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l'educazione interculturale nella scuola, Dispense di Pedagogia

riassunto capitolo per capitolo del libro

Tipologia: Dispense

2017/2018

Caricato il 09/11/2018

alessia-gobbo
alessia-gobbo 🇮🇹

4.4

(70)

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Scarica l'educazione interculturale nella scuola e più Dispense in PDF di Pedagogia solo su Docsity! L’EDUCAZIONE INTERCULTURALE NELLA SCUOLA PREMESSA Narrazione della storia dei fratelli ucraini che arrivano in Italia a 15-16 anni. Mostrano una scarsa competenza della lingua italiana ma buone risorse personali: curiosità verso il nuovo, volenterosi di imparare e scoprire cose nuove. Poi c’è stato un cambiamento: manifestarsi di sentimenti negativi nei confronti dei compagni di classe di diverse provenienze (africani e rumeni) perché affermavano che la maggior parte degli immigrati non si vuole adattare alle regole della società italiana. Pregiudizio e paura nei confronti del diverso. Occorre costruire un pensiero interculturale lavorando insieme → l’educazione interculturale richiede a chi insegna e a chi educa una volontà di capire e disponibilità ad adeguarsi al nuovo. Per superare questo si propone un colloquio individuale con i due ragazzi e i loro genitori mirato su: - la scuola e i ricordi dello stare a scuola - esperienza in Italia dall’arrivo - riferimenti alla propria identità: confronto tra scuole, integrazione e possibilità di sentirsi discriminati I ragazzi hanno parlato ai compagni della loro esperienza scolastica in Ucraina. Emerge la rigidità e le punizioni della scuola ucraina che non permette l’espressione libera del bambino e mette a tacere la loro creatività. Questa attività ha permesso di aiutare i ragazzi a superare il sentimento negativo che provavano nei confronti degli stranieri. L’educazione interculturale serve ad abituarci a vedere l’educazione collegata a doppio filo con la società multiculturale all’interno della quale l’educazione vive, progredisce e cresce. 1^CAPITOLO: VERSO UNA COMPRENSIONE DIALOGICA 1.Flussi di uomini e di idee Riferimento ad Ungaretti (p.1) sottolineature L’immagine da cui si parte è quella che abbiamo sotto gli occhi da secoli: flussi ininterrotti di uomini e donne, con tempistiche e modalità diverse, ma con delusioni, tragedie e sogni uguali, all’inseguimento di un mito esistenziale e culturale assaporato e sognato. Queste persone vengono a formare “gli immigrati” del nuovo paese e sono facilmente riconoscibili, non si mescolano alla popolazione autoctona. Per gli immigrati l’operazione di modifica, di adattamento, assimilazione, sostituzione di linguaggi identitari, cambio di mondi (da quello della miseria a quello del benessere) è difficile sia in età scolare sia in età adulta. Tutto questo ci mette di fronte a nuovi problemi di convivenza e di messa in discussione della nostra identità nazionale, identità sempre più a rischio. Lo studioso Sergio Moravia propone di sostituire al concetto di “monoidentità” quello di “pluriidentità”, partendo dal presupposto che la cultura è fatta di un’identità in cammino, in continua trasformazione. Riporta a questo punto la metafora dell’identità, vista come una danza: l’io, la sostanza è la stessa, ma si modifica di continuo, assumendo diversi volti. È a chi si occupa d’insegnamento ed educazione che spetta il compito di chiedersi attraverso quali strumenti potrebbe avvenire un cambiamento in questa direzione nelle convinzioni etiche e sociali nonché negli atteggiamenti quotidiani delle persone. Secondo Rorty questi strumenti sono alcuni generi letterari definiti “descrittivi”, come l’etnografia, il teatro verità, il film, il reportage, il fumetto e il romanzo che possiedono la caratteristica di far conoscere in modo dettagliato le diverse forme di sofferenza patite da altre persone, alle quali prima non avevamo prestato attenzione. Da qui l’idea che l’esperienza della lettura di racconti e romanzi fatta insieme in classe o la lettura individuale deve essere intesa come un passo obbligato, come imprescindibile per aiutarci nel nostro lavoro pedagogico di considerare persone diverse da noi come “dei nostri”, invece che “dei loro”. Gli insegnanti giocano quindi un ruolo fondamentale per trasmettere la comprensione della pluralità dell’identità di ciascuno, per superare il pregiudizio della purezza delle culture, e la conseguente chiusura in esse. Tutto questo va corretto nel riconoscimento di una cultura fatta di intrecci e scambi culturali. Ma come fare? 2.Un lungo apprendistato È necessario innanzitutto un lungo apprendistato, una frequentazione di letture: ci sono le storie di vita, le narrazioni, le autobiografie da cui è possibile imparare. Gli scrittori arrivano dunque a ricoprire un ruolo fondamentale, sono dei formatori formidabili, che possono venirci incontro nel campo dell’educazione, che ci impone di collocarci in una prospettiva di comprensione dialogica e di porci l’obiettivo educativo della solidarietà fra gli individui, un obiettivo da raggiungere con la ricerca e l’immaginazione, riuscendo a vedere gli individui come nostri simili almeno nel dolore. Secondo Gadamer: “nell’Altro e nel Diverso noi possiamo in qualche modo incontrare noi stessi” Una prospettiva pedagogica educativa necessaria è quella che propone un dialogo che sappia riconoscere e mantenere le differenze. Come insegnanti non possiamo pensare che la solidarietà possa essere qualcosa che si scopre con la riflessione; essa si crea mettendola in pratica (nelle occasioni pedagogico-didattiche che la scuola mette in piedi). 3.Una pedagogia dialogica Secondo Gadamer la varietà e la diversità sono privilegi della cultura europea, sono gli elementi caratterizzanti della nostra identità; appartenere ad essa significa proprio non poter essere integralmente se stessi. In altre parole: essere europei significa essere individui che portano in sé culture diverse (centralità del “doppio” nella cultura europea per Moravia). In una civiltà della diversità come quella europea, dunque, non si dovrebbe aver bisogno di una falsa tolleranza per tentare la convivenza pacifica di individui diversi: è proprio la forza dell’identità europea a rendere possibile la tolleranza. E secondo Gadamer: “un luogo in cui l’uomo incontra sé stesso negli altri è proprio la letteratura, uno degli ambienti più ospitali del linguaggio” . Esempio di Agostino (p.9) sottolineature Ciò di cui c’è bisogno è dunque un percorso di autoaggiornamento che si orienti verso una comprensione dialogica su alcune tematiche legate all’intercultura partendo da un esercizio di letture narrative. A questo proposito però Rorty attua una distinzione fra i libri che ci insegnano ad essere meno crudeli e i libri che ci aiutano nella nostra ricerca dell’autonomia. Questi ultimi hanno a che fare con le “impronte cieche”, ossia le contingenze dell’individuo, tutto ciò che ha lasciato un segno indelebile su di lui, e le sue fantasie. Le impronte cieche più raccontate sono quelle di coloro che vivono oggi l’immigrazione nel nostro paese. 4.Disagi Altre scuole attuano forme di inserimento verticale, in base al quale i bambini immigrati frequentano alternativamente classi corrispondenti al loro livello di apprendimento e quelle che corrispondono alla loro età. La qualità e la quantità dell’esposizione all’italiano anche al di fuori della scuola sono fattori determinanti ma difficili da mettere in pratica, vuoi per molteplici impegni (sport, musica) che i bambini autoctoni hanno nel pomeriggio, vuoi per gli impegni con i propri familiari degli alloctoni (aiuto nel lavoro). Stare con gli altri è fondamentale, purché gli altri siano almeno della stessa età (importante il rapporto con i coetanei). Gli esperti sono concordi nel ritenere che inserire ragazzi di undici/dodici anni in classi di prima elementare sia sbagliato; questa decisione porta a isolamento, frustrazione, senso di incapacità legata al fatto di sentirsi troppo grandi in un gruppo in cui non c’è niente da condividere. Insegnanti, compagni, familiari L’apprendimento di una nuova lingua comporta anche l’assunzione di nuovi comportamenti in sostituzione di abitudini già acquisite. In questo è determinante tanto l’approccio individuale quanto la figura dell’insegnante. Oltre ai compagni di classe, molto importante sarebbe la presenza non occasionale e sporadica a scuola dei familiari dei bambini stranieri; le occasioni possono essere molte, come testimonianze reali, racconti di storie, fiabe. L’incontro con persone che provengono da lontano e vivono nel nostro paese, che mantengono in sé le memorie di altre culture, è un fatto necessario oggi nella scuola. Anche l’uso della lingua madre in alcune occasione è un aiuto non indifferente per il bambino. L’obiettivo è quello di ricercare una memoria condivisa, individuale e comunicabile, un progetto su cui lavorare insieme. I dati negativi relativi all’immigrazione (insuccesso scolastico, difficoltà nell’accoglienza e nell’inserimento iniziale) non sono dati solo statistici, ma sono percepiti dal bambino. Ciò che bisogna capire è che integrazione significa sofferenza, svantaggio, disagio, diversità dal gruppo al quale si è appartenuto fino a un certo momento. Integrazione vuol dire comunicazione, cioè imparare un nuovo linguaggio, che vuol dire non solo apprendere un certo numero di parole e di regole grammaticali, ma riguarda anche tutto un codice gestuale che rientra nella tradizione culturale di comunicazione non verbale del popolo ospitante. La minaccia della perdita del proprio linguaggio può fare insorgere un sentimento di aggressione da parte dell’adolescente, o comunque un conflitto profondo tra due realtà, due culture. Ciò provoca un rifiuto dell’apprendimento della lingua strumentale a favore di quella degli affetti o viceversa, provocando conflitti e incomprensioni. Altri fattori ostacolanti o facilitanti lo star bene a scuola sono ad esempio le abitudini dei familiari, come il loro essere più o meno rigidi nel mantenimento di certi aspetti delle tradizioni. Il rischio è che certe abitudini si ritualizzino in forme fisse e inamovibili (aiutare i genitori nel lavoro dopo la scuola), in grado di invalidare molto di quanto viene fatto da parte della scuola per una buona interazione scolastica, per l’acquisizione di conoscenze che possono servire al ragazzo a inserirsi nella nuova società, per la socializzazione. Il punto di vista dei familiari è determinante anche nel sostenere (o meno) l’importanza dell’acquisizione della lingua e della cultura del paese ospitante, apprezzando (o contrastando) le proposte educative della scuola. La famiglia incide anche nel favorire o nell’incoraggiare iniziative di incontro, di aggregazione e socializzazione… Le abitudini dei familiari si intrecciano con l’atteggiamento degli insegnanti. In situazioni di classi pluriculturali si chiede agli insegnanti un atteggiamento di equilibrio: da un lato ci deve essere il riconoscimento dell’altro (allievo o genitore) come uguale nel senso che non deve essergli preclusa nessuna possibilità scolastica ed extrascolastica; dall’altro lato però ci deve essere da parte del docente il riconoscimento della differenza secondo il metodo dell’enfatizzazione dell’identità di origine, che consiste nel far sentire l’allievo immigrato protagonista, come uno che può insegnare qualcosa ai suoi compagni, parlando la sua lingua, raccontando del suo paese (in questo caso il bambino è esperto, più dell’insegnante). L’obiettivo è di fare in modo che il bambino non rimuova d’un tratto e in maniera forzata i tratti della sua cultura, ma che anzi mantenga un contatto con essi; ciò per fornirgli gli strumenti per inserirsi nel contesto sociale. Non è corretto considerare l’immigrazione come un semplice trasferimento di identità; essa comporta un percorso lungo e complesso. Vivere in un’altra città, con altri compagni, altri insegnanti, implica una progressiva e lenta evoluzione dell’identità in altre identità. In questo gruppo di fattori rientrano anche gli atteggiamenti dei compagni di classe che riflettono di solito quelli più o meno palesi dei loro genitori. scuola del futuro intesa come scuola del dialogo, della comunicazione e non del silenzio, dell’indifferenza e dell’invisibilità. Nel processo di immigrazione, quattro aspetti dell’identità vengono ad essere sconvolti: lo spazio geografico, la cultura del quotidiano, lo status socio-economico, lo spazio linguistico. Per la ricostruzione di una cultura del quotidiano, i comportamenti dei compagni di classi sono quelli che hanno maggiore influenza. L’integrazione e la buona comunicazione tra compagni necessitano di una caratteristica, che è in gran parte individuale: la creatività. Si tratta per Gardner “di una volontà innata di accettare dei rischi, di oltrepassare categorie e limiti convenzionali per raggiungere un effetto desiderato, un forte coinvolgimento e una partecipazione emotiva…”. Secondo Antiseri la creatività forse non può essere insegnata, ma può essere incoraggiata e favorita (attraverso la lettura, il racconto, la narrazione reciproca di ricordi, storie e situazioni di vita; la discussione; attività di disegno e manipolative; momenti di ascolto; produzione di musica e suoni; attività motorie e psicomotricità). I fattori personali e relazionali sono determinanti. Conta, naturalmente anche l’abitudine all’ascolto che la classe nel suo complesso possiede. 2. Fattori del ruolo Sono quelli che investono più direttamente la sfera della professionalità degli insegnanti. Tenendo presente che per molti di loro l’educazione interculturale rappresenta un settore relativamente nuovo, si riconoscono quattro tipologie di docenti prevalenti di approccio al problema: • Multiculturalismo benevolo-ingenuo/educazione multiculturale limitata: il punto di vista è che i bambini che vengono da lontano devono adattarsi quanto prima ai nuovi compagni, alla nuova realtà e alla nuova lingua. Promuovono un’educazione interculturale che inserisca e integri nella cultura dominante gli studenti di culture diverse. Ha l’obiettivo di insegnare agli studenti appartenenti alla maggioranza la tolleranza verso i compagni delle minoranze etniche e a rimediare ai loro svantaggi (in particolare linguistici). • Assenza di consapevolezza del problema: insegnanti che non si pongono il problema della differente provenienza e trattano i bambini stranieri come tutti gli altri, con la convinzione che la scuola ha il compito di livellare le differenze. • Educazione multiculturale come pluralismo culturale/educazione multiculturale ampliata: contengono scelte orientate a far sì che le differenze non si appiattiscano e che sia data la possibilità ai bambini stranieri di mantenere le loro radici e la loro lingua. Si vogliono salvare e valorizzare le diverse culture etniche e aumentare il potere delle culture di minoranza. Inoltre si intende correggere atteggiamenti etnocentrici negli studenti, presentando loro materiali e contenuti provenienti dai diversi gruppi culturali. • Educazione multiculturale come insegnamento di ciò che appartiene a culture differenti/educazione multiculturale ampliata e modificata: si tende ad una conoscenza reciproca da parte dei bambini delle rispettive culture e si cerca di promuovere una migliore conoscenza incrociata. Ci si avvale di un insieme di attività, metodi e contenuti, che hanno come obiettivo la preparazione di tutti gli studenti a diventare cittadini socialmente attivi in una società dove ci sono diverse culture. • (non utilizzata) educazione biculturale: si insegna agli studenti delle due culture a operare con successo in ciascuna delle due. Teorie sui rapporti sociali Per quanto riguarda i rapporti sociali e culturali fra gruppi, vi sono tre teorie: • Teoria della conformità dominante: tende ad omologare e assimilare le culture minoritarie al modello dominante, attraverso una loro progressiva svalorizzazione. • Teoria del melting pot: prevede che si crei una nuova cultura come sintesi di varie culture presenti nella società che non coincide con nessuna delle precedenti, né con la loro sommatoria. Di fatto però il peso sociale e l’incidenza culturale del gruppo più forte prevalgono sugli altri. • Teoria del pluralismo modificato: gli individui delle diverse culture mantengono la loro identità influenzandosi e modificandosi a vicenda nella convivenza comune. In Italia alcuni gruppi di immigrati cercano di emulare i comportamenti della cultura maggioritaria, altri elaborano collettivamente nuove pratiche o norme culturali, altri ancora tendono a rispettare, o accentuare, le somiglianze e le differenze. Condivisioni, esiti, stili Ogni insegnante adotta un proprio stile educativo. Se ne distinguono tre: • Stile induttivo: è quello degli insegnanti che si muovono con atteggiamento esplorativo, con interesse a ricercare qualche innovazione e saperne di più. Le attività sono diverse e molteplici, tutte orientate a saperne di più, a ricercare qualche innovazione nell’interesse della nuova allieva. • Stile accuditivo: è quello di chi privilegia atti che oscillano tra la proiettività e la rassicurazione, per far sentire il bambino straniero ben accolto e uguale tra uguali. Si cerca di capirli a fondo. • Stile interculturale: è quello di chi esplora, si interroga, riconosce la differenza e la valorizza. Interventi sull’extrascuola, corsi di aggiornamento sulle culture dei bambini immigrati. Non è da sottovalutare l’aspetto contenutistico dell’insegnamento. Da questo punto di vista l’ideale sarebbe che non vi fossero stacchi netti, né per gli uni né per gli altri allievi. Un lavoro di ripensamento e revisione metodologica si impone a tutti coloro che operano nell’ambito educativo. Non si tratta di istituire una nuova materia di insegnamento, ma di affrontare in maniera diversa argomenti come le migrazioni, le culture, la responsabilità sociale, la differenza. Strumenti per una epistemologia interculturale Per istituire un’epistemologia interculturale vi sono diversi strumenti. L’abitudine della lettura ci porta al dialogo come strumento per arrivare alla conoscenza; è il primo strumento da tener presente. Ricoeur intende il dialogo come scambio di memoria; il dialogo e la memoria attraverso la funzione narrativa consentono che avvenga lo scambio fra le regole, le norme, le credenze, che fanno l’identità di una cultura. Il dialogo interculturale dovrebbe impedire di restare spettatori indulgenti di fronte alle incongruenze di una cultura. Il dialogo intende come prima cosa riconoscere il rispetto dell’interlocutore per rendere possibile il dialogo stesso; si presuppone che per poter discutere bisogna essere d’accordo sul rispetto dell’altro che probabilmente sarà in contraddizione con noi nella discussione. Il dialogo è importante anche per diventare consapevoli degli aspetti negativi della propria cultura; chi appartiene ad una cultura ed è totalmente immerso in essa, senza aperture e senza dialogo, infatti, non riesce a vederne gli aspetti negativi. Il dialogo permette quindi di rileggere la propria cultura destrutturandola. Ciò che si deve perseguire è un dialogo in cui nessuno ha l’ultima parola, in cui nessuna voce prevale sull’altra. nera. Il loro mondo è popolato di individui che non hanno niente in comune tra loro. Anche per quanto riguarda la televisione i bambini sono abituati a vedere affrontato nel modo corretto il pregiudizio etnico: le diversità dei personaggi vengono ben evidenziate. (Arnold, I Robinson, Futurama, i Pokemon…). lo stesso succede con i libri. I bambini leggono testi in cui la diversità è raccontata come parte integrante di qualsiasi storia. Oppure testi che raccontano di mondi lontani o esperienze vissute di emigrazione, di solidarietà. In tal modo le distanze sociali, etniche, fisiche o culturali vengono annullate, o paradossalmente, accentuate. Capiamo così la confusione nella quale i ragazzi si trovano. Da una parte i libri, le trasmissioni, i fumetti veicolano atteggiamenti di accettazione, rispetto, ammirazione del diverso, dall’altra gli stereotipi e le formule che la società propone non sono sempre positive, ma mostrano ostilità, intolleranza, chiusura e rigetto. Nuovi sentieri di convivenze L’immigrazione è un processo inevitabile ed è sbagliato pensare che a scuola si fa integrazione e intercultura e nel tempo libero i gruppi etnici siano separati. La sfida della scuola e dell’educazione interculturale non è tanto quella di rendere i figli degli immigrati uguali a noi, quanto di cercare un nuovo concetto di società, enfatizzando e valorizzando i valori condivisi e i valori comuni. E gli articoli 2 e 3 della Costituzione rappresentano il punto di partenza migliore. 3^ CAPITOLO: INDICAZIONI OPERATIVE E TEORICHE 1.Dialogo fra culture e educazione alla cittadinanza Negli ultimi vent’anni nella scuola ha preso campo la posizione del dialogo come atteggiamento di confronto, che mette in discussione. Ciò che la scuola fa è un’indiscutibile funzione riequilibratrice tra atteggiamenti di non accettazione che i bambini mostrano di avere nei confronti dei nuovi arrivati e altri atteggiamenti che le pratiche educative messe in atto per star bene a scuola propongono ogni giorno. È importane che gli insegnanti percepiscano gli effetti positivi che la presenza dei bambini stranieri può produrre sugli altri. Oggi spetta agli insegnanti attivare attività che favoriscano uno scambio culturale per comprendere i nuovi allievi. L’interesse del docente però deve concentrarsi sulle difficoltà di apprendimento di tutti gli allievi e organizzare attività che coinvolgano tutta la classe. Nonostante ciò è importante che i bambini immigrati continuino l’apprendimento e il perfezionamento della lingua madre, in modo da mantenere l’individualità culturale. L’integrazione dei bambini non si limita alle ore trascorse a scuola: se si favoriscono le relazioni fra istituzioni, comunità del quartiere e gruppi di immigrati anche il lavoro della scuola è facilitato. Si è compreso inoltre come non basti l’integrazione del bambino, ma occorra anche quella della famiglia. In quest’ottica, il ruolo dei dirigenti scolastici è determinante nel raccogliere e istanze e i bisogni che provengono dai docenti e nel trovare le soluzioni normative che consentano di reperire le risorse occorrenti. 2.La questione della lingua: una discriminante Quello della lingua viene visto come un problema dominante. In riferimento a questo emergono tre temi: le strategie didattiche, la preparazione professionale, i vantaggi sul piano educativo. 2.1. Le strategie didattiche I problemi linguistici sono legati a quelli relazionali a causa dell’isolamento linguistico degli immigrati. Le strategie devono rivolgersi a rendere dinamico e flessibile l’insegnamento, a stabilire una reale comunicazione all’interno del gruppo classe, a sviluppare l’operatività. È necessario favorire un continuo scambio di informazioni, tenere presente la diversa mentalità e l’atteggiamento psicologico dei ragazzi immigrati nei confronti della scuola. Le strategie didattiche hanno modo di spaziare in un orizzonte vastissimo: giochi linguistici, situazioni di gioco (ludico-espressive), esperienze reali. In tutto questo il tempo gioca un ruolo primario: ne occorre molto. Il tutto deve essere corredato da materiali e strumenti adeguati e da insegnanti appositamente delegati. Ovviamente, lo studio di strategie adeguate varia da caso a caso. La differenza linguistica stimola alla conoscenza e al rispetto reciproci, ad una maggiore socializzazione, a ricerche di vocabolario, al rispetto del pluralismo, a considerare la realtà in modo ampio, ad avere maggiore apertura mentale, a confrontarsi con mondi culturali diversi per dimostrare che non esiste una cultura superiore. Diversi linguaggi sono visti ancora (purtroppo) da tanti insegnanti come barriere tra individui e culture. Spesso il non uso della lingua può rappresentare una barriera costruita volutamente, dietro alla quale c’è più protezione, più sicurezza. 3.Strumenti per una didattica che incentiva il dialogo fra culture I primi materiali a disposizione degli insegnanti sono stati elaborati a fine degli anni ’80 (Vari esempi da p.83). successivamente i materiali si sono diversificati, sono andati crescendo nel numero e si sono specializzati nella qualità. Molto utili sono strumenti come libri che contengono fiabe e racconti dei paesi di provenienza dei bambini immigrati (intesi come libri-ponte tra storie, lingue, tracce di culture diverse), giochi e testi elaborati appositamente per costruire una didattica interculturale. 4.Mitigare i dubbi Vi sono sempre più numerose occasioni di aggiornamento istituzionale: i docenti ricorrono al contatto con gli esperti, si scambiamo esperienze di lavoro svolte. Per sciogliere o mitigare i dubbi sulla nostra cultura l’unica cosa che possiamo fare è allargare il raggio delle nostre conoscenze ad altre culture, ad altre conoscenze. La base delle “didattiche interculturali” sta nell’acquisire, da parte dei docenti, uno stile professionale e collaborativo, che impegni ad interrogarsi su sé stessi e sul proprio ruolo. Inoltre, risulta fondamentale leggere e decostruire situazioni e personaggi narrativi per poter riflettere ed interpretare. Gadamer afferma pertanto: “pensare, imparare a pensare, esercitare liberamente il proprio spirito critico e stimolarlo è una attività eminentemente politica”. Poiché niente può servire da critica ad una cultura se non un’altra cultura. 4.1 Tessuti connettivi pedagogici L’identità di un gruppo, una nazione, non può essere identica a sé stessa, immutabile e avere una struttura fissa. Chiunque parte per emigrare altrove lo fa per sfuggire a qualcosa: paura, guerra, povertà. I motivi e le cause si riducono tutte alla disperazione. La disperazione, la ricerca di un senso all’esistenza, la speranza sono alcune tra le cause più ricorrenti. Per chiunque arriva in un altro luogo, da lontano, i rapporti interpersonali sono difficili, vivere nella nuova realtà è complicato e i risultati non sono congrui alle attese. Vi è la necessità di presupporre azioni reciproche che modifichino il comportamento di tutti; perché vi sia interazione è necessario che gli individui si possano incontrare, che esistano condizioni di incontro, occasioni per interagire e conoscersi. Si potrebbe parlare a questo proposito di pedagogia “a più entrate” (cit. Merleau-Ponty) che concorre alla tessitura di un tessuto connettivo da costruire insieme, docenti e discenti, che tenga conto di diversi apporti culturali cognitivi, emotivi, relazionali. Dall’idea dell’interazione si comprende che è indispensabile che l’organizzazione del sistema educativo scelga di non arroccarsi in maniera rigida su posizioni di dominio, che sappia consentire spazi e tempi adeguati al bisogno di ciascuno. La pedagogia interculturale riguarda la formazione di tutti gli allevi ed ha almeno due compiti fondamentali: non rendere più acute le identificazioni etniche e le separazioni e preparare tutti gli allievi a vivere in una società dove la diversità culturale è un dato di fatto È necessario che l’organizzazione scolastica ed extra si strutturino con due caratteristiche: la mutevolezza e la relazionalità. 1.Un sistema educativo che intenda educare alla buona cittadinanza deve essere mutevole. Al suo interno devono potersi organizzare le differenze di abitudini, di cibo, di cultura orale, di lingua. Si deve cercare un insieme di compromessi accettabili da parte di tutti, che sappia valorizzare nella giusta misura le culture di origine degli allievi immigrati, in modo da comprendere le differenze in maniera dinamica e non rigida. Sul piano del metodo, un atteggiamento improntato al dialogo, alla revisione continua è fondamentale per evitare i rischi dell’etnocentrismo. 2.Un sistema educativo volto a questo deve essere anche relazionale: deve essere in grado di stabilire al suo interno relazioni complementari tra bambini e ragazzi che appartengono a culture diverse, ma anche di intrecciare relazioni verso l’esterno tra le diverse culture e la cultura maggioritaria, senza che ciò avvenga con prevaricazione, ma seguendo percorsi di osmosi rispettosi. Se l’interazione non avviene i rischi sono l’incistamento e la ghettizzazione, processi nei quali rischiano di giocare un ruolo essenziale e negativo le “organizzazioni”. La presenza di adulti e minori che appartengono ad altre etnie e che vivono in una società in arrivo mostra la necessità che gli uni e l’altra di configurino come sistemi aperti, che sappiano mettere in pratica la disponibilità al dialogo e al cambiamento per rafforzare le identità reciproche e per la sopravvivenza della propria cultura. Fra i principi fondativi dell’educare c’è la convinzione che qualunque sistema culturale, anche il più semplice, non può dirsi tale se non è aperto al nuovo, a ciò che è diverso, a ciò che non si conosce. L’esigenza di un’organizzazione mutevole e relazionale si riscontra in modo particolare nel processo di insegnamento/apprendimento dell’italiano come lingua seconda a bambini stranieri. All’interno della scuola c’è spesso l’abitudine a considerare la cultura come una realtà data per scontata, che non c’è bisogno di problematizzare: un insieme di valori, norme, regole, comportamenti che si sono consolidati nel tempo, che vengono spontaneamente condivisi da chi già vive nella realtà scolastica e da chi vi entra in un secondo momento. L’intervento in ambito linguistico non può limitarsi a proporre semplici esercizi di grammatica, ma vi dovrà essere un’attività di recupero specificamente centrata sulle strutture della lingua, ma senza dimenticare di organizzare meglio il rapporto culturale, comportamentale tra docente e allievi, aiutando gli allievi ad essere attori del processo di apprendimento nel quale sono inseriti. 4.2Principi per una pedagogia del dialogo fra culture La storia dell’umanità è tutta una storia di fusioni di gruppi diversi, quindi qualunque cultura non ha mai una sola origine, è storia di culture, lingue, saperi che si sono incontrate fondendosi gli uni negli altri. Questa idea è bene espressa della metafora altri. L’immagine da assumere a guida è ancora una volta quella del mantello di Arlecchino. Vi sono diversi stili di insegnamento: ■ Uno stile di insegnamento che dia la prevalenza alla comprensione dialogica, che comprende il dialogo e l’atteggiamento ermeneutico. ■ Uno stile di insegnamento che utilizzi lo sguardo interiore. È importante che l’insegnante trovi una maniera per decifrare i comportamenti pedagogici degli allievi, per informarsi su come gli allievi lavorano; bisogna capire i processi mentali, le idee che li regolano. Ciò è possibile se l’insegnante si serve dello sguardo interiore. L’insegnante ha il compito di organizzare il tempo scolastico in modo che ci siano tra gli allievi veri scambi pedagogici improntati all’aiuto reciproco. Per questo è importante che il docente per primo eviti atteggiamenti distaccati verso le culture degli allievi stranieri. La comprensione dialogica e lo sguardo interiore richiedono agli allievi autoctoni e alloctoni, alla scuola, ai docenti e ai non docenti, che si ponga attenzione, nei comportamenti quotidiani, a tre componenti: 1. Escludere l’idea dell’assimilazione forzata: non si ottengono buoni risultati destrutturando componenti culturali ancora presenti. L’assimilazione dovrà rappresentare un processo spontaneo, di lunga durata, con tempi e modalità proprie per ciascuno; 2. Attenzione a scoraggiare il fenomeno dell’isolamento in gruppi o gruppetti etnici senza scambi con l’esterno; 3. Favorire lo spirito della negoziazione, avviare la reciprocità degli scambi, verificare che vi siano i presupposti di uguaglianza e libertà per tutti gli allievi, al fine di prevenire una mentalità razzista. 4^ CAPITOLO: DIVERSITÀ E UGUAGLIANZA 1.Il senso dell’appartenenza comune Le scuole e le istituzioni che hanno a che fare con minori devono veicolare messaggi etici in grado di delineare e valorizzare il senso di un’appartenenza comune e di un’identità in formazione. Alcune tematiche che è indispensabile tener presenti quando ci si interroga sull’apprendimento in contesti pluriculturali sono: il mondo dei simboli, la costruzione dell’identità, l’ombra e l’idea del doppio, lo sradicamento, il muoversi verso. I simboli sono strutture fortemente mediatrici e utili per mediare culture, linguaggi, sguardi perché mettono in rapporto qualcosa con qualcos’altro, consentono di trasmettere un più alto numero di informazioni; non è che affermano o indicano qualcosa di preciso, ma tendono, suggeriscono, evocano stati d’animo, cioè un modo di situarsi nella realtà. I simboli mettono gli individui a contatto con una storia più lunga di quella riferibile alla loro singola storia, con la popolazione di appartenenza. I simboli contenuti nelle fiabe consentono a ciascuno di noi di riconoscersi e di ricondursi a qualcosa di originario. Essi sono importanti in riferimento all’identità, che è qualcosa che appartiene e si costruisce continuamente, che non è mai qualcosa di statico. Il processo di costruzione dell’identità per chiunque non è mai un percorso lineare; l’identità è un luogo dove le differenze, le ambiguità, le possibilità e i disagi devono convivere. Legata all’identità è la memoria che ci permette di collocarci in un tempo e in un luogo, è la base della conoscenza e dell’identità personale e di un gruppo. Senza ricordo, senza passato, senza punti fermi ci si ritrova smarriti. Scriveva Derrida: “la memoria ha sempre bisogno di segni per ricordarsi del non presente col quale ha necessariamente rapporto”. Occorre trovare e sperimentare a scuola occasioni nelle quali i bambini possano ricercare nella storia personale in divenire di ciascuno di loro i simboli, le scritture, le immagini del gruppo a cui appartengono, ed è importante impegnarsi in quanto insegnanti perché si diffonda fra gli allievi la consapevolezza che diventa nostra memoria anche tutto quello che attraversiamo, che appartiene ai percorsi di vita di altri bambini con cui giochiamo e studiamo. Le attività proposte vanno ad ampliare la memoria identitaria e il patrimonio culturale di tutti. Interrogarci sull’idea dell’apprendimento in contesti interculturali ci rimanda simbolicamente all’idea del doppio e dell’ombra. L’ombra è il doppio misterioso dell’uomo, è l’archetipo dell’altro, di qualcuno che è diverso da noi, pur avendo in comune con noi molte altre caratteristiche. È importante far comprendere che spesso l’incontro con la diversità, con il lato oscuro, con il disagio dell’altro possono nascere avventure, scoperte, cose buone. L’identità di ciascuno di noi si delinea e si forma all’interno di un tessuto intersoggettivo fatto di relazioni, basato sul reciproco riconoscimento, attraverso confronti successivi e integrazioni di differenze. Dal punto di vista educativo questo processo non è istintivo, naturale, ovvio, anzi spesso è facile avere sentimenti di rifiuto nei confronti di chi è diverso. È proprio quando percepiamo la distanza che c’è tra noi e gli altri che ci rendiamo conto che esiste una nostra identità soggettiva. Gli operatori e gli insegnanti possono aiutare gli allievi nella costruzione dell’identità abituandoli a fare confronti, a mettere varie situazioni, atteggiamenti, culture in contrapposizione. Queste operazioni ci possono consentire di rivedere le nostre opinioni su noi stessi e sugli altri, modificando allo stesso tempo la nostra identità. Ciò significa che per dare spazio agli altri occorre in primo luogo decostruire la nostra stessa identità: mettere in discussione alcune incrollabili certezze, pregiudizi, luoghi comuni, scambiare i punti di vista, dare meno importanza alle differenze di provenienza geografica e più importanza agli aspetti che accomunano gruppi umani diversi. Il tutto con gradualità, senza imporre capovolgimenti repentini, senza proporre situazioni inattuabili. Si parla di rispecchiamenti: non è possibile né giusto rinunciare al proprio punto di vista, alla propria scala di valori, ma è possibile mediare e trovare un equilibrio fra il rispetto dell’altro e la coscienza di sé. 2.La necessità della mediazione La progettazione di occasioni positive di apprendimento in contesti pluriculturali deve avere alcuni obiettivi prioritari: • Insegnare le strade di una integrazione che tenga conto degli approcci reciproci degli altri, delle culture degli altri, senza giustapporli, cioè senza cercare di vedere e giudicare quali sono i migliori o i peggiori. • Gli insegnanti devono cercare di favorire la costruzione di identità non deboli ma flessibili, in grado di capire, individuando valori condivisibili anche con chi mostra un disagio palese. • Lavorare costantemente per estirpare pregiudizi sugli altri, le paure del diverso, del disagio con lo scopo di evitare di aprire la strada al razzismo, alla marginalizzazione ed esclusione. • Gli insegnanti devono muoversi con la consapevolezza che non basta avvicinare bambini di culture diverse e impartire un’educazione omogenea. Bisogna abituare i bambini a osservare la varietà della micro-realtà che li circonda, a considerare questa realtà in termini positivi, anche là dove mostra differenze e disagio. educare ad un pensiero in movimento • Gli insegnanti devono tentare di superare il progetto di un’integrazione forzata e troppo rapida dei bambini che provengono da altrove. • Spetta agli insegnanti proporre vari tipi di giochi di ruolo e di simulazione che vengono sempre più spesso utilizzati come strumenti che consentono di comprendere le situazioni di emarginazione e di discriminazione che gli immigrati affrontano vivendo nel nostro paese; proporre l’ascolto di storie di immigrazioni raccontate dalla viva voce di chi le ha passate. • Vi è la necessità di trasmettere una cultura che sappia modificarsi rispetto all’identità che noi siamo, che sappia evitare l’irrigidimento, che sappia arricchirsi con i contributi che provengono dagli altri. Necessario è comunque rifarsi a narrazioni autobiografiche (sia i bambini che gli insegnanti), dare valore alla lingua madre del bambino, alla memoria precedente, alla famiglia e al rapporto con essa. La lingua costituisce il legame più forte con il paese di provenienza e la cultura originaria, un patrimonio che appartiene solamente all’individuo, che tocca le sue corde più profonde e che va mantenuto a tutti i costi. Spesso i genitori decidono consapevolmente e ragionevolmente di mantenere l’uso della lingua madre all’interno dell’ambito familiare. 5^CAPITOLO: CITTADINANZA E COSTITUZIONE 1.La dimensione sociale dell’insegnamento in classi plurietniche “Nessuna autentica formazione può prescindere da un interesse e da un coinvolgimento della dimensione sociale dell’esistere dell’uomo, ogni essere umano si costituisce come un esserci, la cui singolarità si realizza nella pluralità”. (Bertolini) L’attenzione autentica, la preoccupazione vigile, la responsabilità verso il rapporto esistente tra l’agire politico e l’esperienza educativa sono tre atteggiamenti che erano indicati da B. come necessari agli educatori, agli insegnanti. Tutto questo è ciò di cui si avvale il pensiero interculturale. Esso in educazione opera, si batte per riconoscere a tutti la parità dei diritti civili e sociali. Tutto questo a partire dalla conoscenza, dal rispetto e dall’accettazione dei valori fondanti della nostra Costituzione. Non vi sono tuttavia modelli standard; vi sono però una serie di passi sensati e utili da compiere affinché risulti visibile la dimensione sociale dell’insegnamento come garanzia primaria per la tutela dei diritti di tutti. • Nelle classi multietniche l’insegnante dovrebbe imparare a partire da sé stesso, cercare di distruggere i preconcetti per poter costruire punti di vista nuovi a partire da sé e dall’esperienza concreta con gli alunni con i quali opera. Un lavoro continuo di dare senso a ciò che accade in classe. Il docente dovrebbe essere in grado di dar voce ai singoli allievi, ma anche di tessere un insieme unico articolato. • Un altro passo riguarda l’esercizio fenomenologico dell’epochè (cioè la messa fuori causa delle convinzioni preconcette e la sospensione del giudizio) opportuno nei contesti multiculturali: ciò non significa cancellare il mondo, ma trovarne il senso a partire da sé stessi, da quella situazione, da quella realtà d’aula. Non si tratta di cancellare la diversità di chi arriva altrove, ma di trovare il senso al suo essere lì, in quel contesto classe, con quel gruppo di compagni… Ogni allievo neo arrivato si porta dietro la sua singolarità, con la quale l’insegnante deve negoziare provando a calarsi un po’ dentro la sua vita. Non necessariamente gli allievi stranieri hanno bisogni particolari di assistenza e cura; di sicuro però hanno sempre la necessità di essere accolti e percepiti come soggetti veri, reali, attivi che vogliono essere riconosciuti. L’idea che il razzismo possa essere combattuto con l’educazione viene ribadita in varie norme emanate in anni successivi e sottende le ultime normative. Questo libro ha inteso testimoniare la possibilità e la concretezza del pensiero interculturale in educazione come aiuto alla formazione di tutti gli allievi e come possibilità di prevenzione del razzismo. Gli insegnanti devono mettere in conto che questi fatti rischiano di incidere anche sui comportamenti dei ragazzi a scuola. Insegnare e apprendere in una prospettiva interculturale significa assumere le diversità come paradigma dell’identità stessa della scuola, occasione di apertura alle differenze. Significa riconoscere nella socializzazione tra pari una motivazione in più alla conoscenza reciproca. 1. Imparare, educarsi, riflettere Dal punto di vista educativo è importante che i gesti, le parole e le idee razziste manifestate da un gruppo di prima superiore, non siano state sottovalutate e considerate ragazzate; è importate che siano prese sul serio e vengano presi provvedimenti. È previsto che le scuole dispongano dei documenti nelle varie lingue in modo che sia più facile per le famiglie capire il funzionamento delle scuole stesse. Di solito viene preparato un piano transitorio per gli alunni neoarrivati, che si presentano a scuola in corso d’anno con la loro lingua, la loro cultura, la loro esperienza pregressa. Le scuole devono garantire il diritto all’istruzione per tutti, ad un inserimento congruo alle aspettative dei singoli studenti e delle loro famiglie. 1.2 Interpretare, prendere il meglio Lasciando da parte gli aspetti negativi della vicenda, cerchiamo di intravedere alcuni possibili effetti educativi dell’episodio razzista avvenuto a scuola. È possibile individuare almeno due ricadute educative: a) rafforzamento della propria autostima, del credere di più nelle loro potenzialità degli studenti stranieri → la ragazza decidendo di tornare a scuola ha rafforzato la propria autostima perché rimanendo a casa avrebbe dato soddisfazione a queste persone. b) ruolo dei genitori nei rapporti scuola/famiglia → devono comprendere l’importanza dell’interazione dei genitori con la scuola. L’intervento del padre della ragazza ha fortificato la figura del genitore straniero. 2. Le ultime normative per l’inclusione interculturale Le differenze linguistiche e culturali a scuola richiedono una presa in carico da parte di tutti, con la consapevolezza che rappresentano la normalità, non l’eccezione. La prospettiva della pedagogia inclusiva interculturale richiede ai docenti una professionalità che privilegia la ricerca, la sperimentazione, la conoscenza delle norme, l’abitudine a riflettere, la capacità di usare esempi significativi come guide idonee ad affinare il proprio modo personale di essere docenti o educatori. Per esempio, la vicenda di Pisa, può guidare i giovani docenti insegnandogli a prestare attenzione ai sintomi di insofferenza e invidia fra compagni. Essere insegnanti inclusivi significa cercare tutte le occasioni educative possibili di inclusione dentro e fuori scuola. Con le ultime normative sull’inclusione è stata rafforzata l’idea secondo cui essere allievi di origine straniera non rappresenta uno svantaggio per l’apprendimento, ma al contrario si riconosce agli studenti il fatto che ciascuno porta con sé un bagaglio individuale invisibile diverso da quello degli altri, costituito da capacità individuali, esperienze vissute, pratiche linguistiche… La prospettiva dell’educazione inclusiva prevede che i tratti di ciascuno non debbano essere sottovalutati né cancellati, ma rappresentano il punto di partenza per la costruzione delle nuove conoscenze. Le nuove normative orientate a sostenere i Bisogni Educativi Speciali (BES) degli allievi stranieri non cambiano il senso e gli obblighi della normativa precedente della scuola italiana sull’educazione interculturale che prevede l’accoglienza e l’inclusione. Non tolgono nulla, aggiungono la consapevolezza nei confronti delle situazioni di multi appartenenza e di doppio legame in cui tanti studenti vivono. Le situazioni sono complesse, le lingue e le aree di provenienza territoriali e culturali sono numerose. Occorre conoscere e applicare nuove normative che prevedono la formulazione del PDP (Piano Didattico Personalizzato): - le tre circolari applicative del 2013 e 2014 riconoscono che l’educazione interculturale risponde al diritto di ogni individuo di avere un’educazione di qualità. Ciò significa riconoscere a tutti il diritto ad acquisire competenze, conoscenze e atteggiamenti. La differenza linguistica non deve essere vista come un limite per l’apprendimento, ma come un dato positivo. - le C.M. del 2013 e 2014 pongono all’attenzione di chi insegna il fatto che una pluralità di lingue e culture è presente nella scuola italiana. Le normative ribadiscono che è significativo sul piano pedagogico e didattico che gli insegnanti conoscano la situazione linguistica degli studenti, e che debba essere data visibilità alle loro lingue d’origine negli spazi delle scuole. La diversità linguistica deve essere valorizzata attraverso tutti i modi, per esempio inserendo nella programmazione alcuni momenti di narrazione o conversazione, mettendo a disposizione libri bilingue; maniere diverse di parlare non sono ostacoli all’apprendimento, ma richiedono lo sviluppo di una didattica personalizzata e inclusiva. Queste indicazioni rimandano ai principi di equità, del riconoscimento delle competenze e della qualità dell’educazione per tutti, con un’attenzione particolare ai soggetti più vulnerabili (BES). Le normative sui BES e intercultura indirizzano l’attenzione degli insegnanti al vissuto dell’allievo, cioè all’esperienza personale di ciascuno. La lingua che ciascun allievo utilizza non è solo un mezzo attraverso il quale comunicare. La lingua è parte integrante dell’identità personale e familiare, espressione di identità culturale, etnica e sociale. Le ultime normative mostrano che la scuola italiana non deve operare in modo da cancellare e sostituire le lingue identitarie. È un modo per manifestare rispetto nei confronti di tutti gli allievi e per offrire uguali possibilità a una parte di colore che apprendono.
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