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L'attivismo pedagogico e la visione di John Dewey sull'educazione, Appunti di Pedagogia

L'avvento dell'attivismo pedagogico nel Novecento e la visione di John Dewey sull'educazione. Si parla del valore dato all'esperienza, del learning by doing, della necessità di legare tra loro scienze come la psicologia, la sociologia e quella dell’educazione. Si evidenzia il legame tra scuola e società e l'importanza della scuola come esperienza della società. Il documento si conclude con la visione di Dewey sulla democrazia ed educazione.

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 20/07/2022

Valeriadellarocca1
Valeriadellarocca1 🇮🇹

5

(3)

44 documenti

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Scarica L'attivismo pedagogico e la visione di John Dewey sull'educazione e più Appunti in PDF di Pedagogia solo su Docsity! L’educazione è sempre stata un punto cardine di ogni società, poiché base di partenza per la formazione degli individui che formeranno la stessa. Purtroppo però, questo concetto così semplice e affermato nei nostri giorni, non era preso in considerazione allo stesso modo nella scuola che continuava ad esserci fino alla fine del diciannovesimo secolo. L’avvento, però, di un movimento pedagogico definito attivismo, stravolse completamente la visione dell’istruzione in ogni sua più piccola parte. L’attivismo cominciò a diffondersi negli anni del Novecento e si fondava sull’idea del discende come protagonista del proprio processo educativo, dove l’esperienza rappresenta il fulcro dell’apprendimento. Questa concezione si lega molto ad un’altra professata quasi due secoli prima da uno dei più grandi filosofi del tempo, Jean-Jacques Rousseau, ovvero il Puerocentrismo, il bambino al centro di tutte le sue esperienze formatrici. Come si può notare uno degli aspetti rilevanti e, soprattutto, rivoluzionari è il grande valore dato all’esperienza, in forte contrasto con la logica della scuola tradizionale, rigida e nozionistica. Quest’ultima fu oggetto di critiche pesanti di ogni genere da parte di tutti gli attivisti pedagogici, a partire da Dewey per finire con Decroly. Se ne criticava i metodi utilizzati ritenuti troppo verbalistici e non sperimentali, i contenuti insegnati eccessivamente complessi e l’approccio che si aveva verso i bambini, completamente inadatto. Di quest’ultima questione se ne occuparono principalmente Édouard Claparède e Ovide Decroly, che misero fortemente in discussione la concezione che si aveva del bambino e delle sue capacità; mente John Dewey, filosofo, psicologo e pedagogista, concentrò le sue forze nel rivoluzionare la pedagogia in sé, sostenendola come scienza autonoma. In particolare, egli poneva in evidenza la necessità di legare tra loro scienze come la psicologia, la sociologia e quella dell’educazione, fornendo le rispettive motivazioni. La prima risultava fondamentale in quanto nell’attivismo pedagogico si parla di sviluppo di attitudini e capacità che fanno riferimento alla psicologia evolutiva e funzionalista, che si andava via via affermando. Metodi, esperienze e contenuti dei processi educativi devono essere rapportati alle capacità possedute nelle diverse fasce di età, che comportano peculiari caratteristiche, e all’aspetto cognitivo della mente del discente. In particolare, il filosofo afferma il principio del learning by doing, ovvero imparare facendo. La concezione strumentalista vedeva il pensiero come strumento dell’esperienza nella comprensione della realtà e risoluzione dei problemi, in quanto il bambino non apprende passivamente nozioni, ma le elabora attivamente poiché conoscere significa modificare la realtà con il pensiero e nessuna teoria può essere definita tale se non può essere efficacemente applicata. Aspetto più importante, poi, è il legame tra pedagogia e sociologia. Il tutto nasce anche dalle esperienze dello stesso Dewey. Egli nacque nel 1859 negli Stati Uniti d’America dove erano in corso tre rivoluzioni: quella intellettuale, con lo sviluppo della scienza; quella industriale, con l’avanzamento della tecnica; ed infine quella sociale, infatti gli Stai Uniti fu un delle prime democrazie al mondo. Dewey, inoltre, fu molto coinvolto nei cambiamenti sociali, arrivando ad essere una delle menti che risollevò l’America dopo il crollo della Borsa di Wall Street del ’29. Da tutto questo notò quanto un cittadino possa essere coinvolto e impegnato nella società di appartenenza e così nacque l’idea di una scuola funzionale al futuro cittadino che ogni bambino sarebbe diventato. Il pedagogista considera la scuola stessa un fatto sociale in quanto essa è vita, è un’istituzione sociale in cui gli individui sperimentano le prime condizioni di comunità, anche se in modo più ridotto. La scuola quindi non è semplicemente preparazione alla vita, ma lo è essa stessa. Proprio per questo i suoi contenuti non devono avere carattere dogmatico e fine a se stesso, i metodi non devono essere verbalistici e nozionistici, non deve esserci un carattere rigido e duro della scuola; ma ogni esperienza educativa deve essere posta in vista di ciò che diverrà il bambino, un componente di una società democratica. L’organizzazione scolastica deve riflettere la forma governativa in cui è posta, e in questo caso deve stimolare alla responsabilità, alla socializzazione e alla partecipazione all’interno di una comunità, affiancata da tutti quei contenuti che facciano riferimento a conoscenze, abitudini e tecniche di un patrimonio sia più ristretto, quindi della società propria del bambino, sia al patrimonio umano in generale che la civiltà umana ha prodotto nel suo sviluppo, funzionali alle esigenze di essa. Coerente con questa concezione Dewey ridà valore alla scienza e alla tecnica, che si stavano fortemente sviluppando durante i suoi anni di vita, creando un nuovo umanesimo del lavoro, importanti nelle società industriali. Nasce così l’idea di continuità tra scuola e società, l’una valida per l’altra. Su questa scia Dewey scrive nel 1916 una delle sue opere più importanti, ‘Democrazia ed educazione’. In essa riporta l’attenzione su questo legame, affermando che <<non può esserci scuola democratica se non in una società democratica, e viceversa, non può esserci società democratica senza una scuola democratica>>. Egli pensava alla scuola come esperienza della società ed era proprio lì che dovevano esserci le prime sperimentazioni e trasmissione dei valori democratici, spingendo nel ragazzo la nascita di sentimenti come la responsabilità verso gli alti, la volontà di partecipare nel miglioramento del proprio ambiente di vita, il rispetto verso il prossimo. La scuola è il maggior strumento di diffusione di essi grazie al potere che essa esercita sui bambini e alla possibilità che essa ha di far avvertire in prima persona questi valori. Essa dà quell’impostazione mentale necessaria alla difesa della democrazia e alla perpetuazione di essa, cercando il miglioramento continuo poiché nessuna società è perfetta. Né il capitalismo sfrenato che elimina qualsiasi forma di solidarietà privilegiando la competitività, né il socialismo che annulla l’individuo in nome della comunità di appartenenza, né la dittatura che soffoca qualunque forma di espressione. Dewey per tutta la sua vita cercò di migliorare l’istruzione e la scuola, nella speranza di essere d’aiuto alle future generazioni del mondo intero. Contemporaneamente ci furono tanti pedagogisti che si interessarono allo stesso modo, molti dettero vita alle così dette Scuole Nuove, tutte con l’idea comune dell’educazione legata a ciò che accadeva in un determinato Paese, con l’obiettivo di rendere capaci le nuove generazioni di integrarsi al meglio nella società e di diventare poi quelle persone che l’avrebbero migliorata a loro volta. Nacquero le scuole-convitto di C. Reddie e H. Badley, in Inghilterra, volti all’educazione di ragazzi provenienti da famiglie dell’alta borghesia, come fece a suo tempo John Locke. Molti sono gli esempi che potremmo analizzare, fino ad arrivare ad oggi, in una scuola che cerca di stare al passo con i cambiamenti che si sono sempre più velocizzati, in seguito ai fenomeni di globalizzazione. In particolare possiamo osservare una scuola del XXI
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