Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

L’EDUCAZIONE CIVICA LA DISCIPLINA NELLA SCUOLA ITALIANA, Tesine universitarie di Didattica Pedagogica

Tesina in didattica della storia

Tipologia: Tesine universitarie

2018/2019
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 16/12/2019

riccardo-perri
riccardo-perri 🇮🇹

4

(1)

3 documenti

1 / 6

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica L’EDUCAZIONE CIVICA LA DISCIPLINA NELLA SCUOLA ITALIANA e più Tesine universitarie in PDF di Didattica Pedagogica solo su Docsity! EDUCAZIONE CIVICA: DALLA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA NAZIONALE ALL’EDUCAZIONE ALLA MULTICULTURALITA’ L’EDUCAZIONE CIVICA: LA DISCIPLINA NELLA SCUOLA ITALIANA INTRODUZIONE L’educazione civica come disciplina di studio si affaccia nei curricola scolastici insieme alla nascita della scuola italiana. La sua evoluzione offre una chiave per comprendere l’evoluzione le trasformazioni della società italiana e del sistema politico; essa è, infatti, lo specchio della cultura civica del paese e, nel caso dell’Italia, il riflesso di una diffusa incertezza nel definire chi sia il “buon cittadino”. Da ciò risulta evidente che, delineando i mutamenti della disciplina nel corso del tempo, vengono al pettine una serie di “nodi” dell’educazione: innanzitutto come è cambiata, nel tempo, l’idea di cittadino e quali sono le nuove competenze del cittadino di oggi; inoltre, se la finalità dell’educazione civica è quella di formare un cittadino consapevole dei propri doveri e ottemperare ai propri diritti, appare evidente il forte nesso tra educazione e politica, rapporto, questo, che raramente ha un aspetto di equilibrio, ma spesso diventa “patologico”, con il prevalere di una parte sull’altra, con la convinzione che una parte sia predominante rispetto all’altra. L’educazione civica, in realtà, non è mai stata una disciplina di studio vera e propria ed è sempre stata accorpata ad ambiti disciplinari: alla storia e alla geografia in genere, anche nei curricoli delle scuole secondarie di secondo grado, come una disciplina non obbligatoria, affrontata a discrezione dell’insegnante. Il perché di questo atteggiamento è tutto nella sua storia. Essa si affaccia nel curricoli scolastici già con la legge Casati nel 1859, anche se non è una vera e propria disciplina ma una serie di insegnamenti e precetti di carattere morale inseriti nelle Letture, finalizzati a far nascere il sentimento di unità nazionale, ancora molto vago. In queste Letture si alternano pagine di storia (riguardanti in gran parte la dinastia dei Savoia) con riferimenti allo Statuto Sabaudo e ai diritti e doveri dei nuovi cittadini da esso previsti e di geografia, finalizzate alla conoscenza del nuovo Stato. La legge Coppino del 1877 lascia le cose sostanzialmente intatte, mentre è con i programmi Gabelli che l’ “istruzione civica”, presente nelle Istruzioni generali dei Programmi, ha l’obiettivo non solo di indicare i doveri dei cittadini, ma ha la finalità di abituarli ad ottemperare ai propri obblighi attraverso un’educazione morale e sociale: una “educazione civica” che deve partire dalla famiglia e poi allargarsi alla cerchia della comunità civile. È a partire, quindi, dal 1888, con i programmi di Aristide Gabelli (confluiti nel 1894 nei Programmi Baccelli), che la disciplina, intesa come formazione dello spirito nazionale, educazione morale, avviamento di un cultura civica in senso lato, viene inquadrata in una vera e propria materia che i maestri e i professori sono tenuti ad insegnare. Questo fino al periodo fascista, quando, con il Regio Decreto n. 2185 del 1923 viene cancellato l’insegnamento dei diritti e doveri del cittadino. Comincia in questi anni il periodo chiamato di “diseducazione civica” in Italia; tutti i gradi della scuola hanno il compito di riproporre e di rafforzare l’ideologia fascista, anche attraverso una serie di organizzazioni complesse per struttura e impostazione (come ad es. l’ONB?). L’immediato dopoguerra, invece, è caratterizzato dalla riorganizzazione della scuola ad opera di Carleton Washburne, al quale si deve una riscrittura dei programmi segnata da uno spirito fortemente democratico. In questo momento è necessario passare da una scuola che educa all’obbedienza e all’esaltazione dell’ideale fascista ad una scuola che, cercando di contenere e ridurre le sacche di analfabetismo createsi durante la guerra, formi cittadini consapevoli e responsabili. Negli anni successivi la disciplina tende semplicemente a “sopravvivere”, con poche indicazioni pratiche, generiche e retoriche (i programmi Ermini parlano di “formazione del carattere, domino di sé, norme morali del vivere civile” e spingono l’insegnante a lavorare per gruppi, alla collaborazione, ad esaltare l’esperienza di vita diretta dell’alunno. Finalmente, nel 1958, con l’emanazione dei Programmi per l’insegnamento dell’educazione civica negli Istituti e Scuole di istruzione secondaria e artistica (D.P.R. 15 giugno 1958, n. 585) a cura del Ministro dell’Istruzione Aldo Moro, l’educazione civica acquisisce la dignità di una vera e propria disciplina, alla quale vengono affidate due ore mensili a cura dell’insegnante di storia: “la scuola a buon diritto si pone come coscienza dei valori spirituali da trasmettere e da promuovere, tra i quali acquistano rilievo quelli sociali, che essa deve accogliere nel suo dominio culturale e critico”. Ma è lo stesso Moro ad affermare che i Programmi non sono più che “un’ossatura” e, purtroppo, la materia manterrà per molto tempo un profilo poco definito e sempre scarsamente autonomo rispetto alla storia. MODULO: DA PLEBE A POPOLO MULTICULTURALE: I VALORI FONDANTI DELLA SCUOLA POSTUNITARIA E DI QUELLA CONTEMPORANEA. INTRODUZIONE AI CONTENUTI DEL MODULO I VALORI DELL’ITALIA UNITA A SCUOLA.. 150 ANNI DOPO! ( è da specificare che la priorità scolastica nello stato appena formato era l’alfabetizzazione. Solo a livelli più alti ci si pone il problema dei valori da impartire alle nuove generazioni). Questi valori sono: 1. IL LAVORISMO. Si forma una sorta di nuova ideologia del lavoro, che legittima e regola l’ascesa sociale. La mobilità sociale viene considerata il meccanismo che spiega l’origine della ricchezza e della povertà: chi è più in basso nella scala viene colpevolizzato o spinto a credere nella possibilità di risollevarsi. La povertà, soprattutto dal mondo cattolico, è considerata una fonte di tentazione e terreno fertile per i vizi, mentre l’agiatezza permette di mantenersi ben più saldamente e comodamente sulla via della virtù. Eco di una morale vagamente protestante. 2. LA CARITA’. I libri educativi della prima metà dell’800 danno una catalogazione dei doveri vicendevoli dei ricchi e dei poveri (Troya, Bencivenni). Molto importante è il concetto di equilibrio della persona, che si evidenzia nell’accettazione serena e nel rispetto del suo stato sociale  forte rimando a De Amicis e al suo Libro Cuore, che esalta la conciliazione tra classi e un nuova ondata di “casi pietosi”. Beneficenza laica, slancio affettivo. Il criterio dell’elemosina e dell’aiuto è che si fa solo a chi non è in grado di lavorare. 3. FARSI DA Sé, MERITARSI LA VITA. Il modello del “farsi da sé si impone gradualmente. L’impegno educativo era la convinzione di “camminare con la storia”, di sforzarsi, la società tutta, a cambiare il volto delle masse. Il buon lavoratore è onorato per il proprio lavoro dal proprio sudore e ne trae gioia perché non è ozioso! Un lavoro che non contenga il “saper fare” equivale all’ozio. Anche lo scegliersi uno stato, l’impegnarsi a diventare qualcuno più su nella scala sociale è un valore importante: i mestieri e le professioni non sono tutti uguali. Collodi, ad es., attacca l’ “impiegomania” di Lesiona: “fare il signore non si può, perché tutti devono lavorare, quanto a divenire avvocato, ce ne sono troppi, di medici ce ne sono abbastanza, per fare il pittore occorre una fortissima vocazione, mentre campo quasi vergine è quello delle arti meccaniche, dell’industria e del commercio, dove i ragazzi potrebbero fare la loro fortuna. Viene portato come esempio classico il piccolo commerciante che risparmia soldi senza concedersi svaghi né lussi ma lavorando duramente e si distingue dalla plebe oziosa e improduttiva. Il modello ideale è quello della “condizione mezzana”: l’operosità è posta sotto l’insegna della disciplina. In Cuore viene riconosciuta la pari dignità dei mestieri e viene tributata gratitudine anche a quelli più umili (si parla di “rotelline bel oleate che fanno ognuna la propria parte con docile e collaborativi obbedienza”). 4. LE BUONE MANIERE. Occorreva fare in modo che i poveri imparassero a cancellare gli aspetti più sgradevoli della loro presenza, ad attutire gli effetti della loro rozzezza. C’era stata, nel corso dell’800 una generazione di intellettuali
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved