governo di centro destra, capeggiato dal liberale Calin Popescu Tariceanu, in grado di ottenere la maggioranza in parlamento. Ancora una volta la maggioranza si dimostrò poco coesa e si manifestò un nuovo grave fenomeno : la contrapposizione tra governo e presidenza della Repubblica fino a giungere nel 2007 all’impeachment votato dal parlamento ma non confermato dal voto popolare, come richiesto dalla costituzione. Nel 2008 grazie alla nuova legge elettorale, solo quattro partiti entrarono in parlamento. I due più votati il PSD e il neo costituito partito democratico liberale, vicino al presidente Basescu, diedero vita a un’inedita grande coalizione per affrontare la crisi economica che anche in Romania si stava profilando. Il governo capeggiato da Emil Boc nonostante all’opposizione restassero solo liberali e UDMR. Nonostante i socialdemocratici avessero votato la sfiducia nel 2009, il governo restò in carica sino al febbraio 2012. Pochi mesi dopo si insediò l’esecutivo guidato dal socialdemocratico Ponta che nell’autunno del 2011 conquistò una larga vittoria alle urne, coalizzato con i liberali. Vero protagonista della politica romena per una decina di anni, Basescu era stato appunto rieletto alla presidenza della Repubblica nel dicembre del 2009, sia pure con piccolon margine sul candidato socialdemocratico Mircea Dan Geoana. Nel 2012 entratto in conflitto con il nuovo esecutivo guidato da Ponta, il presidente fu nuovamente sottoposto a impeachment dal parlamento. Solo nel dicembre 2014 Basescu ha lasciato la presidenza cui è asceso un liberale, Klaus Iohannis la cui elezione rappresentò una grande novità poiché egli proviene dalla minoranza tedesca sassone. BULGARIA In Bulgaria i dirigenti ex comunisti intendevano restare in campo sotto nuovi emblemi e con nuovi programmi. Nelle prime lezioni libere del giugno 1990 dalla quale uscì la costituente. Le elezioni furono giudicate regolari da osservatori stranieri : grazie al sistema elettorale misto, il Partito socialista ottenne la maggioranza relativa dei suffraggi e quella assoluta dei seggi. La SDS fu l’unica forza di opposizione, dotata di un consenso popolare di poco inferiore. Fuori dai due poli si collocarono l’UNAB, non più alleata del PCB, e il Movimento per i diritti e le libertà, rappresentante la minoranza musulmana. Per non bloccare i lavori della Costituente fu inevitabile il compromesso tra socialisti e democratici : i primi mantenendo la guida del governo con Lukanov, i secondi affidando la presidenza della Repubblica a Zelju Zelev. Nella Bulgaria post comunista la lotta politica fu caratterizzata da un dato peculiare : dopo la vittoria alle urne di un partito, le forze all’opposizione riuscivano sempre ad andare al contrattacco nonostante la sconfitta elettorale, di regola le legislature non sono mai giunte al loro termine naturale. Non ci volle molto perché il governo Lukanov gettasse la spugna nella primavera del 1991, cedendo il passo a un esecutivo presieduto dal magistrato Dimitar Popov. Le battaglie parlamentari per l’approvazione della nuova costituzione lasciarono il segno soprattutto nella SDS che si divese in più correnti : quella meno disposta al compromesso con i parlamentari e capeggiata da Filip Dimitrov, prevalse nella nuova prova elettorale. Il governo Dimityrov durò circa un anno, e ad esso ne seguì nel 1992 uno presieduto dall’economista Ljuben Berov per volontà del presidente della Repubblica e del DPS, e aperto alla collaborazione con i socialisti. Le dimissioni di Berov e il successivo nuovo gabinetto insediatosi nel novembre 1994 e guidato per la prima volta in Bulgaria da una donna, Reneta Indzova ebbe solo il compito di garantire la competizione elettorale. Le elezioni politiche ancora una volta anticipate del dicembre 1994 videro il successo della coalizione composta da PSB, e partito contadino. Intanto i socialisti avevano rinnovato rapidamente i propri vertici, emarginando gli uomini che aveva rimosso Zivkov e sostituendo alla segreteria Lilov con il giovane Zan Videnov, il quale nel gennaio 1995 assunse la guida dell’esecutivo. sotto la sua guida il rinnovamento del PSB si fece più marcato. Si tenne ferma la difesa del welfare state. L’attività del governo si scontrò spesso con la posizione del presidente Zelev. Il successo elettorale della sinistra si ripetè nelle successive consultazioni amministrative, ma le elezioni presidenziali del novembre 1996 segnarono un’inversione di tendenza. Dopo una campagna elettorale contraddistinta dall’omicidio dell’ex premier Lukanov il candidato socialista Ivan Marazov fu sconfitto da quello della SDS Petar Stoyanov, già vincitore su Zelev nelle primarie. Videnov si dimise da capo del governo e da segretario del PSB, sostituito da Parvanov. Nel 1997 Stoyanov nominò un governo capeggiato da Ivan Kostov che ottenne la fiducia non solo del centro destra ma anche di altri gruppi parlamentari a esclusione dei socialisti. Fu inaugurata una grande stagione di riforme : la moneta fu ancorata al marco riuscendo così a frenare l’inflazione, fu realizzato nel 1998 l’ingresso nella CEFTA, fu abolita la pena di morte, furono ridotte le forze armate mentre si faceva di tutto per ottenere l’ammissione nella NATO e nell’UE. Nel giugno del 2001 si svolsero alla scadenza del termine naturale nuove elezioni politiche che registrarono un totale sconvolgimento del quadro politico. L’ex re Simeone Coburgo Gotha riuscì a dar luogo a una clamorosa novità : il gruppo politico da lui prendeva il nome ottenne una clamorosa vittoria alle urne. Simeone dovette formare la maggioranza con il DPS, che da tempo aveva manifestato la volontà di costituire una coalizione di centro, alternativa sia al SDS sia al PSB. Nell’esecutivo entrarono, oltre a deputati della minoranza turca e musulmana, anche due esponenti socialisti, il che garantì l’estensione del PSB. Nato in un contesto particolare il governo di Simeone ottenne l’ammissione alla NATO nel 2004 e nel 2007 riuscì a concludere le trattative per l’ingresso nell’unione europea. I vincitori della nuova tornata elettorale nel 2005 furono i socialisti con i loro alleati. Non ebbero però i seggi necessari a governare e si giunse, sotto le pressioni dell’Unione Europea, alla costituzione di un governo
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