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"L'arte greca" - Tonio Holscher, Sintesi del corso di Archeologia

riassunto: introduzione all'universo delle immagini nel mondo greco ricostruita attraverso l'uso di un linguaggio semplice ma ricco di prospettive storiche. Riassunto con divisione in paragrafi proposta dall'autore con riferimento alle immagini esposte nel testo.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 24/05/2021

giorgio-russo-8
giorgio-russo-8 🇮🇹

4.3

(29)

2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica "L'arte greca" - Tonio Holscher e più Sintesi del corso in PDF di Archeologia solo su Docsity! CAP.1 ARTE FIGURATIVA E AMBITO DELL’ESISTENZA 1. Vivere con le immagini Il mondo greco era pieno di immagini. Le strade delle città, anche per lunghi tratti, erano fiancheggiate da sepolcri con statue e rilievi raffiguranti i defunti. All’interno delle mura si potevano trovare templi riccamente ornati di sculture a rilievo; santuari con immagini di dèi ed eroi, immagini votive e anche gruppi scultorei composti di numerose figure. Nell’agorà erano collocate statue di uomini politici del presente e del passato, ma anche dèi ed eroi politicamente significativi. Gli edifici politici e pubblici, i teatri e gli impianti sportivi erano ornati di statue. Anche le famiglie più agiate usavano in casa recipienti e utensili decorati in modo esuberante per le occasioni festive. Nelle città maggiori le opere d’arte collocate nelle pubbliche piazze e nei santuari divennero talora talmente numerose da intralciare i movimenti e la circolazione, e furono infatti soggette a periodici sfoltimenti da parte delle autorità. Mentre oggi le immagini sono impostate in funzione della percezione individuale (nella sfera chiusa dello schermo) e sono effimere, le opere d’arte dell’antichità erano per lo più realizzate per la percezione collettiva negli spazi pubblici, ed erano destinate a durare nel tempo. Per questa serie di motivi l’arte pubblica dell’antichità appare dunque alquanto estranea alla moderna nozione dell’arte, che è scivolata in modo crescente ai margini dell’apprezzamento generale. Nell’antichità le opere di arte figurativa erano parte interante della vita sociale, non oggetto di osservazione “museale”. Il mondo delle immagini era il mondo degli uomini, e questo lo si può confermare analizzando tre categorie della vita sociale (spazio, tempo e attività): - Spazi sociali Le opere dell’arte figurativa erano destinate agli spazi in cui si viveva ed esistevano norme precise in base alle quali situarle. Gli spazi sociali importanti potevano infatti diventare luoghi per specifiche opere d’arte: i santuari per le immagini votive, le agorai per i monumenti politici, i ginnasi per statue di divini protettori degli atleti, le necropoli per le statue/rilievi di defunti ecc. Le opere dell’arte figurativa acquistavano nei luoghi in cui erano collocate un loro significato, e viceversa conferivano ai luoghi un senso specifico; - Tempi sociali Le opere dell’arte figurativa rimandavano direttamente o indirettamente a situazioni storiche e sociali concrete. Per esempio, la guerra dei Greci contro i Persiano fu messa in scena da Eschilo nella tragedia I Persiani, nei banchetti si usavano recipienti dipinti con le vittorie greche ecc. Le feste in onore degli dèi, i banchetti e i santuari erano contesti in cui si svolgevano discorsi su i temi centrali per la comunità; - Attività sociali Il rapporto degli uomini con le opere dell’arte figurativa era in parte spontaneo e in parte inserito nel quadro di attività regolamentate: le opere d’arte potevano essere oggetto di rituali significativi, di esaltazione di valori politici e sociali, e infine anche di attività affettive (devozione, ammirazione, amore ecc.); 2. La vita delle immagini 1 Le immagini nella società della Grecia antica erano caratterizzate da una certa “vitalità”: le immagini cultuali degli dèi erano portate in processione, lavate nei fiumi, rivestite con indumenti e gioielli, inoltre si riteneva potessero guarire da malattie, scongiurare epidemie ecc. Altrettanto “vive” erano le immagini degli esseri umani: c’è testimonianza di una statua di Taso che si riteneva avesse ucciso un uomo che la stava frustando e per questo fu gettata in mare. Seguirono dei cattivi raccolti e la statua fu ricollocata nell’agorà e qui venerata. Alcune immagini venivano appositamente realizzate per consentire un rapporto diretto con le persone raffigurate. Le opere figurative dell’antichità rendevano in questo senso “presenti” gli esseri e gli oggetti rappresentati e ciò costituiva un loro fondamentale compito sociale: mediante l’immagine si coinvolgevano nel mondo dei vivi potenze e figure che non potevano essere presenti in corpore. L’immagine non trasmette tanto un messaggio quanto colloca persone ed eventi spazialmente e temporalmente lontani nel mondo in cui si vive perché la gente possa interagire con loro. 3. Immagini di corpi L’arte figurativa greca è un’arte di corpi: sono molto frequentemente nudi, oppure vestiti in modo da sottolineare le forme, per lo più idealizzati, belli e giovani. La scultura a tutto tondo è per sua natura portata a rappresentare singole figure, tuttavia anche la scultura a rilievo, i dipinti su pareti, tavole o vasi, collocano la figura umana fortemente in primo piano. Questa concentrazione sulla singola figura è fortemente radicata nell’antropologia sociale e nelle pratiche culturali dei Greci. Poiché nelle entità statali dell’antichità non esistevano (o quasi) posizioni consolidate di potere politico o di autorità religiosa, molto dipendeva dalla capacità di persuasione della prestanza fisica. L’istituzione centrale di questa etica era il ginnasio, luogo delle esercitazioni e delle competizioni atletiche, Kalos kai agathos, “bello e buono”, era l’idea che riassumeva in sé la bella presenza, la vigoria e l’agilità del corpo, l’ethos della prestazione competitiva e la mentalità conforme alle regole. Secondo gli autori antichi il passo decisivo verso questa cultura dell’atletica era l’usanza, introdotta in tempi remoti, di sbarazzarsi degli abiti. Gli allenamenti e le gare da allora si disputarono nudi e il corpo “puro” costituiva il fondamento del rango sociale. Il bel corpo, in quanto incarnazione dei massimi valori fisici ed etici, era un elemento fondamentale della cultura greca. Nell’arte greca, quindi, lo sguardo è rivolto al corpo nudo. Questo non avviene solo nelle raffigurazioni del mondo dell’atletica, in cui la nudità dei soggetti riproduce la realtà, ma avviene anche in molte altre scene in cui, in realtà, andrebbe presunto un abbigliamento completo (guerrieri vittoriosi o caduti, cacciatori, partecipanti a un simposio ecc. sono rappresentati spesso nudi). Nell’antichità la raffigurazione del corpo nudo non serviva all’elevazione idealizzante al di sopra della realtà, ma aveva un significato più sostanziale: il corpo era in risalto in quanto essenziale veicolo delle capacità dell’individuo e dell’efficacia delle sue azioni. Accanto alla forza, vittoria, superiorità che potevano essere rilevate dal corpo nudo, c’erano altre qualità che potevano essere rilevate mediante l’abbigliamento, l’equipaggiamento o gli utensili. Diversa era la situazione delle donne. Il loro ruolo normale, di spose e madri di famiglia, implicava l’opportunità di schermarne la sessualità, e per questo sono di solito raffigurate completamente vestite. 2 CAP.2 IL PERIODO ARCAICO 1. Onore, proprietà e cultura della polis Un nuovo inizio e due grandi civiltà come riferimento Fu a partire dal I millennio a.C. che il mondo greco si sviluppò verso quelle forme di società e cultura che sono state considerate le radici del mondo classico. I Greci poterono agganciarsi in quel periodo a due grandi civiltà che ne influenzarono molto l’ascesa: la Creta minoica e la terraferma micenea. Le civiltà di Creta e Micene (risalenti all’Età del Bronzo), anche grazie ai contatti con le culture del Mediterraneo orientale, erano pervenute a un elevato standard culturale, che si espresse artisticamente tramite due generi: gli affreschi (con immagini di riti festosi e natura sacrale) e nelle miniature dei sigilli (in oro e pietre preziose). Entrambe queste civiltà, però, erano collassate intorno al 1200 a.C. a causa di sconvolgimenti e migrazioni. Nei secoli successivi il mondo greco si disaggregò in forme sociali e insediative prive di rilevanti strutture politiche. I cosiddetti secoli bui (1200-900 a.C.) non furono comunque del tutto privi di attività culturali: singoli artigiani continuarono a dipingere sui vasi, ma comunque furono tentativi isolati (perché tradizioni artistiche e artigianali presumono solide istituzioni sociali e pratiche e rituali consolidati). Fu col costituirsi della polis, la “città stato” greca, tra il VIII e VII a.C., che culti collettivi di divinità, riti funebri e banchetti permisero lo sviluppo di tradizioni artistiche e artigianali. Con lo sviluppo della polis, si diede una nuova e più consapevole articolazione “urbana” ai centri d’insediamento, tramite tre tipi di spazi “pubblici”: - grandi santuari cittadini, dove avvenivano le feste religiose; - l’agorà, dove si teneva l’assemblea per discutere le questioni politiche; - le necropoli, spostate però all’esterno dell’area urbana; Condizione decisiva per lo sviluppo dell’arte figurativa nella Grecia antica fu la pratica del dono onorifico. Tutti i momenti essenziali della vita comunitaria (nascite, nozze, feste, patti) erano connessi all’idea del dono, che nella celebrazione di dèi e defunti si realizzava in dedicazioni votive nei santuari e offerte nei sepolcri. Nel plasmare questa loro nuova cultura, i Greci si rifecero alla preistoria minoica e micenea, che (benché tramontata) si protendeva nel presente con le sue importanti rovine, grazie alle quali si sviluppò un ricco tesoro di miti. Contemporaneamente, il ricco scambio di merci e prodotti favorì una migliore conoscenza delle culture del Vicino Oriente e dell’Egitto, notevolmente superiori: i loro beni e pratiche furono fatti propri dai Greci, i quali tentarono di pervenire al livello di quelle già evolute civiltà. Epoche dello sviluppo culturale La preistoria del mondo greco è solitamente divisa in due periodi (che corrispondo a due fasi della costruzione dell’identità greca): - La fase geometrica Questa prima epoca comprende al suo interno il periodo “protogeometrico” (1050-900 a.C. ca.) e il periodo “geometrico” (900-700 a.C. ca.). Il nome di questa fase deriva dalla rigorosa stilizzazione geometrica delle figure e degli ornamenti 5 artistici. Alla fine di questo periodo si collocano Omero e la grande epica eroica; - La fase orientalizzante Questo periodo (700-620 a.C. circa) risente dei più intensi contatti con le culture del Vicino Oriente (Mesopotamia, Fenicia, Egitto), che si realizza nella ripresa di esseri fantastici come la sfinge, il grifone ed altri, insieme ad un nuovo stile di figure voluminose; In realtà, fin dall’inizio i Greci ebbero l’Oriente davanti agli occhi, e i cambiamenti nell’arte figurativa avvenuti intorno al 700 a.C. non sono che una fase di un processo di notevole durata. Il vero cambiamento avvenne invece attorno al 600 a.C.: nei periodi “alto-arcaico” (620-550 a.C. circa) e “tardo-arcaico” (550-440 a.C.) la prima cultura aristocratica greca pervenne alla sua compiuta espressione. In questi periodi infatti avvenne un addensamento delle comunità urbane, sotto la guida di forti gruppi aristocratici e in parte anche di autocrati senza legittimazione (i cosiddetti tiranni), che portò all’esecuzione di attività comuni. In particolare, i componenti del ceto superiore si impegnarono in una dura concorrenza per la conquista di rango e stima. Tale comportamento competitivo si realizzò in tre spazi in cui aveva rilevanza l’arte figurativa: - nei santuari, con doni votivi individuali; - nelle tombe, con il corredo e i monumenti funebri; - nei simposi, con il vasellame che occorreva nei conviti; Fu in questi tre ambiti che l’arte figurativa sperimentò nuovi impulsi. 2. Santuari: figure votive, immagini cultuali, ornamento dei templi Gli inizi della “polis” Le prime città-stato non si costituirono solo come comunità politiche, ma anche religiose: le città si formarono intorno a santuari centrali (es. Atene). Allo stesso tempo (sempre tra IX e VIII secolo a.C.) alcuni santuari (es. Delfi) divennero luoghi di rilevanza super-regionale, nei quali i visitatori convenivano da tutta la Grecia e facevano esperienza della loro comunanza culturale. I santuari divennero gli spazi privilegiati della prima arte figurativa: le opere d’arte nacquero qui come doni votivi. L’obiettivo (che, oltre dei regali, era lo stesso delle processioni, delle danze e dei sacrifici) era quello di stabilire un legame protettivo a lungo termine. Il dono votivo per eccellenza fu rappresentato, nel periodo inziale, dal tripode: recipiente utilizzato in origine per cucinare la carne offerta in sacrificio (cfr. immagine p.23), e poi sviluppatosi al di là della sua destinazione pratica, per costituire invece la proprietà carica di prestigio della divinità. Il valore di questi doni (che, per esempio nel caso dei guerrieri, potevano anche essere armi, parti dell’armatura, equipaggiamenti completi) poteva essere accresciuto realizzando degli “oggetti preziosi”, tramite l’uso di materiali pregiati e ornamenti figurati. Gran parte elle prime opere d’arte greche servì infatti a adornare recipienti e utensili. I motivi della decorazione figurata miravano a dire qualcosa sul donatore e sul suo rapporto con la divinità. Ben presto subentrò l’uso di donare opere d’arte figurative in quanto tali. I temi di queste sculture erano quelli che si ritenevano più graditi alla divinità e in cui, allo stesso tempo, il donatore poteva identificarsi: uomini trainati su cavalli, raffigurazioni di animali (in particolare cavalli e buoi costituivano la ricchezza più importante della popolazione rurale). 6 Le forme di queste statuette sono in parte semplici e primitive: proprio questa stilizzazione era espressione però di un modo specifico di concepire uomini e animali: - i corpi umani sono rappresentati con cosce, polpacci e glutei che risaltano dalla visione laterale; il petto invece si sviluppa solo nella visione frontale, senza alcun volume in profondità; la vita e sottile e serve solo a unire petto e bacino, più importanti; - i cavalli, analogamente, hanno collo e criniera in profilo piatto, spalle e gruppo rotondi, parte centrale del corpo molto sottile, e articolazioni accentuate; Le figure consistono delle loro singole parti, le quali esprimono qualità che sono considerate caratteristiche: la potenza delle gambe, il coraggio simboleggiato dall’ampio petto, l’agilità delle articolazioni e così via. I legami con l’Oriente fecero sì che verso il 700 a.C. la forma caratteristica del tripode fosse sostituita dal cosiddetto bacile con grifoni (cfr. immagine p.26), che documenta un intreccio culturale sorprendente: dall’est vennero importati i supporti conici con ornamenti esotici a rilievo, i quali furono poi completati con i bacili di produzione greca. Templi e “thesauroi” Nei grandi santuari le costruzioni dei templi manifestarono la produttività collettiva delle popolazioni. L’avvio della realizzazione dei tempi, nell’VIII e VII secolo a.C., testimonia infatti una coscienza politica comunitaria. La fase di crescita delle comunità urbane si espresse, a partire dal 600 a.C. circa, nell’enorme aumento dell’attività edilizia sacra (orgogliosa dichiarazione di consapevolezza civica). Nei santuari panellenici i templi non potevano attestare il prestigio di singole città. Qui i cosiddetti thesauroi fungevano da testimonianze: erano piccole costruzioni a forma di case che furono fatte erigere dalle poleis soprattutto a Delfi e Olimpia, per accogliervi doni votivi di grande valore che occorreva proteggere dalle intemperie. I templi e i thesauroi furono in parte ornati anche esteriormente in modo dispendioso con opere d’arte. Nell’ordine detto “dorico” furono collocate in serie, sopra le file delle colonne e l’architrave orizzontale, lastre più o meno quadrate (le “metope”), nell’ordine “ionico” invece un fregio continuo. Sopra questa fascia il triangolo basso del frontone offriva un altro spazio per composizioni in altorilievo o figure a tutto tondo. Infine, anche il tetto veniva messo in risalto (nei vertici e negli angoli mediante motivi ornamentali, in alcuni casi anche figurati (detti “acroteri”). La decorazione figurata di templi e thesauroi è uno dei fenomeni più singolari dell’arte greca. Gli edifici ottenere con le sculture/decorazioni figurate/forma artistica un’accentuazione del loro “valore”, un più elevato significato religiosi-culturale. Templi Anche i santuari necessitavano della protezione dalle forze della natura selvaggia. Sui templi più antichi, infatti, si rappresentarono mostri e belve (rappresentazione della natura selvaggia) come soggiogati. Furono però i grandi miti a rappresentare su templi e thesauroi gli ideali religiosi e sociali delle comunità urbane. Il santuario extraurbano dedicato e a Era (l’heraion) presso Posidonia/Paestum, che segnava la frontiera del mondo greco con quello degli Etruschi e Italici non greci, fu proprio per questo un luogo predestinato per ostentare l’identità greca e gli ideali della polis. Questo santuario, proprio perché esibito sul confine con i vicini non greci del Nord, esprime in modo eclatante il senso di superiorità dei Greci. 7 Così si perfezionò anche la decorazione pittorica figurativa dei vasi, soprattutto con scene del culto die morti. Statue e stele L’idea di conservare la memoria dei morti tramite loro raffigurazioni in posizione eretta era una conseguenza della capacità acquistata dagli scultori greci di realizzare statue di grande formato di realizzare statue di grande formato in materiali durevoli. A partire dal VI-VII secolo a.C. furono collocate accanto alle tombe statue dei defunti. In seguito, il corredo sepolcrale si arricchì di stele piatte e slanciate decorate con figure in rilievo. Simili monumenti funebri (realizzati anche in marmo prezioso) potevano essere eretti solo in casi particolari e dalle famiglie abbienti, le quali dovevano scegliere quali defunti onorare in questo modo straordinario: furono scelti soprattutto gli uomini e le donne deceduti in giovane età e identificati dalle iscrizioni come membri dell’aristocrazia. Come i koùroi nei santuari, anche le statue sulle tombe sono prive di segni specifici: sono raffigurati nello splendore del corpo atletico, con copiosi capelli scintillanti e volti dal sorriso avvincente. Sulle stele, le figure maschili invece sono maggiormente caratterizzate (giovani atleti on il disco o le cinghie da pugili per esempio). Meno frequenti sono i monumenti funerari dedicati a giovani donne: sono per lo più kòrai scolpite a tutto tondo nella loro adolescenziale amabilità, mentre le stele potevano rappresentare anche donne nobilmente sedute o madri col figlioletto in grembo. Con semplici formule iconografiche sono dunque prospettati gli ideali dell’aristocrazia: l’atleta, il guerriero, il sacerdote, la bellezza virile e quella muliebre. L’insistenza con cui sono presentati in immagine soprattutto i giovani defunti è sottolineata anche dalle iscrizioni tombali, che lamentano la sorte che ha colpito precocemente il defunto senza consentirgli di arrivare alla piena fioritura dell’esistenza. Dunque, nessun pensiero rivolto all’aldilà, ma esaltazione, implicita nel rammarico per la sua perdita, della vita terrena. In quest’ottica va visto anche un altro tipo di decorazione sepolcrale: il famoso dipinto della copertura di una tomba di Posidonia/Paestum che ritrae un giovane che si tuffa in acqua da un trampolino (cfr. Tav. II). Il motivo del tuffatore è stato interpretato come una rappresentazione allegorica del salto nella dimensione dell’aldilà, ma molto più probabilmente rappresenta l’usanza della gioventù maschile di addestrare il proprio corpo con i bagni in mare. Anche qui, dunque, si evoca la vita terrena con le sue più grandi soddisfazioni. 4. Cultura della festa e culto dei morti: ceramica dipinta Contesti di vita Nella vita sociale della prima polis il possesso di una casa riccamente arredata aveva un ruolo fondamentale: attestava il benessere e il prestigio, soprattutto nei momenti festivi più importanti della vita comunitaria (feste religiose e simposi in primis). I recipienti in terracotta costituiscono la componente più nota della grande varietà di suppellettili in uso nelle occasioni importanti della vita sociale. Un ricco corredo era un’esigenza non solo dei vivi, ma anche dei morti: nelle tombe si collocava quindi una dotazione adeguata alle condizioni sociali dei defunti. Erano per lo più gli oggetti utilizzati durante i 10 banchetti e i simposi a essere portati come doni in occasione dei funerali e quindi deposti nelle tombe. In molti casi però non si riesce a stabilire se un certo oggetto sia stato trasferito da un contesto di vita domestica nel sepolcro oppure se sia stato appositamente realizzato per il corredo funerario. Dalla seconda metà del VIII secolo a.C. si sviluppò sui recipienti di ceramica un variegato mondo di immagini figurate. I temi avevano solo minimamente attinenza con le situazioni in cui i vasi erano usati: emergeva in primo piano la comunità che si riuniva per le ricorrenze (anche per le cerimonie funebri, era sempre la comunità dei vivi quella che emergeva tematicamente). Epoche e luoghi di produzione Agli inizi del I millennio a.C. si sviluppò in Grecia per la ceramica di pregio un nuovo stile decorativo con ornamenti rigorosi: lo stile geometrico (il cui sviluppo si può dividere in una fase “protogeometrica” dal 1000 al 900 a.C. e una fase propriamente “geometrica” dal 900 al 700 a.C.) vede i recipienti come rigorosamente plasmati nelle loro forme ceramiche, e con delle decorazioni dipinte in forme semplici e chiare. Nella decorazione prevalgono cerchi e semicerchi, rombi, triangoli, motivi a zigzag e a scacchiera. Nel periodo “geometrico” vero e proprio, a partire dal 900 a.C. si aggiunge come leitmotiv anche il meandro. Il centro della produzione principale di quel periodo fu Atene, in cui si sviluppò a partire dal VIII secolo anche una ricca pittura figurata per illustrare i riti del culto sepolcrale e altre scene significative ella cultura aristocratica. A questo repertorio di forme decorative subentrò nel 700 a.C. un nuovo stile, originato dai più fitti contatti con il Vicino Oriente: il periodo “orientalizzante” (700-620 a.C.). In questa fase il più importante centro di produzione di ceramiche fu Corinto (anche se dagli inizi del VI secolo, Atene recupera la sua posizione di preminenza), dove si perfezionò la pittura detta “a figure nere”: le figure venivano realizzate dipingendo sul fondo chiaro dell’argilla delle silhouettes nere, solo in parte arricchite di colore rosso e bianco (cfr. Tav. III). I motivi più importanti furono fregi composti da animali e mostri del mondo selvaggio, che attestano la derivazione dall’arte figurativa orientale. La tecnica della pittura “a figure nere” (in cui contorni e superfici erano resi con la pittura, mentre i dettagli con l’incisione), presto non bastò più alle esigenze di una rappresentazione sempre più particolareggiata di corpi e indumenti. Verso il 350 a.C., quindi, s’invertì il modo di dipingere: sullo sfondo completamente nero le figure venivano lasciate nel colore chiaro dell’argilla, in modo da poterne dipingere i particolari con sottili pennelli di setole (cfr. Tav. IV). Questa tecnica, detta “a figure rosse”, s’impose largamente in appena una generazione. Ad Atene si può osservare una crescente specializzazione verso un artigianato altamente evoluto. Le firme di vasai e pittori esprimono la consapevolezza delle proprie capacità da parte dell’artigiano e pittori e botteghe sviluppano forme stilistiche più o meno caratteristiche. Comunque non si può parlare, a proposito di pittura vascolare, di “artisticità individuale”, poiché questa si mantenne nell’ambito dell’artigianato. Temi figurativi dell’antica “polis” Le prime scene figurate dipinte furono realizzate nel VIII secolo a.C. su grandi recipienti creati appositamente per il culto sepolcrale (con temi i grandi riti del culto dei morti). La pittura figurata, tuttavia, non fu un fenomeno artistico generale: fu praticata in un’unica bottega di Atene per venire incontro alle esigenze di un folto ceto dirigente del centro “urbano” che aveva sviluppato i 11 suoi rituali Il mondo figurativo attico del VIII secolo va dunque intenso nel contesto del costituirsi della polis. Viene rappresentata la composizione del defunto nella bara (con il lamento delle donne in evidenza), oppure il momento pubblico del funerale, con il corteo che scorta la salma alla tomba (con la comunità aristocratica in processione in evidenza). I defunti in queste scene non sono elogiati come persone ma onorati come morti: non se ne conserva la memoria per imprese individuali, ma per l’onore che è loro tributato dalla comunità. Anche nelle rappresentazioni di guerra, danze, giochi atletici e battute di caccia, per esempio, lo sguardo non è sull’impresa o eccellenza del singolo, ma su attività tipiche della vita comunitaria, che definiscono l’appartenenza al gruppo/rango sociale. La cultura aristocratica della polis è sin dall’inizio confrontata e contrapposta con il suo opposto: la natura selvaggia. Già nel periodo “geometrico” le scene che rappresentano la civiltà umana erano incorniciate da fregi composti di animali pacifici o selvaggi: caprioli, stambecchi, centauro o leoni. Fino ala fine del VII secolo a-C. questo mondo della natura selvaggia è il tema principale dell’arte figurativa, e conserverà importanza fino alla fine dell’antichità. Questi fregi di animali costituiscono culturalmente la grande antitesi rispetto al mondo della polis. A partire dal 700 a.C. circa, il confronto con mondi culturali diversi e opposti è rappresentato anche ricorrendo ai miti: anche questi vedono eroi alle prese con gli orribili mostri “ai confini del mondo” e danno la possibilità alla cultura greca di definirsi per contrasto, cioè contrapponendosi alle minacce che provengono dal mondo selvaggio e sregolato. Temi e cultura aristocratica arcaica Nei decenni attorno al 600 a.C. le forme di vita aristocratiche si intensificarono fortemente. Si sviluppò infatti una dispendiosa cultura della festa, i cui momenti principali erano il banchetto (il symposion) riservato ai soli uomini, le celebrazioni dei matrimoni e il culto dei morti. Inoltre, i componenti nobili di ogni ceto si riunivano anche per caccia e gare atletiche. Il simposio divenne nel tardo VII secolo a.C. un lussuoso momento conviviale di nobili compagnie dedite soprattutto al bere: in questo contesto si introdusse l’usanza orientale di stare semidistesi sui letti. Un cratere di Corinto rappresenta i convenuti sdraiati su mobili preziosi: impersonano, con il modo in cui sono schierati, l’ideale di uguaglianza all’interno del ceto superiore (cfr. immagine p.55). Carattere collettivo avevano anche le competizioni atletiche che ad Atene a partire dal 566 a.C. coinvolsero tutta la popolazione. Le relative discipline atletiche furono illustrate soprattutto nelle anfore che contenevano gli oli preziosi destinati come premi per i vincitori delle gare. Un elevato ethos aristocratico si rispecchia infine nelle scene di guerra, nelle quali compare anche una vasta gamma di situazioni tipiche: congedo dalla famiglia, battaglia, morte gloriosa (infatti l’ethos guerriero pone in primo piano più il coraggio della battaglia e la disponibilità alla morte che il trionfo della vittoria, che infatti manca generalmente in queste rappresentazioni. Le scene che ritraggono le attività degli artigiani/mercanti li vedono come produttori dei beni di lusso per il ceto superiore: era il contributo all’alto libello di vita della classe superiore a rendere i ceti inferiori degni di essere raffigurati. Nelle immagini dei miti, i temi della vita ordinaria compaiono trasporti su un livello superiore: il combattimento degli dèi contro i Giganti, la minaccia costituita dai Centauri nei confronti delle donne, il 12 CAP.3 IL PERIODO CLASSICO 1. Grecità, cittadinanza e individuo I decenni attorno al 500 a.C. impressero alla Grecia una svolta politica, sociale e culturale dalle conseguenze molto significative. Ad Atene nel 510 a.C. fu posta fine alla dominazione tirannica della famiglia di Pisistrato, e le successive riforme volute da Clistene costituirono l’inizio della democrazia greca. Le guerre contro i Persiani comportarono non solo la libertà dalle minacce esterne, ma furono anche all’origine di una nuova identità greca: la Grecia non si concepì più come una tra le grandi culture confinanti, ma si distaccò dai “barbari” dell’Oriente, creando una polarizzazione tra Est e Ovest. I secoli che seguirono, fino ad Alessandro Magno, sono stati chiamati “il periodo classico”: anche dal punto di vista letterario (con le tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide, la storiografia di Erodoto e Tucidide, la filosofia dei sofisti, di Platone e Aristotele), la Grecia collocò l’uomo al centro del mondo. La democrazia creò delle nuove condizioni per l’arte figurativa: i progetti pubblici, per esempio, dovevano sottostare alle decisioni dell’assemblea popolare (ne conseguì per esempio un drastico regresso dei monumenti funebri in quanto anche le sculture private dovevano rispondere al criterio dell’uguaglianza). Per secoli i Greci erano vissuti insieme a un grande passato mitico, la confronto con il quale in mondo in cui vivevano era apparso mancante di dimensione temporale e di rilevanza storica. A partire dal V secolo a.C., però, le varie forme della letteratura e dell’arte figurativa fecero di personaggi ed episodi contemporanei temi degni di attenzione: imprese politiche, persone meritevoli, argomenti di attualità (come ne I Persiani di Eschilo): il proprio tempo acquisì una rilevanza pari a quella della grande preistoria mitica. Nelle arti figurative fu elaborata una concezione nuova dell’immagine dell’uomo. Risale circa al 480 a.C. il cosiddetto Efebo di Kritios (cfr. immagine p.69), un giovinetto nudo che, per la sua impostazione si distinse da tutte le opere dell’arte figurativa mai concepita in precedenza in Grecia. Il peso della figura è leggermente spostato sulla gamba sinistra, così che la destra ha il ginocchio lievemente piegato. Il fianco della gamba portante, dunque, sporge di più e il bacino è leggermente inclinato. Anche la spalla sinistra è lievemente arretrata, mentre quella destra (che doveva reggere probabilmente una scodella) è protesa in avanti. La testa è leggermente voltata verso destra. Questa nuova “ponderazione” (distribuzione dei pesi del corpo) si impose in breve tempo in tutta la Grecia. L’uomo, così, è concepito in modo nuovo, come essere capace di reggersi e muoversi con le proprie forze. 2. Agorà e santuari: monumenti politici Ad Atene, dopo la cacciata dei tiranni nel 510 a.C., i cittadini decisero di erigere nell’agorà un monumento alla coppia di amici Aristogitone e Armodio, che pochi anni prima avevano attentato alla vita dei despoti. Il loro monumento divenne simbolo della nuova forma di stato, la democrazia. Quando i Persiani nel 480 a.C. conquistarono Atene, si impadronirono di questo monumento in modo da colpire gli Ateniesi nella loro identità politica. Gli Ateniesi scacciarono nuovamente i Persiani un anno dopo, e decisero di erigere un nuovo monumento ai tirannicidi. Questo secondo monumento (cfr. immagine p.71) presenta i due amici come ideali protagonisti della comunità cittadina. 15 Stanno per lanciarsi all’attacco ma il loro antagonista non è rappresentato: dunque non è celebrato l’episodio in sé, ma la disponibilità a impegnarsi per lo Stato, per la collettività. Sono inoltre una coppia formata da un uomo più anziano e uno più giovane: incarnano le due generazioni che costituiscono la forza politica della comunità. Inoltre, la loro correlazione omoerotica sottolinea i legami che tengono insieme la comunità e la solidarietà interna. La nuova concezione dinamica del corpo conferisce alle figure un’energia che dà risalto al messaggio politico. Il monumento costituì una novità unica nel suo genere: le statue di grande formato erano state riservate esclusivamente a scopi religiosi (immagini cultuali di divinità, doni votivi, raffigurazioni dei defunti). Il fatto che una comunità politica erigesse al suo centro un monumento eminentemente politica segnò l’agorà come uno spazio politico. Sempre per esaltare lo Stato, Atene fece ricorso di diversi registri artistici: nell’agorà fu anche costruito un “portico dipinto” decorato con un ciclo di pitture patriottiche, ovvero: - la lotta degli Ateniesi contro le Amazzoni; - la conquista di Troia con la partecipazione di eroi ateniesi; - la battaglia di Maratona (490 a.C., tra le battaglie che sancirono la vittoria contro i Persiani); - una battaglia recentemente vinta contro Sparta (nuovo nemico di Atene); Il presente ottenne dall’accostamento al mito una superiore rilevanza. Oltre all’agorà, anche i grandi santuari furono usati come arene per messaggi politici sotto forma di doni votivi monumentali. I santuari maggiori, panellenici, di Delfi e Olimpia furono dunque politicizzati, sia per sottolineare l’importanza delle guerre persiane, sia riguardo la lotta per il predomino sulla Grecia tra Atene e Sparta (con i relativi alleati): Atene volle costruire sull’acropoli (a rivendicare dunque il ruolo di guida) una statua alta dieci metri della divinità cittadina, Atena. L’opera, di Fidia, esaltò in particolare la battaglia di Maratona, in cui gli Ateniesi combatterono da soli per tutti i Greci contro i Persiani. Un’altra famosa Atena, sempre di Fidia, è la cosiddetta “Atena Lemnia”, donata dai coloni ateniesi dell’isola di Lemno: celebrò la politica delle colonie militari con le quali Atene si assicurò la supremazia fra i suoi alleati (cfr. immagine p.74). Sparta, dopo una vittoria su Atene, replicò esponendo uno scudo in oro, emblema del successo, sulla sommità del tempio di Zeus a Olimpia. In seguito alla successiva vittoria di Atene, gli abitanti di Naupaktos, suoi alleati, risposero con un altro spettacolare monumento: una Nike (dea della vittoria) che si libra con gli abiti svolazzanti su un’aquila in volo (cfr. prima immagine p.75). Gli Spartani, dopo la definitiva vittoria su Atene, risposero con altre due Nikai, anch’esse svettanti su aquile (cfr. seconda immagine p.75). Dunque, i conflitti politici furono combattuti non solo sui campi di battaglia, ma anche tramite i simboli del potere. 3. Templi: miti fra ethos e politica I templi erano strettamente legati alle situazioni storiche della loro epoca, e questo emerge soprattutto dalle decorazioni su metope, fregi e timpani, i cui programmi iconografici sono nel V secolo fortemente 16 segnati dalle guerre persiane e i conflitti tra le città-stato greche. Nonostante ciò, i templi erano e rimasero costruzioni innanzitutto religiose. Alcuni eventi, quali le guerre contro i Persiani, avevano dato luogo a una visione del tutto nuova del mondo: in questo senso i programmi iconografici dei templi non sono manifesti politici ma reazioni religiose a esperienze politiche. Dopo la vittoria sui Persiani, gli abitanti di Elide (città del Peloponneso) eressero a Olimpia un nuovo tempo, nella cui decorazione figurativa è messa in scena la massima espressione del potere divino. Qui è rappresentata la lotta dei Lapiti contro i Centauri (che in occasione delle nozze del re si erano lanciati affosso alle fanciulle e agli adolescenti che partecipavano all’evento). Apollo, al centro, ferma gli empi. Questo modello, per cui spettava agli dèi il compito di imporre le legge e l’ordine contro la tracotanza e l’oltraggio, era un modello interpretativo diventato di attualità specialmente durante le guerre contro i Persiani. Il più complesso programma iconografico di un tempio greco è quello che decora il Partenone, situato al centro dell’acropoli di Atene. Costruito trent’anni dopo la vittoria sui Persiani, l’edificio è totalmente improntato alla fierezza patriottica della città: per esempio è rappresentata la nascita di Atena dalla testa di Zeus, che attesta la grande ambizione della città. La presenza di numerose altre deità che assistono all’episodio ne attesta la legittimità. La stessa città di Atene è rappresentata nel fregio lungo le pareti della cella: è raffigurata la grande processione per la fesa di Atena, con il corpo civico della città (fanciulle e giovinetti con utensili cultuali, animali da sacrificare, giovani a cavallo e su carri e pochi uomini anziani). La resa artistica di questo programma iconografico (probabilmente impostato dall’entourage politico di Pericle e approvato dall’assemblea popolare) fu affidata alla pianificazione di uno scultore, probabilmente Fidia. Bisogna però osservare come per finanziare il progetto del Partenone furono impiegati i tributi versati dagli alleati: Atene approfittò del conseguente dissanguamento economico di questi per reclutare scultori di altre città. 4. Immagini degli dèi: dimensioni della divinità Prima età classica: divinità in forma nuova Benché nel periodo “classico” l’uomo fosse stato posto al centro del mondo, il potere degli dèi rimase intatto. Non solo i culti per le divinità rimasero alla base della vita comunitaria, ma si assistette allo sviluppo di nuovi concetti della grandezza divina, insieme allo sviluppo della nuova consapevolezza delle capacità umane. Un esempio è quello della statua in bronzo che raffigura Zeus come un atletico lanciatore di fulmini (cfr. prima immagine p.82): qui vediamo come i principi della nuova arte, come l’equilibrio tra le forze opposte, sono dispiegati con estrema chiarezza in un’immagine che esprime il potere di Zeus con nuovo dinamismo. Un corrispettivo femminile è quello che (probabilmente) raffigura Era (cfr. seconda immagine p.82), in cui la testa marcatamente girata e la mano puntata sul fianco contribuiscono a formare una nuova immagine di maestosa dignità. Il fatto che le nuove forme dell’arte potessero essere usate anche per le raffigurazioni della potenza divina non fu ovvio. Queste nuove forme dell’arte, infatti, si erano sviluppate per rappresentare le energie umane, 17 Policleto e l’ideale dell’aristocrazia dorica Fu con lo scultore Policleto che l’immagine dell’atleta pervenne a un’eccellenza “classica”. Egli fu interprete dell’aristocrazia nelle città del Peloponneso. Policleto creò soprattutto statue i vincitori destinate a Olimpio e altri santuari, famosissimo è il suo Doriforo (“portatore di lancia”) (cfr. immagine p.94), probabilmente un eroe mitico che incarna il più elevato ideale atletico, diventando esemplare modello dell’immagine “classica” dell’uomo. Nel Doriforo si realizza un sistema che può essere definito con il concetto di “contrapposto”: tutto si svolge nel corpo e nell’ambito delle sue energie. La gamba non gravata dal peso non poggia più a terra con tutta la pianta del piede ma è notevolmente arretrata. Ne consegue una posizione fortemente inclinata del bacino che deve essere a sua volta compensata da una flessione più accentuata del corpo. Le membra attiva e passive sono in relazione incrociata tra di loro: alla gamba destra portante corrisponde il braccio sinistro che regge il giavellotto, alla gamba sinistra sgravata il braccio destro rilasciato. Ne consegue una posizione obliqua del bacino, che è compensata dalla postura obliqua contraria delle spalle. La testa completa la torsione del corpo volgendosi verso destra. La figura, dunque, incarna una perfetta armonia di spinte e controspinte bilanciate. Policleto fu il primo artista greco a indagare anche sotto il profilo teorico i principi della sua arte e a esporli in uno scritto intitolato Canone (i cui pochi frammenti conservati si riferiscono alle misure e proporzioni). Il Canone di Policleto si colloca in un’epoca di ambizioso ottimismo intellettuale il cui intento non è solo quello di declinare un ideale estetico (il bello) ma anche un modello per la realtà (il bene), in senso etico. Lisippo e la dinamicizzazione del corpo Lisippo è uno scultore che fece parte della scuola di Policleto (verso la sua fine) nei tempi di Alessandro Magno. Egli avrebbe indicato come suoi maestri da un lato Policleto e dall’altro la natura: derivò dal primo il concetto di corpo atletico, e dalla seconda le nuove forme per rappresentarlo. Lisippo vide il corpo umano come veicolo di energia e fonte di prestazione, e fu proprio per questa dinamicità delle sue statue che divenne lo scultore prediletto di Alessandro Magno. La più famosa raffigurazione di un atleta realizzata da Lisippo è il cosiddetto Apoxyòmenos (cfr. immagine p.97), un vincitore che si libera dell’olio e della polvere di cui si era unto e coperto prima e durante la gara. Diversamente da Policleto, la figura, sorretta da entrambe le gambe, tende verso l’alto: il sistema classico di tensione e distensione ha perduto validità, per lasciare spazio a una rappresentazione dell’energia. Come Policleto, anche Lisippo trasfuse la nuova concezione delle energie fisiche in immagini di eroi sovraumani: - nel ritratto scultoreo di Alessandro Magno, che, conquistatore di vasti territori, viene rappresentato con lo sguardo enfaticamente rivolto in lontananza; - nell’Ercole Farnese, in cui l’eroe, dopo l’ultima delle sue fatiche, si appoggia alla clava nascondendo dietro la schiena i pomi d’oro dell’immortalità; L’immagine dell’uomo del periodo classico aveva dunque perduto in ampia misura la sua ideale omogeneità e il collettivo carattere vincolante. 6. Immagini dell’uomo II: prime forme del ritratto Il periodo classico (V e IV secolo a.C.) fu caratterizzato da una nuova scoperta: l’uomo ha la possibilità con le proprie forze di plasmare le condizioni in cui vivere. 20 Di conseguenza, nelle comunità urbane, singole personalità di spicco assunsero un ruolo dominante che sembrò espressione non più esclusivamente delle norme collettive, ma anche del proprio e individuale carattere. Pubblica onorificenza mediante immagini Si introdusse una nuova prassi: l’erezione di statue pubbliche in onore di uomini potenti e importanti. Secondo l’usanza tradizionale, i componenti dei ceti dirigenti (per ringraziare gli dèi per il loro favore o per il successo ottenuto) collocavano nei santuari opere d’arte, per lo più raffigurazioni anonime, ma in singoli casi anche raffigurazioni di sé stessi e delle loro famiglie. Anche i vari potentati locali seguirono questa prassi: Aiace, per esempio, consacrò a Era, nell’isola di Samo, un suo colossale ritratto in marmo. Il gruppo dei tirannicidi (cfr. immagine p.71) avviò invece ad Atene una prassi del tutto nuova: qui fu la comunità politica a onorare due concittadini erigendo loro statue pubbliche (collocate nell’agorà ma anche nei santuari principali delle città). La pubblica onoranza mediante immagini ebbe un carattere decisamente politico. Uomini politici, letterati, filosofi Per le figure votive arcaiche le caratteristiche fisiche personali non avevano avuto importanza: si rappresentava un’immagine umana indifferenziata senza contrassegni personali/identificativi. Nel caso dei ritratti onorifici, invece, emerse sempre di più la questione dell’individualità. I tirannicidi Aristogitone e Armodio furono plasmati come tipi umani generici, quello dell’uomo più anziano e quello del più giovane (impersonando il tipo del cittadino). Nel ritratto del condottiero Temistocle (cfr. immagine p.100), vincitore dei Persiani a Salamina (480 a.C.), comparvero per la prima volta nella fisionomia del volto dei tratti di spiccata individualità: cranio tondeggiante, fronte bombata, occhi incassati, sopracciglia marcate e mento pronunciato. Questa prima eccezione però non segnò un progresso generale dell’arte verso un maggiore realismo: le raffigurazioni tipicizzanti da un lato e quelle individualizzanti dall’altro non furono fenomeni generali dello stile dell’epoca, ma costituirono due opzioni che dipendevano dall’intenzione che si volle di volta in volta enunciare. Oltre agli uomini politici, acquistarono pubblica rilevanza i rappresentanti della cultura. Omero, per esempio, fu ricordato con un ritratto di grande efficacia, che lo raffigura cieco e in età avanzata (cfr. prima immagine p.102). Queste sculture attestano la fierezza di una città che volle avvalorare la propria fama ricorrendo alla figura di un poeta di grande spicco. Queste intenzioni sono evidenti ad Atene, città che, tramontata la sua potenza politica, si profilò nel IV secolo a.C. come il maggior centro culturale della Grecia: si vollero così rappresentare i grandi poeti, filosofi e storici del passato che furono collocati sotto gli occhi di tutti i visitatori sotto forma di ritratti pubblici. Furono rappresentati anche i tre grandi tragediografi del V secolo, Eschilo, Sofocle ed Euripide. In particolare, i ritratti di Eschilo e Sofocle non presentano tratti individuali (se non per Sofocle che, strettamente avvolto da una mantella che ne consente solo movimenti misurati e posati, si fa portatore di un atteggiamento di autocontrollo). Anche i ritratti dei filosofi ebbero una sia pur limitata funzione pubblica: quando Platone (verso il 386 a.C.) fondò la scuola dell’Accademia, vi fece erigere una statua del suo maestro Socrate (cfr. seconda immagine p.102), la quale dovette produrre un effetto provocatorio: Socrate appare brutto come un sileno, proprio come i suoi detrattori lo definivano deridendolo. Dai suoi allievi questa fu interpretata come un’espressione celebrativa del suo modo di formulare domande critiche e scomode. 21 Anche di Platone, probabilmente dopo la sua morte, si conservò memoria nell’Accademia con una statua: Platone fu però rappresentato secondo il modello comune del cittadino anziano. Le statue che ritraevano uomini politici o della cultura proponevano all’attenzione di tutti modelli che avevano statuito esempi, e che quindi sollecitavano all’imitazione. A seconda del messaggio che si voleva comunicare, questi uomini potevano essere raffigurati nel tipo esemplare del cittadino oppure con una spiccata individualizzazione. 7. Rilievi sepolcrali: una società nella prospettiva della morte Il periodo classico si espresse anche in una fioritura senza eguali del genere del rilievo sepolcrale. In contrasto rispetto ai monumenti rappresentativi della collettività, qui vennero messe in primo piano le famiglie. I sepolcri venivano allineate come tombe di famiglia ben visibili lungo le strade di accesso e di uscita dalla città, fuori dalle porte cittadine. L’arte sepolcrale conobbe il suo massimo sviluppo in Attica. L’arte sepolcrale sottostava a condizionamenti generali di natura politica: infatti in Grecia si stabilì di contenere l’eccessivo lusso delle tombe, poiché queste coinvolgevano la sfera dell’attenzione pubblica. Solo l’accresciuta e orgogliosa consapevolezza di più vasti ceti della popolazione ai tempi di Pericle (ad Atene intorno al 430 a.C.) comportò nuovamente una fitta produzione di rilievi sepolcrali. A queste forme di rappresentazione però fu posta brusca fine dalla legge contro il lusso delle tombe intorno al 310 a.C. Le forme e i motivi iconografici delle stele appaiono fortemente cambiati rispetto al periodo arcaico: già a partire dal 500 a.C., infatti, erano apparse alle stele alte con una sola figura in piedi, formati più larghi che ospitavano più figure in relazione tra loro. Per esempio, potevano essere rappresentati marito in piedi e moglie seduta, oppure il vecchio padrone con una domestica, oppure una donna nobile con un’ancella o un padre con un figlio. In questi rapporti “dialogici” i defunti furono caratterizzati in modo contrastante con una figura a loro opposta e che ne permetteva il collocamento all’interno della cerchia familiare o domestica. Solo di rado vengono evocate le condizioni di vita dei defunti, le loro imprese e le circostanze della morte: il loro aspetto è quello generalizzato del cittadino, in un quadro di elevata conformità. Si tratta dunque di un quadro civico fortemente standardizzato, con i personaggi distinti solo per sesso, età e grado sociale. Di fatto la morte è ovunque implicita nei rilievi funerari, ma i defunti non sono contrapposti ai vivi in quanto distanti: nelle immagini si ricorda invece con evidenza l’ambito della vita terrena. 8. Cultura della festa e culto dei morti: ceramica dipinta Forme ed evoluzioni Le immagini dei vasi del periodo classico sembrano una prosecuzione senza soluzione di continuità delle tradizioni arcaiche: Atene rimase il centro più influente della produzione, il predominio della tecnica a figure rosse perdurò e i vasi decorati servivano per le feste dei vivi e per i riti in onore dei morti. Però le forme stilistiche furono significativamente sviluppate: si cerca ora di riprodurre i corpi e gli indumenti nelle loro qualità organiche e materiali e di conferire loro un aspetto naturale. 22 CAP.4 IL PERIODO ELLENISTICO 1. Potere sovrano e vita individuale La campagna militare con cui Alessandro Magno sottomise nell’arco di un decennio l’Egitto e poi l’impero dei Persiani comportò un rivolgimento nelle forme e nei valori della vita pubblica e privata. Ne risultarono condizioni inedite sotto molto punti di vista della vita, tra cui le arti figurative: il concetto di “ellenismo” definisce quest’ultima epoca della cultura greca autonoma, compresa fra Alessandro Magno e la definitiva integrazione nell’Impero Romano sotto Augusto (336-31 a.C.). I monarchi manifestarono le loro ambizioni di potere soprattutto nelle capitali e nei santuari di importanza super-regionali, e i loro monumenti superarono in misura eclatante le auto-rappresentazioni delle classiche città-stato. Le città persero ampiamente la loro autonomia politica esterna. E ciò comportò una quasi totale cessazione della concorrenza per la realizzazione di ambiziosi monumenti. D’altra parte, le città conservarono in larga misura la loro autonomia interna di centri di vita civica, rimanendo punti di riferimento dell’identità culturale. Ci fu un cambiamento generalizzato anche nei valori culturali: l’Oriente vinto era stato integrato nella cultura greca, e quindi si perse il paradigma basato su un’identità greca contrapposta al mondo orientale. Il ruolo di nemico giurato fu trasferito ai Celti, creando una definizione inedita dell’opposizione fra “greco” e “straniero”. Inoltre, aumentò la mobilità sociale e territoriale delle persone: alla concezione standardizzata dell’individuo, subentrò una serie di tipi (il cittadino, il poeta, il filosofo, il pescatore, lo storpio, il nemico ecc.). 2. Monarchi: carisma, pathos, unicità Alessandro Magno aveva fondato il suo impero universale con una campagna militare senza eguali, e basandosi sulle sue energie personali per dirigere seguaci ed esercito. I sovrani che gli succedettero dovettero servirsi, su questa scia, del proprio carisma personale e dovettero garantire l’accettazione della propria dominazione mediante imprese continue e straordinarie e messe in scena clamorose: a questo servirono i monumenti figurati pubblici, volti ad esercitare una forte impressione sugli osservatori di metropoli e santuari. I ritratti dello stesso Alessandro Magno conferirono efficacia visiva a un nuovo ideale di sovrano. Un esempio è il monumentale impianto sepolcrale presso Vergina che, probabilmente, Alessandro Magno fece erigere come tomba per suo padre Filippo II (cfr. Tav. IX). Un grande dipinto sopra la cripta illustra una caccia affollata di personaggi ed è il documento conservato più importante della pittura murale tardo- classica e dell’inizio dell’ellenismo. Qui viene rappresentata tutta la gradazione sociale fino al livello del re: sono presenti i sovrani. Gli adulti al seguito e i giovinetti i quali fanno la caccia a un leone, un cinghiale un orso e un cervo. La caccia appare dunque come un’usanza tradizionale che permette di illustrare tutto il rango sociale. Quando morì in giovane età Efestone, intimo compagno d’armi di Alessandro, egli lo volle onorare con una manifestazione di cordoglio di proporzioni colossali: una pira di cremazione del corpo di circa 200 metri di 25 larghezza e lunghezza e 70 di altezza. L’impianto era ornato con opere d’arte realizzate con materiali effimeri ma per lo più dorate. Di fronte a questa impressionante struttura fu radunato tutto l’esercito, le prefiche intonarono il lamento funebre e la costruzione fu data alle fiamme. Alla morte di Alessandro, avvenuta in giovane età, fu evidente che i suoi successori non possedevano il suo carisma. Tolomeo, il satrapo insediato da Alessandro in Egitto, riuscì a impadronirsi della sua salma e la fece traslare da Babilonia fino a Menfi e in seguito fino ad Alessandria: lo sfarzoso carro allestito per la traslazione fu caricato di simboli ed emblemi della potenza vittoriosa, tra cui quattro dipinti che ritraevano Alessandro nelle vesti di condottiero. Durante la traslazione tale opera fu fatta sostare in diverse città. Un’altra grandiosa processione fu organizzata da Tolomeo II tra il 280 e il 275 a.C. ad Alessandria in onore del pantheon divino, che fu corredato di opere d’arte (quali immagini degli dèi, ritratti di Alessandro e i l padre, personificazioni delle città greche). Si vollero estremamente impressionanti anche i monumenti di genere tradizionale: uno dei monarchi che succedettero ad Alessandro, come espressione della sua venerazione verso quest’ultimo, commissionò un dipinto di una battaglia di Alessandro (cfr. Tav. X). L’opera presenta un fitto groviglio di guerrieri ma contiene anche forti significati ideologici: da una parte c’è Alessandro che carica alla testa della sua cavalleria, armato esattamente come gli altri in modo da apparire il primus inter pares, mentre il re persiano Dario è raffigurato come un monarca solitario sul suo carro, in atteggiamento di conforto e alto sopra i suoi sudditi. Le fitte sovrapposizioni creano una profondità suggestiva (come per lo schieramento delle lance puntate sullo sfondo). Drammaticità ed evidenza sono le nuove qualità dell’arte ellenistica. Nelle capitali dei regni ellenistici furono eretti monumenti con lo scopo di offrire immagini di identità collettiva alle popolazioni eterogenee. La cosiddetta “Tyche di Antiochia” (cfr. immagine p.122) è la personificazione della capitale del regno dei Seleucidi e si rivolgeva sia agli Orientali che ai Greci. La città è rappresentata come una donna seduta elegantemente su una rupe (che sta per il monte Silpios) con un piede poggiato sulla personificazione del dio del fiume Oronte. La Tyche rappresenta allegoricamente la situazione geografica delle città, e le spighe che regge in mano promettono il benessere della popolazione. A Pergamo i sovrani locali si vollero rappresentare come eredi di Atene e pionieri della cultura greca. Realizzarono dunque dei monumenti che celebravano sia le vittorie sui Celti (venuti dai Balcani) che gli eventi su cui si fondava il potere monarchico. È famoso il Galata suicida un monumento che rappresenta queste vittorie: un principe celta che, durante la fuga, ha ucciso la moglie e si appresta ora a suicidarsi conficcandosi la spada nel petto per sottrarsi alla cattura (cfr. immagine p.124). Il suicidio di quest’uomo appare in contrasto col ferito che, moribondo, è chino a terra. Dal momento che i Persiani erano stati ormai culturalmente integrati sin da Alessandro Magno, furono i Celti a rappresentare il nemico del mondo greco: sono rappresentati pieni di selvaggia energia, con corpi possenti, capelli e barbe incolti. Una rappresentazione mitica significativa è quella che troviamo sull’altare di Pergamo: il suo fregio rappresenta, nuovamente, gli dèi che combattono contro i Giganti (cfr. immagine p.125), ma ora il numero delle divinità rappresentate è accresciuto: - Zeus, Atena e altri dei di spicco sono presentati sul la parte frontale (orientale) dell’altare; 26 - le divinità della notte sul lato settentrionale; - quelle del giorno sul lato meridionale; - quelle del mare a occidente; I Giganti sono qui rappresentati con delle gambe serpentiformi e come esseri selvaggi, impersonano dunque una minaccia simile a quella costituita dai Celti. In un fregio minore è presente una sequenza temporale di scene, col mito di Telefo (eroe della città): questo è il primo esempio della rappresentazione “continua”, che raffigura una successione di eventi. Nei palazzi dei sovrani fiorì, inoltre, una ricca “arte di corte”: mentre mosaici e sculture erano comuni ai palazzi reali e a quelli del ceto superiore, unici qui erano i manufatti di metalli pregiati e pietre preziose. Un esempio è quello della Tazza Farnese presente alla corte dei Tolomei (cfr. Tav. XI). Si tratta di un piatto da libagione ricavato da un blocco di agata sardonica, in cui è inciso un rilievo a diversi colori. Le poche città autonome entrarono raramente in concorrenza con i monarchi. Una delle loro opere più impressionanti è la Nike (dea della vittoria) che la potenza navale di Rodi fece collocare dopo una vittoria della sua flotta nel santuario di Samotracia (cfr. immagine p.127). La dea si avventava su immaginari nemici dall’alta prua di una nave posta in un bacino d’acqua cosparso di rocce “naturali”. 3. Immagini degli dèi: maestosità e godimento della vita I sovrani dei regni ellenistici, a partire da Alessandro Magno, esercitarono un potere molto vicino a quello tradizionalmente attribuito agli dèi. Questo ebbe delle conseguenze anche nel campo delle rappresentazioni divine. Durante l’ellenismo le raffigurazioni divine esprimevano il loro potere con forte insistenza fisica. Le divinità maschili erano distinte in due tipi: - i poderosi dèi paterni; - i giovanili eroi divini; Alessandro Magno diede di sé l’immagine del giovane eroe, e per questo gli ideali di ragione, potere e premura tipicamente paterni dovettero essere trasfusi con particolare enfasi nelle immagini degli dèi. Zeus, per esempio, compare sull’altare di Pergamo come sovrano degli dèi, in una violenta esplosione di forza fisica ed intento a scagliare fulmini con movimenti possenti e muscoli gonfi (cfr. immagine p.125): il dinamismo della sua figura domina l’intero evento. Le rappresentazioni di altre divinità svilupparono il tipo del “padre” in diverse direzioni: Poseidone, re del mare indomito, assume quindi una nuova importanza. Una statuetta (cfr. immagine p.129) lo raffigura in una posa vigorosa, con i capelli scompigliati dal vento ed intento a domare le forze della natura con un gesto. Il bisogno di una divinità paterna è evidente in particolare ad Alessandria, capitale del regno tolemaico nell’Egitto dei faraoni. Qui, per favorire l’integrazione della popolazione greca nelle tradizioni locali fu introdotto come principali divinità Osiris-Apis con il nome grecizzato di Serapide. Questo fu rappresentato con barba e capelli fluenti, maestoso in trono e con lo scettro. Fra le divinità giovanili, invece, ebbe un ruolo di primo piano Dioniso, modello-simbolo dell’abbondanza e della crapula che i sovrani stessi praticavano pubblicamente. 27 6. L’ambiente come raffigurazione In epoca ellenistica l’arte figurativa acquisì una nuova dimensione in seguito al mutato rapporto con gli spazi in cui le opere venivano collocate. La Nike di Samotracia dimostra le possibilità della messa in scena delle opere d’arte in contesti paesaggistici. Il fenomeno ha però anche un aspetto contenutistico. Il genere ambientale La cosiddetta fanciulla di Anzio (cfr. immagine p.143) rappresenta una giovane inserviente di un luogo di culto: regge su un vassoio oggetti sacrali ed è raffigurata in modo non rappresentativo. La veste le è scivolata dalla spalla e ha una pesante mantella avvolta frettolosamente attorno ai fianchi, inoltre la testa è abbassata ed è concentrata sul vassoio. In confronto agli abiti raffinatamente drappeggiati e alle acconciature delle nobili sacerdotesse, è evidente che questa non è una persona di alto rango. L’opera deve essere stato un dono votivo per una divinità, però si discosta dalle concezioni tradizionali di questo genere scultoreo: i monumenti statuari precedenti avevano impersonato gli ideali e i valori dei donatori, oppure onorato determinate persone/gruppi sociali. Questa visione è sovvertita dalla fanciulla di Anzio: questa non presenta un modello, ma caratterizza il luogo in cui è collocata come ambiente sacrale. Un altro esempio di quest’arte “ambientale” (che deve essersi diffusa in epoca ellenistica) è quello che mostra dei contendenti di un pankration (lotta senza esclusione di colpi) avvinghiati a terra in un fitto groviglio: non si tratta di un omaggio ai lottatori, ma queste opere venivano probabilmente collocate in uno spazio deputato a tali competizioni al fine di conferirgli una caratterizzazione ambientale. Scioccante deve essere stato l’effetto di opere che ritraevano personaggi dei ceti sociali infimi: la cosiddetta Vecchia ubriaca (cfr. immagine p.145) propone infatti un’immagine di estrema decadenza fisica e rovina mentale. È rappresentata una donna in età avanzata accovacciata a terra e completamente ubriaca. Il suo abbigliamento (che fa capire che la donna ha vissuto momenti migliori) consiste in bei gioielli, un fazzoletto drappeggiato sui capelli, una veste fi stoffa abbondante. Si può immaginare che questa scultura fosse un dono votivo collocato in un santuario a Dioniso, dove in effetti erano accolte anche le persone più misere. Si tratta dunque di un personaggio di un “ambiente” sacrale in cui i frequentatori del santuario improvvisamente si imbattevano, come se ci poteva davvero essere un’anziana accasciata per terra durante una festa dionisiaca. Simili figure, appartenenti agli strati più poveri della popolazione sono pescatori, vecchi pastori e contadini (che portano alla festa un animale o qualche frutto) ecc.: tutte figure di un mondo sociale opposto a quello degli aristocratici. Mondi dionisiaci All’elevazione “ambientale” si provvedeva con l’esposizione di figure di carattere mitico: un santuario in campagna nei pressi della città di Rodi, per esempio, aveva nelle sue grotte scavate nella roccia una serie di nicchie in cui dovevano essere esposte statuette che richiamavano un mondo figurativo idillico. Rientra in questa categoria il cosiddetto Fauno Barberini (cfr. immagine p.147), un satiro che, ubriaco, si è sdraiato scompostamente su una roccia. Questa scultura, anche per la rupe che costituisce il sedile del fauno, si adatta bene a un ambiente naturale. 30 Collocazioni analoghe si possono immaginare per diversi gruppi scultorei che ritraggono personaggi dediti a piaceri sensuali: satiri danzanti, ninfe in atteggiamenti provocanti e così via. 7. Abitazioni: la scoperta della sfera privata Una svolta di grande portata che si impose in epoca ellenistica fu l’uso di arredare le abitazioni private con opere d’arte figurativa. Alla base dell’innovazione vi fu il nuovo valore attribuito alla sfera privata, scoperta come spazio culturale. Anche in tempi precedenti le abitazioni più nobili disponevano di un ricco corredo di utensili e recipienti decorati, ma nei decenni intorno al 400 a.C. si iniziò ad arredare la casa in quanto tale. In questo modo il concentrarsi dell’attenzione sulla vita pubblica fu compensato in misura crescente da nuove forme e spazi di vita privata. Nei pavimenti a mosaico, per esempio i motivi figurativi erano per lo più connessi con il carattere e la funzione delle sale dedicate al banchetto. In primo piano era il mondo di Dioniso, con il suo seguito di satiri, centauri e altre mitiche creature. Prese piede anche l’abitudine di decorare le case con sculture a tutto tondo, inizialmente di piccolo formato e in terracotta/bronzo, e poi sempre di più di maggiori dimensioni e in marmo. Spiccano le raffigurazioni di Afrodite, delle muse e di analoghe creature femminili che caratterizzavano la casa come regno dominato dalla donna. In periodo ellenistico divennero modelli della collocazione di opere d’arte le residenze reali. Nei palazzi di Pergamo, per esempio, sono stati rinvenuti mosaici con temi legati a Dioniso. Si sono inoltre conservate anche statue di marmo di danzatrici sontuosamente vestite e di una portatrice di un lussuoso recipiente. Tutte queste opere avevano un rapporto contenutistico con il luogo in cui erano collocate, per esempio creavano una cornice artificiosa per le feste della corte. La cultura figurativa si sviluppò maggiormente a Delo, dove, tra il II e il I secolo a.C., i mosaici entrarono nelle case private, le dimore furono ornate sempre più riccamente si sculture, le corti interne furono arredate per creare l’illusione di ambienti esterni “naturali” (con statuette di ninfette o di Artemide a caccia). Le opere d’arte figurative, dunque, divennero molto importanti nella valorizzazione delle abitazioni: conferivano protezione religiosa, sottolineavano lo status sociale, creavano un’atmosfera di gioia privata. 8. Linguaggio formale, concezione dell’uomo e condizione dell’artista Varietà di forme, realismo e immediatezza Il mondo figurato dell’ellenismo è caratterizzato per una più ampia varietà di temi, forme e modelli culturali: divinità, esseri umani, mito, presente storico, uomini politici, comuni cittadini, rappresentati dei ceti inferiori. Tutte queste categorie fino ad allora erano state simili l’una all’altra nella rappresentazione, mentre l’arte ellenistica diversificò tutte le figure e i temi intensificandone le caratteristiche peculiari. Alla diversificazione dei temi figurativi corrispose quella delle forme artistiche: corpi e teste degli dèi e sovrani sono ben diversi dal realismo impetuoso di pescatori degradati e donne ubriache. 31 Inoltre, si sviluppano tendenze stilistiche divergenti nei diversi centri culturali: ad Alessandria un realismo minuzioso, a Pergamo un “barocco” ricco di pathos, in Grecia una più accentuata fedeltà alle tradizioni classiche ecc. L’evidenza della realtà fisica ha un nuovo ruolo centrale: gli scultori vogliono conseguire un effetto di immediatezza e spontaneità (la Venere prima del bagno o la Vecchia ubriaca entrano in interazione diretta con l’osservatore). A ciò si unì un nuovo rapporto delle figure con il loro ambiente e in generale con lo spazio: - i ritratti di Alessandro Magno e dei sovrani si volgono con lo sguardo verso un punto lontano; - gruppi come quello del Galata suicida e figure come il Fausto Barberini si protendono liberamente nello spazio; - la Nike di Samotracia, il gruppo di Marsia e dello scita e altri furono inscenati in contesti paesaggistici; - figure come la fanciulla di Anzio o i gruppi dei lottatori venivano disposti per caratterizzare “ambientalmente” gli interni in cui erano collocati; Anche l’osservatore è coinvolto in modo nuovo in questo spazio: scultura e spettatore si muovono nello stesso spazio. Anche nella pittura, si sviluppa l’uso dell’ombreggiatura per la modellazione dei corpi: il dipinto è rapportato all’occhio dell’osservatore creando un effetto di evidenza. Il corpo ora non è più inteso come un sistema ordinato di parti e movimenti, ma è rappresentato come veicolo di attività ed energia grazie allo sviluppo della muscolatura. Tanto quest’arte mira a produrre una percezione “spontanea” della “realtà” da parte di chi osserva, quanto sono raffinati i mezzi con cui consegue questi effetti: gli effetti figurativi più naturali erano infatti il risultato di imprese artistiche estremamente “artificiali”. Il ritorno al “classico” Nel corso del tardo ellenismo (a partire dalla prima metà del II secolo a.C.) si delinearono in diverse regioni del mondo greco tendenze controcorrente che mirarono a discostarsi dal realismo patetico: specialmente nei ritratti di sovrani e cittadini si registra un’inversione di tendenza, che risponde a un cambiamento dei modelli di comportamento (passaggio dall’attivismo dinamico all’integrazione calibrata nella collettività). Soprattutto per la raffigurazione degli dèi ci si rivolse spesso ai modelli “classici” del V e IV secolo a.C. Famoso fu lo scrittore Damofonte, che creò per le città del Peloponneso, perché fossero collocate nei templi, colossali statue cultuali di divinità dalla “classica” postura autoritaria. Questo ritorno al passato fu innescato da un fenomeno preciso: le forze locali riacquistarono influenza crescente rispetto alla dominazione greca, inoltre si affaccia aggressivamente nell’area greca un’altra potenza, Roma. I centri della cultura ellenica, dunque, sentirono la necessità di tornare ai fondamenti delle loro tradizioni al fine di rafforzare la loro identità. Contemporaneamente, i sovrani cominciarono a collezionare opere d’arte famose. Tolomeo I, per esempio, fece portare ad Alessandria dei dipinti da Tebe (dove c’era una rinomata scuola pittorica) per adornare la nuova capitale. Oppure, nel II secolo i sovrani di Pergamo radunarono sculture prelevate dai territori greci da loro controllati, che testimoniano il grande potere politico e militare di coloro che le collezionarono. Fin dal II secolo si cominciò a copiare, con maggiore o minore precisione, le statue classiche. Ebbe così quella diffusa attività di riproduzione grazie alla quale possiamo oggi farci un’idea della maggior parte dell’arte figurativa greca. 32
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