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Educatore e interventi individualizzati: affiancamento e sospetto maltrattamento - Prof. L, Appunti di Didattica Pedagogica

Sulla natura intenzionale dell'intervento educativo e la necessità di adottare posture pratico-operative, relazionali e comunicative. L'educatore nell'ambito scolastico assume un ruolo importante in fornire supporto individualizzato, promuovendo contesti inclusivi e intervenendo in situazioni di disagio. Il concetto di affiancamento educativo individualizzato e il ruolo dell'educatore in relazione ai servizi socioeducativi. Viene inoltre discusso il rischio di rimanere invischiato nei giochi relazionali del sistema-scuola e il mandato dell'educatore professionale. Inoltre, il documento tratta il tema del maltrattamento e abuso ai minori e la necessità di una collaborazione tra educatori e genitori per affrontare questi problemi.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 04/04/2024

SofiaMachado
SofiaMachado 🇮🇹

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Scarica Educatore e interventi individualizzati: affiancamento e sospetto maltrattamento - Prof. L e più Appunti in PDF di Didattica Pedagogica solo su Docsity! L’educazione difficile la didattica nei contesti socioculturali e assistenziali INTRODUZIONE Un apprendimento sulla natura e le caratteristiche dell’azione didattico- formativa dell’educatore. La logica assunta è quella di contribuire a una definizione dell’azione didattico-educativa in termini sempre più congruenti rispetto alle sfide poste dalla differenziazione dei contesti entro i quali l’educatore opera e dalla specificità dei problemi. Ciò che l’educatore fa quando crea e gestisce situazioni che ritiene possano suscitare cambiamenti che pongano loro in condizione di affrontare le difficoltà e le sfide della vita. Gli aspetti: 1) l’azione didattico-educativa come mediale o insieme di processi mediatori Si tratta di considerare l’azione didattico-educativa come quell’insieme di scelte e di azioni che un educatore o un’equipe di educatori mettono in atto per ricercare, allestire, organizzare e proporre esperienze che si ritengano atte a promuovere lo sviluppo, l’attivazione e il recupero delle risorse personali del soggetto educando in direzione della progressiva conquista dell’autonomia. Si può precisare che l’azione è considerata mediale in quanto si colloca tra un soggetto o un gruppo di soggetti in apprendimento/formazione e uno o più oggetti educativi, che in qualche modo rappresentano aspetti della realtà ed esperienze di vita che occorre imparare ad affrontare. L’azione si esplica essenzialmente nella realizzazione di mediatori, costruzione e gestione di condizioni che si ritengono adatte a promuovere cambiamenti considerati educativamente auspicabili da parte del soggetto in formazione. L’azione didattica come mediale è riferita non soltanto dal carattere costruito delle attività che si propongono a scopo educativo, ma anche nell’apertura di spazi rielaborativi che permettano al soggetto di compiere in sicurezza esperienze ritenute potenzialmente utili per la crescita. Il compito fondamentale che spetta all’educatore è quello di mettere in atto azioni volte a favorire e a sostenere il processo di continuo rimando tra l’esperienza e la sua elaborazione che è alla base dell’educazione. “esperienza dell’esperienza” 2) un’articolazione dei processi di mediazione che sono costitutivi dell’azione didattica secondo una dimensione proattiva, attiva e post attiva Dimensione proattiva: ciò che si fa per rendere possibile e per preparare l’azione didattico-educativa. La natura intenzionale di qualsiasi azione e la tensione alla razionalizzazione degli interventi implicano l’assunzione di parte dell’educatore di posture pratico-operative, relazionali e comunicativa, di sforzi per reperire risorse, per prefigurare setting, situazioni ed esperienze. Attiva: ciò che concretamente l’educatore fa. L’azione educativa nel suo dispiegarsi risente dell’intenzionalità che ne è alla base, ma difficilmente corrisponde pienamente a essa, a causa di una molteplicità complessa di elementi che intervengono e che finiscono con il trasformare qualsiasi previsione o piano, generando processi inediti. Le operazioni di ordine attivo sono una delle dimensioni meno studiate, ma con esse si esprime in gran parte la professionalità dell’educatore. Post-attiva: tutte quelle azioni che consentono all’educatore di mettere in prospettiva il processo attivato, le scelte operate, l’intenzionalità, per ricavarne elementi utili al rilancio continuo dell’azione. 3) una qualificazione che considera profondamente integrate la dimensione didattica e quella educativa Nella distinzione sembra di poter dire che l’azione didattica implichi un focus sui contesti scolastici e sulla proposta di contenuti la cui valenza culturale rinvii generalmente ai saperi disciplinari., mentre l’azione educativa tende a essere riferita alla sfera più ampia della formazione personale. Tuttavia, qualsiasi azione extrascolastica si configura come un “educare a” come l’offerta di un contenuto che è ritenuto da privilegiare in quanto rinvia a un patrimonio condiviso socialmente, cui viene riconosciuto il valore potenzialmente formativo, di risposta alle esigenze e possibilità di crescita. Un aspetto da evidenziare riguarda l’assunto secondo il quale l’azione didattico-educativa di fatto, per essere conosciuta e compresa, deve essere avvicinata tenendo conto della sua natura complessa, fatta di elementi e processi che variano in relazione ai contesti. 2 La via di uscita può essere accogliere la domanda di supporto manifestata dagli insegnanti valorizzandola per quello che è: si tratta di partire proprio da quella richiesta di collaborazione per costruire regole condivise di cooperazione e per stabilire alleanze educative. L’educatore così facendo aiuta a intravedere nuove possibili strade comunicative e cooperative, la posizione assunta dagli attori, la dimensione strategia, le diverse prospettive di significato sottese. Cercare di muoversi secondo una logica collaborativa, sforzandosi di riconfermare costantemente l’alleanza educativa stabilita con gli insegnanti, comporta per l’educatore tenere in considerazione la possibilità che si verifichino dinamiche più o meno oppositive ed essere comunque disposto a ridefinire il proprio lavoro, a ricontrattare continuamente. Co-costruire il senso dell’intervento L’educatore deve tenere conto che il tipo di richiesta che gli insegnanti avanzano rappresenta per lui una sorta di chiave di accesso utile a comprendere la posizione assunta dai vari componenti del sistema-classe, in rapporto al disagio manifestato dal minore. Si tratta di un elemento che gli consente di ricontrattare l’orizzonte di senso del proprio intervento. Individuare le posizioni dei diversi soggetti in relazione e i significati da essi attributi alle manifestazioni di disagio del bambino può richiamare il tentativo di un terapeuta di comprendere il gioco di un nucleo familiare. La questione è: come può l’educatore, a partire dalla lettura della richiesta di aiuto degli insegnanti, costruire con essi un orizzonte di senso condiviso per sviluppare il proprio intervento L’educatore nella costruzione dell’intervento interpreta e traduce il proprio mandato alla luce della situazione, allo scopo di agire all’interno di un comune orizzonte di senso, elemento che considera necessario per l’efficacia stessa delle strategie da mettere in campo. Stare in classe Che cosa fa concretamente: l’educatore per gli alunni è non solo un estraneo, ma anche una figura anomala. Qualunque educatore si appresti ad avviare il proprio intervento deve prepararsi a rispondere agli interrogativi che sono esplicitati dai bambini, ma anche implicitamente possono porsi anche gli insegnanti. Serve a costruire legame di senso educatore, bambini e insegnanti. Un impegno è trovare il proprio posto in classe, riuscire a inserirsi nel contesto anche dal punto di vista fisico. È essenziale per darsi una riconoscibilità. 5 L’educatore interagisce con tutti gli alunni, ma in particolare con il minore o i minori che mostrano disagio, per portarli ad affrontare domande circa il loro impegno, le loro difficoltà, il loro rapporto con gli altri all’interno della classe; si sofferma quando emergono conflitti tra compagni; contiene il bambino affrontando con lui le motivazioni del rifiuto; interviene affinché il minore riconosca le regole generali del contesto scolastico e quelle specifiche. L’educatore pur non avendo un mandato specifico sulla didattica, è consapevole del fatto che essa costituisce la dimensione fondamentale che legittima l’incontro di tutti gli attori in quel luogo. L’educatore manipola a scopo comunicativo, per far arrivare messaggi mirati, le situazioni e il clima relazionale che si vengono a creare e per questo valorizza sia il linguaggio verbale sia quello del corpo e degli oggetti; un elemento ricorrente è la possibilità di intervenire all’interno della classe quando vuole creare una situazione più protetta per il bambino con il quale intende lavorare. NODI CRITICI - Sul piano della relazione tra scuola e sistema dei servizi socioeducativi il fatto che la figura professionale dell’educatore sia da ascriversi a quest’ultimo può presentare insidie: può essere percepito come un intruso. - Il rischio dell’educatore di rimanere invischiato nei giochi relazionali del sistema-scuola o in quelli del rapporto non sempre facile tra scuola e servizi La richiesta di intervento rischia di diventare la copertura per un’implicita domanda valutativa e la risposta da parte dell’operatore di restare schiacciata dal conflitto tra i due sistemi. - i problemi più rilevanti sono connessi alla costruzione di un setting educativo che non è definito da coordinate spazio-temporali specifiche l’educatore deve riuscire a ritagliarsi uno spazio simbolico all’interno di un ambiente fisico e relazionale particolarmente strutturato come la scuola, un ambiente che rappresenta il contesto formativo per antonomasia. L’educatore entra come ospite all’interno di un luogo che vede come padroni di casa e protagonisti altri educatori con i quali si trova costantemente a dover interagire e ridefinire le reciproche differenze di ruolo, le specifiche funzioni e confini di azione. - i rapporti con le famiglie 6 2- L’EDUCATORE IN STRADA L’INTERVENTO CON I GRUPPI INFORMALI DI ADOLESCENTI Uno scenario complesso I compiti dell’educatore che si trova ad agire in strada. Servizi e progetti educativi che assumono generalmente un mandato preventivo-promozionale rivolgendosi a gruppi informali, spontanei, naturali, di adolescenti. Si tratta di un ampio panorama di esperienze che hanno presso l’avvio in Italia a partire dagli anni ’80 in ambiti dell’HIV e della tossicodipendenza. La denominazione “educativa di strada” denota la specificità di esperienze nelle quali risulta dichiarata la presenza di figure educative professionali, permettendo così una differenziazione dal più ampio ed eterogeneo campo di azione sociale centrato sul lavoro di strada. L’educativa di strada è un servizio che si propone di migliorare la qualità dell’aggregazione spontanea dei gruppi di adolescenti presenti in un determinato territorio, rilevandone bisogni, interessi, richieste e allestendo percorsi finalizzati a promuovere lo sviluppo delle abilità sociali dei ragazzi. Tale approccio intende offrire una rete di supporto, fornendo opportunità di ascolto e di eventuale accompagnamento ai servizi del territorio in grado di trattare un bisogno specifico. Per questo motivo, l’equipe di un’educativa di strada si trova a collaborare con un’ampia rete di servizi sociali, educativi e sociosanitari e riserva una particolare attenzione alla comunità locale e alle sue risorse formali e informali. Si tratta di un servizio che chiede all’educatore un alto tasso di flessibilità, chiamandolo a operare senza rete, direttamente in strada, e sollecitandolo alla cura e allo sviluppo di connessioni con le reti sociali esistenti in un territorio. La prevenzione come sostegno alla crescita A partire dagli anni ’90 il lavoro di strada si è affermato come una delle modalità di intervento privilegiate nell’ambito die progetti di prevenzione del disagio giovanile. Tale successo può essere ricondotto anche alla supposta crisi di efficacia di altre iniziative in campo preventivo. L’educativa di strada si è affermata nel segno di un accostamento tra l’adolescenza considerata l’età del rischio e l’esigenza di un approccio di carattere preventivo. Il lavoro di strada ha contribuito a emancipare gli interventi educativi indirizzati in senso preventivo rivolti agli adolescenti. 7 Caratteristiche dell’aggregazione informale: instabilità, intermittenza, mobilità. In definitiva, gli spazi dell’aggregazione informale, sorta di palcoscenico ideale per rappresentare le condizioni adolescenziali ma anche per comprenderla e alimentarne direzioni costruttive di sviluppo, si rivelano ambigui, di non immediata individuazione e accesso. Sono spazi apparentemente aperti, ma che possono diventare chiusi, delimitati, caratterizzati da un sistema di presidio quando lo “straniero” si propone di valicare i confini. Mettono in scena una condizione liminare che prepara a un rito di passaggio che la società adulta non prevede più, consegnando al gruppo stesso la responsabilità di provvedere ad allestire in proprio una messa alla prova iniziatica. Caratterizzati da apparente visibilità, ma sostanziale invisibilità. Per l’educatore di strada, il processo di individuazione dei possibili destinatari del proprio intervento è reso ancora più complesso dal TEMPO. Sono scanditi dall’alternarsi di occasionalità e ricorsività. L’aggregazione è informale proprio perché non ha una temporalità definita e soprattutto eterodiretta. Nessuno impone e dichiara gli orari. Una costante incertezza per l’educatore su possibilità di intercettare i gruppi. Essa sembra poi essere connotata dalla dinamica ricorsività/attesa: gesti che si ripetono, rituali che ricorrono con esattezza, il tempo dell’incontro come sospensione, scandito dalle stesse cose che accadono tutti i giorni. Una condizione di noia, tratto tipico della socialità die gruppi di adolescenti. Quello del gruppo è un tempo che non passa più, nella costante ricerca di un senso che non si trova, in cui lo stare prende completamente il sopravvento sull’agire e l’unico scopo di un’attività diventa il passatempo, la condizione risulta una combinazione di noia, consumo, fatalismo, passività e oppositività. La strada come setting L’educatore all’inizio opera per conoscere le modalità dell’aggregazione informale attraverso una mappatura dei gruppi, delle loro modalità di fruizione del territorio, dei loro rituali e delle loro pratiche di socializzazione. La mappatura svolge una vera e propria funzione conoscitiva che consente di ottenere una rappresentazione essenziale per costruire relazioni e interventi. - indiretta : farsi un’idea sui gruppi raccogliendo vissuti, sguardi e immaginari da quegli adulti che incontrano i ragazzi e talvolta si scontrano: occorre essere consapevoli che quelle che vengono restituite non sono rappresentazioni 10 neutre, ma utile considerare , possono incidere sull’autocomprensione - diretta: attraverso un’osservazione non partecipata, alla ricerca di conferme e scarti rispetto al quadro fornito dai testimoni - relazionale: i primi contatti con i gruppi, perseguendo ed esplicitando l’intenzione conoscitiva. Il contatto implica l’ingresso dell’educatore all’interno degli spazi del gruppo e costituisce un primo momento di verifica dei confini e delle caratteristiche del contesto. Si tratta di un’entrata da compiersi in punta di piedi, consapevoli dell’intrusione che si agisce, ma anche del forte mandato. Si verifica un gioco tra le parti: da una parte l’operatore inquadra il gruppo sotto la luce del setting educativo mentale, influenzato dai saperi, esperienze e rappresentazioni; dall’altra parte il gruppo con le maschere con cui scelgono di confrontarsi con l’operatore. Si creano le condizioni per introdurre quella componente dimostrativa, artificiosa e finzionale. è la semplice presenza dell’educatore che consente la trasformazione dello spazio/tempo di aggregazione, soprattutto se mantiene la posizione di alterità. La disponibilità relazione da parte del gruppo comporta però la ricerca di cooptazione dell’adulto in ruolo di complice o di spettatore delle condotte trasgressive. La provocazione è una modalità ricorrente di comunicazione. Ed è qui che si gioca la possibilità di trasformare l’incontro in uno spazio di elaborazione. L’educatore può accogliere il desiderio e il bisogno di trattare questioni che spesso vengono comunicate dall’adolescente con le modalità iperboliche e oblique della sfida, si apre la possibilità di infrangere tabù. Tutto ciò che solitamente allontana l’adulto o che si compie lontano diventa terreno di confronto, racconto e rielaborazione, in un contesto dove l’esperienza concreta diviene esperienza raccontata, rivissuta, nominata. L’educatore di strada non accetta passivamente le azioni provocatorie ma offre una disponibilità al dialogo, introducendo la parola, restituisce sensazioni e significati, sollecita i ragazzi a esprimere emozioni e il senso dei loro comportamenti. Assume un atteggiamento non giudicante e cerca di agire sempre per stabilire una relazione. L’incontro può diventare uno spazio istituente temporaneo: è uno spazio di negoziazione costante che viene costruito di volta in volta a partire da proposte e iniziative dei ragazzi. Tutto si muove su un asse temporale della transitorietà e della provvisorietà: la presenza dell’educatore si propone di 11 aprire una parentesi, sospendere il flusso del tempo del gruppo per attivare un momento altro. Nella gestione dei tempi si esige dall’educatore flessibilità per individuare le occasioni giuste per trovare il gruppo e poterlo incontrare, ma anche per cogliere le effettive possibilità di interazione e la disponibilità al dialogo. è utile fissare momenti precisi dando un appuntamento da associare alla proposta di esperienze. Indubbiamente, si tratta di tempi brevi e occasionali che assegnano i connotati tipici di una relazione a legame debole, ma deve essere caratterizzata da una con temporalità differente e differenziata. L’efficacia di un intervento educativo in strada è determinata dalla capacità di stabilire un legame, quindi dal sapere comunicare riconoscimento, attenzione, fiducia, ma anche dalla natura stessa si quel legame, che deve essere caratterizzato dalla mancanza di vincoli stringenti. La difficoltà per l’educatore è riconoscere il valore di questa debolezza, ammettere la possibilità di diventare una figura significativa, ma allo stesso tempo trascurabile, incisiva anche se occasionale, in definitiva, di accettare la natura lasca della relazione senza volerla trasformare. Educare a stare in strada Un altro aspetto che può considerarsi costitutivo del lavoro di strada è dato dall’interrogarsi costantemente a proposito degli oggetti educativi in gioco, dal chiedersi a che cosa si sta cercando di formare il gruppo e i suoi componenti. In generale, si tratta di recuperare tutti i significati possibili prodotti dall’accostamento tra educazione e strada. Educare in strada richiama certamente approssimazione, l’immagine dell’accompagnamento, ma anche di rinascita e dilatare i propri orizzonti. Educare in strada significa educare allo stare in strada, in rapporto con la città, con i suoi limiti e le sue opportunità, con le sue regole e servizi. È in campo una sorta di pedagogia della cittadinanza che interroga le esperienze quotidiane e che le assume come testi, oggetti di elaborazione e di confronti, e che introduce al significato dei diritti e dei doveri civici. In tutti i sensi possibili, il rapporto col territorio, con l’ambiente, con i soggetti che ne sono protagonisti diventa il campo privilegiato per costruire il lavoro formativo con i gruppi: è un terreno che può suscitare attività di osservazione, di ascolto, di narrazione, di progettazioni partecipate; è l’ambito nel quale può emergere l’esigenza di affrontare le questioni della legalità e della 12 3- L’EDUCATORE NEI CENTRI DI AGGREGAZIONE GIOVANILE I CAG come luoghi educativi I centri di aggregazione giovanile rappresentano un tipo di agenzia educativa che ha ormai una significativa diffusione sul territorio nazionale, nonostante siano stati riconosciuti a livello legislativo solamente dalla regione Lombardia e più recentemente dalla regione marche. I centri di aggregazione giovanile sono definibili come un’offerta formativa extrascolastica nell’area dell’aggregazione e del tempo libero, rivolta alla generalità degli adolescenti e preadolescenti. Il CAG ha faticato a lungo a essere percepito, ma anche percepirsi, quale luogo educativo. è nel corso degli anni ’90 che si assiste a una progressiva presa di consapevolezza della valenza e della specificità educativa dei CAG, sino ad allora spesso scambiati per luoghi di facile intrattenimento, da un alto, o di controllo sociale del disagio giovanile, dall’altro. Eppure, ancora oggi che nei CAG possiamo riscontrare sempre più educatori in possesso di esperienza professionale specifica, non è sempre immediata e riconoscibile la presenza dell’educatore, quantomeno se non si attende un lasso di tempo utile a cogliere le dinamiche di interazione in atto. A un primo sguardo, la scena che si presenta può evocare disorientamento. I nuovi modo di stare insieme nel tempo libero Nei CAG si insegnano nuovi linguaggi, si stimola la creatività, viene ampliato l’orizzonte di capacità tecniche ed espressive dei ragazzi. Rifacendosi alla parola aggregazione si può intuire il valore formativo che viene attribuito al gruppo dei pari. Le funzioni di contenimento affettivo e di sostegno alla crescita svolte dal gruppo di coetanei, in particolare in età adolescenziale, definendo il gruppo come zona franca tra la famiglia e la società più ampia in cui esercitarsi ad assumere quei compiti sociali specifici che si inscrivono nella struttura e nelle regole che il gruppo si da; come palestra per imparare a gestire il conflitto che il confronto con gli altri comporta. Si individua nell’offerta di esperienze da fare in gruppo la cifra connotativa comune alle molteplici attività che vengono proposte in un CAG. 15 Il valore formativo aggiuntivo: Il CAG orienta e tematizza attorno a una intenzionalità che caratterizza quel contesto, quel servizio, differenziandolo da altri e permette di definire l’ambito di interpretazioni possibili all’interno di esso. L’educatore partecipa all’esperienza in un cag, co-costruendola, attraverso l’interazione e lo fa aiutando a elaborarne il significato nell’azione. Grazie al lavoro dei significati, ci sarà l’elaborazione dello stare insieme e del tempo libero. È da questo specifico mandato che l’educatore in un CAG può spiegare il proprio particolare modo di accompagnare gli adolescenti nell’affrontare percorsi di crescita e personali compiti di sviluppo. Così l’educatore nel condividere e co-costruire l’esperienza quotidiana con i ragazzi e nell’interpretarla e rielaborarla costantemente insieme a loro, inizia a perturbare routine e abitudini scontate, rispecchia e restituisce ai singoli e ai gruppi immagini e ritratti di loro stessi e apre man mano nuove possibilità di stare insieme e di abitare il centro. Ciò che davvero conta è che rappresentino occasioni in cui sperimentare modalità di aggregazione e possibilità di vivere il proprio tempo libero portatrici di nuovi significati e stimolo alla crescita. Sta all’educatore generare un processo in cui gli elementi strutturali che caratterizzano il CAG come contesto formativo, intenzionalmente e razionalmente orientati, possano creare occasioni di esperienza significative per favorire e guidare l’apprendimento dei ragazzi in gruppo. L’educatore e i gruppi Il lavoro dell’educatore in un CAG si costruisce a partire dai bisogni specifici degli adolescenti. Ha a che fare con un lavoro promozionale con i gruppi, ha nel gruppo il suo ambito privilegiato di investimento e di lavoro. Il CAG si offre come una sponda di secondo livello, che moltiplica gli effetti di quel magico laboratorio sociale per il rispecchiamento, quella zona franca, della palestra per imparare a gestire il conflitto, facendo crescere i gruppi stessi che progressivamente disfano, si fondono, si interrogano: cambiano. Gli educatori oltre a riconoscere i linguaggi di ogni compagnia e a porsi come facilitatori della libera espressione delle iniziali proposte di aggregazione, restituiscono ai gruppi l’immagine che colgono dall’esterno, li interrogano sui specifici significati del loro modo di stare insieme, li coinvolgono nel fare nuove esperienze in cui possono sperimentare differenti modalità relazionali in grado 16 di modificare le stesse autorappresentazioni collettive, li accompagnano nelle non facili dinamiche di convivenza fra i vari e differenti gruppi. Nella coabitazione con altre e diverse compagnie si gioca una delle partite più interessanti in termini educativi. Essa provoca e promuove l’osservazione reciproca, il confronto e la contaminazione fra le differenti culture relazionali. I diversi gusti e obbliga a mediare interessi e linguaggio, a sperimentare il bisogno di darsi delle regole di utilizzo dello spazio per poter stare insieme. La discussione e la negoziazione delle norme di uso e di gestione dello spazio è un aspetto centrale. Infine, si possono generare nuove aggregazioni a partire da interessi trasversali Laboratori di cittadinanza A più riprese gli operatori del CAG hanno così definito questo servizio come un vero e proprio laboratorio di cittadinanza. Le esperienze che i ragazzi fanno all’interno possano di per sé rappresentare un trampolino di lancio per imparare a rappresentarsi che cosa possa significare essere soggetti attivi all’interno anche del proprio contesto di vita più allargato. Questa acquisizione di consapevolezza, ma anche l’appropriazione progressiva di specifiche conoscenze, l’approfondimento dei temi e dei problemi del vivere sociale vanno ulteriormente favoriti anche facendo del CAG un generatore di iniziative aperte al territorio. Ci si può proiettare all’esterno con messaggi e proposte che escano fuori dal centro. In genere, si tratta dell’allestimento di momenti di animazione e di socialità nel cuore del territorio, iniziative che vedono i ragazzi protagonisti; occasioni per far conoscere linguaggi e codici di una nuova generazione, per far cogliere alla comunità cittadina il senso delle proposte educative che caratterizzano un centro di aggregazione, per ridurre possibili ansie e preoccupazioni degli adulti che spesso si interrogano su ciò che accade in CAG. Le uscite all’esterno sono da valorizzare anche come momenti in cui gli adolescenti, facendo l’esperienza di diventare protagonisti nella vita del proprio quartiere, possono superare un certo diffuso senso di non poter far nulla per incidere sul mondo che sta là fuori, mondo che spesso pare loro immodificabile con i suoi problemi e le sue criticità. Vengono offerte occasioni per interrogarsi sul proprio rapporto con il territorio e su ciò che possono fare per trasformarlo, per costruire un senso di cittadinanza che non rimanga appannaggio dell’essere dentro ma sia orientato 17 geografia simbolica interna che offre punti di riferimento e occasioni di identificazione. La specificità del CAG è anche quella di offrire agli adolescenti la possibilità di allestire un ambiente in cui sentirsi accolti, riconoscersi e della cui trasformazione potersi considerare artefici e protagonisti. La dimensione del tempo La dimensione del tempo e le particolari richieste nella sua gestione costituiscono uno dei tratti che forse più caratterizzano il lavoro educativo in un CAG. Trai compiti dell’educatore c’è quello di promuovere diverse forme di testimonianza storica della vita del centro. Attraverso le sue continue trasformazioni, il CAG sedimenta memoria e racconta non una ma tante storie. Spesso, le riunioni sono occasioni che immettono nel tempo del progetto: è questo un tempo nel quale il reale viene subordinato alla possibile, in cui si mettono in gioco sogni e desideri, articolando un piano di azione. Un sapiente uso del tempo nell’organizzazione e nella scelta dell’attività da svolgere in un CAG permette di sollecitare capacità che vedono una potente maturazione proprio durante l’adolescenza e che sono da allenare per favorire quel processo di costruttiva proiezione nel futuro, di progressiva definizione del proprio progetto di vita, di costruzione dell’identità che fa parte dei personali compiti di sviluppo di ogni ragazzo. Un Cag costituisce una palestra in cui esercitare e acquisire competenze relazionali, ma anche abilità cognitive e progettuali, sollecitati dal confronto con altri punti di vista, dal conflitto, dalla sensazione che il gruppo permetta di superare il senso di impotenza spesso sperimentato nella solitudine. Progettare e realizzare nello spazio sociale si tratta di un’impresa collettiva Il passaggio dall’ideazione all’esecuzione chiede di valutare le risorse e i mezzi a disposizione, esige di mettersi d’accordo per prendere decisioni e scegliere cosa fare, richiede di distribuire incarichi e responsabilità, ma soprattutto implica l’esserci nel fare, il mantenere l’impegno, l’accettare la fatica di realizzare il progetto, il sapersi riconoscere, tollerare la frustrazione. L’educatore accompagna a questo processo, egli partecipa all’esigenza dei ragazzi, sostenendo la loro fatica e mostrando la propria, cerca di favorire l’elaborazione die vissuti, ma soprattutto valorizza le risorse dei singoli e dei gruppi; l’educatore infine stimola a rileggere l’esperienza, sottolineando i successi e sostenendo lo sviluppo del senso di autoefficacia, accogliendo gli 20 errori e aiutando ad analizzare gli imprevisti come tesoro da valorizzare in vista delle future occasioni; l’educatore insegna ai ragazzi a vivere il proprio tempo libero, a progettare e a costruire, a interrogarsi sul senso delle cose. Tuttavia, il tempo del CAG è anche un tempo a intensità variabile, non necessariamente saturato dalle attività, ma piuttosto caratterizzato da pienezza affettiva. Per insegnare ai ragazzi anche a liberare il tempo, a ritrovare spazi per la società, per l’incontro autentico, con gli altri e con se stessi. Il CAG prova a riportare il tempo nell’ordine di una quotidianità in cui investire significativamente il proprio tempo di crescita imparando a esserne artefici. L’educatore del CAG facilita così una costante oscillazione tra rarefazione e condensazione del tempo, in cui anche i momenti non strutturati rappresentano un’occasione di crescita. L’esperienza permette di imparare a perdere tempo, si ritrova anche il tempo per la relazione, per un ritorno su di se, per riacquisire un senso di pienezza nelle proprie esperienze. Si tratta di accogliere autenticamente gli adolescenti rispettandoli nella loro temporalità che spesso esigono spazi di autonomia, di scelta, ma anche di non scelta, che reclamano la possibilità di sentirsi liberi, almeno per un momento, dalle costanti richieste di finalizzazione che arrivano dal mondo adulto. Il lavoro con i corpi Un altro aspetto che connota come l’educatore sperimenti e costruisca le proprie strategie di interazione formativa è il lavoro con i copri. In un CAG è possibile affermare che formare è un affare corporeo. Il corpo che l’adolescente esibisce sulla scena del CAG si impone all’attenzione per i suoi perturbanti mutamenti, ma è anche un corpo estraneo. Si tratta di una prossimità non giudicante, che permette di sentirsi accolto per quello che si è, dimenticando la paura dello sguardo altrui. L’educatore si offre come decoder dei messaggi spesso incomprensibili e minacciosi che il nuovo corpo sessuato non smette di inviare. Tale continuità fra corpi adolescenti e adulti chiede agli educatori di tematizzare e fare i conti con la dimensione erotica e affettiva che la materialità dei corpi porta con sé, la dimensione inconscia della relazione educativa non va rimossa ma affrontata. La distanza che l’educatore sa mantenere, quando necessario e come, gli permette di fare da specchio, restituendo e valorizzando le loro originali 21 caratteristiche e capacità, ma anche sottoponendo al dubbio e alla critica i modelli ideali di corpo proposti dalla società che gli adolescenti tendono a fare propri o verso i quali si sentono attratti. È un’azione compita con delicatezza. L’educatore, mentre permette ai ragazzi di esibire i propri corpi sulla scena. Cerca di evitare il rischio di neutralizzare il corpo in un eccesso di visibilità. Offre all’adolescente la possibilità di prendere possesso di sé, di scontrarsi con i propri limiti, di elaborare la paura generata dal distanziamento dal corpo innocente dell’infanzia e dalla scoperta del nuovo corpo, sessuato, generativo e vulnerabile. Si tratta di riproporre alcuni riti scoparsi di iniziazione Inoltre, si può fare sperienza della prova e di una certa dose di rischio in un contesto finzionale e protetto che aiuta a prendere coscienza del proprio esserci fisicamente, con le risorse e i vincoli che il proprio corpo impone. NODI CRITICI - tra produttività esasperata e deriva spontaneistica si possono correre i rischi della produttività a tutti i costi, che può portare a una sorta di saturazione dello spazio-tempo nel segno del fare, l’incalzare continuo delle attività può sostituirsi alle occasioni per stare insieme dall’altro, la deriva spontaneistica può verificarsi quando ci si lascia disorientare dall’informalità dei momenti di libera aggregazione - il difficile equilibrio fra gruppo e singoli il movimento dal collettivo all’individuale, dal complessivo al particolare, non è sempre di facile gestione, è un delicato equilibrio - l’incontro con ragazzi e compagnie difficili quando incontra compagnie poco capaci di uno scambio costruttivo con il mondo esterno, formate spesso da ragazzi che segnalano un malessere che va oltre il disagio evolutivo, in generale, quando intreccia evidenti coaguli di dolore di angoscia, l’educatore nel CAG non può lavorare da solo, ma ha bisogno di aiuto e di costruire alleanze educative. 22 evolutivo della propria struttura personale, in relazione al contesto di immigrazione. La capacità di mobilitare risorse personali per rielaborare emozioni antitetiche e ambivalenti è una dimensione fondamentale nel processo educativo volto a sostenere lo sforzo di sperimentazione e ridefinizione del proprio Io-in-Italia. L’educatore lavora pertanto sull’asse della resinificazione della propria identità, ovvero alla gestione delle emozioni e degli affetti, spesso ambivalenti, legati alla scelta di emigrare e alla richiesta di adattamento nella cultura. Per emigrare da una situazione di instabilità economica e sociale, infatti, il minore abbandona sicurezze e identità che aveva costruito nel proprio paese e compie un salto nel buio; è necessario accompagnare il ragazzo affinché sperimenti una progressiva riduzione del disagio psicologico. In generale, il principale traguardo formativo che si pone l’educatore nel lavoro con i MSNA è quello dell’autonomia, si in riferimento al proprio sostentamento sia rispetto all’inserimento nella cultura italiana, con lo sviluppo di capacità di orientamento nei servizi, di scelta e decisione. Questi aspetti sono determinanti nel processo di ricostruzione della propria identità, dell’utilizzo autonomo delle proprie risorse personali e delle risorse sociali e istituzionali in diversi contesti di vita. Un esempio preciso è l’acquisizione della capacità di crearsi progressivamente nuove reti sociali, essere in grado di costruirsi da soli nuove reti amicali e di supporto, anche con adolescenti e persone di gruppi etnici differenti. A che cosa formare Educazione come esperienza dell’esperienza. L’educatore è chiamato a proporre percorsi di rielaborazione delle esperienze vissute, in modo che il soggetto maturi consapevolezza di scelta e prospettiva. Un primo ampio ambito di oggetti educativi riguarda la ricostruzione dell’identità del minore in Italia. La ricostruzione del proprio essere in Italia è complessa in quanto si aggiunge l’essere adolescente Bisogni educativi: la rielaborazione di un’immagine positiva di se stesso, la gestione emotiva della paura, delle aspettative rispetto alla propria esperienza di migrazione, delle tensione dovuta alla situazione di vita precaria. - identità in bilico Emerge uno spazio possibile per le proposte educative per il MSNA, di accompagnamento solidale da parte dell’educatore. Il pensiero educativo deve 25 essere critico, nasce dalle domande dell’altro e rende possibile il configurarsi della relazione educativa come processo di crescita creativa. - educazione ai valori socialmente condivisi e alla cittadinanza l’educatore è chiamato a cogliere il metissage che emerge da schemi differenti di interpretazione delle regole social, del senso di essere cittadino Ci si trova davanti a una pratica meticcia in cui non basta rispettare la differenza culturale, ma bisogna saper cogliere le peculiarità della traiettoria e del carattere profondamente meticciato del percorso esperienziale della persona. Ciò non significa possedere la certezza di poter comprendere l’altro. Fattori importanti nell’educazioni ai valori sono la conoscenza e la possibilità di comunicazione in una lingua ponte e nella lingua italiana. L’educatore comunica al MSNA la possibilità di frequentare corsi di lingua italiana per stranieri. Il monitoraggio dell’effettiva frequenza e la valutazione del processo di apprendimento della lingua è un compito che l’educatore solitamente assume in collaborazione con gli insegnanti dei corsi di lingua. L’iniziale periodo di silenzio evolve nella fase in cui la lingua italiana diventa strumento funzionale al lavoro, alla gestione delle questioni burocratiche, alla sopravvivenza, anche se con tempi e livelli di conoscenza dell’italiano differenti da persona a persona.è in questa fase che possono avere inizio percorsi educativi in cui i valori che sono considerati comune patrimonio della società e della cultura del paese accogliente vengono confrontati con il sistema culturale del paese di origine e interpretati. Occorre aggiungere che il percorso educativo del MSNA nella prospettiva verso i nuovi valori è particolarmente complesso quando il ragazzo arriva in Italia su mandato della famiglia, ovvero secondo un progetto di investimento sul minore che dovrà rendere alla famiglia una sorta di feedback economico. Molti MSNA emigrano con la speranza di guadagnare in tempi brevi la somma necessaria a ripagare i debiti del viaggio, per soddisfare le aspettative di riuscita del progetto migratorio. Molti minori stranieri giungono in Italia e vengono dirottati nell’obbligo scolastico o formativo, ritrovandosi dietro banchi di scuola con compagni spesso più giovani. Emerge con forza il disorientamento dei MSNA. è compito dell’educatore la mediazione e la rielaborazione dello scarto tra le aspettative del minore e la realtà italiana, sia dal punto di vista di una ristrutturazione del proprio io sia motivando l’inserimento in percorsi scolastici 26 I possibili luoghi dell’educare I luoghi del lavoro educativo con i MSNA possono essere piuttosto diversificati. - setting strutturato, esempio la comunità alloggio i ragazzi possono fare l’esperienza di vivere tra gruppi etnici differenti, i vari momenti della giornata hanno una valenza formativa. L’educatore interviene secondo un doppio registro: da un lato, la dimensione strutturata del setting gli permette di avvalersi di un approccio formativo più formale, che si traduce nell’assunzione di un ruolo ben preciso e riconosciuto per quanto concerne i problemi della vita comunitaria, della sua gestione, dell’attribuzione di responsabilità e di compiti ai singoli. Dall’altro lato, l’educatore gioca il proprio ruolo secondo un registro volutamente informale, cercando di favorire spazi relativamente spontanei di dialogo, in cui i ragazzi possano rielaborare l’esperienza di essere in una casa, potenziando le loro capacità di co-costruire modalità di essere con, di sentirsi implicati in una relazione, di rispettare regole, di negoziare conflitti. - mediamente strutturato, il CAG - strada luogo di ritrovo abituale per molti MSNA, in cui l’incontro informale può diventare educativo attraverso una proposta di attività Le strategie di intervento La questione delle modalità dovrebbero delinearsi come esperienze di esperienze, in quanto sempre mirate a sollecitare nel ragazzo qualche forma di rielaborazione di fatti, vissuti, significati ecc. Spesso corre il rischio di essere ricondotta largamente all’utilizzo di tecniche di animazione o di counsiling che sono certamente utili ma può sortire anche effetti francamente controproducenti. Non è facile circoscrivere l’insieme di strumenti e strategie che può essere impiegato nell’ambito di percorsi educativi rivolti ai minori stranieri soli, in ragione della complessità dei possibili traguardi formativi, degli oggetti di apprendimento, in generale delle condizioni in cui si realizzano gli interventi. Le concrete possibilità operative che si aprono all’educator: si tratta di interventi basati essenzialmente sulla gestione della relazione e sulla comunicazione dialogica. Gran parte delle strategie educative con i minori stranieri soli passa 27 Questa posizione rischia di svilupparsi quando emerge in modo particolarmente evidente una sofferenza del bambino connessa alle condotte inadeguate dei genitori. L’educatore si cimenta nelle difficili imprese di curare il minore, offrendogli sostegno, vicinanza e stimoli. Tali azioni possono avvenire squalificando i genitori, considerati causa del danno. Il vantaggio percepito può essere una certa rassicurante semplificazione dei ruoli in campo. Questo atteggiamento rischi di limitare fortemente gli orizzonti e gli obiettivi dell’interno. L’educatore può perdere di vista l’osservazione del rapporto, riducendo la probabilità di comprendere il disagio manifestato, può non trovare risorse nei genitori, rinunciando a priori a cercarle, oppure può indurre nei genitori atteggiamenti di rifiuto. Inoltre, può trovarsi a sperimentare impotenza di fronte a un disagio difficilmente affrontabile con gli strumenti che ha a disposizione. Nel caso, poi, in cui il bambino si trovi realmente in una situazione di trascuratezza e maltrattamento, si trasgredisce quella che è considerata una delle principali regole di lavoro: intervenire a favore del bambino quando è stato messo in una coerente posizione di protezione. - L’educatore come sponsor del genitore Questa posizione può attivarsi nei casi in cui è il genitore a chiedere aiuto, mettendosi in una posizione di persona bisognosa. L’educatore tende a identificarsi con i genitori, a investire nella relazione di sostegno. Appaiono evidenti i rischi, soprattutto quando è in atto una situazione di maltrattamento: l’educatore si trova nell’insostenibile posizione di chi offre aiuto ai genitori maltrattanti. L’educatore che aveva puntato sui genitori e sul loro desiderio di farsi aiutare può sentirsi tradito, provando nei loro confronti rabbia, fino a rendere difficile ogni forma di rapporto. - L’educatore come investigatore in incognito Tale posizione, che è facile assumere nelle situazioni in cui esista già un rapporto controverso tra servizio sociale e famiglia, porta l’educatore a mettere da parte il proprio bagaglio di strumenti trasformativi per collocarsi nella mera posizione di spia del servizio sociale. La situazione implicita e lontana dal proprio ruolo possono attivare sentimenti di confusione e senso di estraniazione. Potrà inoltre sviluppare pregiudizi che rischiano di indurre controproducenti atteggiamenti di distanziamento e rifiuto In questi casi, l’educare può essere percepito come figura incongrua, lontana 30 emotivamente e carica di impliciti e sottointesi; ciò può generare distanza e diffidenza, fino al punto di ricercare attivamente la conclusione del progetto. Mettere a fuoco il contesto le difficoltà sopra descritte mettono in evidenza come l’intervento dell’educatore nei confronti delle situazioni di presunto maltrattamento richieda un particolare sforzo e precise competenze nel mettere a fuoco situazioni complesse, sfuggenti, non immediate. Una strada possibile per affrontare le problematiche è tenere in mente i concetti dell’epistemologia sistemico-relazionale di contesto: campo nel quale si realizza, prende forma e significato un comportamento umano. Si caratterizza per una dimensione oggettiva, la situazione reale e la storia, e una dimensione soggettiva. Un certo contesto può essere vissuto dai partecipanti anche in modi diversi e la sua esistenza deve essere continuamente sottoposta a controllo. metacontesto: conoscere e far conoscere esplicitamente intorno al contesto, i significati e le transazioni in atto tra partecipanti. Un educatore deve interrogarsi sul contesto intorno al quale si trova ad agire e soprattutto chiedersi se esista o meno una condivisione con gli altri attori. Di fatto, l’educatore agisce in uno scenario in cui possono esistere incongruenze e ambiguità sulla progettazione degli interventi, rispetto alla chiarezza del progetto tra operatori e famiglia. Quando si lavora con minori in situazioni di disagio si possono identificare due possibili contesti di lavoro che gli educatori hanno imparato a conoscere: a) di aiuto/sostegno: quando le famiglie con cui ci si rapporta hanno bisogno di sostegni dal punto di vista sociale, educativo, psicologico, ma non sussiste pregiudizio ai danni del minore. Sono situazioni di inadeguatezza genitoriale, mancano competenze, ma risultano in grado di chiedere aiuto. b) di tutela: esiste una situazione di pregiudizio per il minore è presente il tribunale per i minori, limita il podestà genitoriale, definisce misure di protezione, fornisce indicazioni ai genitori e agli operatori Modalità di intervento: - coerente con le preoccupazioni degli operatori e dei segnalanti in merito alla situazione di rischio del minore e che possa accettare la presenza eventuale di una situazione di pregiudizio nei confronti del bambino -non si limiti a perseguire obiettivi di comprensione, ma si ponga obiettivi di 31 trasformazione - permetta evoluzioni coerenti sia in interventi di tutela che in interventi di sostegno alla genitorialità Si tratta di delineare un contesto di intervento che renda possibile agli operatori comprendere la situazione e la direzione, in modo che l’educatore possa muoversi nella maniera più coerente rispetto al proprio ruolo, dunque in logica di aiuto e di promozione del benessere e della crescita personale. Definire finalità e strategie di partenza Il primo passo è focalizzare un obiettivo di base: collaborare con agli operatori della rete per comprendere se ci si trovi di fronte a un caso di inadeguatezza genitoriale o di pregiudizio. È indispensabile per una corretta impostazione. I principali passaggi: presentare l’intervento ai genitori - esplicitare le preoccupazioni da parte del servizio sociale nei confronti del minore facendo riferimento ai segnalanti o alle osservazioni - riconoscere ai genitori il loro ruolo - non mettere immediatamente in connessione il disagio del figlio e le condotte dei genitori - non accettare direttamente le spiegazioni proposte dai genitori per motivare Lavorare per creare un contesto sufficientemente trasparente in cui gli operatori non neghino le proprie preoccupazioni e il proprio ruolo di tutela e i genitori non vengano condannati a priori, ma considerati parte integrante dell’intervento. In questo senso, pare opportuno che il progetto venga proposto a entrambi i genitori e che siano programmate verifiche da operatori coinvolti e famiglia, al fine di condividere le informazioni raccolte, di riflettere sul disagio del bambino e di fare delle ipotesi progettuali. I genitori potranno rispondere alla proposta in vari modi, di solito non favorevole. presentare l’intervento al bambino Sarà importare riuscire a esplicitare anche al figlio, utilizzando un linguaggio per lui comprensibile, le motivazioni che hanno portato i servizi a proporre l’intervento ai genitori e gli accordi presi con gli stessi. Sarà utile chiarire in quale rapporto sono i genitori e i servizi e soprattutto nelle situazioni in cui è presente tensione. Tale lavoro di chiarificazione e di trasparenza può aiutare il 32 Tale processo dovrebbe permette agli operatori di comprendere se ci si trovi di fronte a una situazione di pregiudizio o di inadeguatezza genitoriale; è in gioco una vera e propria strategia diagnostica, non tanto in senso clinico, quanto in direzione strategico-progettuale. Se la risposta è positiva gli operatori potranno orientare l’intervento secondo una logica di sostegno e/o integrazione della genitorialità. Diversamente ci si dovrà sbilanciare in un’ottica di tutela. Particolarmente importante è definire ciò che ci si aspetta dai genitori, in riferimento al loro coinvolgimento nel progetto di aiuto e di sostegno al minore. Ci sono quattro scenari del rapporto tra operatori e genitori: - delega, l’educatore aiuta e sostiene il minore in una o più aree nelle quali il genitore incontra difficoltà e quest’ultimo autorizza e accetta tali interventi - collaborazione, l’educatore propone al genitore strategie per affrontare di comune accordo alcune difficoltà del minore e il genitore accetta e rispetta l’alleanza educativa - condivisione, l’educatore evidenzia difficoltà e problemi inerenti il minore che necessitano di ulteriori interventi; il genitore riconosce i problemi e accetta altre forme di aiuto per affrontare le criticità segnalate Si tratta di approcci di complessità crescente, che vedono il genitore sempre più coinvolto e partecipe; il livello di relazione di aiuto che si cercherà di ottenere, elemento che deve essere attentamente valutato dagli operatori coinvolti, dipenderà dalla situazione, dalle difficoltà evidenziate dal bambino e dai risultati ottenuti dall’intervento educativo. Semplificando, si potrebbe affermare che quanto più è grande il livello di sofferenza del minore tanto maggiore dovrà essere il coinvolgimento dei genitori nel processo do aiuto. NODI CRITICI - il modello necessita di ulteriori specificazione e avvertenze nel caso in cui si muova in una situazione di presunto abuso intrafamigliare La possibilità di muoversi in una logica di trasparenza e di esplicita<ione nei confronti dei genitori in questi casi deve essere fortemente ridimensionata. Il tentativo di parlare con i genitori circa elementi osservati nel lavoro con il bambino che richiamano ad un eventuale coinvolgimento in attività sessuali improprie rischia di compromettere il percorso di protezione e cura del minore 35 - nelle situazioni in cui il bambino rischia di subire gravi maltrattamenti fisici la strategia dell’agire in modo trasparente deve lasciare precocemente spazio a una modalità di intervento che ponga in primo piano i bisogni di protezione del minore e la salvaguardia dell’eventuale procedimento penale - quando il servizio sociale non condivida i presupposti del modello in questo caso gli educatori devono tenere conto della posizione del servizio sociale e riflettano sulla possibilità di arrivare a costruire una modalità di intervento condiviso. gli educatori non solo dovranno tenere conto del contesto all’interno del quale si collocano le interazioni educatore-minore-genitori, ma anche del quadro all’interno del quale si inscrive il rapporto tra educatori e servizio sociale. - rapporti con le agenzie educative, come la scuola La presenza di conflitti più o meno espliciti aumenterà la possibilità di triangolare il minore o la famiglia, compromettendo sia i tentativi di aiuto che il processo di approfondimento della situazione.al contrario, la capacità di dialogare in un sostanziale rispetto delle reciproche competenze, favorirà il raggiungimento di obiettivi dall’una e dall’altra parte. L’educatore deve porre la propria attenzione al mantenimento di un equilibrio tra differenti polarità: •agire per aiutare e osservare l’effetto dell’aiuto offerto •porre cura nel processo di rilevazione •rispettare l’alleanza educativa con genitori e mantenere la vicinanza bambino •tollerare la difficoltà nell’agganciare i genitori Di fondamentale importanza sarà la capacità di concentrare le proprie energie nella presa in carico del minore e dei suoi genitori senza trascurare attenzione al contesto più allargato dei servizi e della rete delle agenzie educativi. 36 6- L’EDUCATORE E LA FAMIGLIA DEL DISABILE INTELLETTIVO ADULTO l’intervento nei centri diurni La famiglia come campo di azione Considerare la famiglia della persona disabile si dimostra un’opzione epistemologica e metodologica di complessa realizzazione. •Una ragione è di natura antropologica e concerna la struttura della famiglia mediterranea e il ruolo centrale che le viene attribuito nell’intero ciclo di vita per la crescita e l’accudimento dei propri componenti •Un altro aspetto è di ordine politico-legislativo ed è riconducibile all’orientamento che si è fatto strada in Italia dagli anni ’70, nell’attivazione di politiche tesse a promuovere l’integrazione sociale delle persone disabili; pur in presenza di molte criticità nell’attuazione di tali provvedimenti, va rilevato come la famiglia, e in più generale la comunità territoriale, siano rappresentate come il luogo al cui interno vanno costantemente ricondotte e negoziate le scelte progettuali e le azioni rivolte alle persone disabili. •Ultima ragione di natura psicologica ed educativa e concerne l’importanza riconosciuta alla relazione nel favorire percorsi di crescita personali e all’integrazione tra l’ambiente familiare e il mondo esterno quale elemento pulsore nella formazione della persona disabile. Da questa angolatura alla famiglia è richiesto di gestire articolati processi di separazione-individuazione nella relazione con il proprio figlio; sono presenti spinte verso all’autonomia, ma al contempo esigenze di protezione. La possibilità di iscrivere l’azione educativa e costruire un vero e proprio assetto di lavoro formativo con la famiglia. Le implicazioni sul piano delle pratiche educative: - individuare i destinatari del lavoro educativo, la famiglia rappresenta un interlocutore nel suo complesso, attraverso un approccio integrato, non 37 comportino reazioni eterogenee: da mutamenti radicabili a cambiamenti che influenzano il quotidiano, a ricadute cicliche con un certo rischio di cronicizzazione. È opportuno non eccedere nell’enfatizzare le criticità che possono riscontrare in queste famiglie. Le possibili trappole relazionali L’educatore può incappare in errori di strategia, rischia di rimanere incastrato in alcune trappole relazionali che minano oppure bloccano l’alleanza di lavoro. - escalation simmetria, fa entrare la relazione educatore-famiglia troppo precocemente in un conflitto. In questa forma interattiva accade spesso che l’educatore perda di vista il proprio ruolo e viva il conflitto personale - nel ritrarsi eccessivamente e persistentemente dal confronto un’interazione rigida, in cui interlocutore cerca di assecondare sempre pur di evitare il conflitto che viene visto come una rottura della relazione. - rischio di trascurare un componente periferico in questo caso la relazione di rete tende a schiacciarsi su una dimensione diadica, alleanza viene creata con un solo ed esclusivo componente della famiglia, fatto che comporta rischi importanti di tenuta del progetto In situazione se il centro si rivolge alla famiglia e se essa incontra un momento critico, si dovrà tenere conto che un’eventuale restrizione di disponibilità verso la persona disabile può far parte del modo esprimere la crisi di quel sistema. Non è in gioco tanto un affronto verso il figlio e gli operatori che lo seguono, quanto piuttosto la fisiologica reazione della famiglia come sistema relazionale che, quando è ferita, tende a rinsaldare i propri confini. Se l’educatore coglie questa difesa come una preventivabile reazione a un dolore quasi mai comunicabile in quanto tale, cercherà di capire come il suo centro possa rappresentare una risorsa per la famiglia in quel dato momento. Se ci collochiamo in una logica sistemica, un conto è essere in posizione down, essere sottomessi al potere della famiglia, altro è assumere una posizione down, di non aperto conflitto, ma di ricerca di nuovi equilibri possibili. Il centro diurno come setting All’interno dell’operatività dei centri diurni pensati come luoghi educativi rivolti alle famiglie con persone disabili ultraquattordicenni. Essi rappresentano a tutti gli effetti luoghi che generano saperi, esperienze e 40 risorse per il sistema familiare. Le attività di gruppo rappresentano la principale etichetta identificativa di un centro diurno e che sono considerate come le materie a scuola; l’opzione sistemica ci spinge a valorizzarne anche le possibili valenze di pretesti relazionali, di modalità individuate per stare con, il farsi della relazione attraverso quel canale. Si tratta di allestire un ambiente accogliente e rilassante, volto a favorire il fare insieme, il confronto reciproco dei saperi sulla cura del disabile tra il familiare, che nella quotidianità ha costruito abitudini proprie e personali, e l’educatore. Fare insieme significa provare, sperimentare, adottare un atteggiamento di natura collaborativamente esplorativa; talvolta può trattarsi di non fare ma fermarsi a parlare, all’interno di un contesto che consenta di condividere aspetti anche molto importanti dell’esperienza personale con il disabile, senza che questi vengano troppo velocemente assorbiti da una cornice terapeutica- riabilitativa. L’educatore avrà modo così di governare non tanto la tecnica, ma il processo ovvero facilitare comunicazioni, accogliere, comprendere e smussare resistenze, mettere in serbo importanti elementi emersi in questo incontro informale per l’elaborazione del proprio progetto di intervento. Il gruppo e il counselling Strategie che possono essere specificatamente impiegate dall’educatore per rivolgersi alla famiglia nel suo complesso, generalmente finalizzate a comprendere-contenere-sbloccare situazioni di crisi che richiedono un cambiamento della relazione centro-famiglia, un passaggio dall’ordinaria amministrazione a una gestione accorta delle comunicazioni. Si tratta di strumenti dichiaratamente rivolti al contesto di vita del disabile. - per quanto riguarda il gruppo a cui partecipano i membri di più famiglie, esso si può considerare uno strumento utile, nei suoi differenti impieghi, ma di non facile gestione. Può rischiare di divenire cassa di risonanza di dinamiche critiche, luogo di amplificazione della rabbia o di incremento di difese contro il cambiamento. D’altra parte, esso può essere vissuto come un contesto accogliente, che promuove il rispecchiamento e la partecipazione, la protezione legata alla compresenza di più genitori e la circolazione orizzontale di feedback. Accogliente o rivendicativo, partecipativo o esclusivo, è bene tenere conto che il gruppo attraversa processi differenti e oscillazioni emotive importanti e che è opportuno mettere a punto un repertorio di strategie e di metodologie di lavoro mirate. 41 - counselling si offre uno spazio per considerare insieme una difficoltà, un punto di stallo, una fase di crisi e per comprendere come ridefinire e ristrutturare il problema in modo che sia affrontabile attraverso le risorse della rete educazione e sociale a disposizione. Esso può essere gestito dagli educatori o da altri operatori. Il PEI come testo interattivo funzione di supporto per la negoziazione delle rappresentazioni dei problemi e di prefigurazione del percorso educativo. La condivisione del PEI diviene un momento di ascolto, una sorta di colloquio semi strutturato, che attraversa i differenti punti proposti dallo strumento non tanto all’interno di una logica di lettura notarile di un testo, ma nella prospettiva di utilizzare un momento all’apparenza formale in un’occasione di rilancio della progettualità famigliare. Un formato di documento a “misura di incontro con la famiglia” e più orientato all’ascolto del genitore che alla comunicazione di informazioni. Prevediamo la presenza del figlio che consente di costruire una comunicazione che lo comprenda in quanto soggetto, in modo da limitare i rischi di eccessiva auto centratura dei caregiver.; è possibile sperimentare vere e proprie modalità di coprogettazione con il disabile. NODI CRITICI - lavorare con la famiglia assorbe energie sottratte a un possibile lavoro più specifico con la persona disabile. - come riuscire a sostenere un lavorio affascinante ma anche molto faticoso, potenzialmente demotivante - rischio di sottovalutare competenze tecniche specifiche a favore della valorizzazione di interventi di mediazione-counselling-facilitazione di processi di comunicazione. 42 Chi si educa: tra soggetto, soggetti, sistemi Il riconoscimento dei destinatari dell’intervento formativo La centratura è posta sul soggetto educando: si considera che un intervento educativo acquisti significatività in quanto costruito e gestito allo scopo di promuovere cambiamenti a carico di una persona portatrice di particolari bisogni formativi; il soggetto, vivendo esperienze e partecipando ad attività predisposte da un educatore per far sviluppare il suo potenziale, ha la possibilità di passare da una situazione iniziale di criticità a una condizione di pieno sviluppo personale. Non si ignora che nella realtà si ha a che fare con una persona che è inserita in un contesto, che fa parte di sistemi di relazioni. Il tratto strutturante di base è costituito dal sistema educatore-contenuto- educativo-soggetto-educando. Rivolgersi al singolo e al contesto L’educatore spesso è chiamato ad intervenire a proposito di un caso individuale, rappresentato da una persona per la quale deve essere ipotizzando un percorso. Si deve considerare, tuttavia, che ogni persona è inserita in sistemi di relazioni, appartiene a realtà collettive che ne influenzano le scelte, i vissuti, le emozioni, cosicché molti degli interventi educativi che tendono a promuovere cambiamenti a livello individuale finiscono con l’interessare di fatto anche il contesto di appartenenza. In particolare, quando l’ambiente di vita non è facilitante o si presenta addirittura come ostativo rispetto alle direzioni dell’intervento formativo, l’educatore può trovarsi a valutare l’opportunità di agire a più livelli, rivolgendosi simultaneamente al soggetto e al sistema in cui è inserito. L’effetto delle dinamiche di contesto può risultare attenuato, ma non tale da precludere lo sviluppo dell’azione formativa, nell’educativa non formale la marcata immersitività delle esperienze apprenditive proposte dall’educatore rende inevitabile un confronto più immediato con il mondo al quale l’educando appartiene, con una azione tesa a stimolare cambiamenti che rendano disponibili risorse educative integrative. Lavorare con i gruppi, tra dinamiche interne ed esterne L’educatore quando individua nel gruppo il soggetto da educare si rivolge spesso a collettività precostruite, a carattere spontaneo, caratterizzate da dinamiche in gran parte consolidate. Per l’educatore sono risorse fondamentali la possibilità di disporre di un repertorio metodologico specifico. 45 Gli interventi rivolti ai gruppi sono motivati dalla necessità di promuovere momenti favorevoli e/o di correggere eventuali dinamiche disfunzionali rispetto alle esigenze di positivo inserimento nel più ampio contesto sociale. L’educatore è impegnato a far sperimentare all’interno degli stessi gruppi relazionali improntati alla coesione e all’inclusività, alla costruzione di idonee condizioni di crescita per tutti e per ciascuno. In genere, l’azione dell’educatore, seppur centrata sul soggetto-gruppo, può interessare il contesto allargato in cui è inserito. A che cosa si educa: gli oggetti educativi nelle esperienze educative è sempre rintracciabile un’area di contenuto, una dimensione di proposta, a cui si attribuisce il potere di indurre trasformazioni positive per la conquista progressiva di autonomia personale e in generale per la vita. È in questione una dimensione che forse può risultare implicita. Un intervento professionale educativo dovrebbe caratterizzarsi per una qualche tematizzazione dell’oggetto rivolto al quale si propone di fare esperienza; oggetto che dovrebbe favorire nel soggetto in formazione il ritorno riflessivo sui propri vissuti, sui comportamenti e sulle scelte personali, sui problemi che vive e sperimenta nei contesti di vita e sul proprio patrimonio di conoscenze. Fra le caratteristiche che possono considerarsi proprie degli interventi: la non arbitrarietà dei contenuti proposti, la trasparenza e comunicabilità degli stessi. Differenziare le proposte Un tratto da segnalare è costituito dalla differenziazione die contenuti educativi di cui l’educatore può avvalersi allo scopo di promuovere esperienza di crescita nei soggetti/gruppi a cui si rivolge. Si può spaziare da proposte riconducibili a veri e propri saperi decodificati o aree culturali che si possono circoscrivere secondo criteri comunemente accettati, a oggetti educativi meno formalizzati a carattere esperienziale. Questa esplosione di possibili messaggi richiede all’educatore una formazione di base tale da consentirgli di individuare fra gli oggetti a cui sono attribuite valenze formative, i contenuti più idonee a seconda dei casi e dei bisogni. Non raramente all’educatore è richiesto di gestire proposte piuttosto differenziate dal punto di vista degli oggetti educativo nell’ambito di un medesimo intervento, in relazione alle esigenze di più soggetti che possono essere simultaneamente all’evolversi e al ridefinirsi dei bisogni dei singoli. 46 Inoltre, un problema da affrontare è quello dell’individuazione delle modalità, della trasposizione a fini educativi: il contenuto, qualsiasi sia la sua natura, va organizzato e rpoposto per sollecitare trasformaizoni in senso promozionale della persona, dunque in maniera tale da risultare sensibile rispetto all’esperienza e al potenziale di acquisizione dei singoli. Definire i contenuti Sembra presente negli interventi educativi in ambito sociale una certa difficoltà a individuare in termini concettualmente circoscritti elementi di contenuto sui quali si reggono attività ed esperienze proposte. In assenza di uno sforzo di mappatura dei significati e delle valenze formative delle proposte culturali, sussiste il rischio di un’interpretazione arbitraria da parte dell’educatore, di una tradizione in situazione esposta a incoerenze rispetto ai bisogni educativi perché eccessivamente legata a contingenza e a condizioni del momento. Il tentativo di definire a che cosa si intende educare non esclude che la scelta die contenuti vada intensa sempre come ipotetica. Difficilmente è possibile mettere a fuoco una volta per tutte la situazione die soggetti e le domande educative. Le opzioni in termini di oggetti educativi implicano aperture di carattere negoziale. Dove e quando e con che cosa si educa: il setting La strutturazione del setting costituisce un elemento che generalmente si ritiene connotativo delle azioni educative a carattere professionale. Queste presuppongono una particolare attenzione nell’organizzazione e gestione delle condizioni spazio-temporali, socio relazionali, materiali e simboliche entro le quali si sviluppa l’esperienza formativa, così da creare contesti educativi, almeno per certi versi analoghi rispetto alle possibili esperienze della vita corrente, tali da rinviare in qualche misura a esse. Un allestimento attento al setting può favorire l’efficacia dell’azione formativa, incrementa la funzione vicariante di un’attività didattico-educativa, la sua capacità di far esperire in forma indiretta problemi, prospettive di lettura di fatti e fenomeni, possibilità di azione mentale e/o fisica, di espressione e comunicazione ecc, tali da rinviare a situazioni di vita che il soggetto deve imparare ad affrontare. Modulare l’ambiente formativo I setting per la realizzazione di esperienze formative possono assumere nell’educativa non formale una notevole variabilità a seconda delle tipologie di intervento e anche all’interno di uno stesso percorso. 47
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