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L'educazione interculturale nella scuola, Sintesi del corso di Pedagogia

Come diffondere l'accettazione dell'altro e del diverso all'interno della scuola. Favorire un'educazione interculturale attraverso vari strumenti

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

Caricato il 15/10/2016

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Scarica L'educazione interculturale nella scuola e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! L’EDUCAZIONE INTERCULTURALE NELLA SCUOLA A CHE SERVE L’EDUCAZIONE INTERCULTURALE? UN CASO PER INIZIARE. (Guardare sul quaderno) Il pensiero interculturale in educazione va costruito. L’educazione interculturale non prevede grandi margini di delega: richiede a chi insegna e a chi educa un’autentica volontà di capire e una reale disponibilità ad adeguarsi al nuovo. Essa serve: • a creare ponti di conoscenza reciproca • a far sì che le classi non si configurino come sommatorie di tanti piccolo ghetti • A far sì che l’apprendimento sia un’espressione significativa per tutti e non frustrante. • Ad abituarci a vedere l’educazione collegata a doppio filo con la società multiculturale all’interno della quale l’educazione vive, progredisce, cresce. Gli allievi autoctoni se non sono supportati dal pensiero interculturale dei loro insegnanti e dei loro educatori possono avere difficoltà a mettersi a confronto con compagni che provengono da monti lontani e viceversa. VERSO UNA COMPRENSIONE DIALOGICA 1. Flussi di uomini e idee La mobilità etnico-sociale degli ultimi decenni, è fondati su bisogni primari di sussistenza, di sopravvivenza alla fame, di tutela dei diritti umani, di sussistenza per i figli. Parte dai luoghi di miseria per arrivare a quelli del benessere. I nuovi immigrati arrivano da stranieri,e tali rimangono per settimane, mesi, spesso per anni, in una convivenza in molti casi forzata con coloro che vivono nei paesi di arrivo e non riescono a vedere di buon occhio i nuovi arrivati, che non si confondono con facilità fra la gente. Coloro che già abitano in quel paese, avvertono un’angoscia sottile per una cultura che si contamina, per la propria identità a rischio. SERGIO MORAVIA: ha prospettato un concetto di CULTURA= fatta di una identità in cammino. Propone di sostituire al concetto di “monoidentità” quello di “poliidentità” e riporta la sofisticata metafora dell’identità vista come una danza (balli comunitari socializzanti nei quali l’io assumeva diversi volti nelle singole sequenze dell’evento ballo. L’io è sempre uno, ma aperto all’assunzione di maschere diverse e sempre avvincenti). A chi svolge professioni educative compete il compito di chiedersi attraverso quali veicoli potrebbero avvenire i cambiamenti di questa portata nelle convinzioni etiche e sociali e negli atteggiamenti quotidiani delle persone, degli educandi. CULTURA: sistema storicamente creato di sensi e significati, di credenze e pratiche in base alle quali un gruppo di esseri umani comprende, regola e struttura le proprie vite individuali e collettive. E’ un sistema dinamico, mai statico, processuale: esiste nell’atto stesso di essere compreso e rielaborato e non resta mai uguale. Il termine ingloba al suo interno insiemi più meno consapevolmente organizzati di emozioni, bisogni, ricordi, incontri, sentimenti, esistenze, letture, abilità, modalità di apprendimento, 1 conoscenze. La cultura è fatta di identità in cammino, tutti dovremmo imparare a muoverci sempre più verso un concetto di poliidentità, abbandonando un po’ per volta quello di monoidentità, rigida, immutabile. La società italiana è una società pluriculturale. RICHARD RORTY: vede come veicoli l’etnografia, il teatro verità, il film, il reportage, il fumetto, il romanzo, OPERE NARRATIVE che possiedono la caratteristica di far conoscere in modo dettagliato le diverse forme di sofferenza patite da persone a cu prima non avevamo prestato attenzione. Questi veicoli ci servono per aiutarci nel lavoro pedagogico di considerare bambini e adulti diversi o che provengono da lontano come “dei nostri” invece che come “loro”. L’IDENTITA’ DIALOGICA è capace di prendere le distanze e gli insegnanti possono aiutare a comprendere la pluralità dell’identità di ciascuno, a superare il pregiudizio della “purezza” delle culture. 2. Un lungo prendi stato L’educazione interculturale ci permette di collocarci noi educatori, in una prospettiva di COMPRENSIONE DIALOGICA e di porci l’obiettivo educativo della SOLIDARIETA’ fra gli individui. Un obiettivo da raggiungere con la ricerca e con l’immaginazione, riuscendo a vedere gli individui come nostri simili almeno nel dolore. “Nell’altro e nel Diverso noi possiamo in qualche modo incontrare noi stessi”. Non la si scopre soltanto con la riflessione, la si crea. Metodologia educativa per permettere ciò: dialogo che sappia riconoscere e mantenere le differenze, dato che la necessità del rapporto col diverso è un momento costitutivo della propria identità. Una maggiore solidarietà c’è se siamo capaci di dare meno importanza alle differenze e più importanza agli aspetti che accomunano gruppi umani diversi. Il nostro sentimento di solidarietà è più forte quando colui a cui è rivolto è considerato uno di noi. Un esercizio verso la solidarietà a cui possiamo sottoporci, consiste nel saper togliere importanza ad una serie di differenze tradizionali di tribù, religione, etnia, usi, nomi e simili, nel concentrarci di più, invece, sulla somiglianza nel dolore, nell’umiliazione, prendendo l’abitudine di includere nella sfera del “noi” persone immensamente diverse da noi stessi. In realtà il primo esercizio necessario per avvicinarsi ad un pensiero interculturale è quello di imparare ad ascoltare, ad assumere un atteggiamento orientato all’immedesimazione nell’alto, a contrastare i nostri personali pregiudizi, a catturare gli stimoli emotivi e intellettuali più diversi. 3. Una pedagogia dialogica = che sappia aprire le identità e non chiuderle, una pedagogia di apertura verso l’altro affrontando argomenti complessi dal punto di vista didattico come lo shock culturale, la perdita dell’identità, il valore della diversità, l’essere stranieri agli altri e a se stessi. GADAMER: la varietà e la diversità sono privilegi della cultura europea, sono gli elementi caratterizzanti l’identità europea. Appartenere ad essa consiste proprio nel poter essere integralmente se stessi. L’altro non deve diventare o restare invisibile, dobbiamo rispettarlo. E’ un privilegio dell’Europa il fatto di aver saputo e dovuto imparare più di altri paesi a convivere con la diversità(può contribuire a una migliore conoscenza di se stessi). Essere individui che portano in sé culture diverse: questo significa essere europei. (PLURALISMO 2 L’educazione interculturale come disciplina trasversale a diverse altre (la storia, la geografica, la letteratura, l’educazione civica..) fonda i suoi metodi e i suoi contenuti nel vissuto delle culture di cui i soggetti stranieri (adulti, adolescenti o bambini) sono portatori, ne esalta le dimensioni materiali, culturali soggettive tenendo conto degli apporti che possono giungere da varie discipline. I presupposti dell'educazione interculturale non sono solo pedagogici ma anche di altra natura: sociologici, antropologici, linguistici, psicologici, filosofici. L’espressione “educazione interculturale” denota un campo ampio di studi, di interessi, di ricerche che costituisce un punto di raccordo di più discipline. Sociologia: che studia la consistenza quantitativa dei fenomeni migratori. I nuovi disagi, le nuove marginalità. Interconnessioni importanti con la psicologia e la pedagogia. Le difficoltà di adattamento che abbracciano settori interconnessi di sociologia, educazione, politica. Antropologia: differenze culturali fra gruppi etnici diversi che si trovano a convivere in una stessa nazione, in una medesima città, in un’unica scuola, la difficoltà del mantenimento di una identità riconoscibile. Linguistica: questioni legate alla pluralità delle lingue che si vengono a creare in seguito alla convivenza di persone che provengono dalle più lontane parti del pianeta. Psicologia, filosofia, etnologia, letteratura, storia, discipline giuridiche.. Dire questo non significa sminuire la funzione e il valore della pedagogia, semmai significa esaltarlo perché accade che sono altre discipline a farle da contorno, a spianare la strada per quelle che saranno le azioni specifiche della pedagogia e della didattica nella scuola, nell’extrascuola, nella formazione, in riferimento ai bambini, agli adolescenti e agli adulti. 2. Fattori personali-relazionali L’esperienza di godere di uno stato di benessere psicologico e di scoprire e costruire la propria identità è connessa alla possibilità di vivere in un clima interattivo che appaghi i bisogni personali di appartenenza, di stima, di socialità e offra l’opportunità di conoscersi e di sviluppare le proprie funzioni adattive e di controllo nel contatto e nel confronto con gli altri. FRANTA E COLASANTI distinguono all’interno della personalità sociale degli allievi tre tipi di componenti strutturali interdipendenti fra loro: - emozionale - cognitiva - strumentale Esse hanno come conseguenza una maggiore o minore attitudine individuale a mettersi in gioco, a entrare in relazione, ad apprendere una nuova lingua e a parlarla. 3. Familiarizzazione con la nuova lingua Le difficoltà della lingua si estendono con facilità anche alla sfera dei comportamenti. Proprio per superare i primi problemi di lingua e di lavoro, una delle caratteristiche dell’immigrazione recente è la tendenza a raggrupparsi in una stessa zona. I bambini immigrati riescono a padroneggiare l’italiano in tempi relativamente brevi, a differenza di quanto accade alle loro madri (cinesi, egiziane eritree) alle quali la lingua italiana resta molto più a lungo preclusa, dato che lasciano ai mariti i contatti con l’esterno, compresa la scuola. CINA: Sappiamo che nella società cinese tradizionale alla donna era riservato un ruolo tutto interno alla famiglia. E che la legge nella cina contemporanea, ha sancito la parità tra i sessi, ma 5 la donna è meno presente dell’uomo nella vita pubblica. In genere le comunità cinesi rappresentano gruppi molto compatti, sostanzialmente impermeabili al mondo esterno e diffidenti nei suoi confronti. E’ auspicabile che questi atteggiamenti di chiusura si modificano consapevolmente). Di solito nei primi ¾ mesi i bambini immigrati se ne stanno chiusi in se stessi, come staccati da tutto. In seguito riescono, con tempi variabili, e sempre con una componente individuale che svolge un ruolo primario, ad avere una padronanza dell’italiano che consente loro di interagire bene con i compagni, con gli insegnanti e con l’esterno. La perdita della lingua originaria è un fatto da evitare. Si registra una oggettiva carenza di interventi sociopedagogici per quanto riguarda lo sviluppo di una identità e per le esperienze contrastanti che fanno i bambini in agenzie educative caratterizzate da modelli culturali diversi. Ciò può far sì che i bambini italiani siano colpiti da una forma di “alienazione” dall’una o dall’altra parte o addirittura da una forma di emarginazione. Diversi autori hanno mostrato che la situazione linguistica ideale è che il bambino immigrato parli la lingua madre con i genitori a casa e l’altra lingua con i compagni, in seguito al suo inserimento nella scuola dell’infanzia o nella scuola dell’obbligo (Bilinguismo con un carattere di necessità). Per una migliore acquisizione della lingua italiana in molte scuole sono in atto i laboratori linguistici individualizzati, o per gruppetti di due/tre allievi. In alcuni casi i laboratori sono rivolti a tutti i bambini di una classe, come luoghi di memoria e di conservazione della lingua e della cultura di origine e di prima conoscenza e avvicinamento a una cultura lontana. Altre scuole attuano forme di “inserimento verticale” in base al quale i bambini immigrati frequentano alternativamente le classi corrispondenti al loro livello di apprendimento e quelle che invece corrispondono alla loro età. La qualità e la quantità dell’esposizione all’italiano anche al di fuori della scuola sono fattori determinanti ma appaiono difficili da mettere in pratica. Da una ricerca è emerso che ciò che manca di più del paese di origine per gli adolescenti è il rapporto con i coetanei. Al contrario, laddove vi sono stati percorsi, progetti, interventi di educazione interculturale, pare che sia arrivato il messaggio della necessità del dialogo, della solidarietà, della ricostruzione di una rete di amicizie). Stare con gli altri è fondamentale, purchè gli altri siano almeno della stessa età. Fino a ai primi anni 90 venivano inseriti ragazzi/e di 10, 11 o anche 14 anni in classi di prima elementare con la convinzione che in tal modo potesse avvenire un apprendimento più rapido della lingua italiana. I pedagogisti interculturali sono concordi nel ritenere che è sbagliato ( si formano sensazioni di incapacità, frustrazione, isolamento, abbandono della scuola..insomma si creava una situazione di marginalizzazione, di invisibilità che non faceva altro che escludere). Insegnanti, compagni e familiari: L’apprendimento di una lingua nuova comporta anche l’assunzione di nuovi comportamenti in sostituzione o in appoggio di comportamenti e abitudini già acquisiti. 6 GARDNER dalle sue tante visite nelle scuola della Cina riporta una serie di indicazioni molto utili per comprendere come la diversità metodologica fra insegnanti americani e quelli cinesi, orienti l’apprendimento o il comportamento dei bambini in una direzione piuttosto che in un’altra. Per l’apprendimento della nuova lingua e dei nuovi comportamenti a fianco degli insegnanti contano molto i compagni di classe ma altrettanto importante sarebbe anche, sia nella prima fase dell’immigrazione sia in momenti successivi, la presenza non sporadica a scuola dei familiari dei bambini stranieri, nei modi e nei momenti reciprocamente più opportuni. L’uso della lingua madre per il racconto di storie, fiabe… hanno dimostrato che può essere un aiuto significante per la sicurezza degli alunni e per la loro stima in se stessi. Una prospettiva attiva che è in grado di promuovere spazi di incontro e di dialogo fra le diverse identità, in grado di inventare un clima di accoglienza e di rispetto, che riconosce l’importanza del viaggio.. L’obiettivo è quello di ricercare una memoria condivisa, individuale e comunicabile, un progetto su cui lavorare insieme. I dati raccolti annualmente dal MIUR sull’inserimento degli alunni di altra nazionalità indicano alcuni punti critici per esempio: la difficoltà dell’accoglienza e dell’inserimento iniziale, il ritardo scolastico che penalizza soprattutto le ragazze e i ragazzi più grandi, spesso inseriti in classi inferiori rispetto all’età e al percorso di studi precedenti. Il tasso di insuccesso scolastico è più alto rispetto agli alunni italiani, alta è anche la difficoltà di prosecuzione degli studi. INTEGRAZIONE significa: - sofferenza, svantaggio, diversità dal gruppo al quale si è appartenuti fino a un certo momento. Succede spesso che i genitori di tanti bambini immigrati, non accettino all’inizio il cambiamento di lingua del figlio. -comunicazione, cioè imparare a un nuovo linguaggio, che vuol dire non solo apprendere un certo numero di vocaboli e di regole di grammatica ma anche tutto un codice gestuale che rientra nella tradizione culturale di comunicazione non verbale del popolo ospitante. La minaccia della perdita del proprio linguaggio a favore della lingua del paese di accoglienza può fare insorgere un sentimento di aggressione da parte dell’adolescente, o comunque di conflitto profondo, che rispecchia un divario fra due realtà, due culture, due codici = ciò provoca un rifiuto dell’apprendimento della lingua strumentale a favore di quella degli affetti o viceversa, provocando conflitti e incomprensioni. RORTY: conoscere le espressioni mute consente di prevedere i comportamenti degli altri e questo è ancora più importante che conoscere le parole. Pag 35 esempio del bambino cinese = le componenti emozionali fanno riferimento a strutture affettive e motivazionali che determinano l’intensità del coinvolgimento di un allievo e l’orientamento positivo o negativo del suo comportamento. • Il punto di vista dei familiari è determinante anche nel sostenere o meno l’importanza dell’acquisizione della lingua e della cultura del paese ospite, apprezzando le proposte educative della scuola. Le componenti cognitive individuali del bambino sembrano avere un ruolo primario e in stretta correlazione col comportamento sociale all’interno dell’aula, con gli altri, perché li orienta e li aiuta a ottenere informazioni, a conoscere l’ambiente, a favorire l’adattamento a 7 varie culture, ciascuna con una propria dignità, e in grado di dialogare tra loro. “RIVOLUZIONE INTIMIA E RADICALE CHE APRA AL RICONOSCIMENTO DELLA DIVERSITA’ ATTRAVERSO L’AVVICINAMENTO”. Il riferimento teorico ha come prima conseguenza l’assunzione di un proprio stile educativo. Tre stili educativi: 1. Stile induttivo: quello degli insegnanti che si muovono con un atteggiamento esplorativo, con l’interesse a ricercare qualche innovazione e a saperne di più. 2. Stile accuditivo: è quello che privilegia atti che oscillano fra la proiettività e la rassicurazione, per far sentire il bambino straniero ben accolto, uguale fra uguali. 3. Lo stile interculturale: quello dei docenti che esplorano, si interrogano, riconoscono la differenza e la valorizzano. Il comportamento e l’aspetto contenutistico hanno ripercussioni sul piano dell’apprendimento. Si auspica una formazione della loro identità con una cultura doppia ma si corre il rischio che i bambini confondono la loro fragile identità in formazione SE LA PEDAGOGIA INTERCULTURALE E’ UNA PEDAGOGIA DIALOGICA, ALLORA DOVREBBE ABITUARE A DIALOGARE (LEGGENDO) CON CHI APPARTIENE A UNA CULTURA DIVERSA DALLA PROPRIA, PARLIA, PENSA E SCRIVE IN UNA LINGUA DIFFERENTE, CON SCALE DI VALORI, TEMPI E RITMI DIVERSI. “La finzione che ci offre la letteratura non rende schiavi, bensì libera la mente dall’uomo. Inizia come un’avventura alla ricerca di sì e porta alla saggezza e alla consapevolezza umana”. Strumenti per una epistemologia interculturale: L’ABITUDINE DELLA LETTURA CI RIPORTA INEVITABILMENTE AL DIALOGO COME STRUMENTO PER ARRIVARE ALLA CONOSCENZA. Il dialogo è il primo strumento che i docenti devono tenere presente per una epistemologia interculturale. Il dialogo e la memoria consentono che avvenga scambio fra regole, le norme, le credenze, le convinzioni proprie di una cultura. Il dialogo interculturale dovrebbe impedire di restare spettatori indulgenti di fronte alle contraddizioni di una cultura. Il problema nelle scuole non è la varietà delle culture ma la loro coordinazione. MA: SE C’E’ DIALOGO VUOL DIRE CHE SIAMO D’ACCORDO SUL RISPETTO RECIPROCO. Attraverso lo straniero riusciamo a vedere gli aspetti anche negativi del nostro paese che da soli non riusciremmo a vedere COMPRENSIONE DIALOGICA: senza che uno dei due soggetti prevalga sull’altro. Il dialogo permette di rileggere la propria cultura destrutturandola alla luce di quanto si raccoglie dalla voce dell’altro. Il ruolo del DIALOGO e del RACCONTO nella costruzione dell’identità si affianca e si lega ad un altro strumento epistemologico fondamentale: L’ATTEGGIAMENTO ERMENEUTICO L’educazione interculturale esige un lavoro continuo di interpretazione, un’attitudine, da parte di chi insegna o di chi guida un gruppo di adolescenti o di adulti in formazione, a incrociare punti di vista diversi, nell’intento di farne una sintesi per farli convivere senza conflitto. 10 L’ermeneutica rende possibile un processo cognitivo destrutturante che sveli il nascosto e lo riporti nell’ambito del giudizio. Nella pratica didattica si presentano continuamente occasioni per mettere in atto atteggiamenti improntati all’interpretazione. QUINDI: dialogo ed ermeneutica (= COMPRENSIONE DIALOGICA) rappresentano due strumenti epistemologici essenziali se non vogliamo precludere a noi stessi come docenti e come persone, la conoscenza degli altri e se intendiamo abituarci in maniera attiva a gestire i conflitti che possono nascere quando due o più diversità si incontrano. Essi sono procedimenti che ci aiutano nel costruire la nostra identità integrando i saperi che sono già nostri con le sollecitazioni e i saperi che ci vengono dall’esterno, mettendo a confronto le differenze ma anche andando a ricercare gli elementi comuni fra gli individui, fra i gruppi, fra le culture, con la convinzione che si tratta di un processo difficile perché nel momento stesso in cui l’altro ci arricchisce e determina una consapevolezza nuova di noi stessi, ci limita, ci mostra i confini della nostra cultura, che appariva fino a quel momento giusta, equilibrata, sconfinata. EDUCAZIONE INTERCULTURALE: EDUCAZIONE ALLA DIFFERENZA (elemento strutturale del nostro essere individui nel mondo: una condizione necessaria per l’esistenza stessa). Fattori socio-istituzionali: i collegamenti della scuola con le strutture del territorio (un rapporto di collaborazione di tipo paritetico con una differenzazione di compiti che si integrano). Si è passati DA un sistema formativo scuola-centrico A uno policentrico. la scuola è stata chiamata a fare i conti con ciò che le accade intorno L’integrazione non avviene da sola, per così dire in maniera naturale: Le occasioni di incontri, mostre, festival, corsi che consentono di conoscere aspetti del patrimonio culturale e simbolico di altri gruppi umani rappresentano momenti importanti di animazione e di offerta culturale per i quartieri e le piazze periferiche delle grandi città o dei centri più piccoli. E’ importante che insegnanti e la scuola imparino ad approfittare sempre di più di queste occasioni, in maniera non casuale ma programmatica, per attingere spunti e materiale originale che i ragazzi e i docenti possono rielaborare insieme in un secondo momento in classe. Le associazioni che organizzano queste occasioni di incontro rivolte alla gente e alle scuole sono animate dalla volontà di mostrare che è possibile uno scambio di conoscenze, abitudini e modi di fare al fini di promuovere una comunicazione comprensiva fra gruppi diversi tra loro senza che uno prevalga sull’altro e costruzione dell’identità nella diversità. L’ideale sarebbe trasmettere ai ragazzi un giusto equilibrio fra “avere mondo” (relazionare verso l’esterno) ed “essere mondo” (= relazionare con se stessi). EDUCAZIONE INTERCULTURALE ha messo in evidenza che è importante abbandonare un modello formativo tradizionale, chiuso e isolante nei confronti dell’ambiente esterno e saper avviare modelli pedagogici più aperti, forse anche sperimentali, fondati sulla ricerca, sull’uso dei laboratori, sulla capacità di mettere in dialogo situazioni esistenziali diverse, identità, memorie, narrazioni, immagini, sulla capacità di interpretare. LA SCUOLA: ricompre un ruolo centrale per la formazione di una mentalità aperta alle molteplicità delle culture. Scopo: guardare con curiosità cosa c’è intorno a sé sforzandosi di trasmettere agli educandi esempi di nuove relazioni possibili fra le persone. 11 Normative, circolare, dati quantitativi: Prime circolari fornirono indicazioni di tipo metodologico e operativo, successivamente si sono interrogate sul senso di quelle prime indicazioni. Normative fanno da sfondo teorico pedagogico-storico-filosofico: traccia i criteri di una educazione in grado di rispondere ai bisogni nuovi dei nuovi utenti presenti nei vari gradi dell’istruzione e dare loro garanzie formative uguali a quelle degli altri (Uguaglianza delle opportunità formative: condizione primaria per realizzare le giuste condizioni di tutela giuridica e di dignità per il lavoratore immigrato e per la sua famiglia). EDUCAZIONE INTERCULTURALE: che sappia accumunare gli individui piuttosto che dividerli. Prevenendo l’insorgere di conflitti di carattere interpersonale e sociale. Rispondere ai vari bisogni educativi. 2. Educazione alla cittadinanza Immagini di insolite cittadinanze. Passa il tempo ma l’intolleranza rimane uguale (vari esempi come l’articolo che racconta di un giovane nigeriano che ha subito in silenzio per due anni insulti razzisti in fabbrica e poi ha deciso di fare un esposto alla Procura di Lecco e l’azienda l’ha licenziato). Il fenomeno dell’intolleranza razziale è radicato ovunque con o senza motivi palesi. E’ difficile da capire e da estirpare. Secondo l’interpretazione di alcuni pensatori, il razzismo nasce dalla commistione di diversi elementi fra cui la rivendicazione di un’origine comune (la razza bianca), l’appartenenza territoriale, la brutalità e l’aggressività. Tutte caratteristiche interpretate come tipiche di un disturbo affettivo. Si è parlato di psicopatologia, di disturbo paranoico del desiderio, di paura malata del contatto e della contaminazione.. PADRE ERNESTO BALDUCCI: il razzismo è come un mostro dalle cento teste e dai cento nomi e con una genealogia controversa. Il suo nucleo genetico è la pulsione xenofoba connaturata a ogni gruppo etnico. Di per sé questa pulsione è sana, così afferma, perché è un riflesso dell’amore per la propria identità. La xenofobia non è ancora razzismo. Per diventarlo le occorre un ingrediente ideologico: quello che fa della diversità un segno di inferiorità. L’esercizio dell’educatore può consistere nel rivedersi bambino e ripensare a quali figure minacciose hanno inciso sulla sua crescita e sulla formazione delle sue idee (figure minacciose come il lupo, hanno determinato paura così profonde nella personalità di tanti bambini da conservarne da grandi ancora la ferita). Un esercizio di memoria è utile perché altrettanto forte può essere oggi per dei bambini o ragazzi per esempio la paura nei confronti di venditori ambulanti neri. Quando sono un po’ più grandi, i ragazzi possono seguire e comprendere argomenti più complessi. La cronaca locale trasmette notizie che possono mettere sull’allarme. Ciò che passa per la tv, giornali , persone, sono messaggi forti, non filtrati, d’impatto: messaggi che lasciano stratificazioni negative. L’EDUCAZIONE INTERCULTURALE TROVA LA SUA PRIMA RAGIONE D’ESSERE, COME FORMA POSSIBILE DI PREVENZIONE AL RAZZISMO, ANCHE NELL’ANALISI DELLA REALTA’ QUOTIDIANA CHE GLI EDUCANDI, COSI’ COME GLI EDUCATORI VIVONO. 12 NEL LORO CAMPO EDUCATIVO . - culture in dialogo attraverso gli strumenti della matematica - un approccio interdisciplinare per affrontare varie tematiche connesse ai flussi migratori: bisogna mostrare ai ragazzi che la diversità può essere fonte di ricchezza culturale e non solo di problemi e di contrasti, collegando gli obiettivi cognitivi a quelli socio-affettivi-valoriali. - I mappamondi: libri bilingue-libri ponte tra storie, lingue, tracce di culture diverse. 4. Mitigare i dubbi Si è diffusa un’abitudine che vede i docenti impegnati ad interrogarsi su se stessi e sul loro ruolo attraverso scambi di idee, consultazioni informali, gruppi di studio o di lavoro si è diffuso uno stile professionale collaborativo che costituisce le basi per le didattiche interculturali più precise. Vi sono e continueranno ad esserci sempre più numerose occasioni di aggiornamento istituzionale. L’EDUCAZIONE INTERCULTURALE RAPPRESENTA PER LA SCUOLA ITALIANA UN ELEMENTO INNOVATIVO E CRITICO; AUMENTA LA STIMA PROFESSIONALE RECIPROCA DI CHI LAVORA NELLA SCUOLA; MIGLIORA LE ABILITA’ PROFESSIONALI E FACILITA L’ABITUDINE DI METTERE IN COMUNE LE ESPERIENZE. RORTY: per scogliere o mitigare i dubbi che nutriamo sulla nostra cultura, l’unica cosa che possiamo fare è allargare il raggio delle nostre conoscenze ad altre culture ed altre conoscenze. L’identità di un gruppo, di una nazione, di un popolo non può essere identica a se stessa, non può essere immutabile, né avere una struttura fissa. Per chiunque che arriva in un luogo dove altri già vivono, i rapporti interpersonali sono difficili, vivere nella nuova realtà è complicato. La pedagogia fa da sfondo a questo problema: vi è la necessità di presupporre azioni reciproche che modifichino il comportamento di tutti e che riguardano al sfera dell’educazione. E’ importante l’interazione. Se l’interazione non avviene i rischi sono la ghettizzazione LA PEDAGOGIA INTERCULTURALE HA ALMENO DUE COMPITI PRIMARI: 1. NON RENDERE PIU’ ACUTE LE IDENTIFICAZIONI ETNICHE E LE SEPARAZIONI 2. PREPARARE TUTTI GLI ALLIEVI A VIVERE IN UNA SOCIETA’ DOVE LA DIVERSITA’ CULTURALE E’ UN DATO DI FATTO. E’ NECESSARIO CHE L’ORGANIZZAZIONE SCOLASTICA ED EXTRA, SI SAPPIANO STRUTTURARE CON DUE CARATTERISTICHE PREVALENTI: LA MUTEVOLEZZA E LA RELAZIONALITA’. A volte gli insegnanti proprio a causa delle barriere linguistiche, comprendono poco e male i retroterra culturali delle famiglie dei bambini immigrati e i loro riferimenti valoriali. Le ricerche mostrano che la distanza tra famiglie immigrate e scuole è uno dei presupposti per l’insorgere nella fase dell’adolescenza di differenti tipi di crisi che ben difficilmente riguardano solo loro stessi o il gruppo ristretto cui essi appartengono. Principi guida per una pedagogia del dialogo fra culture: Le migrazioni nel loro coinvolgimento infragenerazionale e interculturale attivano problematiche di ordine storico e sociologico, psicosociale ed educativi. LA STORIA DELL’UMANITA’ è TUTTA UNA STORIA FATTA DI FUSIONI DI GRUPPI DIVERSI, QUINDI QUALUNQUE CULTURA NON HA MAI UNA SOLA ORIGINE, E’ STORIA DI CULTURE, LINGUE, SAPERI CHE SI SONO INCONTRATE FONDENDOSI. La metafora del mantello di 15 Arlecchino di M.SERRES (L’identità di tutti gli essere umani secondo Serres è fatta come il mantello di Arlecchino: di pezzi multicolori, annodati, nuove pezze e vecchi brandelli ma non solo, ciascuno di noi porta addosso più strati di simili mantelli. IL MANTELLO e’ LA RAPPRESENTAZIONE DI OGNI CULTURA, DI OGNI APPRENDIMENTO). Gli spostamenti e le migrazioni di massa sono state una necessità economica in ogni epoca. Infondatezza di “Razza pura”. Gli studi della genetica mostrano che i geni responsabili delle differenze visibili sono quelli cambiati in risposta al clima. La difficoltà più volte ribadita, anche a livello pedagogico educativo sta nel “vivere la differenza nell’eguaglianza”. QUINDI: principi guida di una pedagogia del dialogo fra culture sono 1. La scuola e altri enti locali ha una responsabilità nel far sì che le differenze di stili di vita, di cultura, di lingua dei bambini di altri gruppi etnici possa non trasformarsi in disuguaglianze irrecuperabili. MA queste differenze (nelle performance o basate sull’abbigliamento, linguaggio, gusti..) nelle classi permettono di vivere quotidianamente l’incontro con l’ALTRO e l’instaurarsi di rapporti di interazione fra chi arriva e chi vive stabilmente in un luogo. 2 l’interazione fra la società ospite e gli immigrati può funzionare in un rapporto proficuo se entrambi si propongono come sistemi aperti. 3. E’ importante riconoscere il valore positivo delle mescolanze, degli incontri, degli incroci che si originano dal movimento di individui verso altri individui e perciò di culture verso altre culture. 4. La pedagogia deve collocarsi in prima linea nel rifiutare qualunque posizione che intenda rivendicare la purezza della razza. 5. Il rapporto fra noi e gli altri non deve darsi per scontato. 5. Metodologie: Le attività di educazione interculturale possono comportare variazioni notevoli nei contenuti e nei metodi. I contenuti interculturali agiscono sul livello di interesse degli allievi facendolo aumentare e modalità relazionali e trasmissive alternative fanno sì che i ragazzi siano portati a valorizzare una gamma di canali e simboli che nella maggior parte delle ore trascorse a scuola restano poco utilizzati. LE METODOLOGIE SONO STRETTAMENTE COLLEGATE ALLA DIDATTICA: 1. Ricerca attiva e comune anche se non continuativa e quotidiana che in certi momenti scardina gli spazi, gli orari, i tempi di un’organizzazione scolastica di solito rigida = STRATIFICAZIONE DELLE ESPERIENZE . Obiettivo: raggiungere conoscenze e abilità non solo di tipo cognitivo. Dal punto di vista formativo, ciò che conta è che i ragazzi capiscano che le culture si formano e crescono attraverso un accumulo stratificato continuo proprio come il lavoro che viene proposto 2. Attività che rappresentano occasioni di incontro con la fisicità, il volto di persone sconosciute = METODOLOGIA CONVERSAZIONALE ( Dialogo, narrazione, scambio di memoria: ognuno ha una propria identità narrativa ma questa identità si mescola a quella degli altri in modo da generare storie di secondo livello che risultano dalla intersecazione di storie multiple) 3. METODOLOGIA PRESTAZIONALE: in questi casi c’è il contatto diretto e continuato con l’altro, il confronto linguistico, che si lega alla gestualità, agli atteggiamenti relazionali. Obiettivo: ricerca di un equilibrio che valorizzi entrambe le culture che entrano in gioco. NB: organizzare le attività per categorie metodologiche ha consentito di decostruire le attività, smontarne la struttura, per essere in grado di fornire a chi legge indicazioni per costruirne successivamente altre in modo autonomo. 16 Tratti comuni nelle metodologie interculturali: elementi costanti che vengono utilizzati per raggiungere obiettivi di riconoscimento reciproco. 1. Volontà di valorizzare la fisicità dell’altro: attraverso il corpo gli individui entrano in rapporto con ciò che è esterno a loro (altri individui o cose). 2. Necessità di mettere in comune forme della propria cultura attraverso varie forme narrative. 3. ha lati positivi ma può essere avvertito anche come rischio: il tentativo di capovolgere il peso didattico delle varie culture. Le attività di didattica interculturale non si limitano quasi mai alla trasmissione di informazioni e la mancanza di prove orali o scritte fa correre il rischio che nella mentalità dei ragazzi si formi un’equazione del tipo: intercultura=disimpegno. L’auspicio che l’insegnamento di attività interculturali possa contribuire a formare alcune competenze necessarie, come rispondere alle nuove esigenze comunicative e conservare una coesione interna in una società multiculturale. 6. Stili di insegnamento/apprendimento in classi plurietniche. 1. Comprensione dialogica: dialogo e atteggiamento ermeneutico 2. Interventi convergenti fra scuola, associazionismo, luoghi della ricerca ed enti locali 3. Uno stile di insegnamento che utilizzi quello sguardo interiore: serve a capire come gli allievi lavorano , capire i percorsi mentali, le idee che li regolano, comprendere procedure di pensiero, i collegamenti, i ricordi. Tenere conto di aspetti legati all’affettività, alla socializzazione, alle motivazioni relazionali e comunicative (guardare il loro comportamento pedagogico). Una forma di assimilazione inevitabilmente ci sarà ma dovrà rappresentare un processo spontaneo, di lunga durata, con tempi e modalità proprie per ciascuno. Bisogna scoraggiare l’isolamento di gruppi o gruppetti etnici senza scambi con l’esterno e inoltre favorire lo spirito della negoziazione, avviare la reciprocità degli scambi, verificare che vi siano nelle situazioni formali e informali i presupposti di uguaglianza e di libertà per tutti gli allievi. DIVERSITA’ E UGUGLIANZA 1. Il senso dell’appartenenza comune: Le scuole e le istituzioni che hanno a che fare con i minori credo che devono veicolare messaggi etici in grado di delineare e valorizzare il senso di una appartenenza comune e di una identità in formazione. I SIMBOLI: strutture fortemente mediatrici perché - mettono in rapporto qualcosa con qualcosa d’altro, -consentono di trasmettere un più alto numero di informazioni, -suggeriscono, evocano stati d’animo cioè un modo di situarsi nella realtà. -aiutano a costruire passo dopo passo la coscienza dei bambini e degli individui - mettono gli individui a contatto con una storia più lunga di quella riferibile alla loro singola storia, li mettono a contatto con la popolazione di appartenenza - consentono a ciascuno di noi di riconoscersi e di ricondursi a qualcosa di originario. SONO IMPORTANTI IN RIFERIMENTO ALL’IDENTITA’ il processo di costruzione dell’identità non è mai un percorso lineare. L’identità p un luogo dove le differenze, le ambiguità, le possibilità, i disagi possono e devono convivere. Nella costruzione dell’identità soggettiva e intersoggettiva, vale sempre il rapporto con 17 successo scolastico a tutti gli allievi, indipendentemente dalla provenienza, dalla lingua madre, dal gruppo di appartenenza (Flessibilità autorevole e sviluppare in se stessi la capacità di utilizzare le risorse esterne possibili). imparare a valorizzare la soggettività comune e le diversità individuali e abituarsi a valorizzare il confronto interpersonale. Mettere in dialogo universi culturali differenti, attivare scambi, confronti, comunicazione. E’ comprensibile che i docenti spesso vivano la loro professione con un forte senso di inadeguatezza perché la gestione delle classi composite è complessa. Modulare il programma e adattare il programma anche in base a loro proponendo attività svariate. 3. Nuove norme (Viaggio di DAVID BLOCK sul bus): la realtà che viviamo è come la descrive nel suo viaggio in autobus. Le città italiane nelle quali viviamo sono multilingue, multietniche e multiculturali. - Normativa 2005/2009: attenzione costante a spingere gli insegnanti e studenti a uscire dal guscio, a intrattenere relazioni, a misurasi con l’altro e l’altrove, mettersi in gioco e conoscere altri paesi. - Gruppo di circolari orientate a promuovere l’idea di Europa, la dimensione europea dell’educazione, l’interesse per l’Europa stessa. - atti normativi sulle minoranze linguistiche: il ministero ha dato molta attenzione alla tutela delle lingue minoritarie. - normative su tutta la tematica di integrazione - 2009: CITTADINANZA E COSTITUZIONE: arricchisce la prospettiva dell’educazione interculturale, non la limita. - Rendere le classi multiculturali luoghi di vera convivenza dove sia possibile per gli allievi elaborare l’identità personale ma anche maturare e svilupparsi i valori della solidarietà, della responsabilità condivisa, della competizione.. LA NORMATIVA è MOLTO IMPORTANTE IN QUANTO LA SUA CONOSCENZA E LA SUA APPLICAZIONE CONSENTONO LIBERTA’ DI MOVIMENTO AI DOCENTI E POSSIBILITA’ DI INTERVENTI A FAVORE DEGLI ALLIEVI ( le programmazioni possono subire aggiustamenti in riferimento ad alunni neo arrivati). PERCORSI DIDATTICI PER L’INTERCULTURA 1. Come fare accoglienza e integrazione in istituti secondari di secondo grado Gli istituti secondari di secondo grado sono coinvolti dalla fine degli anni Novanta del novecento nelle tematiche dell’educazione interculturale in quanto è aumentato progressivamente il numero degli studenti figli di famiglie immigrate. (la scelta si orienta spesso verso gli istituti Tecnico- professionali). Spesso accade che i docenti si concentrino di più sulla buona riuscita scolastica degli alunni stranieri e non sulla costruzione progressiva e alla diffusione di un pensiero interculturale negli istituti superiori. Vi è l’impressione che gli istituti superiori vedano ancora le tematiche 20 dell’intercultura da un punto di vista emergenziale e non strutturale. Esempio di procedura di intervento: 1. Nomina di un docente referente o la costruzione di un piccolo gruppo di lavoro che si prenda in carico le tematiche interculturali 2. Richiedere a tutti i docenti di rendersi disponibili volontariamente a mettere a disposizione qualche ora in più per approfondire o ripassare o ri-spiegare qualche argomento ai ragazzi stranieri del loro corso. 3. E’ bene cercare e trovare la collaborazione di gruppi associativi locali presenti spesso sul territorio che dispongono di mediatori culturali. Dopo questa prima fase di interventi di supporto le azioni da intraprendere possono essere molte e orientate in più direzioni: • Un tutoraggio fra pari: tutor che spiega il funzionale mento della scuola, aiutarlo in un primo approccio con le materie, individuare un piano di studio personalizzato.. Il tutor rappresenta per il ragazzo straniero un primo legame di amicizia e fiducia. • Studio individuale tutor/studente: acquisizione della lingua per comunicare. La modalità di interazione 1 a 1 è la più efficace, in grado di dare i migliori risultati in termini di comprensione dei contenuti e di riuscita scolastica , rispetto al tempo investito. • Laboratori linguistici e laboratori di sviluppo delle competenze • Laboratori interculturali: creare momenti di socialità tra ragazzi della stessa e età ma con lingua e provenienza diversa. Queste attività evitano effetti di straniamento e consentire una riflessione sulle comunanze e differenze delle varie culture. • Organizzazione di una festa interculturale a fine anno: moment di aggregazioni importanti • Corsi di formazione per docenti • Interventi e colloqui con uno psicologo 2.Un laboratorio di pedagogia narrativa come attività propedeutica all’insegnamento del cinese nella scuola primaria. ES: MULAN L’insegnamento di una seconda lingua non è un compito solo linguistico ma implica la conoscenza e l’accettazione della cultura di altri popoli. 3. Educazione interculturale e ambientale: percorsi possibili per la scuola media e la scuola primaria. Partendo dal tema della biodiversità naturale, legata alla ricchezza delle varietà di piante, si affronta il tema delle migrazioni, degli spostamenti e della diversità linguistica e culturale. In classe sono state condotte ricerche sui luoghi d’origine delle piante. E’ stato trattato il tema del viaggio sia dal punto di vista naturalistico che fantastico (collaborazione con la biblioteca per un percorso di narrazione). 21 4. Laboratori linguistici: un esempio La legge 40/98 all’articolo 36 prevede l’obbligo scolastico per i bambini stranieri e di garantire a tutti il diritto allo studio. Circolare n° 24/2006, indicazioni: - adeguata distribuzione di alunni stranieri - mettere in atto buone procedure di accoglienza - attivare percorsi che consentano il conseguimento del titolo conclusivo del primo ciclo dell’istruzione - facilitare l’insegnamento dell’italiano -orientamento scolastico e lavorativo - fornire mediatori linguistici e culturali - curare la formazione del personale scolastico …. DL 286/98 fornisce un Fondo Nazionale per le politiche migratorie (laboratori linguistici per alunni stranieri). Due fasi: 1. Alfabetizzazione e inserimento 2. Consolidamento L’EDUCAZIONE INCLUSIVA INTERCULTURALE: ULTIME INDICAZIONI NORMATIVE 1. “Niente 10 a diritto…, sei negra!”: razzismo in classi in un ITC “LA LOTTA CONTRO IL RAZZISMO COMINCA CON L’EDUCAZIONE” l’educazione interculturale, nel sistema scolastico italiano, è intesa come una via possibile di prevenzione al razzismo. Circolare n°201 del luglio 1990: - il principio dell’individualizzazione dell’apprendimento - valorizzazione della lingua e cultura di origine - educazione interculturale vista come risorsa per la convivenza democratica e la prevenzione del razzismo INSEGNARE E APPRENDERE IN UNA PROSPETTIVA INTERCULTURALE SIGNIFICA ASSUMERE LA DIVERSITA’ COME PARADIGMA DELL’IDENTITA’ STESSA DELLA SCUOLA, OCCASIONE PRIVILEGIATA DI APERTURA A TUTTE LE DIFFERENZE. SIGNIFICA RICONOSCERE NELLA SOCIALIZZAZIONE TRA PARI, NEL CONTATTO QUOTIDIANO TRA STUDENTI CON LINGUE DIVERSE E DIVERSI RETROTERRA FAMILIARI E CULTURALI, UNA MOTIVAZIONE IN PIU’ ALLA CONOSCENZA RECIPROCA E ALL’APPRENDIMENTO PER TUTTI. Dal punto di vista educativo è importante che non siano state sottovalutate sotto la categoria di “ragazzate”. E’ importante che siano state prese sul serio. Il caso è indicativo per diversi punti: • I compagni hanno messo in pratica azioni e comportamenti di esclusione • I docenti non sono stati in grado di accorgersene per intervenire • Vi sono enormi differenze fra le situazioni degli allievi 22
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