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l'educazione interculturale nella scuola, Schemi e mappe concettuali di Pedagogia

riassunto del libro di educazione interculturale nella scuola

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2015/2016

Caricato il 21/11/2016

c.c2491
c.c2491 🇮🇹

4.1

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Scarica l'educazione interculturale nella scuola e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Pedagogia solo su Docsity! L’EDUCAZIONE INTERCULTURALE NELLA SCUOLA Mariangela Giusti A CHE SERVE L’EDUCAZIONE INTERCULTURALE? UN CASO, PER INIZIARE (Juryi e Maryan) L’educazione interculturale serve a creare ponti di conoscenza reciproca, a far sì che le classi non si configurino come sommatorie di tanti piccoli ghetti. Serve a far sì che l’apprendimento, nei vari gradi d’istruzione, sia un’esperienza significativa per tutti e non frustrante. Serve ad abituarci a vedere l’educazione collegata a doppio filo con la società multiculturale all’interno della quale l’educazione vive, progredisce, cresce. Gli allievi autoctoni se non sono supportati dal pensiero interculturale dei loro insegnanti e dei loro educatori possono avere difficoltà a mettersi a confronto con compagni che provengono da mondi lontani. E viceversa. 1 VERSO UNA COMPRENSIONE DIALOGICA -flussi di uomini e di idee La mobilità etnico-sociale degli ultimi decenni è fondata su bisogni primari di sussistenza, di sopravvivenza alla fame, di tutela dei diritti umani; parte dai luoghi della miseria per arrivare a quelli del benessere. I nuovi immigrati arrivano da stranieri, e tali rimangono per settimane, mesi spesso per anni, in una convivenza in molto casi forzata con coloro che vivono nei paesi di arrivo e non riescono a vedere di buon occhio i nuovi arrivati. I nuovi immigrati si vedono bene, si riconoscono a prima vista nei paesaggi urbani di arrivo di chi già ci vive. Sergio Moravia ha prospettato un concetto di cultura che “sappia modificarsi rispetto all’identità che noi siamo”: partendo dal presupposto che la cultura è fatta di una identità in cammino, propone di sostituire al concetto di “monoidentità” quello di “poliidentità” e riporta la metafora dell’identità vista come una danza Settecentesca. Essa è una figura che conserva una sua visibile e invisibile sostanza, ma sempre modificandosi nelle parti che la costituiscono: balli comunitari socializzanti nei quali l’io assumeva diversi volti nelle singole sequenze dell’evento ballo. Rimane ancora molto attuale e valida da riprendere in una prospettiva educativa l’idea che Rorty esprime riguardo alle opere narrative: possiedono la caratteristica di far conoscere in modo dettagliato le diverse forme di sofferenza patite da presone a cui prima non avevamo prestato attenzione. Gli insegnamenti possono aiutare a comprendere la pluralità dell’identità di ciascuno. Sta agli studenti abituarsi a non considerare la cultura che essi stessi veicolano come separata. Questo presupposto ampiamente diffuso va corretto nel riconoscimento di una cultura fatta di intrecci e di scambi culturali. -un lungo apprendistato Gli scrittori, sono formatori formidabili, sono coloro che “sono usciti di casa e sono andati per la loro strada”, possono indubbiamente venirci in soccorso in campi come l’ed. int. o la cultura dell’handicap che ci impongono di collocarci, come educatori, in una prospettiva di comprensione dialogica, e di porci l’obiettivo educativo della solidarietà fra gli individui. Gadamer scrive “nell’altro e nel diverso noi possiamo in qualche modo incontrare noi stessi. Ma più pressante che mai è oggi il dovere di riconoscere nell’altro e nel diverso quel che vi è di comune.” Una prospettiva educativa che appare necessaria è quella che propone un dialogo che sappia riconoscere e mantenere le differenze, dato che la necessità del rapporto col diverso è un momento costitutivo della propria identità. “La solidarietà non la si scopre soltanto con la riflessione, la si crea, diventando più sensibili alla sofferenza e all’umiliazione subite da altre persone” (Rorty). Nel corso di questi ultimi anni nelle scuole di ogni ordine e grado si è progettato con la finalità dichiarata di insegnare agli allievi la solidarietà semplicemente mettendola in pratica nelle occasioni pedagogico-didattiche che la scuola offre. -una pedagogia dialogica Secondo l’opinione di Gadamer la varietà e la diversità sono “privilegi” della cultura europea, sono gli elementi caratterizzanti l’identità europea: appartenere ad essa consiste proprio nel non poter essere integralmente se stessi. Essere individui che portano in sé culture diverse: questo forse significa essere europei. Nel romanzo di Moravia “Agostino” ritroviamo una situazione che può verificarsi nelle classi delle nostre scuole ossia il tentativo di un ragazzo straniero di entrare a far parte di un gruppo di ragazzi autoctoni. Nel romanzo i due ragazzi si affrontano “cercando di non essere colti di sorpresa” dando vita a quella che Davidson chiama “teoria occasionale”: ciò che più serve loro per comprendersi attraverso il dialogo è “la capacità di far convergere la propria teoria occasionale su ciò che viene di volta in volta enunciato”. È un concetto interessante dal punto di vista pedagogico per gli interrogativi che ci apre. Se Le culture sono talmente tante e diverse nelle loro espressioni che ciascuno di noi si trova sempre in una posizione doppia, in un gioco di fuori e dentro, l’operazione complessa che spetta a ciascuno di noi è quella di “abitare la distanza” (Aldo Rovati). Se vogliamo dare una definizione all’espressione “educazione interculturale” la si può intendere in un significato condiviso come una maniera di concepire il ruolo dell’educazione in modo tale che più culture possano essere messe in relazione tra loro. Lo scopo della ped. Int. è di contribuire a far sì che individui diversi nelle loro radici linguistiche, religiose, etniche possano convivere senza conflitti all’interno di una società, in modo da salvaguardare il pluralismo delle culture. L’ed. int. tocca inevitabilmente territori esterni alla scuola e ambiti disciplinari esterni alla pedagogia. Uno di questi è la sociologia, che studia la consistenza quantitativa dei fenomeni migratori. La psicologia, l’antropologia, la linguistica, la filosofia, l’etnologia, la letteratura, la storia e anche la politica. -fattori personali-relazionali In qualunque rapporto educativo si possono individuare alcuni elementi relazionali che si riferiscono ai tratti individuali degli educandi. Le ore trascorse in classe sono strettamente correlate con la personalità degli alunni, in particolare incidono le esperienze di carattere sociale e affettivo. Godere di uno stato di benessere psicologico e costruire progressivamente la propria identità è connesso “alla possibilità di vivere in un clima interattivo che appaghi i bisogni personali di appartenenza, stima, socialità. All’interno della personalità sociale alcuni studiosi distinguono tre tipi di componenti strutturali interdipendenti tra loro: emozionale, cognitiva e strumentale che hanno come conseguenza una maggiore o minore attitudine a mettersi in gioco e ad apprendere una nuova lingua parlata. -familiarizzare con la nuova lingua Le difficoltà della lingua si estendono con facilità anche alla sfera dei comportamenti. Proprio per superare i primi problemi di lingua e di lavoro, una delle caratteristiche dell’immigrazione recente è la tendenza a raggrupparsi in una stessa zona. I bambini immigrati riescono a padroneggiare l’italiano in tempi relativamente brevi a differenza di quanto accade alle loro madri. Di solito nei primi tre/quattro mesi di scuola i bambini immigrati se ne stanno chiusi in se stessi, come distaccati. In seguito riescono, con tempi variabili, a seconda che vengano attuate strategie più o meno mirate, ad avere una padronanza dell’italiano che consenta di interagire bene con i compagni. La situazione linguistica ideale è che il bambino immigrato parli la lingua madre con i genitori a casa e l’altra lingua con i compagni, in seguito al suo inserimento nella scuola dell’infanzia o nella scuola dell’obbligo. È un bilinguismo con carattere di necessità, il bambino apprende la sua prima lingua come tutti i bambini monolingui, poi acquisisce la seconda, per soddisfare un bisogno vitale di comunicare con gli altri. Stare con gli altri è fondamentale, purchè gli altri bambini siano almeno della stessa età di un bambino immigrato. -insegnanti, compagni, familiari L’apprendimento di una lingua nuova comporta anche l’assunzione di nuovi comportamenti in sostituzione a comportamenti e abitudini già acquisiti. Se è determinante l’approccio individuale, lo è altrettanto la figura dell’insegnante. Per l’apprendimento della nuova lingua e dei nuovi comportamenti a fianco degli insegnanti contano molto i compagni di classe, ma sarebbe altrettanto importante la presenza sporadica dei familiari Una prospettiva attiva è in grado di promuovere spazi di incontro e di dialogo fra le diverse identità, di inventare un clima di accoglienza e di rispetto, che riconosce il valore della memoria degli ascendenti. L’obiettivo è quello di ricercare una memoria condivisa individuale e comunicabile, un progetto su cui lavorare insieme. La nostra memoria è alimentata da parole, odori, oggetti, assenze, presenze azioni compiute insieme. Integrazione significa anche diversità dal gruppo al quale si vorrebbe appartenere. Integrazione significa comunicazione, cioè imparare un nuovo linguaggio, ma anche tutto un codice gestuale che rientra nella tradizione culturale di comunicazione non verbale del popolo ospitante. Attraverso l’insegnamento della lingua materna viene trasmessa al bambino gran parte della tradizione culturale della sua comunità, nessun altro codice linguistico potrà avere una simile particolare valenza affettiva. Conoscere i vocaboli, i gesti, le espressioni mute, consente, secondo la teoria di Rorty, di prevedere i comportamenti degli altri, e questo è ancora più importante che conoscere solo le parole. Nel gruppo dei fattori ostacolanti lo stare bene a scuola sono comprese anche le abitudini familiari. Il rischio è che certe abitudini di vita o la cultura di origine si ritualizzino in forme fisse e inamovibili, in grado di invalidare molto quanto viene fatto da parte della scuola per una buona interazione scolastica. Le componenti emozionali fanno riferimento a strutture affettive e motivazionali che determinano l’intensità del coinvolgimento di un allievo e l’orientamento positivo o negativo del suo comportamento. Il punto di vista dei familiari è determinante anche nel sostenere l’importanza dell’acquisizione della lingua e della cultura del paese ospite, apprezzando o contrastando le proposte educative della scuola. L’atteggiamento dei membri della famiglia può ricoprire un ruolo importante anche nel favorire e nell’incoraggiare iniziative di incontro, di aggregazione, socializzazione e scambio culturale di conservazione e salvaguardia dell’identità nazionale. In situazioni di classi pluriculturali si richiede agli insegnanti un atteggiamento di “equilibrio”: da un lato ci deve essere da parte loro il riconoscimento dell’”altro”, allievo e genitore, come uguale nel senso che non deve essergli preclusa nessuna possibilità scolastica ed extras. D’altro canto ci deve essere da parte del docente nei confronti dell’allievo immigrato il riconoscimento della differenza secondo il metodo dell’enfatizzazione della identità di origine che consiste nel far sentire allo studente immigrato che è un protagonista, che può insegnare qualche cosa ai suoi compagni. L’obiettivo è di fare in modo che il bambino o l’adolescente non rimuova del tutto i tratti della cultura che appartengono alla sfera emozionale, alla sua famiglia, alla memoria. L’identità culturale dei bambini migranti è inevitabilmente toccata dalla migrazione, secondo G. Favaro ci sono quattro aspetti dell’identità che vengono coinvolti: lo spazio geografico, la cultura del quotidiano, lo status socio- economico, lo spazio linguistico. L’integrazione e la buona comunicazione fra compagni necessitano anche di una caratteristica, che è in gran parte individuale, da tempo al centro delle riflessioni di H. Gardner: la creatività Si tratta di un’innata volontà di “accettare dei rischi, di oltrepassare categorie e limiti convenzionali per raggiungere un effetto desiderato, un forte coinvolgimento e una partecipazione emotiva e un senso che qualunque cosa voglia essere detta può essere meglio comunicata in una forma simbolica”. Forse la creatività non può essere insegnata, ma può essere incoraggiata e favorita. FATTORI DEL RUOLO Sono quelli che investono più direttamente la sfera della professionalità degli insegnanti. Si possono riconoscere quattro diverse tipologie prevalenti di approccio al problema. -tipologie di docenti Ricoeur intende il dialogo come “uno scambio della memoria”, che consente di tradurre per gradi una cultura che non si conosce e presuppone un “trasferimento nell’ambiente culturale regolato dalle categorie etiche e spirituali dell’altro”. Il dialogo e la memoria, attraverso la “funzione narrativa” consente che avvenga lo scambio fra le regole, le norme, le credenze, le convinzioni che “fanno l’identità di una cultura”. Sia in ambito sociale che in quello educativo il problema non è tanto la varietà delle culture, piuttosto la loro coordinazione. Per Ricoeur il linguaggio è “autofondativo” nel senso che si presuppone da solo e per poter discutere bisogna che siamo d’accordo sul rispetto dell’altro che molto probabilmente sarà in contraddizione con noi. Se riusciamo a trasportare questo concetto filosofico ed applicarlo in ambito educativo ne faremo la base per una metodologia di lavoro. Per Todorov, la capacità degli europei di capire gli altri, essere elastici e mutevoli è una qualità intrinseca alla nostra cultura, che possiamo sfruttare. (lo studio compiuto sulla conquista dell’America, mostra come le popolazioni indigene non possedessero tale capacità). Questa caratteristica tipica degli Occidentali ha permesso loro di imporre il proprio modo di vita, perché essendo riusciti a entrare dentro la lingua e le culture degli indigeni, hanno saputo poi piegarli ai loro voleri. I rapporti fra individui, attraverso un atteggiamento di “comprensione dialogica” si possono instaurare in una condizione paritaria, senza che uno dei due soggetti debba avere la prevalenza sull’altro. Il ruolo del dialogo e del racconto nella costruzione dell’identità si affianca e si lega a un altro strumento epistemologico fondamentale: l’atteggiamento ermeneutico. L’educazione interculturale esige un lavoro continuo di interpretazione, un’attitudine a incrociare punti di vista diversi, richiede una capacità interpretativa continua che consenta di “disvelare le procedure e i contenuti del discorso, recuperando all’analisi il non detto, l’escluso. L’ermeneutica rende possibile un processo cognitivo destrutturante che sveli il nascosto e lo riporti nell’ambito del giudizio”. Levinas suggerisce che la comprensione degli altri è ermeneutica, questa è una sintesi molto efficace per affermare che se gli uomini possono comprendersi, ciò dipende dal fatto che le culture sono compenetrabili le une rispetto alle altre, aumentano il loro valore e il loro significato entrando in dialogo fra di loro. Ricoeur dice che :”il dialogo e lo scambio di memorie reciprocamente interpretate hanno ancora più valore se riguardano le sofferenze subite gli uni/ altri”. Nella pratica didattica si presentano continuamente occasioni per mettere in atto atteggiamenti improntati all’interpretazione: storie, fiabe, leggende, posture. L’educazione interc. Sottende una più generale educazione alla differenza, che non può essere vista in altro modo se non come un elemento strutturale del nostro essere individui nel mondo: una condizione iniziale necessaria, per l’esistenza stessa. Dialogo e atteggiamento ermeneutico, riuniti sotto la comune espressione “comprensione dialogica” sono procedimenti che ci aiutano nel costruire la nostra identità integrando i saperi che sono già nostri (quelli della cultura familiare a cui apparteniamo) con le sollecitazioni e i saperi che ci vengono dall’esterno, mettendo a confronto le differenze, ma andando a ricercare gli elementi comuni fra gruppi, culture; con la consapevolezza che è un processo difficile. -fattori socio-istituzionali In questo gruppo sono compresi i collegamenti della scuola con le strutture del territorio, inteso come spazio geofisico, storico, come insieme di settori operativi di interesse collettivo che dovrebbero rispondere a un disegno comune di buona accoglienza e reciproca integrazione. Le modalità di rapporto tra scuola ed extra-scuola sono passate da una fase di reciproca autoesclusione e ignoranza, a fasi di rapporto simmetrico, per collocarsi negli ultimi anni in un rapporto di collaborazione di tipo paritetico con una differenziazione di compiti che si integrano. È avvenuto il passaggio da un sistema formativo scuola-centrico a uno policentrico, la scuola è stata chiamata sempre di più a fare i conti con quello che le accade intorno. Oggi gli insegnanti sono consapevoli che la scuola fa parte di una rete di agenzie educative che operano su uno stesso territorio, che partendo dai bisogni formativi dei minori e degli adulti si occupano in forme diverse e coordinate dell’educazione della società locale. -l’integrazione non avviene da sola In questi ultimi anni si sono fatte sempre più frequenti le occasioni di incontri interculturali organizzati da enti locali e associazioni del volontariato, con la collaborazione delle varie comunità, con lo scopo di far conoscere la musica, l’arte, il cibo delle “culture altre”. È illusorio aspettarsi che l’integrazione fra gruppi avvenga da sola, in maniera spontanea, naturale. È bene che gli insegnanti e la scuola più in generale imparino ad approfittare sempre di più di queste occasioni, in maniera non casuale ma programmatica. Nella nostra società, come più in generale in quelle Occidentali, vi sono due tensioni opposte: la tendenza a rendere universali valori, linguaggi, beni, significati e la tendenza a frazionare, escludere, riservare, separare. L’ideale sarebbe avere e saper trasmettere ai ragazzi il giusto equilibrio fra una logica di relazione verso l’esterno e un corretto rapporto con se stessi, fra “avere” un mondo ed “essere” un mondo. La ricerca dell’identità del noi comporta sempre un dosaggio difficile fra due tipi di operazioni: separazione e connessione, fra noi e gli altri. Evitare l’annientamento andando a cercare nell’alterità qualcosa che possa definire la sua identità. In questo processo la scuola ha un ruolo decisivo. L’ed. interc. ha evidenziato l’importanza di accantonare un modello formativo chiuso e proporre forme aperte, laboratoriali, narrative espressive, multiculturali, che stimolino una ricerca e una definizione identitaria nei giovani, in un’ottica pluridisciplinare. L’incontro con persone che provengono da lontano e vivono nel nostro paese è un fatto necessario oggi nella scuola. La scuola non dovrebbe perdere l’occasione di guardare con curiosità cosa c’è intorno a sé. -normative, circolari, dati quantitativi Nel gruppo dei fattori socio-istituzionali sono comprese anche le normative di riferimento che consentono la messa in atto reale di iniziative e progetti. L’educazione è divenuta oggi un fatto ufficiale della scuola, ma la storia evolutiva della legislazione è avvenuta attraverso le circolari che il Ministero della Pubblica Istruzione ha emesso, oltre ai documenti approvati a livello internazionale dai Paesi. La prima circolare specificamente rivolta alla presenza di allievi immigrati nelle scuole è la n. 301 del 1989. Ribadisce la necessità di garantire l’uguaglianza delle opportunità formative. La circolare m. del 1990 n.205, forniva consigli su come coordinare gli interventi interculturali a livello locale, è in questo documento che si parlava per la prima volta in modo ufficiale di educazione interculturale, mostrandola come una risorsa. Successivamente nel 1992 il consiglio nazionale della P.I pone attenzione sui concetti di dialogo, rispetto, impegno e promozione di ciascuno. La C.M. del 1994 (Dialogo interculturale, convivenza democratica: l’impegno progettuale della scuola) estende l’attenzione alla complessità del confronto fra culture, promuove il dialogo e la convivenza costruttiva. sugli altri. Alla curiosità, si affianca poi la valorizzazione delle differenze chi i nuovi arrivati manifestano in vari momenti della vita di classe. Si possono provare esiti proficui in forme di aiuto reciproco e promuovendo particolati attitudini che i migranti hanno per alcune discipline. Gli insegnanti sanno perfettamente che spetta a loro attivare iniziative che favoriscano uno scambio culturale per meglio comprendere la situazione economica, sociale e familiare dei nuovi allievi. Nella scuola italiana ci sono insegnanti che si trincerano dietro atteggiamenti non dialogici: docenti che dichiarano la loro difficoltà “in relazione alla differenza linguistica”. La loro è una maniera per dire che la scuola fa fatica ad adeguarsi alla diversità. L’integrazione dei bambini non si limita alle ore trascorse a scuola: se si favoriscono le relazioni fra istituzioni, comunità del quartiere e gruppi immigrati anche il lavoro della scuola è facilitato. Si è compreso che non basta l’integrazione del bambino, occorre anche quella della sua famiglia. La scuola non può attuare completamente la sua azione di accoglienza se le famiglie non sono aiutate nei loro bisogni primari. Il ruolo dei dirigenti scolastici è determinante nel raccogliere le istanze e i bisogni che provengono dai docenti e nel trovare le soluzioni normative che consentano di reperire le risorse occorrenti. LA QUESTIONE DELLA LINGUA: UNA DISCRIMIANANTE Quello della lingua viene visto spesso come un problema dominante. L’opinione unanimamente condivisa è che occorre potenziare lo sviluppo del linguaggio in modo da permettere agli allievi immigrati l’inserimento e la partecipazione attiva ai vari lavori proposti. Emergono in particolare tre temi: Le strategie didattiche, la preparazione professionale, i vantaggi sul piano educativo. I problemi linguistici sono legati a quelli relazionali a causa dell’isolamento linguistico degli immigrati. È necessario favorire uno scambio continuo di informazioni, tenere presente la diversa mentalità e l’atteggiamento psicologico dei ragazzi immigrati nei confronti della scuola, fare frequenti riferimenti ai paesi di provenienza in storia e geografia. Si possono inventare situazioni di gioco che comportano interscambi fra i bambini, giochi linguistici. Si possono proporre esperienze reali, potenziare il linguaggio mimico gestuale, accompagnare la parola all’immagine, favorire i processi imitativi, utilizzare forme di comunicazione non verbale e più linguaggi come: musica, danza, teatro, ecc. Il tempo gioca un ruolo primario: ne occorre molto per l’approfondimento degli elementi fondamentali della grammatica e successivamente della struttura sintattica della lingua. Parlare più lentamente, prestare maggior attenzione alla pronuncia, tornare sul significato dei termini. Ai ragazzi madrelingua italiana da tutto ciò inevitabilmente deriva una maggiore capacità di meta-analisi sulla loro lingua. L’ideale è poter istituire laboratori linguistici corredati di materiali e strumenti adeguati e condotti da insegnanti appositamente delegati. Un problema di tipo organizzativo consiste nell’imparare o nel reimparare a gestire meglio il tempo dedicato alla didattica ad es. preparare il materiale in anticipo e con cura, organizzare i gruppi di lavoro. La presenza dei bambini immigrati richiede riferimenti culturali, metodologici, didattici e organizzativi, ma se è vero che mette in evidenza le situazioni di marginalità, si mettono in evidenza anche le insufficienze e i ritardi culturali della scuola. Questo fatto è potenzialmente positivo e richiede un’innovazione globale che investe atteggiamenti mentali profondi: diminuire gli alunni per classe, utilizzare docenti di sostegno, ecc. STRUMENTI PER UNA DIDATTICA CHE INCENTIVA IL DIALOGO FRA CULTURE I primi materiali a disposizione degli insegnanti sono stati elaborati verso la fine degli anni ’80, con la collaborazione di associazioni che operano nel campo della cooperazione. Nei dieci anni successivi i materiali si sono diversificati, sono andati crescendo nel numero e si sono specializzati nella qualità. Strumenti molto utili sono i libri che contengono fiabe e racconti dei paesi di provenienza dei bambini immigrati. -tessuti connettivi pedagogici Chiunque parte per emigrare altrove lo fa per sfuggire a qualcosa. La disperazione, la ricerca di senso all’esistenza, la speranza, la libertà. Vivere una nuova realtà è complicato e i risultati non sono congrui alle attese. La pedagogia int. ha almeno due compiti primari: 1. Non rendere più acute le identificazioni etniche e le separazioni 2. Preparare tutti gli allievi a vivere in una società dove la diversità culturale è un dato di fatto. È necessario che l’organizzazione scolastica e dell’extrascuola si sappiano strutturare con due caratteristiche prevalenti: la mutevolezza e la relazionalità. Un sistema educativo che intenda educare alla buona cittadinanza deve essere sufficientemente mutevole: al suo interno devono potersi organizzare le differenze di abitudini, di cibo, di cultura orale, di scrittura, di lingua. Un sistema educativo che intenda educare a buone pratiche di cittadinanza deve essere anche sufficientemente relazionale: deve essere in grado di stabilire al suo interno relazioni complementari fra bambini/ragazzi che appartengono a culture differenti, ma anche di intrecciare relazioni verso l’esterno fra le culture diverse a cui gli allievi appartengono e la cultura maggioritaria. Le difficoltà nelle migrazioni sono tali e tante che, per resistere, i nuovi arrivati dovrebbero trovare una organizzazione sociale che tenga presenti i bisogni che essi manifestano in quanto presenze attive che non si accontentano di esistenze alternative, ma vogliono incidere positivamente sul tessuto produttivo e sociale nel quale hanno deciso di trasferire la propria esistenza. L’apertura è necessaria al rafforzamento delle identità reciproche, alla sopravvivenza della propria cultura. L’esigenza di una organizzazione mutevole e relazionale si riscontra in modo particolare nel processo di insegnamento/apprendimento dell’italiano come seconda lingua a bambini stranieri. È fondamentale tener conto di varie riflessioni socio-pedagogiche. La prima è relativa al rapporto fra situazione culturale di partenza degli allievi e cultura della scuola. Nella cultura della scuola tutto fa riferimento a una regolazione sociale dei comportamenti e delle relazioni tra i membri appartenenti alla comunità scolastica. Le ripercussioni delle differenze culturali sul piano socio-relazionale e su quello dell’apprendimento risultano essere in molti casi marcate. C’è l’abitudine a considerare la cultura come una realtà data per scontata, che non c’è bisogno di problematizzare. Nel contesto della scuola le aspettative per lo più non vengono esplicitate: i processi di adattamento alle regole avvengono attraverso i canali impliciti della cultura familiare e sociale, che naturalmente sono diversi nel caso dei bambini stranieri. Un altro ordine di problemi in cui la relazionalità e la mutevolezza del sistema educativo diventano fondamentali riguarda la relazione insegnanti/allievi/ famiglie. Gli insegnanti, spesso proprio a causa delle barriere linguistiche, comprendono poco o male i retroterra culturali delle famiglie dei bambini immigrati e i loro riferimenti valoriali. Le barriere linguistiche e le differenze culturali possono aumentare la distanza fra le famiglie immigrate e la scuola. Organizzare meglio il rapporto “culturale”, valoriale, comportamentale fra docenti e allievi, è un intervento auspicabile, aiutando gli allievi ad essere attori del processo di apprendimento nel quale sono inseriti. -principi guida per una pedagogia del dialogo fra culture La storia dell’umanità è tutta una storia di “fusioni” di gruppi diversi, quindi, qualunque cultura non ha mai una sola origine, è una storia di culture, lingue, saperi che si sono incontrate fondendosi gli uni negli altri. Serres ha elaborato È possibile ora introdurre alcune tematiche riguardo all’apprendimento in contesti inter. come il mondo dei simboli, la costruzione dell’identità, la memoria, il rispecchiamento, l’idea di stratificazione, ecc. I simboli (dal greco sun-ballein, fa stare insieme) sono strutture fortemente mediatrici, dunque utili per mediare culture, linguaggi, sguardi, posture perché mettono in rapporto qualcosa con qualcos’altro. I simboli sono costantemente presenti e centrali nelle fiabe, aiutano a costruire passo dopo passo la coscienza dei bambini e degli individui; sono la loro caratteristica che si trasmette col sapere e con l’educazione, prima familiare, in seguito scolastica, poi sociale. Miti, fiabe, riti popolari si diversificano nel modo di esprimersi da famigli a famiglia, eppure a ben guardare sono riferibili ad un patrimonio simbolico comune. I simboli sono importanti in riferimento all’identità, che è qualcosa che ci appartiene e che si costruisce continuamente, che non è mai qualcosa di statico. Il processo di costruzione dell’identità per chiunque non è mai percorso lineare. Legata all’identità è la memoria che ci permette di collocarci in un tempo e in un luogo, è la base della conoscenza e dell’identità personale e di gruppo. Senza ricordo, senza passato con cui confrontare il nostro presente e il nostro progetto ci s sente come smarriti. È importante impegnarsi in quanto adulti insegnanti perché si diffonda fra gli allievi con cui operiamo la consapevolezza che diventa nostra memoria anche tutto quello che appartiene ai percorsi di vita di altri. Interrogarci sull’apprendimento in contesti int. ci rimanda simbolicamente all’idea dell’ombra e del doppio, nella cultura archetipica dell’uomo è il mistero, ciò che è diverso da noi. È importante far comprendere che l’incontro con la diversità può essere fruttuoso di avventure, scoperte, cose buone. I simboli, l’identità, la memoria, l’attitudine a rispecchiarsi nell’altro sono tutti tratti che interessano chi si sposta da un luogo e va a vivere in un altro. L’identità di ciascuno si delinea e si forma all’interno di un tessuto intersoggettivo fatto di relazioni, basato sul reciproco riconoscimento, attraverso confronti e integrazioni di differenze. Per dare spazio agli altri occorre in primo luogo “decostruire” la nostra stessa identità: mettere in discussione alcune “incrollabili” certezze, pregiudizi, luoghi comuni. La solidarietà fra individui non la si copre, la si costruisce. -la necessità della mediazione Gli obiettivi prioritari di un atteggiamento di mediazione sono: -insegnare strade di una integrazione che tenga conto degli approcci reciproci degli altri, senza giustapporli e abituarsi a leggere le culture degli altri in una sintesi, riconoscendo la pluralità dei mondo culturali. -favorire la costruzione d’identità non deboli ma flessibili che sappiano individuare valori condivisibili. -lavorare costantemente per estirpare i pregiudizi sugli altri e le paure del diverso. -la scuola è il luogo più istituzionalmente deputato alla crescita individuale e all’apprendimento delle relazioni interpersonali. È necessario educare ad un “pensiero in movimento”. -tentare di superare progetti di integrazione forzata troppo rapida. -agire una didattica del “mettersi nei panni” proporre vari tipi di giochi di ruolo per consentire agli allievi di comprendere le situazioni di emarginazione e discriminazione Fra i molti aspetti che si possono individuare come componenti strutturali di modelli educativi orientati a superare il disagio di vivere con due culture è opportuno esplicitarne tre: • La valutazione positiva da parte dei docenti della lingua madre come veicolo di forte identità di appartenenza e come veicolo per entrare in un’altra cultura. • La considerazione positiva della necessità di buoni rapporti fra famiglia e scuola, vista come possibile legame di aiuto e di riconoscimento della cultura familiare. • La funzione educativa del ricordo come forma di legame simbolico fra due culture. Tutti i genitori affermano di utilizzare la lingua madre in ambito familiare nell’educazione dei figli. La lingua è vista come il legame più forte con il paese di provenienza e la cultura originaria, un patrimonio che appartiene intimamente all’individuo. Ciò ha ricadute evidenti di tipo sociale in quanto fra gli obiettivi dell’ed. int. c’è anche quello di prevenire l’isolamento e i conflitti etnico-razziali. Il rapporto di insegnamento con i bambini che vivono con due culture prevede che venga dato il privilegio alle categorie del rispetto, della comprensione e del dialogo reciproco, in grado di valorizzare l’alterità. 5 CITTADINANZA E COSTITUZIONE L’attenzione, la preoccupazione vigile e la responsabilità verso il rapporto esistente fra l’agire politico e l’esperienza educativa sono tre atteggiamenti che nel pensiero di P.Bertolini sono indicati come necessari agli educatori. Il pensiero int. riconosce a tutti la parità dei diritti civili e sociali. Bertolini ha indicato agli insegnati la strada di un approccio riflessivo che si rivela essenziale nelle classi multietniche e indica una serie di passi utili da compiere per rendere visibile la dimensione sociale dell’insegnamento come garanzia primaria per la tutela dei diritti di tutti. Nelle classi multietniche l’insegante/soggetto dovrebbe imparare a partire da se stesso, cercare di distruggere i preconcetti, successivamente dare senso a ciò che accade, porsi degli interrogativi, cercare nuovi significati, tenere un diario riflessivo per poter attingere ad una esperienza che si fa via via più ricca e riutilizzabile. Il docente dovrebbe essere in grado di dar voce ai singoli allievi, ma anche di tessere un unico insieme articolato. Un secondo passaggio riguarda l’esercizio dell’epochè ( cioè la messa fuori causa delle convinzioni preconcette e la sospensione del giudizio). Non si tratta di cancellare la diversità ma piuttosto di trovare il senso al suo essere lì. Infine l’uguaglianza da tenere davvero presente è quella sancita dagli articoli 2 e 3 della Costituzione Italiana che parlano di riconoscimento e garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo, pari dignità sociale e uguaglianza di fronte alla legge. LE COMPETENZE DEI DOCENTI Le classi multietniche impongono ai docenti di acquisire anche la consapevolezza di una nuova emancipazione personale, di un nuovo senso di responsabilità che consiste nel voler garantire il successo scolastico di tutti gli allievi. Si cerca di creare delle partnership fra agenzie territoriali e mondo dell’immigrazione in modo che cresca un po’ per volta la condivisione dei valori sociali di partecipazione e cooperazione. La nuova professionalità richiede ai docenti di abituare se stessi in modo ordinario a pensare la soggettività degli studenti come singolare/plurale, cioè inclusiva dell’identità e della diversità. NUOVE NORME Le città italiane nelle quali viviamo sono multilingue, multietniche, multiculturali. Per noi adulti questa è una realtà che abbiamo visto modificarsi e crescere anno dopo anno, dalla metà degli anni ’80 dello scorso secolo in avanti. La scuola italiana si trova, oggi nei primi decenni del 2000, ad essere ben attrezzata sul piano della normativa. Dal 2005 al 2012 l’attenzione posta al
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