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L'educazione interculturale nella scuola , Sintesi del corso di Pedagogia Sperimentale

L'intercultura all'interno dell'ambito scolastico con esempi, testimonianze e una spiegazione generale di cosa si intende per intercultura

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017

Caricato il 06/02/2017

SarahCuccorese
SarahCuccorese 🇮🇹

4.5

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Scarica L'educazione interculturale nella scuola e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia Sperimentale solo su Docsity! L’educazione interculturale nella scuola. I. VERSO UNA COMPRENSIONE DIALOGICA. 1. Flussi di uomini e idee. Un giovane maschio adulto che parte dalle coste africane, che, per tappe successive, forte del sostegno di una rete di amici nel suo movimento di allontanamento, raggiunge luoghi sempre più a nord, che va in avanscoperta, per poi chiamare un amico dopo di sé all’inseguimento di un mito esistenziale e culturale che aveva assaporato e sognato attraverso alcuni media. Appare emblematica questa vicenda d vita, perché ci parla di flussi continui, ininterrotti di uomini e idee. La modalità etnico-sociale degli ultimi decenni è fondata su bisogni primari di sussistenza, di sopravvivenza alla fame, di tutela dei diritti umani, di sussistenza per i figli; parte dai luoghi di miseria per arrivare a quelli del benessere. A chi svolge professioni educative compete il compito di chiedersi attraverso quali veicoli potrebbero avvenire cambiamenti di questa portata nelle convinzioni etiche e sociali e negli atteggiamenti quotidiani delle persone, degli educandi. Secondo quanto scrive Rorty, questi veicoli sono rappresentati da alcuni generi letterari che definisce “descrittivi”, come l’etnografia, il teatro, il film, il reportage, il fumetto e il romanzo che si programmano a usare un certo linguaggio mediante il quale descrivono il mondo. Rimane ancora molto attuale e valida la prospettiva educativa che Rorty esprime riguardo alle opere narrative: possiedono la caratteristica di far conoscere in modo dettagliato le diverse forme di sofferenza patite da persone a cui prima non avevamo prestato attenzione. L’esperienza della lettura di racconti fatta insieme con la partecipazione comune di insegnante e alunni deve essere intesa come un passo obbligato per aiutarci nel lavoro pedagogico. Gli insegnanti possono aiutare a comprendere la pluralità dell’identità di ciascuno, a superare il pregiudizio della “purezza” delle culture. 2. Un lungo apprendistato. È necessario un apprendistato lungo nel passato della gran parte di coloro che a un certo punto della vita si trovano a svolgere un ruolo di guida, di maestro, di insegnante. Un apprendistato che trova terreno fertile fino a che quell’esercizio quotidiano subisce delle battute di arresto, per poi interrompersi quasi del tutto a causa del passaggio necessario e lento verso procedure burocratiche e concorsuali e verso specialismi sempre più precisi. Una prospettiva educativa che appare necessaria è quella che propone un dialogo che sappia riconoscere e mantenere le differenze, dato che la necessità del rapporto col diverso è un momento costitutivo della propria identità. Come insegnanti non possiamo pensare che la solidarietà possa essere qualcosa di cui ci si deve rendere conto. Nel corso di questi ultimi anni nelle scuole si è cercato di andare in questa direzione, cioè con la finalità dichiarata di insegnare agli allievi la solidarietà semplicemente mettendola in pratica nelle occasioni pedagogico-didattiche che la scuola mette in piedi. 3. Una pedagogia dialogica. In una classe in cui si intenda mettere in atto una pedagogia dialogica sarà difficile non trovarsi ad affrontare argomenti come lo shock culturale, la perdita identitaria, il valore della diversità, l’essere stranieri agli altri e a sé stessi. Sono argomenti di cui molti insegnanti delle scuola avvertono l’urgenza per le presenze sempre più numerose di allievi stranieri nelle loro classi. Secondo l’opinione di Gadamer la varietà e la diversità sono “privilegi” della cultura europea, sono gli elementi caratterizzanti l’identità europea. Il caso di Jennifer, ragazzina di 12 anni, è emblematico come esempio di identità positiva multietnica e multilinguistica sempre più diffusa: Jennifer è figlia di una coppia emigrata negli anni ’80 dal Ghana; è nata a Torino, parla perfettamente l’italiano, si sente torinese e italiana. Il suo è stato un percorso di cui è perfettamente consapevole, niente è stato facile. Perché i giornali si sono tanto interessati al caso di Jennifer? Perché i suoi genitori hanno il progetto di andare a lavorare in Gran Bretagna e lei non ci vuole andare. Essere individui che portano con sé culture diverse: questo significa essere europei. Una civiltà della diversità, come quella europea, non dovrebbe aver bisogno di dotarsi di un falso spirito di tolleranza per tentare la coesistenza con i diversi: è la forza dell’identità europea a rendere possibile la tolleranza. Secondo Rorty, quando introduciamo un nuovo amico in un contesto di vecchi amici rivediamo le nostre opinioni sul vecchio e sul nuovo; in un certo senso modifichiamo la nostra identità. Questa operazione di 1 “modifica” che i bambini non riusciranno a mettere in pratica con velocità e destrezza è altrettanto complessa nell’età dell’adolescenza. Gwendoleen è l’adolescente narrata da Buchi Emecheta che, dal villaggio vitale e colorato di Grandville in Giamaica, va a raggiungere la famiglia nella periferia di Londra. Per Gwendoleen tutto il processo di integrazione è complicato e, negli anni adolescenti, liberarsi di quanto si portava dentro della tradizione del suo paese e disfarsi di una identità già in parte delineata comporta rischi, errori, dolori. Ancora peggio è la vicenda di Sambia Diallo raccontata dallo scrittore senegalese Cheikh Hamidou Kane che da un villaggio dell’Africa Nera si trova a vivere a Parigi: una narrazione singolare, questa, perché interessata a portare in superficie il mondo interiore del protagonista quindicenne e le difficoltà reali che esso incontra nel tentativo di mediarlo con la società occidentale. L’operazione di modifica, di adattamento, assimilazione, sostituzione di linguaggi identitari, cambio di mondi è altrettanto difficile in età adulta e spesso sembra non avvenire neppure, nel senso che chi emigra, pur vivendo altrove, mantiene in tutto e per tutto il suo patrimonio che si è costituito nel paese dove è nato e vissuto. Tilottama è una signora emigrata dall’India in una grande città dell’Occidente che di professione fa la maga delle spezie. La sua bottega è quasi un’isola nel via vai della città e lei sembra non voler lasciare o dimenticare niente del suo patrimonio di immagini, ricordi illuminazioni. Sembra quasi che tenti di evitare la contaminazione con quello che l’Occidente ha da offrirle in cambio. Obi Okonkwo del narratore nigeriano Chinu Achebe, è l’eroe eponimo degli individui in bilico fra due culture, che non riescono a mettere in atto una vera operazione di modifica. Obi, dopo essere stato in Europa, per un lungo periodo di anni e avere assimilato la cultura occidentale, ritorna in Nigeria. Si confronta sia con la vita del villaggio, sia con l’ambiente urbano. Lo sradicamento, il disorientamento, il disagio non diminuiscono col passare dei giorni e dei mesi. Obi, come Gwendoleen, Samba, Tilottama non riescono a coniugare le molteplici tensioni che ci sono tra i due mondi. Predisporre un percorso di autoaggiornamento che si orienti verso una comprensione dialogica su alcune tematiche legate all’intercultura vuol dire partire da un esercizio di letture alternative. Per ripartire con buone letture dialogiche mi sembra significativo seguire una traccia indicata da Rorty: egli propone una distinzione fra libri che ci aiutano nella nostra ricerca dell’autonomia e libri che ci insegnano a diventare meno crudeli. I libri che ci aiutano nella nostra ricerca dell’autonomia hanno a che fare con quelle che lui chiama le “impronte cieche”: le contingenze dell’individuo, tutto ciò che ha lasciato un segno indelebile su di lui. 4. Disagi. Abbiamo la possibilità di osservare e riflettere sui movimenti, le situazioni, le parole, le abilità e le disabilità di individui che sperimentano nella loro quotidianità una differenza che non si colma fra “io” e “loro”, fra “noi” e “gli altri”. Secondo Rorty, “noi” ha di norma una valenza contrappositiva, nel senso che si contrappone a un “loro” fatto anch’esso di esseri umani, ma “quelli spagliati”. Un esercizio verso la solidarietà a cui possiamo sottoporci consiste nel saper togliere importanza a una serie sempre più estesa di differenze tradizionali di tribù, religione, etnia, usi, nomi e simili, nel concentrarci di più, invece, sulla somiglianza del dolore e nell’umiliazione prendendo l’abitudine di includere nella sfera del “noi” persone immensamente diverse da noi stessi. Possiamo tentare questo esercizio con i personaggi di 4 romanzi in una sorta di raccolta fenomenologica di esistenze. L’esercizio che si propone consiste in un lavoro di eliminazione di molte contingenze, di molte “impronte cieche” che hanno portato un individuo ad essere quello che è, per limitarci semplicemente a descrivere gli effetti di quelle coincidenze. Ma la “situazione” ci deve interessare come educatori: l’obiettivo è di costruirci una fenomenologia di situazioni della “diversità” dalla quale andare ad attingere quando nella pratica giornaliera ce la troviamo di fronte. Il primo esempio è S.F., protagonista di un romanzo di poca azione e di molti silenzi, trentenne, emigrato da un paesino dove la gente vive in case scavate nella roccia senza acqua né luce, in una grande città del nord, lavora sette ore al giorno. L’esperienza dello sradicamento, dello shock culturale determinano in lui una serie di atteggiamenti, comportamenti vicini a quelli della nevrosi. Una lettera dal paese lo porta a riconoscere dentro di sé un’oscura nostalgia, a riavere in sé la sua infanzia e con la paga di un mese decide di andare a trovare la madre al paese. Comincia, col viaggio, un processo lento di riconoscimento e di ricostruzione. Il secondo esempio è quello di A.R., un intellettuale scapolo, faccia di roccia che, dopo aver girato per mezzo mondo, si ritrova a vivere la vita in una città che non è la sua, in una camera d’albergo. I tratti del suo 2 perché non accettava di essere l’ultimo della classe. F. però non si è scoraggiato e in pochi mesi ha raggiunto il livello dei compagni al punto che i suoi genitori hanno chiesto, e ottenuto, di fargli sostenere l’esame di quinta un anno prima. Le insegnanti hanno cominciato ad assegnarli dei compiti in più, nei quali F. è stato sempre seguito dai genitori. In questi 2 casi, nel comportamento della ragazzina e del ragazzo, la componente cognitiva individuale sembra aver avuto un ruolo primario ed è in stretta correlazione col comportamento sociale all’interno dell’aula con gli altri. L’atteggiamento dei membri della famiglia può ricoprire un ruolo importante anche nel favorire e nell’incoraggiare iniziative di incontro, di aggregazione, di socializzazione e di scambio culturale. È sempre più frequente che associazioni ed enti locali si attivino per coinvolgere non solo gli allievi nelle attività delle scuole, ma anche i loro genitori. Le abitudini dei familiari che condizionano, o orientano, alcuni comportamenti dei bambini si intrecciano con l’atteggiamento degli insegnanti. In situazioni di classi pluriculturali si richiede agli insegnanti un atteggiamento di “equilibrio”: da un lato ci deve essere da parte loro il riconoscimento dell’”altro”, allievo o genitore, come uguale nel senso che non deve essergli preclusa nessuna possibilità scolastica ed extrascolastica; dall’altro canto però ci deve essere da parte del docente nei confronti dell’allievo immigrato il riconoscimento della differenza secondo il metodo della enfatizzazione della identità d’origine, che consiste nel far sentire allo studente immigrato che è un protagonista, che può insegnare qualcosa ai suoi compagni. L’obiettivo è di fare in modo che il bambino/adolescente non rimuova tutto d’un tratto e in maniera forzata i tratti della cultura che appartengono alla sua famiglia, anzi che mantenga un contatto con essi. Mettendo insieme esperienze e saperi, genitori, allievi e docenti possono contribuire a creare una comunità che rappresenta un’opportunità per una pratica attiva e quotidiana di diritti e doveri. La scuola del futuro sarà sempre più abitata da allievi dalle provenienze più diverse e dunque ciò che si può ipotizzare è che essa sappia essere scuola del dialogo, della comunicazione e non del silenzio e dell’indifferenza. In questo primo gruppo di fattori rientrano anche gli atteggiamenti dei compagni di classe che riflettono di solito quelli più o meno palesemente aperti o chiusi dei loro genitori nei confronti della presenza in classe dei bambini stranieri. L’integrazione e una buona comunicazione fra compagni necessitano anche di una caratteristica da tempo al centro delle riflessioni di H.Gardner: la creatività. Secondo lui, si tratta di un’innata volontà di accettare dei rischi, oltrepassare categorie e limiti convenzionali per raggiungere un effetto desiderato. In particolare, ciò accade in momenti importanti per le interazioni fra allievi: attività di disegno e manipolative, momenti di ascolto e produzione di musica e suoni, spazi di tempo dedicati alla lettura e al racconto. 1.2 Fattori del ruolo. Sono quelli che investono più direttamente la sfera della professionalità degli insegnanti. Le tante osservazioni condotte nelle classi hanno permesso di raccogliere una rappresentazione fenomenologica nella quale pare che si possano riconoscere 4 tipologie prevalenti di approccio al problema da parte degli insegnanti. Tipologie di docenti: - molti insegnanti nella scelta dei metodi e contenuti mostrano di adeguarsi alla convinzione in base alla quale i bambini che vengono da lontano devono adattarsi quanto prima ai nuovi compagni, alla nuova realtà e alla nuova lingua. [quello che la Gibson definisce multiculturalismo benevolo-ingenuo: un’educazione multiculturale che insegna e integri nella cultura dominante gli studenti appartenenti a culture diverse] - altri docenti mostrano di non porsi il problema della differente provenienza e trattano i bambini stranieri come tutti gli altri (è assente la consapevolezza del problema). - le scelte didattiche della maggior parte degli insegnanti con i quali si è avuto un contatto rientrano in una terza categoria: sono scelte orientate a far sì che e differenze non si appiattiscano e che sia data la possibilità ai bambini stranieri di mantenere le loro radici e la loro lingua. [punto di vista che a Gibson definisce educazione multiculturale come pluralismo culturale, che vuole salvare e valorizzare le diverse culture etniche e aumentare il potere delle culture di minoranza] 5 - in diverse scuola la presa di posizione degli insegnanti a livello di interclassi orienta le scelte didattiche verso una conoscenza reciproca da parte dei bambini delle rispettive culture. [la Gibson la definisce educazione multiculturale come insegnamento di ciò che appartiene a culture differenti, che cerca di promuovere una migliore conoscenza incrociata fra le diverse culture] Non si sono osservate situazioni corrispondenti ad un’altra tipologia individuata dalla Gibson, che viene da lei definita con l’espressione educazione biculturale, in base alla quale viene insegnato agli studenti delle due culture a operare con successo in ciascuna delle due. Teorie sui rapporti sociali. Le impostazioni pedagogico-didattiche appena descritte fondano le loro radici in retroterra culturali che riguardano non soltanto la scuola ma i rapporti fra i gruppi all’interno della società. Le analisi condotte hanno fatto individuare 3 teorie sui rapporti sociali e culturali: - indicata con l’espressione “teoria della conformità dominante” è sostanzialmente di tipo assimilazionista; tende a omologare le culture minoritarie, la lingua e la cultura del quotidiano, nel modello dominante, attraverso una loro progressiva svalorizzazione. - la teoria definita del “melting pot” prevede che si crei una nuova cultura come sintesi delle varie culture presenti nella società: di fatto, però, il peso sciale e l’incidenza culturale del gruppo più forte prevalgono sugli altri. - un’altra teoria è quella detta del “pluralismo modificato” secondo il quale gli individui appartenenti alle diverse culture mantengono le loro identità influenzandosi e modificandosi a vicenda nella convivenza comune. È inevitabile che alcune forme di tutte e 3 le teorie possono essere presenti in una società complessa come quella europea. Nell’ambito dell’Unione Europea si registra la presenza di nuove comunità culturali e linguistiche in continuo rinnovamento, riconducibili allo Stato d’origine, ma integrate nella società d’accoglienza, restano tutte ancorate al paese d’origine, senza per questo chiudersi nei confronti dell’ambiente circostante. Condivisioni, esiti, stili. In primo luogo viene da chiedersi se, allo stato attuale delle cose, siano molti i docenti che condividono le scelte programmatiche che si vedono messe in pratica nelle scuole. In esse, infatti, mettono in atto attività impostate su una base teorica condivisibile di relativismo culturale moderato, inteso non nel senso di un’accettazione passiva della diversità culturale ma presuppongono che il rapporto fra le culture sia dinamico, fato di scambi e di prestiti e conduca all’elaborazione di forme nuove di cultura. In secondo luogo viene da domandarsi quali esiti possono avere sulla professionalità dei singoli docenti le attività didattiche di tipo interculturale intraprese. Ciò è che il riferimento teorico ha come prima conseguenza l’assunzione di un proprio stile educativo. Lo stile induttivo è quello degli insegnanti che si muovono con un atteggiamento esplorativo, con l’interesse a ricercare qualche innovazione e a saperne di più. Un secondo è lo stile accuditivo, che privilegia atti che oscillano fra la protettività e la rassicurazione, per far sentire il bambino straniero ben accetto. Lo stile interculturale è quello dei docenti che esplorano, si interrogano, riconoscono le differenze e le valorizzano. Si può presupporre che il comportamento più o meno attento o indifferente degli insegnanti nei confronti delle questioni interculturali avrà come conseguenza l’instaurarsi di un rapporto proporzionale di maggior o minor familiarità e fiducia da parte dei bambini immigrati verso l’istituzione educativa. Non è da sottovalutare l’aspetto contenutistico dell’insegnamento in riferimento agli allievi stranieri. È senz’altro giusto che i contenuti che gli insegnanti trasmettono contribuiscano alla formazione della loro identità di bambini con una cultura doppia, ma si corre il rischio che contribuiscano anche a confondere la loro fragile identità di formazione. Se la pedagogia interculturale è una pedagogia dialogica, allora dovrebbe abituare a dialogare con chi appartiene a una cultura diversa dalla propria, con scale di valori, tempi e ritmi diversi. Strumenti per una epistemologia interculturale. L’abitudine alla lettura ci riporta al dialogo come strumento per arrivare alla conoscenza. Il dialogo è il primo strumento che i docenti devono tener presente per una epistemologia interculturale. 6 Il dialogo e la memoria, attraverso la “funzione narrativa” consente che avvenga lo scambio fra le regole, le norme, le credenze che fanno l’identità di una cultura. Il dialogo interculturale dovrebbe impedire di restare spettatori indulgenti di fronte alle incongruenze di una cultura. Esso intende come prima cosa riconoscere il rispetto dell’interlocutore per il semplice motivo di rendere possibile il dialogo stesso. Il ruolo del dialogo e del racconto nella costruzione dell’identità si affianca e si lega ad un altro strumento epistemologico fondamentale in ambito interculturale: l’atteggiamento ermeneutico. L’educazione interculturale esige costantemente un lavoro di interpretazione da parte di chi insegna o di chi guida un gruppo di adolescenti/adulti in formazione, a incrociare punti di vista diversi nell’intento di farne una sintesi per farli convivere senza conflitto. Dialogo e atteggiamento ermeneutico, riuniti sotto la comune espressione “comprensione dialogica”, sono procedimenti che ci aiutano nel costruire la nostra identità integrando i saperi che sono già nostri con le sollecitazioni e i saperi che ci vengono dall’esterno, con la convinzione che si tratti di un processo difficile perché nel momento stesso in cui l’altro si arricchisce e determina una consapevolezza nuova di noi stessi, ci limita mostrando i confini della nostra cultura. 1.3 Fattori socio-istituzionali. In questo gruppo sono compresi i collegamenti della scuola con e strutture del territorio, inteso come spazio geofisico, storico e come insieme di settori operativi di interesse collettivo. Le modalità di rapporto fra scuola ed extrascuola sono passate da una fase di reciproca autoesclusione, a fasi di rapporto simmetrico, per collocarsi negli ultimi anni in un rapporto di collaborazione di tipo paritetico con una differenziazione di compiti che si integrano. L’integrazione non avviene da sola. L’esperienza di altre nazioni ha mostrato che è illusorio aspettarsi che l’integrazione fra i gruppi avvenga da sola, in maniera naturale. Le occasioni di incontri, mostre, festival che consentono di conoscere aspetti del patrimonio culturale e simbolico di altri gruppi umani rappresentano momenti importanti di animazione e di offerta culturale per i quartieri e le grandi città. È bene che gli insegnanti e a scuola più in generale imparino ad approfittare sempre di più di queste occasioni. Le associazioni che organizzano queste occasioni rivolte alla gente e alle scuole sono animate dalla volontà di mostrare che è possibile uno scambio di conoscenze, abitudini, modi di fare e di essere senza collocarsi per forza su piani sfasati; intendono mostrare che è possibile una comunicazione comprensiva fra gruppi che si riconoscono come diversi. Anche le organizzazioni non governative ed i centri interculturali diffusi su tutto il territorio hanno varato veri e propri programmi di vasto impegno che agiscono poi direttamente sulle strutture dei quartieri. Tutti questi organismi giocano un ruolo fondamentale nel processo di potenziamento del training per insegnanti ed educatori. Nella nostra società vi sono due tensioni opposte: la tendenza a rendere universali valori, linguaggi, beni, significati e la tendenza a escludere, separare, riservare. L’ideale sarebbe avere e saper trasmettere il giusto equilibrio fra una logica di relazione verso l’esterno e un corretto rapporto con sé stessi. La ricerca dell’identità del noi comporta sempre un disagio difficile fra due tipi di operazioni: separazione e connessione. In questo processo la scuola ha un ruolo decisivo: ad essa spetta il compito di sviluppare il suo progetto formativo attorno alle materie umanistiche, scientifiche e tecnologiche. L’educazione interculturale ha messo in evidenza che è importante accantonare un modello formativo tradizionale, chiuso e isolante nei confronti dell’ambiente esterno, saper avviare modelli pedagogici più aperti fondati sulla ricerca, sull’uso dei laboratori e sulla capacità di mettere in dialogo situazioni diverse. L’incontro con persone che provengono da lontano e vivono nel nostro paese è un fatto necessario oggi nella scuola. Normative, circolari, dati quantitativi. Nel gruppo dei fattori socio-istituzionali sono comprese anche le normative di riferimento che consentono la messa in atto reale di iniziative e progetti che rappresentano un arricchimento per tutti gli utenti di una scuola. Le prime circolari fornirono indicazioni di tipo metodologico e operativo, circolari successive si sono integrate sul senso di quelle prime indicazioni. Il Ministero ha poi saputo far tesoro dei contributi teorici di studiosi italiani e stranieri e anche del patrimonio metodologico e didattico che le scuole stesse hanno maturato. 7 In una scuola pluralista e dialogica, gli operatori scolastici ritengono positivo qualunque intervento formativo che coinvolga le famiglie dei bambini riguardo al lavoro, alla casa, corsi integrativi di lingua, sulle leggi, le normative, le regole e i diritti. 2. La questione della lingua: una discriminante. Quello della lingua viene visto spesso come un problema dominante. Occorre potenziare lo sviluppo del linguaggio in modo da permettere agli allievi immigrati l’inserimento e la partecipazione attiva ai vari lavori. Emergono in particolare 3 temi: le strategie didattiche, la preparazione professionale, i vantaggi sul piano educativo. 2.1 Le strategie didattiche. I problemi linguistici sono legati a quelli relazionali a causa dell’isolamento linguistico degli immigrati. Le strategie devono sempre rivolgersi a rendere dinamico e flessibile l’insegnamento, a stabilire una reale comunicazione all’interno del gruppo classe e a sviluppare operatività. È necessario favorire uno scambio continuo di informazioni e tenere presente la diversità mentale e l’atteggiamento psicologico dei ragazzi immigrati nei confronti della scuola. Si possono inventare situazioni di gioco che coinvolgono tutti per ottenere partecipazione e interscambi fra i bambini; si possono fare giochi linguistici di transizione di termini o proporre esperienze reali dove il linguaggio è espressione di vita. Fra le strategie di un atteggiamento dialogico come condizioni ricorrenti a tutti i livelli è opportuno potenziare il linguaggio mimico e gestuale, accompagnare la parola all’immagine e lavorare più in gruppo. Il tempo gioca un ruolo primario: ne occorre molto per l’approfondimento degli elementi della grammatica e, successivamente, della struttura sintattica della lingua. L’ideale sarebbe poter istituire laboratori linguistici corredati di materiale e strumenti adeguati e condotti da insegnanti appositamente delegati. Il primo problema di tipo organizzativo consiste nell’imparare a gestire meglio il tempo. Molti insegnanti ritengono che le questioni linguistiche comportino vantaggi sul piano educativo per tutti gli allievi, con maggiore attenzione agli elementi strutturali della lingua, la presa di coscienza di altre culture, una maggiore comprensione per tutte le diversità, collaborazione, solidarietà e partecipazione. Le differenze linguistiche stimolano alla conoscenza e al rispetto reciproco, a una maggior socializzazione. 3. Strumenti per una didattica che incentiva il dialogo fra culture. I primi materiali a disposizione degli insegnanti sono stati elaborati verso la fine degli anni ’80. Strumenti molto utili sono i libri che contengono fiabe e racconti dei paesi di provenienza dei bambini immigrati. Gli ultimi testi usciti sul mercato, confrontati con quelli di qualche anno fa, hanno un’impostazione teorica più precisa, sono più ricchi di spunti didattici e operativi e più curati dal punto di vista grafico. 4. Mitigare i dubbi. Gli operatori della scuola, a livello individuale, e le singole istituzioni scolastiche affrontano in maniere diverse le questioni relative al dialogo fra culture e all’educazione alla cittadinanza. Si è diffuso uno stile professionale collaborativo che costituisce la base delle “didattiche interculturali” più precise e meglio definite da elaborare in futuro, per la gestione della diversità linguistica e culturale all’interno di un gruppo classe. L’educazione interculturale rappresenta per la scuola italiana un elemento innovativo e critico; rappresenta un miglioramento della qualità del servizio scolastico per tutti gli studenti, 4.1 Tessuti connettivi pedagogici. Chiunque parte per emigrare altrove lo fa per sfuggire a qualcosa e le cause si riconducono alla disperazione, alla ricerca di un senso all’esistenza, alla speranza. Vi è la necessità di presupporre reciproche azioni che modifichino il comportamento di tutti e che riguardino la sfera dell’educazione. Perché vi sia interazione è necessario che gli individui si possano incontrare, che esistano condizioni di incontro, occasioni per conoscersi. 10 Una delle prime scelte che si prospetta alla riflessione pedagogica interculturale consiste nel non costringere in vincoli culturali troppo stretti gli allievi che arrivano da lontano con stili cognitivi propri, linguaggi diversi, culture altre già interiorizzate. Partendo dall’idea pedagogicamente fondata dell’interazione, alla quale si legano gli scambi, gli intrecci di sapere e di culture, si arriva a comprendere che è indispensabile che l’organizzazione del sistema educativo scelga di non arroccarsi in maniera rigida su posizioni di dominio, che sappia consentire spazi e tempi adeguati ai bisogni di ciascuno. La pedagogia interculturale riguarda la formazione di tutti gli allievi, sia che appartengano a gruppi maggioritari che minoritari. Essa ha almeno 2 compiti primari: 1) non rendere più acute le identificazioni etniche e le separazioni; 2) preparare tutti gli allievi a vivere in una società dove la diversità culturale è un dato di fatto. È necessario che l’organizzazione scolastica e dell’extrascuola si sappiano strutturare con due caratteristiche prevalenti: la mutevolezza e la razionalità. Per quanto riguarda la mutevolezza, un sistema educativo che intenda educare alla buona cittadinanza deve essere sufficientemente mutevole: al suo interno devono potersi organizzare le differenze di abitudini, di cibo, di cultura, di scrittura e di lingua. A chi ha la responsabilità dell’organizzazione pedagogica di una scuola, insegnanti ed educatori, spetta un atteggiamento di equilibrio che non esalti la differenza etnica come un dogma ma che nemmeno la elimini. Sul piano del metodo, un atteggiamento improntato al dialogo e all’interpretazione, è fondamentale perché presuppone un lavoro paziente e metodico per ricercare modi e spazi di coesistenza nei quali la consapevolezza di sé riesca a coniugarsi con il rispetto dell’altro. Invece, per quanto riguarda la razionalità, un sistema educativo che intenda educare a buone pratiche di cittadinanza deve essere anche sufficientemente razionale poiché deve essere in grado di stabilire al suo interno relazioni complementari fra bambini/ragazzi che appartengono a culture differenti. Le difficoltà nelle migrazioni sono tante che, per resistere, i nuovi arrivati dovrebbero trovare un’organizzazione sociale che tenga presenti i bisogni che essi manifestano in quanto presenze attive che non si accontentano di esistenze alternative, ma vogliono incidere positivamente sul tessuto produttivo e sociale nel quale hanno deciso di trasferire la propria esistenza, senza restarne ai margini. L’esigenza di un’organizzazione mutevole e razionale si riscontra in modo particolare nel processo di insegnamento/apprendimento dell’italiano come lingua seconda a bambini stranieri. È fondamentale tener conto di varie riflessioni socio-pedagogiche: la prima è relativa al rapporto fra situazione culturale di partenza degli allievi e cultura della scuola, che comprende saperi consolidati da trasmettere, metodi, valori e norme. Le ripercussioni delle differenze culturali sul piano socio-relazionale e su quello dell’apprendimento risultano essere in molti casi marcate. Un altro ordine di problemi in cui la razionalità e la mutevolezza del sistema educativo diventano fondamentali riguarda la relazione insegnanti/famiglie/allievi. Gli insegnanti, proprio a causa delle barriere linguistiche, comprendono poco e male i retroterra culturali delle famiglie dei bambini immigrati e i loro riferimenti valoriali. Un obiettivo da perseguire è quello dell’adattamento reciproco, linguistico e culturale. La distanza tra famiglie immigrate e scuole è uno dei presupposti per l’insorgere nella fase dell’adolescenza o della post-adolescenza di differenti crisi che ben difficilmente riguardano solo loro stessi o il gruppo ristretto a cui appartengono. Da queste riflessioni socio-pedagogiche consegue che qualunque intervento in ambito linguistico non può limitarsi a proporre semplici esercizi di grammatica, ma deve anche pensare a organizzare meglio il rapporto culturale, valoriale e comportamentale fra allievi e docenti. 4.2 Principi guida per una pedagogia del dialogo fra culture. Gli spostamenti e le migrazioni di massa sono state una necessità economica di ogni epoca. Nel Mediterraneo, la zona geografica che più ci riguarda da vicino, le migrazioni hanno costituito l’elemento essenziale per il diffondersi della cultura e della società. Qualunque intervento improntato ai principi della pedagogia interculturale è indispensabile nel territorio della psicopedagogia collettiva per poter raccogliere qualche frutto positivo, spesso neppure nel breve periodo. Per chi si muove c’è lo stacco, lo sradicamento, l’abbandono e la perdita del territorio; per chi è fermo e vede gli altri arrivare cresce il riconoscimento accentuato di una differenza che si ipotizza non colmarsi mai. 11 Possiamo fissare alcuni principi guida di una pedagogia del dialogo fra le culture, ai quali è opportuni riferirsi in modo esplicito o implicito che riguardano tanto l’ambito educativo quanto quello formativo e sociale: 1. Chi lavora in contesti educativi scolastici e dell’extrascuola è opportuno che si adoperi affinchè si creino le condizioni necessarie all’instaurarsi di rapporti di interazione fra chi arriva e chi vive stabilmente nel luogo; 2. L’interazione fra la società ospite e gli immigrati può funzionare in un rapporto proficuo e, in questa prospettiva, i contesti formativi giocano un ruolo di primo piano; 3. È importante riconoscere il valore positivo delle mescolanze, degli incontri che si originano dal movimento di individui verso altri individui; 4. La pedagogia deve collocarsi in prima linea nel rifiutare qualunque posizione che intenda rivendicare la “purezza della razza”; 5. Come educatori scolastici e dell’extrascuola occorre comprendere che il rapporto fra “noi” e “gli altri” non si può mai dare per scontato. 5. Metodologie. Le attività di educazione interculturale possono comportare variazioni notevoli nei contenuti e nei metodi. In ambito interculturale è facile capire che il linguaggio non è solo il canale per comprendere il mondo e la valorizzazione della creatività personale degli allievi, è un aspetto che gratifica e motiva molto all’apprendimento. Le metodologie sono strettamente collegate alla didattica. È interessante individuare alcune componenti fondamentali delle attività di didattica interculturale: - Molte attività osservate sono strutturate in modo tale che, per alcuni mesi, insegnanti e allievi sono impegnati in un lavoro di ricerca attiva e comune. Sono attività che mettono in atto una metodologia che potremo chiamare della stratificazione delle esperienze. Questa metodologia viene adottata nelle attività che partono dalla volontà di analizzare i rapporti fra due culture o da un problema specifico di tipo interculturale o razziale. - Altre attività rappresentano occasioni di incontro con la fisicità, con il volto di persone prima sconosciute, dai linguaggi e dai modi inconsueti. Sono attività che utilizzano una metodologia che si può definire conversazionale. Essa è basata sulla conversazione e, quindi, sull’incontro con la fisicità dell’altro, sull’ascolto e sulla presa di coscienza delle diversità di lingua, gestualità, tempi e immagini. Ciò che conta in attività di questo tipo è il dialogo, la narrazione e lo scambio di memoria. - Altre attività ancora prospettano varie integrazioni condotte da un esperto straniero. In questo caso viene dato il privilegio a una metodologia definibile prestazionale. Vi è il contatto diretto e continuato con l’altro ma ciò che più conta è l’insieme delle attività che vengono proposte e svolte, che hanno come obiettivo la ricerca di un equilibrio che valorizzi entrambe le culture che entrano in gioco e che sembrano molto lontane. Organizzare le attività per le categorie metodologiche ha consentito di decostruire le attività smontandone la struttura. 5.1 Tratti comuni nelle metodologie interculturali. Gli interventi di educazione interculturale che le scuole attivano sono molto diversi fra loro soprattutto per i contenuti trasmessi, ma dal punto di vista del metodo si individuano alcuni elementi costanti che vengono utilizzati per raggiungere obiettivi di riconoscimento reciproco: 1. Un primo elemento è la volontà di valorizzare la fisicità dell’altro in modo tale da determinare l’instaurarsi di una relazione fisica fra gli allievi e gli “stranieri” e per mettere in relazione docenti e allievi. 2. Un secondo elemento è la necessità di mettere in comune forme della propria cultura attraverso varie forme narrative. In questo senso l’intercultura diventa un possibile terreno nel quale esercitare la funzione di un sé narratore che nella nostra società e anche nella scuola sembra scomparire un po’ per volta. 12 - la funzione educativa del ricordo come forma di legame simbolico fra due culture in certi casi anche molto distanti fra loro. La lingua è vista come il legame più forte con il paese di provenienza e la cultura originaria, un patrimonio che appartiene intimamente all’individuo. Nel dialogo le differenze entrano in comunicazione in forma paritaria ed è possibile riconoscere alle differenze una specificità culturale, un’autonomia, un senso che occorre vengano mantenuti perché significano il mantenimento dell’identità. Il dialogo costruisce una sorta di rete che permette ai soggetti che vivono con due culture di riconoscersi. V. CITTADINANZA E COSTITUZIONE. 1. La dimensione sociale dell’insegnamento in classi plurietniche. Il pensiero interculturale in educazione opera per riconoscere a tutti la parità dei diritti civili e sociali. Nelle classi multietniche l’insegnante dovrebbe imparare a partire da sé stesso, dovrebbe cercare di distruggere i preconcetti per poter costruire punti di vista nuovi a partire da sé e dall’esperienza concreta con gli alunni stranieri e autoctoni reali coi quali opera. Il compito critico e difficile che l’insegnante deve imparare a svolgere consiste nel continuo lavoro di dare senso a ciò che accade. L’esercizio fenomenologico dell’epochè (cioè la messa fuori causa delle convinzioni preconcette e la sospensione del giudizio) opportuno nei contesti multiculturali: ciò significa trovare il senso a partire da sé stessi, da quella situazione. Non si tratta di cancellare la diversità di chi arriva altrove, si tratta piuttosto di trovare il senso al suo essere lì in quel contesto classe, con quel gruppo di compagni, in quella scuola, in quel particolare territorio. Gli allievi stranieri irrompono sulla scena delle classi, ne cambiano il disegno ordinario e lo arricchiscono, lo rendono plurale e stimolante. Ogni allievo neo arrivato si porta dietro la sua propria singolarità, con la quale l’insegnante deve negoziare provando a calarsi un po’ dentro la sua vita. Le difficoltà d’integrazione ci sono: non si riesce a trovare un linguaggio comune, la relazione stenta a nascere, l’apprendimento tarda a manifestarsi perché mancano i presupposti fondamentali. Accogliere gli allievi che arrivano da lontano con tutto il bagaglio visibile e invisibile che si portano dietro richiede molta pratica riflessiva. Si assume come punto di partenza la condizione di ogni soggetto in apprendimento. L’uguaglianza da tenere presente è solamente quella dei diritti, quella sancita dagli articoli 2 e 3 della Costituzione italiana, che parlano di riconoscimento e garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo, di pari dignità sociale e di uguaglianza di fronte alla legge. 2. Le competenze dei docenti. In qualunque attività di educazione interculturale è implicito il senso dell’educazione alla cittadinanza, è insito un aspetto sociale e politico. La dimensione pedagogica diventa compito sociale perché la scuola lavora e opera con l’obiettivo dell’uguaglianza delle possibilità non come se fosse un’utopia demagogica, ma come un compito quotidiano. La professionalità degli insegnanti nelle classi plurietniche necessita di molta attenzione agli aspetti sociali, considerati i cambiamenti avvenuti della popolazione scolastica. Per tanto tempo l’interculturalità è stata vista come una sorta di fenomeno di transizione: emergevano due atteggiamenti in modo quasi ripetitivo, da un lato erano molti coloro che intendevano l’intercultura come un forma di pensiero che potesse davvero evolvere verso una scuola in gradi di farsi carico delle diversità come elemento strutturale non solo del rapporto fra stranieri e autoctoni ma dei rapporti interpersonali nelle società complesse; dall’altro canto però erano tanti i docenti che manifestavano la perplessità che l’intercultura avesse corso troppo e non esitavano a esprimere l’auspicio che nel giro di pochi anno si potesse tornare verso una situazione di minore vicinanza e interdipendenza delle culture le une con le altre. Ma i punti di vista timorosi sull’identità e sulla cultura manifestati da così tanti docenti inducono a riprendere e ribadire un concetto, cioè che qualunque cultura è in movimento. Per questo motivo la scuola gioca un ruolo essenziale: le attività che vi si svolgono devono partire dal presupposto della diversità degli esseri umani. 15 Le classi multietniche impongono ai docenti di acquisire anche la consapevolezza di una nuova emancipazione personale, di un nuovo senso di responsabilità che consiste nel voler garantire il successo scolastico a tutti gli allievi, indipendentemente dalla provenienza. La nuova professionalità chiede ai docenti di abituare sé stessi in modo ordinario a pensare la soggettività degli studenti come singolare/plurale, cioè inclusiva dell’identità e della diversità. Questi significa imparare a valorizzare la soggettività comune e le diversità individuali e significa abituarsi a valorizzare il confronto interpersonale. 3. Nuove norme. Si prende in esame la normativa che riguarda la scuola sui temi dell’intercultura emanata negli ultimi 4 anni. In diversi momenti (2006,2007,2008) sono stati emanati atti normativi che fanno riferimento all’articolo 5 della legge n.482 del 1999 sulle minoranze linguistiche: alla tutela delle lingue minoritarie parlate nelle diverse regioni d’Italia. Vi sono poi due documenti di sintesi molto importanti: la circolare 24 del 2006 e il Documento “La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri”. Sono significativi perché riuniscono e riprendono la normativa sull’intercultura emanata per la scuola italiana a partire dal 1989. Ma la circolare 24 del 2006 fa qualcosa di più che non una semplice raccolta e riproposizione: ne approfondisce e riesamina tutta la tematica dell’integrazione. Gli insegnanti devono averla presente. Se osserviamo nel suo insieme la normativa 2005/2009 si nota un’attenzione costante a spingere gli insegnanti e gli studenti a “uscire dal guscio”, a intrattenere relazioni, a misurarsi con l’altro. Una novità è il documento n.2079 del 2009 che fornisce una serie di indicazioni per avviare la sperimentazione della nuova disciplina “Cittadinanza e Costituzione” per la quale è prevista un’ora settimanale. L’impegno che viene prospettato è di rendere le classi multiculturali luoghi d vera convivenza dove sia possibile per gli allievi elaborare dialetticamente l’identità personale ma dove possano anche maturare e svilupparsi i valori della solidarietà, della responsabilità condivisa, della competizione e della cooperazione. I docenti sono sollecitati a individuarne i contenuti, le metodologie, le forme di relazione e di valutazione degli apprendimenti che favoriscono la partecipazione e il coinvolgimento di tutti gli alunni. La normativa è molto importante in quanto la sua conoscenza e la sua applicazione consentono libertà di movimento ai docenti e possibilità di interventi a favore degli allievi. VI. PERCORSI DIDATTIVI PER L’INTERCULTURA. 1. Come fare accoglienza e integrazione in istituti secondari di secondo grado. Gli istituti secondari di secondo grado sono coinvolti dalla fine degli anni Novanta del Novecento nelle tematiche dell’educazione interculturale in quanto è aumentato progressivamente il numero degli studenti figli di famiglie immigrate. Dai dati MIUR si ricava che la scelta spesso si orienta verso gli istituti Tenico- Professionali. Una prima procedura utile e necessaria è la nomina di un docente referente o la costituzione di un piccolo gruppo di lavoro che si prenda in carico le tematiche interculturali. Un secondo passaggio che si può fare fin da subito è richiedere a tutti i docenti di rendersi disponibili volontariamente a mettere a disposizione qualche ora in più per approfondire o ripassare qualche argomento ai ragazzi stranieri del loro corso. Dopo questa prima fase di interventi di supporto, le azioni da intraprendere possono essere molte e orientate in più direzioni. - Prevedere un tutoraggio fra pari è utile il tutoraggio di ragazzi un po’ più grandi perché rappresenta per il ragazzo straniero un primo legame di amicizia e fiducia. - Studio individuale tutor/studente gli studenti neo arrivati hanno bisogno di un aiuto per ‘acquisizione della lingua per comunicare . la modalità d’interazione 1 a 1 è la più efficace in grado di dare i migliori risultati in termini di comprensione dei contenuti e di riuscita scolastica, rispetto al tempo investito. - Laboratori linguistici e laboratori di sviluppo di competenze è importante ottimizzare le poche risorse a disposizione organizzando dei laboratori di studio pomeridiani aperti a gruppi ampi di studenti. - Laboratori interculturali i laboratori possono aiutare a usare l’italiano in contesti extrascolastici, a costruire reti di amicizia nell’ambiente scolastico, a influire positivamente sulla resa scolastica. Essi possono aiutare i ragazzi stranieri a valorizzare e mantenere la propria cultura attraverso la presentazione al resto del gruppo di musiche, danze, cibi, costumi. 16 - Organizzazione di feste interculturali a fine anno sono momenti in cui si cerca di ottenere un coinvolgimento e un incontro tra scuola, famiglie, migranti, docenti e cittadinanza. Lo scopo ultimo risulta quello di rendere visibili gli aspetti meno evidenti degli universi culturali di coloro che, provenendo da altrove, vivono fra noi. - Corsi di formazione per docenti dedicati ai docenti su alcune tematiche: intercultura, nozioni di base sulle principali culture d’immigrazione, italiano L2, tecniche di semplificazione di testi. 3. Educazione interculturale e ambientale: percorsi possibili per la scuola media e la scuola primaria. Nei casi in cui la scuola è situata in prossimità di un parco o di un grande giardino pubblico, è molto interessante attivare percorsi di educazione interculturale e ambientale di taglio interdisciplinare, che possono coinvolgere vari ambiti: scienze, italiano, geografia, educazione artistica e musicale, lingue straniere. Partendo dal tema della biodiversità si affronta il tema delle migrazioni, degli spostamenti e della diversità linguistica e culturale. 4. Laboratori linguistici: un esempio. Le scuole di tutti gli ordini e gradi devono cercare la collaborazione con le strutture territoriali per fa fronte alle difficoltà e ai bisogni che l’utenza straniera fa emergere. Nel corso degli anni è andata maturando un’esperienza diffusa davvero molto ricca: sono innumerevoli le esperienze virtuose nelle quali il ruolo dell’ente locale è fondamentale. La scuola deve essere il luogo dove le nuove generazioni si formano alla mondanità, all’integrazione, al dialogo. La legge 40 del 1998 all’articolo 36 prevede l’obbligo scolastico per i bambini stranieri presenti sul territorio e di garantire a tutti il diritto allo studio anche attraverso l’attivazione di interventi specifici finalizzati all’apprendimento della lingua italiana. Le indicazioni che si ricavano dalla circolare n.24 del 2006 sono almeno le seguenti: - prevedere un’adeguata distribuzione della presenza degli alunni stranieri - mettere in atto buone procedure di accoglienza per gli alunni stranieri - attivare percorsi che consentono il conseguimento del titolo conclusivo del primo ciclo d’istruzione - facilitare l’insegnamento dell’italiano e l’apprendimento della lingua e della cultura italiana - garantire buone opportunità per l’orientamento scolastico e lavorativo - fare in modo di disporre di mediatori linguistici e culturali a scuola - curare la formazione del personale scolastico - porre attenzione alla valutazione degli apprendimento e delle prestazioni degli allievi e degli studenti - fare in modo che le scuole dispongano di buoni libri di testo, biblioteche e materiali didattici. Una scuola che accoglie in maniera competente deve essere attrezzata e poter contare su materiali informativi e di modulistica plurilingue, deve saper attivare le risorse interne ed esterne, deve definire le procedure di accoglienza sintetizzate nel protocollo di accoglienza. Nel laboratorio di prima alfabetizzazione è stata data importanza all’approccio iniziale, alla comunicazione non verbale, ai gesti, rispettando i momenti di silenzio, senza forzare gli allievi. Dopo un periodo dedicato alla conoscenza, l’alunno viene sottoposto a una piccola valutazione delle capacità linguistiche attraverso un test d’ingresso. Una volta individuato il livello di conoscenza dell’alunno, sono organizzati dei laboratori per consolidare le basi acquisite e per imparare e studiare in italiano lingua 2. Di volta in volta, in base agli argomenti trattati in aula, l’educatore deve valutare le preconoscenze dei vari alunni e gli input ricevuti dalla classe, così da poter impostare la lezione. Il percorso è durato complessivamente 60 ore al termine delle quali l’educatore è stato chiamato a valutare i progressi degli alunni attraverso la collaborazione con i docenti della scuola. VII. L’EDUCAZIONE INCLUSIVA INTERCULTURALE: ULTIME INDICAZIONI NORMATIVE. 2. Le ultime normative per l’inclusione interculturale. Le differenze linguistiche e culturali a scuola richiedono una presa in carico da parte di tutti, con la consapevolezza che rappresentano la normalità, non l’eccezione. 17
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