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L'arte bizantina e l'occidente, Sintesi del corso di Storia dell'arte medievale

Riassunto del manuale utilizzato per l'esame di storia dell'arte medievale

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

Caricato il 18/03/2016

Anna.Manfredini
Anna.Manfredini 🇮🇹

4.1

(32)

39 documenti

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Scarica L'arte bizantina e l'occidente e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'arte medievale solo su Docsity! Subtilitas graecorum: circa mezzo secolo fa, quando la cosiddetta questione bizantina cominciava ad essere dibattuta con grande ammirazione, i saggi e le conferenze sull'arte bizantina e sulla sua importanza per quella europea erano soliti iniziare con espressioni di rammarico per la scarsa considerazione in cui generalmente erano tenute le ricerche di questo tipo dagli storici dell'arte. La cosa giusta da fare era far notare che, per quanto si iniziasse a riconoscere la componente bizantina come elemento importante nelle arti del medioevo, nel complesso essa veniva dimenticata nell'esatto istante in cui la si citava, o veniva trattata come un ingrediente esotico che era meglio lasciare agli specialisti. Le cose non sono cambiate ad oggi poiché i principali studiosi del settore adesso tendono ad essere molto critici e anzi minimizzano l'influenza bizantina sull'arte occidentale. Il cambiamento più importante dal 1900 nel nostro atteggiamento riguardo alla questione dell'influenza bizantina in occidente consiste in uno spostamento dell'enfasi da schemi e tipi iconografici e motivi decorativi ai valori più puramente artistici. Ciò che ci interessa oggi non è la quantità di elementi copiati o presi in prestito che si susseguì dal VII al XIII secolo, ma il ruolo giocato da Bisanzio nella genesi dell'arte occidentale, non tanto la questione dell'influsso che questa esercitò ma quella di insegnamento e guida, di aiuto nello sviluppo di un linguaggio artistico proprio dell'occidente. Il grande sviluppo dell'arte occidentale può essere compreso e valutato correttamente solo se si conoscono le circostanze della sua formulazione, compreso ogni elemento proveniente dall'esterno. Specialmente nel periodo in cui si formava l'arte figurativa occidentale, i modelli iconografici erano estremamente importanti, non solo per la trasmissione dei soggetti, ma anche per questioni di formato, composizione e stile: ieratico, narrativo o altro. In più i modelli iconografici erano spesso i vettori dell'influsso stilistico, e un'analisi appropriata di questi modelli, cioè della loro datazione e provenienza, può anch'essa risultare d'aiuto allo storico dell'arte nella ricerca delle fonti per l'ispirazione stilistica. Gli studiosi hanno appena iniziato a fare delle differenze tra le varie fonti dell'influenza bizantina. Rimane ancora da fare gran parte del lavoro, prima che si possa dire con un qualche grado di sicurezza se l'impulso venisse da Costantinopoli, da una delle province o da uno dei centri di colonizzazione dell'arte bizantina al di fuori dell'impero greco e prima che si possa stabilire con esattezza se fosse l'arte di Bisanzio contemporanea o quella di una fase precedente a produrre l'effetto osservato. Tuttavia anche al giorno d'oggi non è sufficiente parlare di influsso bizantino puro e semplice. L'arte bizantina non era un fenomeno immobile ed omogeneo, era una tradizione viva, in costante evoluzione, suddivisa talvolta in molte ramificazioni e soggetti verso profondi cambiamenti. Una delle grandi difficoltà nel cercare di trovare quale filone e quale fase di questa evoluzione fornisse i modelli per certe correnti bizantineggianti che operavano in occidente risiede nel fatto che lo sviluppo dell'arte bizantina non procedeva in linea retta da principi astratti a principi naturalistici o viceversa, o da metodi di rappresentazione ellenistici a metodi medievali. Si muoveva a spirali, deviando dagli ideali dell'arte classica e ritornando continuamente a essi in varie serie di rinascenze che, a volte, si susseguivano così velocemente che gli studiosi parlano di perpetua rinascenza o di “ellenismo perenne”. Opere prodotte in fasi parallele possono apparire così simili da poter essere prese l'una per l'altra, nonostante le loro datazioni possono distare anche trecento anni. Un'altra difficoltà per chi voglia analizzare la relazione tra arte bizantina e arte occidentale è la mancanza di così tante testimonianze in occidente, dove ne è andata distrutta una grande quantità, in particolare nell'ambito della pittura murale, ma a Bisanzio la situazione è ancora peggiore. Le devastazioni perpetuate da Arabi, Slavi, Selgiuchidi e Mongoli, il Sacco di Costantinopoli da parte dei crociati nel 1204 e la caduta dell'impero sotto i Turchi Ottomani, hanno cancellato intere parti dell'arte di Bisanzio, lasciandoci con pochissime opere. La vastità di tali perdite diviene evidente quando vengono portati alla luce gruppi di opere che in qualche modo si avvicinano alla loro concentrazione originaria, come nel caso degli affreschi della Cappadocia, le decorazioni della chiesa di Kastoià o le icone del monte Sinai. I primi riempono una grande lacuna nella nostra conoscenza, purchè vengano riconosciuti per quello che sono, cioè opere provinciali, spesso modeste, che rispecchiano solo in parte la grandiosa arte contemporanea di Costantinopoli. Era scusabile nella prima ondata di scoperte, ma comunque piuttosto sbagliato, considerare quest'arte la fonte di importanti influssi che penetrano in Italia, Francia, Inghilterra o Spagna (fig.1 e fig.2 ). Le somiglianze, talvolta sorprendenti, nella forma e nella tecnica devono essere spiegate in altra maniera, cioè come eco parallele di una tradizione scaturita dai centri veramente importanti dell'arte bizantina. Visti sotto questa luce, gli affreschi dei monaci della Cappadocia possono aiutarci a ricostruire, con tutte le dovute cautele, lo stile della perdute pitture murali del IX e del X secolo della stessa Costantinopoli. In altri casi, le opere conservate in regioni periferiche possono essere considerate senza riserve creazioni di arte metropolitana. Questo è il caso di alcuni affreschi in Jugoslavia (fig.3), opere di pittori greci in esilio, che ci hanno fornito una nuova versione dell'evolversi della pittura a Bisanzio nel corso del XIII secolo. Anche in occidente alcune lacune erano state colmate da nuove scoperte: sono venute alla luce in Italia meridionale pitture murali che dimostrano la forza e la continuità dell'elemento greco in queste regioni (fig.4) e un ciclo di affreschi scoperti a Lambach (fig.5), vicino a Salisburgo in Austria, l'unica opera di pittura monumentale dell'XI secolo in una regione altrimenti molto produttiva nell'ambito della miniatura, testimonia la forza della corrente bizantina a nord. Altre opere sono state riabilitate da un “de – restauro”, cioè dall'eliminazione del lavoro disastroso dei restauratori dell'800, come a Pürgg nelle alpi austriache, risalente alla II metà del XII secolo (fig.6). Tuttavia continuano ad esistere parecchie difficoltà nello studio come ad esempio la quasi totale assenza dei dipinti bizantini dell'epoca iconoclastica, l'VIII e il IX secolo, uno dei periodi più importanti nella formazione della pittura occidentale e dall'altra parte la scarsità dei dipinti in occidente nel X secolo, che registrò uno dei movimenti di rinascenza più produttivi in oriente. Forse la questione fondamentale in questo campo riguarda il perchè l'arte occidentale abbia assunto quella bizantina come modello, anche successivamente al periodo iniziale, dopo la creazione di cicli iconografici che coprivano tutte le richieste della chiesa e del potere temporale. La risposta a questa domanda è che l'arte bizantina possedeva caratteristiche che mancavano all'arte occidentale e che erano essenziali alla sua evoluzione. Non c'è dubbio che la forza vivificante e stimolante dell'arte bizantina sia strettamente connessa con la sua eredità greca. Bisanzio costituiva il più grande deposito di arte classica dal momento che possedeva e faceva mostra di una delle maggiori collezioni di statuaria greca che fosse mai stata messa assieme, ma anzitutto, anche in quanto tradizione viva. Le statue greche e i rilievi sembrano aver preso vita nelle figure dei mosaici: a Daphnì subito dopo il 1100 (fig.7). Personaggi sacri sono concepiti come ritratti caratterizzati, allegorie ellenistiche appaiono in rappresentazioni dell'antico testamento (fig.8). I movimenti e le pose delle figure drappeggiate sono concepiti nello spirito greco e gli sfondi architettonici o di paesaggio richiamano gli scenari ellenistici. Nel X secolo vennero fatti rivivere esercizi estremi di illusionismo tardoantico (fig.9) che convissero fianco a fianco con forme neoclassiche dall'aspetto curato e preciso. Tutte queste diverse parti dell'eredità classica erano accessibili più o meno contemporaneamente, così che gli artisti potevano compiere la propria scelta. In quanto arte viva, l'arte della Bisanzio medievale che si ispirava alla classicità era, naturalmente, medievalizzata a diversi livelli, un'assimilazione che rese molto più semplice per l'occidente comprendere e copiare opere di questo tipo. Fu di grande vantaggio per gli artisti occidentali alla ricerca di modelli il fatto di trovare in tali opere parte della stupefacente ricchezza dell'arte ellenistica ridotta alle sue parti costruttive. Nell'arte bizantina le forme sono diventate divisibili e questa divisibilità è forse una delle loro principali caratteristiche e, dal punto di vista dell'occidente medievale, uno dei suoi attributi più utili. Questa caratteristica emerse prima nella tecnica e nel modellato, quando la gradazione continua o la tecnica ellenistica a macchie di colore fu soppiantata da un sistema a tre o quattro tonalità in cui la tonalità mediana è modificata da una o due ombreggiature più scure o più chiare, tutte abbastanza distinte e non mescolate tra loro (fig.10). Un principio simile dominava la rappresentazione della figura umana: veniva divisa nei suoi elementi come se fosse ripartita e rimessa insieme come figurine, con le giunture articolate chiaramente e i movimenti resi in qualche modo meccanici ed enfatizzati (fig.11). Il medesimo spirito di divisione e articolazione regolava la composizione bizantina. La disposizione è semplice, leggibile, paratattica e quasi geometrica; le composizioni possono essere facilmente la tecnica della pittura murale non era assolutamente un monopolio greco. I pittori greci di affreschi sarebbero stati richiesti solo nei paesi periferici. Dipendeva dal caso, se le opere create dagli artisti bizantini in occidente rimanevano isolate ed erano dimenticate, o se diventavano una fonte di influenza bizantina. Quanto più erano barbare (nel senso greco del termine) le aree circostanti, tanto meno vi era la probabilità che esercitassero un'influenza duratura. Questo sembra essere stato il destino del lavoro del grandissimo pittore che dipinse, su richiesta di un aristocratico lombardo, forse verso la fine del VII o all'inizio dell'VIII secolo, gli affreschi di Castelseprio (fig.26): essi ci possono aiutare a ricostruire idealmente la grande arte di Costantinopoli di quel tempo ma, per quanto ne sappiamo, non ebbero alcun effetto sugli sviluppi successivi in Lombardia. La distanza culturale ed artistica tra il pittore e i suoi mecenati o il pubblico era troppo grande perchè quest'opera isolata avesse un effetto significativo. La stessa cosa potrebbe dirsi per il pittore educato alla scuola greca o bizantina, probabilmente russo, che nel XV secolo eseguì gli affreschi di Garde nel Gotland. Tuttavia ci vollero altre due generazioni affinchè gli influssi bizantini avessero una stabilità definitiva in Scandinavia (fig.27). L'attività degli artisti bizantini nei paesi occidentali ebbe un effetto più duraturo quando lavorarono su un terreno che era stato preparato a ricevere i semi dell'arte bizantina: il caso più famoso di fertilizzazione riuscita è quello di Montecassino. Esistono qui un gran numero di fonti contemporanee che descrivono le attività artistiche inaugurate dall'abate Desiderio nel ricostruire e decorare il monastero negli anni '60 dell'XI secolo. È anche legittimo supporre che una grande campagna edilizia e decorativa come quella di Montecassino debba aver avuto un effetto notevole nello sviluppo stilistico della regione. Sarebbe tuttavia errato far dipendere tutto il futuro dell'arte campana e persino romana dalla politica di Desiderio. I disegni a penna dei due manoscritti cassinesi, i codd. casin. 98 e 99, esemplificano vari stadi della formazione bizantina che vanno dalla semplice copia con una totale incapacità nella distribuzione delle figure come in un disegno raffigurante la morte della Vergine ripreso da un originale bizantino contemporaneo (fig.28) fino ai disegni dai tratti spessi, approssimative imitazioni dello stile bizantino con una manieristica rotazione del tratto (fig.29). Vi sono inoltre disegni che mostrano uno stile bizantino figurativo estremamente corretto, la cui correttezza potrebbe emergere attraverso il confronto tra l'angelo dell'annunciazione del cod. casin. 99 (fig.30) e un angelo in un mosaico a Vatopedi, più o meno contemporaneo (fig.31). Allo stesso tempo questo stile è completamente amalgamato con elementi campani, questi ultimi visibili con grande chiarezza, ma non esclusivamente nella cornice ornamentale. Tali elementi campani comparvero fin dalla prima metà dell'XI secolo, ma sono numerosi anche nello stile completamente maturo della miniatura cassinese, come si vede nel manoscritto vaticano della vita di San Benedetto (fig.32). Pertanto la nuova arte di Montecassino non era unicamente una creazione di artisti bizantini chiamati da Desiderio o un'imitazione della loro arte. Era un fattore estremamente complesso in cui il fattore greco non era rappresentato solo dagli stili importati di recente, ma anche da quegli elementi greci che da lungo tempo erano indigeni nell'arte dell'Italia del sud. Non vi potrebbe essere tuttavia alcun dubbio che i recenti contatti con Bisanzio avessero agito da catalizzatore. L'effetto di artisti grechi che lavoravano in occidente era naturalmente tanto più forte quanto maggiore era il loro numero e più lungo il periodo di attività. Talvolta formavano colonie e producevano quella che a ragione è stata chiamata arte coloniale, arte bizantina trapiantata in terra straniera dove doveva soddisfare le richieste straniere. Per quanto tempo i pittori bizantini sarebbero stati in grado di conservare la loro identità artistica dipendeva da ogni genere di fattore. Lo fecero a livello stupefacente in Sicilia, grazie al fatto che si presentarono lì come membri di grandi gruppi di specialisti o come botteghe. A Venezia, dove lavorarono isolati accadde l'opposto nonostante il fatto che incontriamo lì un gran numero di nomi greci, anche con l'aggiunta della definizione greco come per il maestro mosaicista Marco Greco Indriomeni menzionato in un documento della metà del XII secolo. La diaspora degli artisti bizantini del XIII secolo presenta un particolare problema. Sebbene possiamo presumere che tutta la produzione artistica non cessò nella Bisanzio della dominazione latina, un considerevole numero di artisti sia laici sia religiosi deve essersi recato altrove per cercare sostentamento. Alcuni di loro provenienti soprattutto da Salonicco sono documentati per aver preso servizio presso i principi serbi, mentre altri si recarono in Italia dove esercitarono la loro attività nella maniera greca, che divenne uno degli influssi determinanti della pittura italiana su tavola. Il ruolo di questi maestri fu di certo più importante di quello dell'ultimo gruppo di rifugiati greci, cioè quelli che fuggirono in occidente dopo la caduta definitiva dell'impero per opera dei Turchi nella metà del XV secolo e che patirono la sorte di così tanti ritardatari: scomparvero nello strato più basso della gerarchia artistica, quello delle immagini popolari. Paragonati all'attività degli artisti greci in occidente, i viaggi degli artisti occidentali nei territori bizantini sembrano essere stati meno importanti per la trasmissione delle influenze greche. Tuttavia, ricerche recenti sull'arte dei regni crociati, Gerusalemme, Acri e Cipro, dimostrano che l'arte ibrida che si formò in queste regioni dalla simbiosi di artisti dell'Armenia bizantina e dell'occidente potrebbe aver avuto ripercussioni molto più importanti sull'arte occidentale e in particolare sull'arte italiana. La pittura veneziana, toscana e dell'Italia centrale sembra aver avuto impulsi significativi da queste fonti e non è improbabile che opere enigmatiche come la Bibbia di Corradino alla Walters Art Gallery (fig.33), uno di questi giorni verranno viste come il prodotto di questa risacca del levante. Sicilia, Roma e Venezia erano tuttavia molto più vicine e fornivano miniere ben più ricche per i pittori occidentali: è lì che gli artisti occidentali devono aver fatto gli studi più approfonditi dei principi, dell'iconografia e dello stile dell'arte monumentale bizantina, ed è lì che riempirono i libri di modelli nei quali portarono a casa le loro osservazioni. Poiché questi libri venivano usati nelle botteghe e sui ponteggi e tramandati da padre in figlio, sarebbe normale che pochi oggetti di questo tipo siano arrivati sino a noi. Nella maggior parte dei casi, l'uso di questi libri potrebbe essere solo desunto come ad esempio nel caso dei dipinti murali di Friesach e Pürgg in Austria (fig.34 e fig.35), che mostrano un'identica composizione per il miracolo dei pani e dei pesci, elaborazione di un originale bizantino che fu utilizzato anche come modello a San Marco (fig.36). Ci sono numerosi altri casi: un foglio della biblioteca vaticana (fig.37) realizzato da un disegnatore tedesco inesperto della fine del XII secolo, contiene due scene dell'antico testamento, quattro padri della chiesa seduti e dodici figure in piedi di profeti che in definitiva derivano da una fonte preiconoclastica. A causa della debolezza di questo disegno, non si comprende facilmente se il modello del copista fosse stato proprio un libro tanto antico o una copia bizantina successiva. Il foglio singolo dell'Augustinermuseum di Friburgo si colloca ad un livello più alto: contiene, oltre a due disegni, buona parte di un indice in cui figure e scene sono numerate nell'ordine con cui appaiono nel libro, con delle osservazioni aggiuntive riguardo al modo in cui erano rappresentate. I settantotto titoli rivelano che alcune rappresentazioni ricorrono due o tre volte, come la crocifissione, e che di altre sono raffigurate solo delle parti. Le figure ad esempio dell'angelo cherubino e di Pietro erano tratte da una rappresentazione del giudizio finale, simile a quella di Torcello o forse della stessa Torcello (fig.38). I due disegni sul verso del foglio (fig.39) derivano da fonti diverse e sono eseguiti con due tecniche differenti. La storia di Zaccheo deve essere stata copiata da un mosaico o da un dipinto bizantino molto simile nella composizione nei personaggi e nello stile ai mosaici di Monreale (fig.41). La scena vera e propria manca a Monreale, ma il gruppo di Cristo e San Pietro è uno dei motivi standard dei mosaici, fin nei più piccoli particolari. I due santi guerrieri a cavallo, invece, derivano molto probabilmente da un'icona di ambito crociato simile a quelle conservate sul Monte Sinai dove anche lì i santi e i guerrieri sono rappresentati a cavallo (fig.40) mentre nelle raffigurazioni bizantine sono in piedi. Quindi il foglio di Friburgo, opera di un pittore tedesco intorno al 1200 rivela la varietà di fonti da cui erano tratti i libri di modelli. Questo dovrebbe essere tenuto a mente quando ci si occupa del più interessante documento di questo tipo giunto fino a noi ovvero il libro di modelli di Wolfenbüttel (fig.42). Weitzmann ha dimostrato che la fonte principale per questa raccolta di disegni, realizzata da un pittore sassone all'inizio del secondo quarto del XIII secolo, era un lezionario bizantino quasi contemporaneo che apparteneva ad un gruppo di opere rappresentate dal cod.gr.118 di Atene (fig.43) e dal cod. 5 di Iviron al Monte Athos. Due disegni degli evangelisti nel libro di modelli corrispondono da vicino all'evangelario di Atene, e un buon numero di altre figure e gruppi come la trasfigurazione (fig.44) possono essere messi in relazione con il cod. 5 di Iviron o con opere precedenti appartenenti alla stessa tradizione pittorica, come ad esempio il cod. I di Iviron (fig.45). Devono comunque esserci state anche altre fonti: alcune figure come l'angelo che indica il sepolcro vuoto di Cristo o l'elaborata composizione della discesa al limbo (fig.46) difficilmente possono essere immaginate come una derivazione da miniature, bisogna tornare alle pitture monumentali, probabilmente a degli affreschi. Alcuni modelli spiegano quanto possono essere complicati i problemi legati all'uso di libri di modelli: uno di essi riguarda la relazione tra i mosaici di Monreale e i disegni del cosiddetto Hortus Deliciarum, uno strano tipo di libro di immagini complicato dalla badessa di Hohenburg in Alsazia, Herrada di Landsberg, per l'edificazione delle sue monache. Questa relazione è molto stretta in alcune composizioni come ad esempio in quella dell'orazione nell'orto (fig.47 e fig.48), dove la maggior parte delle figure degli apostoli sono rappresentate in atteggiamenti piuttosto complicati che, comunque, sono identici. Questi ed altri esempi simili condussero alla conclusione che alcuni disegni dell'hortus (che nello stile sono simili a quelli del foglio di Friburgo) furono copiati da un qualche libro di immagini siciliano forse portato a Hohenburg e questo dovrebbe essere stato un libro di modelli. Ma successivamente si trovò per il disegno dell'orazione nell'orto un parallelo più stretto: un affresco nel protaton di Karlyes sul Monte Athos, datato all'inizio del XIV secolo (fig.49) ma che rifletteva un prototipo molto più antico. Qui si trovano due delle figure dell'hortus ovvero i due apostoli che vedono verso la parte alta e sinistra del gruppo che non erano comprese nei mosaici di Monreale o da un libro di modelli collegato ad essi. Un altro caso che ci conferma i molti problemi connessi all'uso di libri di modelli è quello del parallelismo tra una pagina del Salterio di Ingeborg (fig.50), un manoscritto scritto e miniato nella Francia del nord intorno al 1200, e un avorio bizantino conservato ad Hannover e datato al X secolo (fig.51). La combinazione crocifissione e deposizione una sull'altra e la stretta somiglianza delle due composizioni della deposizione sembrano suggerire che la miniatura fosse stata copiata direttamente dall'avorio. Ma anche in questo caso si potrebbe trovare un parallelo più vicino in un'icona bizantina a Vatopedi (fig.52) ed è molto probabile che fossero i dipinti e non gli avori le fonti primarie del libro di modelli utilizzato dal miniatore del salterio. È l'attitudine onnivora degli artisti occidentali nei confronti dei modelli bizantini a rendere tutto così difficile. Prime lezioni e revivals: la prima metà e gli anni centrali del VII secolo mostrano uno stile che non solo è indubbiamente greco ma proprio ellenistico e l'aspetto di questo stile pittorico, con la sua profusione di gradazioni tonali appare così all'improvviso che, per chiarirlo, potrebbe essere addotta una spiegazione alquanto romantica in quanto è stato connesso con la grande catastrofe che sconvolse uno dei presunti centri dell'ellenismo figurativo al momento in cui Alessandria cadde in mano araba nel 642 e i suoi pittori cristiani furono costretti a cercare sostentamento altrove. Sembra comunque che l'arte di Alessandria non fosse realmente tutta ellenistica e simili ondate di uno stile pittorico ed illusionistico giunsero a Roma e in Italia anche in periodi successivi. E non abbiamo nemmeno bisogno di spiegazioni di questo tipo per giustificare la comparsa di un'ondata dietro l'altra di stili greci a Roma, dove nel VII e VIII secolo ci fu un avvicendarsi al governo di papi greci e siriaci e dove esistevano grandi monasteri greci a Santa Maria Antiqua, a San Saba, a San Giorgio in Velabro e a Santa Maria In Cosmedin, per citare solo i più importanti. Roma non era l'unica a beneficiare di queste ondate di stili pittorici bizantini. Pare che circostanze particolari abbiano condotto artisti greci anche nell'Italia settentrionale. Quale che sia la data precisa degli affreschi di Santa Maria di Castelseprio, difficilmente si potrebbe in dubbio che siano opera di artisti bizantini. I paralleli più vicino sembrano essere gli affreschi romani del periodo tra le 650 e il 710. L'inizio dell'VIII secolo fu in realtà uno dei periodi più fertili dell'arte greca a Roma. Fu il periodo di Giovanni VII, il papa greco che diede a Santa Maria Antiqua un nuovo rivestimento di affresco in uno stile che doveva essere stato appena imparato direttamente da Costantinopoli (fig.54). Paragonati agli affreschi della metà del VII secolo, ancora impegnati della freschezza del corte sotto quasi ogni aspetto della decorazione pittorica a tal punto che in un primo momento Koehler lo collocò parecchio più tardi, dopo la scomparsa di Carlo Magno. Ma la datazione fu corretta dallo stesso Koehler che dimostrò come gli artisti lavorarono fianco a fianco con i miniatori della scuola di corte. Interessante è un foglio di porpora non finito inserito dopo la rilegatura che mostra un singolo evangelista alla cui spalle si trova uno sfondo vuoto e una cornice tracciata solo leggermente (fig.68): la figura corrisponde al San Matteo dell'evangelario di Vienna anche se è di mano differente. In un certo senso si tratta della creazione più indecifrabile dell'intero gruppo di immagini connesse all'evangelario di Vienna, così enigmatica nella sua freschezza impressionistica che alla sua scoperta fu in realtà scambiata per un'autentica pittura tardoantica. Effettivamente le miniature dell'evangelario di Vienna e quelle ad esso affini non hanno equivalenti nati nell'arte del loro tempo. È abbastanza plausibile che un evangelario molto antico, forse di origine romana, fosse il reale modello utilizzato dai miniatori di Vienna. Questi artisti erano sicuramente stranieri e devono aver ricevuto la loro educazione in una scuola in cui le forme ellenistiche erano sempre vive e questa scuola deve essere stata collegata a Bisanzio, il centro dell'ellenismo perenne. Pertanto, potevano solo essere arrivati dalla stessa Bisanzio o dall'Italia bizantina. Non è impossibile che qualche artista che partecipò agli esperimenti della fine dell'VIII secolo a Costantinopoli fosse davvero riuscito a raggiungere Roma e che fosse stato invitato ad Aquisgrana poco dopo. Tuttavia, c'è una caratteristica nelle miniature di Vienna che sembra puntare ad una provenienza diretta da Bisanzio ovvero l'assenza di adesione dei colori al supporto. C'è un notevole sfaldamento, un fenomeno ben noto a chi studia i manoscritti bizantini. Un'altra caratteristica sono le grandi mani dai contorni spessi e dal forte modellato, altro elemento spesso ritrovato a Costantinopoli. Entrambi, sono tra i marchi delle arti bizantine del IX secolo. In ogni caso, sia che giungessero direttamente da Costantinopoli o che fossero arrivati ad Aquisgrana dopo un soggiorno in Italia, questi stranieri di Koehler dovevano essere stati greci. Anche se la loro produzione non fu affatto estesa, lo stile creato ed introdotto da questi artisti ebbe un grande seguito, in un certo senso più grande di quello della scuola di corte, ponendo le basi per uno sviluppo più interessante e vivace. È strano come questo sviluppo sia iniziato solo una ventina d'anni dopo, per lo meno noi siamo a conoscenza di alcun possibile legame tra l'evangelario di Vienna e quello di Ebbone, arcivescovo di Reims, un libro che fu completato probabilmente poco prima dell'820 (fig.69). Tutta questa differenza nella datazione è necessaria per spiegare lo sconcertante cambiamento a cui lo stile dell'evangelario di Vienna fu sottoposto dal miniatore di Reims: le vesti classiche dal panneggio sobrio sono diventate bozzoli arrotolati e ronzanti, la compatta massa di capelli si è trasformata in un nido di serpenti, i pugili robusti sono stati rimpiazzati da visionari isterici o poeti. Ciononostante, non vi è alcun dubbio che l'evangelario di Vienna non solo fosse il modello per la composizione, ma che fornì anche i mezzi tecnici e stilistici che il pittore nordico utilizzò nella sua reinterpretazione magnifica e quasi blasfema del modello classico. L'espressionismo pittorico di Reims sarebbe potuto nascere solo da un'arte che aveva come principio di base la libertà pittorica dell'arte ellenistica. Dimitri Tselos ha sostenuto che l'evangelario di Vienna non fosse l'unica fonte di questo tipo da cui la scuola di Reims trasse ispirazione, ma ha postulato anche gli elementi di fortissima grecità che si trovano ad esempio nel Salterio di Utrecht (fig.70). Che l'illusionismo abbozzato in effetti si trovi in opere greche è stato confermato dalle incisioni della Croce di Mosè a Santa Caterina sul Monte Sinai (fig.71). L'integrazione tra elementi greci e latini deve essersi verificata in qualche centro italo – greco, probabilmente nella stessa Roma. L'arte carolingia si preoccupò principalmente di resuscitare e riattivare l'eredità della Roma cristina. Con arte di Roma, Demus intende un'arte che comprenda anche quella di Ravenna, ad esempio il Palazzo di Carlo Magno ad Aquisgrana. Gli diede il nome romano di Laterano ma nella realtà nella chiesa palatina copiò San Vitale a Ravenna. E San Vitale è un edificio bizantino. È vero che entrambe le questioni sono state contestante, tuttavia nessun edificio esistente in qualsiasi luogo è così vicino ad Aquisgrana come San Vitale, pur essendo stilisticamente molto differenti. Perchè si fosse adottato lo schema di San Vitale potrebbe dipendere dall'aspetto regale o piuttosto imperiale dell'edificio, ma ci potrebbe essere stata una ragione ulteriore per la quale potrebbe ci potrebbe essere la chiave di questa decisione ovvero il trasporto della statua equestre di Teodorico (in realtà si pensa fosse ritratto Zenone, usurpatore di Teodorico): è molto probabile che Carlo Magno credesse che San Vitale fosse stata la cappella reale di Teodorico nel quale vedeva il suo predecessore e forse anche il proprio modello di sovrano germanico in Italia. Tuttavia, non c'è alcun motivo per pensare che San Vitale fosse stata iniziata alla scomparsa di Teodorico nel 526 ed anche se così fosse, non si era mai inteso farla diventare la sua cappella reale. Generalmente, Ravenna deve essere stata nei pensieri di Carlo Magno. Sono state scoperte influenze dei mosaici di Sant'Apollinare Nuovo sugli Scriptoria di Salisburgo e Mondsee (fig.72) ed è molto probabile che Ravenna avesse fornito i prototipi iconografici e stilistici di alcune delle migliori sculture carolinge in avorio. Non vi è dubbio che la maggior parte degli avori carolingi fossero ispirati, direttamente o attraverso le miniature, dall'arte italiana del V secolo. Ma non tutti gli avori carolingi seguivano i prototipi occidentali poiché ce ne sono alcuni che presero spunto dai rilievi in avorio costantinopolitani dell'inizio del VI secolo: il più celebre dittico in avorio carolingio ovvero la coperta dell'evangelario di Lorsch (fig.74). La parte superiore si trova al Vaticano, con due angeli in volo nell'atto di reggere un medaglione con la croce, fu creduta un originale protobizantino risalente circa al 500. Il suo carattere medievale e nordico diviene abbastanza chiaro se lo confrontiamo con la nitidezza plastica e la qualità pittorica quasi illusionistica di un originale protobizantino come la parte superiore del dittico barberini conservato al Louvre (fig.75). Le due placche del dittico di Lorsch (fig.76) devono essere state intagliate in una bottega piuttosto grande, dove lavoravano fianco a fianco diversi artisti, utilizzando un gran numero di modelli di varia epoca. Sicuramente per le due metà vennero usati modelli diversi e questo condusse ad una tecnica d'intaglio diversa. Il modello della placca di sinistra potrebbe aver avuto uno stile più classico rispetto a quello dei dittico di Vienna con le figure di Roma e Costantinopoli datato al VI secolo (fig.78). Questa varietà di trattamento rivela un atteggiamento sperimentale da parte degli scultori della fine dell'VIII secolo. Il modello che servì per la figura della Vergine al centro della seconda placca, il retro della coperta dell'evangelario di Lorsch, sembra essere stato più semplice da comprendere per gli intagliatori carolingi. Deve essere stata un'opera costantinopolitana del secondo quarto del VI secolo, qualcosa di simile al rilievo della Vergine del Dittico di Berlino (fig.79), ma probabilmente anche più tardo. Pertanto le placche sono opere effettive dello stile della scuola di corte, che rappresentano l'atteggiamento generale dell'arte carolingia nei confronti di quella di Bisanzio. Ma qual era questo atteggiamento e in cosa consiste l'elemento bizantino nell'arte carolingia? Nella pittura murale l'impatto di Bisanzio in un primo momento potrebbe essere stato negativo, operando come faceva contro lo sviluppo di un ciclo completamente cristologico e forse anche contro la rappresentazione monumentale di dio. La miniatura e gli avori carolingi beneficiano di più modelli bizantini con una trama intrecciata di piccole forme da interpretare come il gioco di luce ed ombra degli avori, che prese il posto di modelli bizantini contemporanei dai secchi schemi lineari forniti da prototipi italiani e questa deve essere stata una prima iniziazione degli artisti dell'occidente medievale ai misteri dell'illusionismo. Una seconda fu data dall'arte di quei greci o italo – greci che dipinsero gli evangelisti dell'evangelario di Vienna con il loro modellato dolce e una terza fu offerta dai modelli italo – greci del Salterio di Utrecht o del Physiologus di Berna che fondevano l'illusionismo tardoantico con la tecnica abbozzata e bizzosa di un ispirato linearismo. Queste tre lezioni contenevano le direzioni più importanti che l'arte bizantina era in grado di dare agli artisti carolingi. Verso il Romanico: fu circa duecento anni dopo Carlo Magno che l'arte bizantina riprese ad avere un ruolo nell'evoluzione dell'arte occidentale. Le opere d'arte bizantine si raccomandavano ai sovrani occidentali, in particolare agli imperatori sassoni del periodo ottoniano, non perchè essi fossero considerati romani ma proprio perchè erano bizantini. Ad un artista itinerante fu commissionato di dipingere le parti più importanti delle più sacre miniature in un evangelario che venne fatto eseguire per ordine di Enrico III nello scriptorium di Echternach intorno al 1045 come dono per la cattedrale di Spira, il Codex Aureus Escurialiensis (fig.80). Certi particolari sono dipinti in uno stile che ricordano quello del Menologio di Basilio II a Roma, sebbene sia di mezzo secolo successivo e di conseguenza un pochino più duro e più secco (fig.81). Questo nuovo atteggiamento entusiastico verso le cose bizantine proveniva dal vertice, dal sovrano. Con la renovatio dell'impero e con la sua designazione nel 962 Ottone il Grande richiese la parità con l'impero d'Oriente. Nel 972 Ottone fu riconosciuto imperatore dai franchi e fu concessa a suo figlio la mano di una principessa che non era una porphyrogenita ovvero nata imperatrice ma era una parente stretta dell'imperatore regnante. Quando il marito Ottone II scomparve nel 982 dopo essersi proclamato imperator romanorum e non francorum invadendo perciò la riserva sorvegliata gelosamente dall'imperatore bizantino che inevitabilmente portò ad una guerra contro i greci, Theofano, la moglie, prese le redini del governo in voce del figlio bambino, il futuro Ottone III, fino alla propria scomparsa nel 991. Lei convinse i tedeschi che le principesse greche avevano le qualità per diventare buone imperatrici e che i due imperi avrebbero dovuto trovare un modus vivendi. Anni dopo, fu chiesta in sposa per Ottone III una principessa imperiale ma quando questa arrivò a Bari nel 1002, il giovane pretendente era scomparso. L'elemento greco introdotto in occidente dal riavvicinamento della fine del X secolo, non fu abbastanza forte da produrre una sintesi ma servì da catalizzatore, scatenando e condizionando un'evoluzione il cui risultato noi chiamiamo romanico. La definizione non è prettamente corretta. Almeno nell'arte tedesca nell'elemento greco sembra essere stato forte come quello romano. Quando sia difficile distinguere le opere orientali e quelle occidentali è mostrato dall'avorio raffigurante Ottone II e Theofano (fig.82). In un primo momento fu considerato un regalo di nozze donato alla giovane coppia dall'imperatore greco. In seguito fu fatto notare che il titolo di imperator romano che compare sopra la testa di Ottone non gli sarebbe stato di certo concesso da alcun funzionario bizantino, tanto meno dall'imperatore stesso e che nessun greco costantinopolitano avrebbe commesso l'errore grammaticale di chiamare Theofano Augustos invece di Augusta o Auguste. Di conseguenza, si è pensato che l'iscrizione fosse un'aggiunta occidentale successiva al rilievo costantinopolitano raffigurante in origine una coppia imperiale diversa ovvero greca. Più di recente è stato anche notato che questo rilievo presenta degli errori soprattutto nella texture che, se paragonato ad un rilievo inequivocabilmente greco come quello di Romano ed Eudossia, rende l'origine metropolitana improbabile (fig.83). Una soluzione potrebbe essere quella suggerita da Percy Ernst Schramm che vede nella figura minuscola del donatore ai piedi del cristo il monaco calabrese Giovanni Filagato, maestro di Ottone III e per un certo periodo anche antipapa. Le caratteristiche provinciali potrebbero far ritenere che l'opera sia stata realizzata in una bottega greca dell'Italia meridionale. È per essere all'altezza delle aspirazioni politiche dei sovrani sassoni che essi, come gli imperatori bizantini, si fecero raffigurare incoronati da cristo e che in genere la loro ritrattistica riprende modelli orientali (fig.84 e fig.85). Non c'è da meravigliarsi quindi che la decorazione imperiale dell'iconografia religiosa bizantina esercitasse anche una forte influenza sull'arte ecclesiastica ottoniana. Il cristo pantocratore, la rappresentazione più sacra dell'arte monumentale bizantina, appare adesso nella pittura monumentale tedesca: nelle pitture della cupola di Wieselburg in Austria (fig.86), ed opere meglio conservate come i disegni preparatori degli angeli recentemente scoperti nella Torhalle di Frauenchiemsee in Baviera (fig.87) mostrano qualcosa della ieraticià dei loro prototipi bizantini, probabilmente di aspetto simile alle grandi figure a mosaico del IX secolo di Santa Sofia (fig.88). La caratteristica nuova e per l'occidente rivoluzionaria di questi modelli e delle loro rielaborazioni ottoniane è la grandiosità monumentale e paragonate a queste, le figure carolinge sembrano quasi frivole. L'arte mediobizantina offrì una lezione non solo sulla monumentalità delle forme ma anche sull'espressività. Questo non significa che l'arte carolingia mancasse di espressione ma si trattava o di una concentrazione sentimentale o di un'agitazione esplosiva ed entrambe queste caratteristiche
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