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l'educazione interculturale nella scuola dell'infanzia., Sintesi del corso di Pedagogia

Parlare di intercultura al giorno d'oggi è fondamentale nel nostro paese il quale è caratterizzato dall'arrivo di persone provenienti da altre aree del mondo in cerca di una condizione migliore. La nostra società sta diventando sempre più multiculturale e per questo è alla ricerca di metodi per favorire l'integrazione tra le diverse culture. La convivenza con persone aventi abitudini e tradizioni differenti necessita di un'azione educativa

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 01/02/2023

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Scarica l'educazione interculturale nella scuola dell'infanzia. e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Primo capitolo Verso la costituzione di una società multietnica e multiculturale 1.1 l’immigrazione straniera in Italia: un fenomeno di vaste proporzioni. Nei primi anni del XXI secolo l’immigrazione verso i paesi dell’Unione Europea è diventato tema sociale, politico, economico e culturale. Mentre dalla conquista dell’America alla metà del 900 i flussi migratori partivano dall’Europa, dopo il secondo conflitto mondiale la direzione di questi influssi si è rovesciata, l’Europa si è trasformata in importatrice di manodopera proveniente dal terzo mondo. Inizialmente questo fenomeno è interessato paesi come la Francia, la Germania, il Belgio, ma successivamente si è esteso anche ai paesi dell’Europa meridionale compresa l’Italia, per questo anche la nostra nazione sta assumendo una società multietnica. Nel luglio del 2004 il primo rapporto sull’immigrazione e l’integrazione realizzato dalla commissione europea ha consigliato ai paesi dell’Unione Europea di prepararsi a dipendere maggiormente dagli immigrati perché essi contribuiscono ad attenuare l’effetto dell’invecchiamento demografico. Inoltre l’immigrazione aiuta a sostenere l’occupazione, tra il 1997 e il 2002 il numero dei lavoratori dell’Unione Europea è cresciuto di 12 milioni di cui 2 milioni e mezzo sono extracomunitari. L’Italia è stata teatro di numerose migrazioni, infatti dall’unità d’Italia ad oggi 27 milioni di italiani siano emigrati verso altri paesi. Fino ad allora l’Italia non ha mai dovuto affrontare il problema dell’immigrazione straniera in quanto per molti lavoratori del terzo mondo il nostro paese rappresenta solo una soluzione di ripiego, molti considerano l’Italia un paese transitorio per raggiungere mete più lontane come la Francia e la Germania. A differenza degli anni 50 durante i quali le migrazioni erano causate dalla domanda di manodopera, negli ultimi 25 anni esse dipendono dalle forze esplosive presenti nei paesi di provenienza. Anche gli eventi politici hanno contribuito ad aprire nuovi fronti. 1.2 Oltre il mito e il pregiudizio: realtà e caratteristiche della presenza degli immigrati nel nostro paese Per l’Italia la migrazione è una situazione nuova per questo è spinto ad affrontare questa condizione come un problema. Si è soliti parlare di persone extracomunitarie riferendosi alle persone provenienti da paesi in via di sviluppo, ma nei testi di legge e nei documenti ufficiali gli extracomunitari sono tutti quei cittadini non appartenenti alla comunità europea. E’ importante questa distinzione, per questo bisogna utilizzare la parola straniero per ogni persona non italiana e extracomunitario per tutte le persone che provengono dai paesi non facenti parte dell’Unione Europea. In questo gruppo può essere fatta una distinzione tra coloro che provengono da paesi sviluppati dal punto di vista economico e dai cosiddetti paesi in via di sviluppo e all’interno di questa seconda categoria si possono distinguere i paesi che godono di una pace sociale e quelli che sono caratterizzati da lotte interne tra gruppi e da cambiamenti politici traumatici. Non è facile avere dati riguardanti la presenza straniera in Italia, le fonti più attendibili sono i dati provenienti dal ministero dell’interno e dall’Istat i cui dati più recenti risalgono al 2004. Sappiamo però che a metà degli anni 90 in Italia erano presenti circa 650.000 stranieri in possesso di un permesso di soggiorno Tra cui 500.000 provenienti dai paesi a forte pressione migratoria. A distanza di un decennio circa 2,2 milioni sono i permessi di soggiorno di cui il 90% riguarda i soggetti provenienti da paesi in via di sviluppo questo ci induce a capire che gli stranieri regolarmente presenti in Italia sono più di 2,6 milioni e 2,4 milioni sono quelli provenienti dai paesi meno sviluppati. L’incremento dei permessi di soggiorno durante i 10 anni dal 1994 al 2004 è stato del 15%. Infatti il secondo rapporto sulle migrazioni della fondazione ISMU stimava che il 44% degli stranieri fosse legalmente presente in Italia dal 31 dicembre 1994, questa percentuale si è ridotta del 10-15% sul totale degli immigrati, infatti dalla metà degli anni 90 ci sono state tre regolarizzazioni che hanno coinvolto 1 ,1 milioni di stranieri. Per quanto riguarda la geografia delle provenienze, nei primi anni 90 i paesi dell’area nord africana e dell’Asia centro orientale e meridionale rappresentavano i paesi di immigrazione verso l’Italia, oggi invece sono le Europa dell’est e l’America latina i paesi in cui hanno origine i movimenti verso il nostro paese. Nel 1994 il numero più alto di permessi di soggiorno apparteneva a marocchini, ex jugoslavi, filippini, tunisini e albanesi, nel 2004 la graduatoria poneva per primi i rumeni, gli albanesi, i marocchini, gli ucraini e i cinesi. I dati del censimento del 2001 relativi alla dislocazione territoriale confermano che gli stranieri presenti in Italia sono maggiormente concentrati nei comuni di maggior ampiezza con una preferenza per le grandi aree metropolitane.al 21 ottobre 2001 la metà dei residenti stranieri vivevano in comuni con oltre 30.000 abitanti Tale quota diminuì lasciando spazio ai piccoli centri. La perdita di attrazione ha colpito in primis Roma, Napoli e Palermo. In termini di densità la presenza straniera in Italia nel 2001 a raggiunto il 2,3%, quattro volte superiore a quello del 1991, maggior densità si è registrata a Milano, Torino e Roma. 1.3 Attese e aspirazioni degli immigrati in Italia: un panorama in evoluzione. In questi ultimi 10 anni, la motivazione che ha spinto migliaia di persone a lasciare il proprio paese e il lavoro, risorsa che può garantire la loro sopravvivenza e l’aspirazione a vivere una vita degna. Successivamente sono diminuiti coloro i quali hanno chiesto il permesso di soggiorno per motivi di studio ma sono rimasti stabili i permessi rilasciati a persone che vengono in Italia per motivi religiosi. In questo caso Roma rappresenta una capitale religiosa con grande forza attrattiva perché è la sede delle istituzioni centrali della chiesa cattolica e di numerose organizzazioni religiose con forti rapporti internazionali. Un altro motivo di migrazione è l’ottenimento di asilo politico, necessità causata dalla condizione politica interna dei paesi di provenienza, alcuni dei quali sono stati scenario di guerre civili. I motivi di lavoro attraggono i due terzi degli uomini e solo un terzo delle donne che risultano essere giunti in Italia con altri familiari. I confronti di genere confermano che le donne venute in Italia per motivi lavorativi ed economici sono perlopiù Filippine, peruviane, ecuadoriane e ucraine. Solitamente un emigrante lascia il suo paese di origine con l’obiettivo di ritornarci, molto spesso questo non avviene per tutti, infatti sono sempre più numerosi quelli costretti a prolungare la permanenza nel nostro paese. Un aspetto interessante riguarda gli equilibri di genere, i dati del 2001 segnalano rispetto al 1991 un accrescimento dei coniugati di entrambi i generi e un incremento della presenza femminile fino al 50,5%. I dati del 2001 mostrano un aumento delle famiglie con stranieri che risultano triplicate e di quelle di soli stranieri che sono circa il doppio del 1991. Un altro aspetto rilevante riguarda le coppie miste, nel 2001 erano presenti circa 200.000 coppie che in tre quarti dei casi sono caratterizzati dalla presenza di una donna straniera. L’evoluzione che ha visto gli stranieri trasformarsi da immigrati a vera e propria popolazione e passato attraverso due processi: il ricongiungimento tra congiunti, la formazione di nuove coppie e la crescita delle seconde generazioni. Tutto ciò necessita di nuove condizioni di inserimento e di adattamento e alla modificazione del progetto migratorio, inoltre la presenza di minori determina bisogni sociali, sanitari ed educativi che portano l’immigrato ad assumere altri ruoli sociali, non più solo quello di lavoratore straniero. 1.4 Crescere in Italia: l’immigrazione il problema dei minori Rispetto alla continua diminuzione della popolazione scolastica italiana a seguito del basso tasso di natalità e degli abbandoni scolastici, si riscontra un incremento in quella straniera. Per quanto riguarda la composizione della popolazione scolastica straniera è presente il superamento dell’equilibrio tra provenienze europee ed extra europee, dagli anni 90 ad oggi si osserva la stabilizzazione del gruppo marocchino, successivamente sovrastato da quello albanese. La scuola ad aver maggior numero di alunni con cittadinanza non italiana e la scuola primaria, l’incremento e comunque importante negli altri ordini di scuola soprattutto la scuola secondaria di secondo grado. Questo testimonia l’arrivo in Italia di ragazzi e ragazze adolescenti e l’aumento della propensione a proseguire gli studi. Per quanto riguarda la scuola dell’infanzia c’è stato un notevolissimo incremento di alunni. 1.5 Immigrazione e trasformazione del quadro demografico: verso una società multietnica. L’Italia è una nazione che presenta una componente demografica in ribasso, gran parte della popolazione in età senile o sulla soglia del pensionamento, invece coloro che emigrano verso il nostro paese sono molto giovani, soprattutto coloro i quali provengono dai paesi in via di sviluppo i quali hanno altissimi livelli di natalità. Perciò abbiamo da un lato una popolazione italiana con una forza lavoro in diminuzione, ma con mercati produttivi attivi per i quali è necessario trovare la manodopera per il funzionamento, ma è necessario trovare anche i consumatori del sistema produttivo e dall’altro lato abbiamo un incremento di manodopera che chiede di essere inserito stabilmente per garantire una vita dignitosa e proprio familiari. Il decremento della natalità porta però all’assunzione di manodopera a basso costo perciò l’immigrato si trova ad occupare lavori precari e dequalificati, spesso rifiutati dagli italiani. Per questo, ospite e ospitante, sono chiamati ad integrarsi poiché questa situazione di multietnicità non si presenta come una cosa temporanea e provvisoria, ma è la realtà che ci accompagnerà per molto tempo. seconda guerra mondiale prende corpo il diritto internazionale per la costruzione di una società della solidarietà tramite il diritto alla pace, all’ambiente protetto, alla diversità. Il 10 dicembre 1948, a Parigi, viene presentata all’assemblea generale delle Nazioni unite la Dichiarazione universale dei diritti umani, approvata con 48 voti, si tratta di un documento di grande importanza che garantisce che l’impegno a rispettare i diritti dell’uomo non è limitato a questa o quella nazione, ma si estende ad ogni luogo nel quale è presente un essere umano. Questa dichiarazione si basa sul diritto alla libertà, alla pace, alla giustizia, mettendo alla base riconoscimento di quella dignità umana che contraddistingue tutti i membri appartenenti alla stirpe umana. Tanti paesi hanno accolto nelle proprie costituzioni statali molti dei principi in essa enunciati, infatti la nostra Costituzione, emanata lo stesso anno della dichiarazione, trova diverse corrispondenze. La legge fondamentale del nostro stato pone come basilare il rispetto alla persona nella sua inalienabile dignità e inoltre parla di doveri di solidarietà politica, economica e sociale, che la stessa costituzione definisce come ‘inderogabili’. Il 1º articolo ritiene che tutti gli esseri nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione o di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. La dichiarazione non chiarisce cosa si intende per spirito di fratellanza, ma sottolinea l’importanza di considerare tutti gli uomini come esseri aventi uguali diritti e doveri. L’articolo 2 aggiunge che ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà previste dalla dichiarazione, senza distinzione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezze, di nascita o di altra condizione. Nel rispetto dell’appartenenza di diverse etnie e culture viene bandita ogni tipo di discriminazione. L’articolo 22 afferma che ogni individuo ha diritto alla sicurezza sociale e alla realizzazione dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità e allo sviluppo della sua personalità, attraverso lo sforzo nazionale e le risorse di ogni Stato. L’articolo 26 precisa che l’istruzione è indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana e al rafforzamento del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Perciò l’istruzione deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le nazioni, i gruppi razziali e religiosi e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace. Sui diritti dell’uomo si fonda l’interculturalità perciò ogni organizzazione sociale, nazionale ed internazionale deve far sì che le proprie legislazioni e le successive attuazioni siano conformi ai principi in essi contenuti. 3.3 infanzia immigrazione: la tutela dei minori in una società multietnica e multiculturale Il mondo dell’infanzia merita un’attenzione particolare, ai minori vanno riconosciuti i diritti supplementari come la protezione e la cura. Nel 1924 fu sottoscritta la Dichiarazione di Ginevra dei diritti dell’infanzia dove fu riconosciuto uno speciale statuto per l’infanzia che fu seguito dalla Dichiarazione dei diritti del fanciullo adottata dall’assemblea generale delle Nazioni unite il 20 novembre 1959. Nel 1989 viene stipulata la Convenzione sui diritti dell’infanzia con la quale gli Stati aderenti riconoscono che in tutto il mondo ci sono ancora minori che vivono in condizioni di particolare difficoltà e che è necessitano tutelare la loro dignità. L’articolo 2 afferma che gli Stati si impegnano a rispettare i diritti enunciati nella convenzione e a garantire ad ogni fanciullo senza distinzione di razza, colore, sesso, lingua e religione, del fanciullo o dei suoi genitori. Viene anche affermato che gli Stati devono adottare ogni misura per assicurare che il fanciullo sia protetto contro ogni tipo di discriminazione. È molto importante anche l’articolo 29 che ritiene che gli Stati parti concordano sul fatto che l’educazione del fanciullo deve tendere a: - Promuovere lo sviluppo della personalità del fanciullo, dei suoi talenti, delle sue attitudini mentali e fisiche in tutto l’arco delle sue potenzialità - Inculcare nel fanciullo il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dei principi enunciati nello statuto delle Nazioni unite - Inculcare il fanciullo il rispetto dei genitori, della sua identità, della sua lingua e dei suoi valori culturali, nonché il rispetto dei valori nazionali del paese in cui vive, del paese in di cui è originario e della civiltà diversa dalla propria - Preparare il fanciullo ad assumersi le responsabilità nella vita in una società libera virgola in uno spirito di comprensione virgola di pace virgola di tolleranza virgola di uguaglianza tra i sessi e le amicizie tra tutti i popoli, gruppi etnici, nazionali e religiosi e persone di origine autoctona - Inculcare nel fanciullo e rispetto per l’ambiente naturale L’articolo 30 si esprime a difesa dell’appartenenza alla propria cultura ritenendo che negli Stati in cui esistono minoranze etniche religiose o linguistiche, il fanciullo deve avere diritto alla propria vita culturale e deve avere diritto di professare o praticare la propria religione o di utilizzare la propria lingua. Questo articolo utilizza le diverse agenzie educative presenti sul territorio tra cui la scuola. A questo proposito l’articolo 31 al 2º comma ritiene che gli Stati devono rispettare e promuovere il diritto del fanciullo a partecipare alla vita culturale e artistica. È dovere dell’intera società, a cominciare dalla famiglia fino alle istituzioni politiche nazionali ed internazionali, fare tutto il possibile affinché questi diritti siano rispettati e favoriti in ogni luogo e in ogni situazione. 3.4 oltre l’accoglienza e la tolleranza: per una cultura della reciprocità Occorre imparare a vedere lo straniero che vive nel nostro territorio come una ricchezza per ciascuna autoctono. Al paese ospitante e chiesto di mettere in atto situazioni che favoriscono l’inserimento nel paese straniero e di non essere protagonisti di un solo dare e ponendosi nella condizione di saper ricevere. È importante che cresca una mentalità solidale dove il soggetto è colui che assume delle responsabilità, che conta sulle proprie energie e che poggia e sostiene gli sforzi degli altri, l’uomo solidale è l’uomo della cooperazione tra soggetti, della corresponsabilità e della coopartecipazione. La solidarietà e determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune ovvero per il bene di tutti e di ciascuno, ma richiede reciprocità perciò non impegna solo il gruppo o il paese che accoglie, ma anche chi viene accolto. Il fine della solidarietà e la crescita degli uni e degli altri. E chiesto quindi a ciascuno di vedere nell’altro una risorsa per l’intera società. La crescita dell’età media e la conseguente diminuzione della manodopera fa sì che la presenza straniera risulti essere una risorsa anche in campo economico. Molti lavoratori rifiutati dagli autoctoni e importanti per il bene del nostro paese, sono in mano a persone straniere. Un ambito da non sottovalutare è quello culturale poiché l’uomo è portatore di valori ed è da considerare come una ricchezza. L’incontro tra persone di appartenenze culturali differenti e una risorsa sia per lo straniero che per l’autoctono poiché rappresenta un’occasione di confronto e di arricchimento. È evidente la necessità che ciascun paese offra gli spazi idonei affinché ogni persona possa continuare ad essere se stessa e a dare, con pari dignità, un contributo alla società che la accoglie. Capitolo quattro Interculturalità ed educazione 4.1 Educare al riconoscimento del valore e dei diritti dell’altro La società multiculturale ha portato alla convivenza di persone che provengono da mondi differenti, con mentalità, usi e abitudini diversi. La realtà multiculturale ha bisogno di trovare strade che possano favorire la crescita di una mentalità aperta all’accoglienza del diverso. Ogni uomo possiede caratteristiche peculiari che lo accomunano a tutti gli altri individui, anche se ogni uomo è diverso dall’altro suo simile per i suoi connotati fisici congeniti, per la personalità originale che si crea a contatto con la cultura in cui si nasce. La persona si trova sempre di fronte a un altro diverso da sé, ma con somiglianze e differenze che soprattutto in campo culturale sono maggiormente evidenti in individui appartenenti a etnie diverse. Per favorire il passaggio dal multiculturale all’interculturalità bisogna impegnarsi nell’azione educativa. Non esiste un’età in cui ha termine l’educazione però sappiamo che l’azione educativa assume un’importanza fondamentale negli anni dell’età evolutiva caratterizzati dallo sviluppo psicofisico di ogni individuo, durante i quali viene a formarsi la personalità di ciascuno. L’azione educativa nei confronti dell’interazione con il diverso da me, da una parte vuole aiutare ciascun soggetto a sviluppare uno sviluppo della sua personalità e dall’altra portarlo alla formazione del senso di appartenenza sul quale si fonda la possibilità di convivenza sociale. Bisogna favorire la consapevolezza della molteplicità dei valori sociali storici e culturali nel mondo per realizzare una loro armonizzazione attraverso un processo di conoscenza, confronto e rispetto. Alla base di ogni processo educativo ci deve essere la convinzione che l’educazione è un atto di amore verso l’altro per cui lo si aiuta a essere sempre più se stesso, in modo tale da renderlo un soggetto libero e responsabile. Educare una persona significa aiutarla a crescere nella propria identità storica e culturale. La dichiarazione del Concilio Vaticano secondo gravissimum educationis afferma che la vera educazione deve promuovere la formazione della persona umana in vista del suo fine ultimo è per il bene dalle varie società. Per favorire l’interazione occorre che l’azione educativa sia rivolta anche l’autoctono poiché nei confronti di chi si trova in terra straniera si deve tener presente che il legame con le proprie radici culturali è sentito in maniera più forte. Un progetto educativo deve tener presente tutto ciò e deve promuovere diverse iniziative che emettono le persone, grandi e piccoli, nelle condizioni di potersi inserire nel mondo che li ha accolti, conservando la propria identità etnica e culturale. L’educazione all’alterità ha come obiettivo quello di aiutare il soggetto a prendere sempre più coscienza della propria identità. L’identità personale è il prodotto dell’interazione tra fattori genetici ed elementi dell’ambiente esterno con cui il soggetto entra in contatto, tra ciò che in noi appartiene alla categoria dell’innata e tutte le relazioni e le acquisizioni indotte dall’ambiente circostante. Per identità culturale intendiamo tutto ciò che è dato al soggetto dalla realtà esterna e che entra a far parte del suo bagaglio personale. L’identità è espressione di un processo di costruzione nel quale ci sono transazioni fra soggetto e ambiente e nel quale si manifesta quella speciale risorsa della persona che conferisce autenticità e originalità allo sviluppo. L’identità è una realtà dinamica che si evolve e che aggiunge caratteristiche nuove senza annullare quanto è già presente, essa racchiude in sé due dimensioni fondamentali: il rapporto con se stesso e il rapporto con gli altri. Nel rapporto con se stesso il soggetto deve arrivare alla maturazione di un’equilibrata percezione di sé e dei propri limiti. Il giudizio degli altri nei nostri confronti ha una valenza determinante sia se negativo sia positivo, nel primo caso faticherà a crescere e svilupparsi la fiducia nelle proprie potenzialità, mentre nel secondo ci sarà una maggior possibilità che il soggetto arrivi a un equilibrato sviluppo della propria identità. Perciò avviene una continua interazione tra soggetto e oggetto ed è per mezzo di questa complementarietà i fattori interni ed esterni che si costruisce la propria identità. 4.2 La scuola è come palestra di educazione interculturale Dalle statistiche raccolte in questi ultimi anni risulta che la presenza di minori stranieri in molte scuole del nostro paese sollecita un loro urgente intervento a favore dell’intercultura. È positivo constatare sensibilità verso la realtà multiculturale scolastica, favorita dalla normativa ministeriale che ha affrontato il tema dell’educazione interculturale. La scuola appare come il luogo privilegiato per promuovere la diversità e lo sviluppo culturale e civile. La realizzazione di progetti di educazione interculturale comporta notevoli difficoltà, alcune dettate dall’organizzazione della struttura scolastica italiana. L’istruzione scolastica ha da sempre considerato come condizione ideale per svolgere la propria funzione quella di poter contare su una omogeneità delle capacità degli alunni, specialmente nei punti di partenza. È necessario nell’impresa educativa tener conto della variabilità individuale per quanto riguarda le abitudini, i personali tempi di sviluppo e di apprendimento, i modi con cui ciascuno costruisce ed elabora le proprie conoscenze. Bisogna ripensare le modalità e la struttura dell’organizzazione scolastica. Una scuola non può ignorare le valenze psicologiche ed umane dell’apprendimento sociale o culturale poiché se lo facesse non terrebbe conto della dignità e dell’originalità di ogni persona. Se il compito della scuola è quello di formare i futuri cittadini e sviluppare le loro capacità offrendo contenuti che li rendano capaci di entrare nel mondo sociale, il suo ruolo non può esaurirsi nella trasmissione di nozioni. Questo vale anche per la dimensione interculturale, se la scuola assume il compito di promuovere l’educazione interculturale, questo compito non si esaurisce nel far conoscere agli alunni le differenti culture presenti nelle società e nelle stesse classi. Educare non vuol dire conoscere, ma occorre sviluppare simpatia e partecipazione. Chi si trova a insegnare in una classe con bambini stranieri deve tener presente che il punto di partenza non è lo stesso per tutti, difficoltà di lingua, di comprensione e di usi, costumi e abitudini fanno in modo che il bambino straniero si trovi in situazioni di svantaggio. Se non si tiene conto di queste problematiche l’insuccesso scolastico sarà inevitabile. Il bambino straniero, senza subire un’esagerata accentuazione delle diversità che lo porterebbe a una emarginazione, ha bisogno di vedere riconosciuta e valorizzata la sua identità d’origine. I bambini stranieri hanno bisogno che la loro lingua e la loro cultura siano prese in considerazione tra gli obiettivi educativi e di apprendimento della scuola del paese di accoglimento. La scuola è chiamata ad allestire le condizioni più L’educazione della prima infanzia non è mai stata tenuta in grande considerazione. Fino al 600 la valenza pedagogica educativa del bambino fu quasi del tutto ignorata e quello che scrivevano e facevano aveva una funzione propedeutica al mondo dell’adulto. Il bambino non era visto come soggetto degno di cultura e vi era una visione adultistica del processo educativo. In Italia sono apparsi i primi istituti di educazione infantile nel periodo preindustriale e i promotori dell’educazione infantile avvertivano che stavano avvenendo trasformazioni nella famiglia poiché il fenomeno dell’urbanesimo e la chiamata delle donne al lavoro extra familiare esigevano che ci si prendesse cura dei bambini in condizioni di difficoltà. E con Ferrante Aporti che in Italia si ha un primo esempio di istituzione per l’infanzia che intende assistere e prendersi cura dei bambini, ma soprattutto della loro educazione. Aporti toccò con mano le gravi deficienze dell’istruzione primaria, la situazione di miseria e di abbandono nella quale si trovavano i bambini appartenenti alle famiglie povere, affidate a personale ignorante e incompetente per quanto riguarda le problematiche educative. Nel 1831 Aporti apri un primo asilo infantile a pagamento e due anni dopo con altri collaboratori ne apri uno gratuito destinato ai fanciulli poveri. Ciò che emerge e la fiducia nell’abilità e nell’importanza di un’opera educativa promossa dalla prima infanzia e la convinzione che essa non sia solamente il mezzo per far crescere umanamente e socialmente le persone povere e disagiate, ma la strada per creare una nuova coscienza etnico civile nel singolo e nella comunità. Nonostante gli sforzi compiuti dall’Aporti, la sensibilità educativa e le competenze pedagogiche e didattiche delle maestre d’asilo rimasero di basso livello come gli asili aportiani. Nel XIX secolo nacque una nuova istituzione infantile che ha riscontrato notevole sviluppo, si tratta dei giardini d’infanzia di Friedrich Frobel. Luciano Pazzaglia afferma che l’interpretazione data alla pedagogia froebeliana e soprattutto la strumentalizzazione a cui in Italia fu sottoposta tale pedagogia, indussero molti esponenti cattolici a ribadire con forza la concezione tradizionale secondo cui l’educazione di bambini in tenera età era e doveva restare un impiego educativo che riguardava principalmente la famiglia. Con il passare degli anni negli ambienti più sensibili del mondo cattolico ci si convinse che la cura e la formazione dei bambini implicava una seria approfondita di riflessione pedagogica e anche un impegno sociale di grande respiro. Tra fine 800 e primi del 900 cominciarono a capire che se si voleva concorrere la cura e la formazione dell’infanzia non ci si poteva affidare alla sola opera delle famiglie, ma bisognava puntare sul coinvolgimento della società civile degli enti locali. Perciò molte istituzioni cattoliche gestite da congregazioni religiose femminili si dedicarono all’opera educativa dei bambini in tenera età. Nello stesso periodo si svilupparono altre due esperienze che hanno segnato in modo indelebile la riflessione pedagogica e il metodo educativo per l’infanzia. Nel 1895 con la Fondazione dell’asilo da parte delle sorelle Carolina e Rosa Agazzi, nacque un metodo che poggiava sulla centralità del bambino colto nella realtà della sua vita. Il modello di bambino che nasce dalla riflessione agazziana è caratterizzato da spontaneità, creatività e prevalenza dell’attività ludica. La scuola materna si ispirava a una situazione familiare ideale dove l’amore, il rispetto reciproco e la possibilità di movimento sono le categorie prevalenti. Nel XX secolo alle sorelle Agazzi si affiancò Maria Montessori che diede vita alle cosiddette case dei bambini destinati alla cura e all’educazione dell’infanzia nella frase prescolastica, la Montessori poneva la conoscenza scientifica del soggetto al servizio del processo educativo. Il bambino delineato dalla Montessori è caratterizzato da impegno, concentrazione e interesse per il lavoro scolastico, l’adulto ha il ruolo di preparare, sostenere e coordinare l’attività del bambino con atteggiamento calmo e sereno, senza interventi diretti e autoritari, ma solo esponendo e presentando le attività e il materiale didattico preparati appositamente per lui. Questi metodi sono ancora presenti nelle attuali scuole dell’infanzia. Lo stato fino al 1968, data di nascita, in Italia, della scuola materna statale si è preoccupato soprattutto degli orientamenti didattici. Nel 1914 abbiamo il primo testo di programmi relativi alla scuola materna: i cosiddetti programmi Credaro dal nome del ministro della pubblica istruzione Luigi Credaro. Questi programmi definiscono una fisionomia di asilo infantile autonoma e indipendente rispetto ai successivi gradi dell’istruzione scolastica. Tale autonomia venne compromessa dalla riforma organica della scuola italiana attuata nel 1923 dal ministro della pubblica istruzione Giovanni Gentile che stabiliva che la scuola dell’infanzia dovesse costituire il grado preparatorio dell’istruzione elementare. Nel 1939, durante il ventennio fascista, fu emanata, ad opera del ministro dell’educazione nazionale Giuseppe Bottai, la Carta della scuola nel quale la scuola materna costituiva il primo dei gradi dell’ordine elementare. Aveva carattere obbligatorio e avrebbe dovuto perseguire l’obiettivo di disciplinare le prime manifestazioni dell’intelligenza e del carattere per la formazione fascista della gioventù italiana. La carta della scuola non fu applicata poiché di lì a poco L’Italia sarebbe entrata nella seconda guerra mondiale. Nel 1945 furono emanati i nuovi Programmi della scuola materna che delinearono tale istituzione come il luogo in cui si conserva il calore dell’ambiente familiare affinché il bambino non si senta estraneo è perduto. Con il decreto del presidente della Repubblica dell’11 giugno 1958, furono emanati gli Orientamenti per l’attività educativa della scuola materna nei quali si intravede un nuovo modello di scuola per l’infanzia, un’istituzione autonoma sia rispetto alla famiglia, sia rispetto alla scuola dell’obbligo. 10 anni dopo con la legge del 18 Marzo 1968 n. 444, fu istituita la scuola materna statale seguita dagli orientamenti dell’attività educativa nella scuola materna statale. Al loro interno si parla di scuola materna come luogo di educazione, essa non è anticipazione di quella elementare, ma ne è il terreno preparatorio appunto gli orientamenti del 1969 confermano la tematica di quelli del 1958, ampliandola sulla base del progresso scientifico che più interessa l’educazione e la pedagogia dell’infanzia. Quando nasce la scuola materna statale siamo di fronte ha una nuova situazione sociale le trasformazioni della struttura familiare tradizionale e le conseguenze strutturali e comportamentali che da essa derivano, rendono necessaria la funzione educativa della scuola materna che va ad integrale quella della famiglia. Con il Decreto Ministeriale 3 giugno 1991 la scuola materna italiana vedeva maturare gli orientamenti dell’attività educativa i quali presentavano numerose novità rispetto a quelle del 1969, si trattava di sviluppi e consolidamenti di tendenze precedenti che venivano delineati in maniera più precisa e circostanziata grazie ai continui studi e le ricerche relative al mondo dell’infanzia e alle sue problematiche. Nel testo del 1969 ci si proponeva fini per l’educazione, lo sviluppo e la personalità infantile, l’assistenza e la preparazione alla frequenza obbligatoria, integrando l’opera della famiglia. Gli orientamenti del 1991 miravano a promuovere la formazione integrale della personalità dei bambini dai tre ai sei anni di età con l’obiettivo di formare soggetti liberi, responsabili e partecipi alla vita della comunità locale, nazionale e internazionale, con lo scopo di formare l’uomo e il cittadino. Per quanto riguarda l’intercultura osserviamo che gli orientamenti del 1991 delineano una scuola capace di porsi al servizio della crescita personale di ogni bambino che deve essere luogo di concentrazione di risorse e competenze pedagogiche aventi come obbiettivo lo sviluppo della personalità. Il passaggio da un atteggiamento di assistenza e cura materiale del bambino a quello educativo è il risultato di arricchite competenze pedagogiche relative all’età infantile. La storia ci insegna che per rispondere ai bisogni del bambino di oggi è necessaria una continua lettura della realtà sociale, un’analisi critica e approfondita che porti alla scelta di adeguate strategie e metodologie educative. 1.2 Al servizio dei bambini: le finalità educative della scuola dell’infanzia La ricerca educativa degli ultimi decenni ha fornito l’immagine di un bambino ricco, attivo, dotato di una forza esplorativa e riflessiva, ma al tempo stesso bisognoso di protezione. Questo giustifica il suo affidamento alla cura dell’educatore. La scuola dell’infanzia si impegna a sviluppare la personalità del bambino con la capacità di proporre esperienze progettuali. L’attuale scuola dell’infanzia, che esce dagli Orientamenti del 1991 e dalle Indicazioni Nazionali per i Piani Personalizzati del 2004, è espressione di una progettualità politica che costituisce una fase preziosa dell’educazione dell’uomo. La scuola dell’infanzia è chiamata a far raggiungere ai bambini e alle bambine traguardi di sviluppo. 1.2.1 La maturazione dell’identità del bambino La formazione dell’identità è il risultato dell’interazione di diversi fattori legati al rapporto con il contesto sociale. Al centro della strutturazione dell’identità c’è “l’esserci”, come capacità di sentire il “se” distinto dall’altro; questo è un processo che il bambino non possiede alla nascita ma che sviluppa attraverso la relazione. L’io si genera attraverso il rapporto con gli altri. 1.2.2 La conquista dell’autonomia infantile Il bambino che viene da anni di dipendenza con le figure genitoriali ha nel frattempo maturato autonomia fisica. La scuola dell’infanzia deve far acquisire al bambino la consapevolezza del suo essere al mondo come persona capace di pensare e di fare. La scuola si prefigge di aiutare il bambino a consolidare la stima verso se stesso. È l’autonomia che diventa l’attestazione della propria identità ed è necessario fornire al bambino gli strumenti affinché possa gestire situazioni complesse senza l’aiuto dell’adulto. Il bambino autonomo è quello che sa giocare da solo e con gli altri. La scuola dell’infanzia consolida nel bambino le attività sensoriali, percettive, motorie e intellettive. Il verbo “consolidare” ci ricorda che la scuola ha il compito di rendere duraturo ciò che già esiste. È importante “educare alla competenza”. In relazione allo sviluppo delle competenze che si legge nel documento del ministro Letizia Moratti, la Scuola dell’Infanzia si impegna a consolidare le capacità sensoriali, percettive ed intellettive del bambino. Favorire lo sviluppo delle competenze è un intervento di rinforzo e di recupero. Gli studi piagetiani e quelli psicoanalitici confermano la complessità dei primi anni di vita del bambino. Il testo degli Orientamenti del 1991 specifica che la scuola deve stimolare il bambino alla produzione e interpretazione di messaggi. Dai 3 ai 5 anni il bambino OSSERVA, CAPISCE e RAZIONALIZZA l’esperienza, così da passare dall’interiorizzazione dell’azione alla conoscenza produttiva. Ed è in questa fase che il bambino accresce, la capacità d’espressione linguistica. Le parole lo aiutano a ricordare l’esperienza e ad organizzare e classificare le idee. L’adulto che opera accanto ai bambini riveste un ruolo fondamentale, è infatti necessario aiutare il bambino fin da piccolo a costruire una propria concezione riunificatrice della vita. Capitolo Secondo Educazione del bambino e della scuola dell’infanzia in una società multietnica e multiculturale 2.1 La socializzazione del bambino nella prima infanzia L’essere umano è considerato un essere sociale, la quale forma sè stesso attraverso il rapporto che si instaura con il mondo a lui circostante. La persona presenta una predisposizione all’incontro, ma la modalità di relazione può cambiare a seconda della maturità della persona stessa. Il bambino impara a instaurare rapporti attraverso la sfera affettiva, emotiva, cognitiva, ecc, e in questo incide molto anche l’età; ed è per questo che non bisogna sforzare il bambino, o meglio adultizzarlo. È importante, quindi, che il bambino compia un progressivo ed equilibrato sviluppo delle proprie capacità, grazie all’identificazione, dove il bambino si identifica con i genitori, e all’imitazione, quel meccanismo per cui il bambino impara, copiando i comportamenti da modelli diversi da quelli familiari. Per favorire questo processo di identificazione è importante che vi sia tra genitore e bambino una chiara distinzione di ruoli. M. Parente afferma che i bambini autonomi e sicuri, sicuramente presentano una notevole interazione affettiva, una grande capacità di regolare sentimenti ed emozioni. All’interno del gruppo dei pari, troviamo solitamente un bambino in grado di accogliere l’altro, di collaborare e aiutare. I bambini che frequentano la scuola materna, mettono in atto strategie che mirano al mantenimento della relazione; ed è importante che il bambino abbia a disposizione un ambiente adeguato, che lo aiuti a fare esperienza di sé e degli altri. Tutto ciò è importante per lo sviluppo della personalità infantile. 2.2 L’integrazione dei bambini stranieri nelle scuole dell’infanzia Alcune ricerche affermano che nei grandi capoluoghi dell’Italia, i bambini provenienti da altri Paesi appartengono per il 50% alla fascia di età compresa fra i tre e gli otto anni, e che entrano nel contesto scolastico a partire dalla scuola dell’infanzia. Attraverso il loro inserimento, entrano nella scuola le molteplici differenze culturali, altre religioni e credenze. Oggi è stato evidenziato che anche i bambini nati nel paese ospitante possono presentare problematiche di eguale intensità a quelle dei bambini immigrati nei primi anni di vita. L’entrata nel mondo della scuola dell’infanzia rappresenta un momento problematico per tutti i bambini per via del distacco dalla famiglia, ma ancora di più per i bambini stranieri che si trovano a vivere situazioni spiacevoli, per via della lingua, della situazione economia, della differenza etnica. Ciò rende particolarmente difficoltoso i processi di identificazione e imitazione per la maturazione della propria identità. Spesso però, l’immagine di un ambiente ostile, e a volte pericoloso, agli occhi degli adulti, può far nascere nel bambino un senso di timore nei confronti della realtà extrafamiliare; se la famiglia non interiorizza una certa fiducia nei confronti del paese ospitante, il bambino di conseguenza avrà difficoltà d’inserimento nelle strutture scolastiche. Un altro disagio che il bambino straniero si trova a vivere riguarda la modificazione di alcune abitudini, come il modo di parlare, di mangiare, di accostarsi all’altro, che lo portano a trovarsi solo, in quanto non è in grado di chiedere spiegazioni. Anche l’acquisizione della nuova lingua è un elemento da non sottovalutare per l’integrazione dei minori stranieri. Ci si può trovare di fronte a una situazione in cui il bambino ha una buona competenza della prima lingua, valorizzata sia nel contesto modalità di educazione morale offerte dalla famiglia e dalla società ospitante per il tramite della scuola. La diretta partecipazione dei genitori stranieri a momenti di incontro tra scuole famiglia e alquanto scarsa, le cause possono essere di difficoltà economica di poca padronanza della lingua italiana e di mancanza di tempo. Difficilmente i genitori dei bambini immigrati si muovono di loro iniziativa i primi passi per un avvicinamento reciproco devono perciò essere fatti dalla scuola perché non sempre la famiglia emigrata ha la possibilità o la volontà di stabilire rapporti con l’istituzione scolastica. È importante che entrambe le parti abbiano chiaro il concetto di collaborazione e condividano le modalità di partecipazione alla vita della scuola. Mettere alla base del rapporto scuola/famiglia la modalità di collaborazione, di condivisione, diventa particolarmente importante per il piccolo straniero: egli ha bisogno di constatare che nel proprio ambiente familiare vengono apprezzate le proposte fatte a scuola, così come ha bisogno che le sue esperienze familiari siano accolte e valorizzate all’interno dell’ambiente scolastico. Questi atteggiamenti aiuteranno il bambino a non avere discrepanze all’interno delle proprie mura domestiche che gli permettano di maturare la propria identità. Bisogna quindi fare in modo che i genitori entrino e vedono dove il bambino trascorre gran parte della propria giornata e soprattutto che il bambino senta parlare la propria lingua d’origine di fronte agli altri perché capirà che non è umiliante. Verso i genitori potrebbero essere attivate delle proposte ossia incontri per la conoscenza reciproca tra famiglie di bambini immigrati e bambini autoctoni, organizzare feste, mostre ecc.. per valorizzare la cultura di entrambe le parti. Infine l’inserimento quindi del bambino nella società e anche dell’intero nucleo familiare Contribuisce ad allargare la cerchia dei rapporti con le persone autoctone e a partecipare attivamente alla vita sociale del paese di residenza. CAPITOLO TERZO: LA DIMENSIONE INTERCULTURALE NEGLI ORIENTAMENTI PER LA SCUOLA MATERNA E NELLE INDICAZIONI NAZIONALI PER I PIANI PERSONALIZZATI DELLE ATTIVITÀ EDUCATIVE DELLA SCUOLA DELL’INFANZIA 3.1 INFANZIA, TRASFORMAZIONI SOCIO-CULTURALI E NUOVI BISOGNI EDUCATIVI. All’interno della proposta educativa che il testo degli orientamenti del 1991 e quello delle indicazioni nazionali del 2004 presentano trovano risposta alcune esigenze specifiche dell’attuale contesto storico. Ci riferiamo alla presenza nelle scuole dell’infanzia di soggetti originari di altri paesi esportatori di altre culture e alle metodologie educative che le scuole possono e devono porre in atto per rispondere a loro ho bisogno di integrazione. La scuola materna disegnata dagli orientamenti del 1991 si faceva promotrice di quei valori universali che permettono la “formazione di soggetti liberi, responsabile ed attivamente partecipi della vita della comunità locale, nazionale ed internazionale. Nel primo capitolo il testo ministeriale descriveva la società italiana come una società in movimento, viene sottolineata la presenza di una pluralità di modelli di comportamento che rinviavano a una gamma più che articolata di orientamenti valoriali. Si dice anche nel testo che l’accentuarsi delle situazioni di natura multiculturale e plurietnica so vengono a verificare talvolta atteggiamenti di intolleranza o addirittura di razzismo, essa può tradursi in occasione di arricchimento, di maturazione in vista di una convivenza basata sulla cooperazione, sullo scambio e l’accettazione produttiva delle diversità come valori ed opportunità di crescita democratica. Al centro era posta la presa di coscienza di possibili e spesso reali atteggiamenti di intolleranza, ma vi era anche la necessità di considerare la presenza straniera in termini di arricchimento e di nuove potenzialità per tutti. Si poteva aggiungere la formazione di questa mentalità aiutando il bambino a fare sintesi delle diverse esperienze offerte, cercando di farle vivere in maniera meno frammentata possibile, al fine di evitare quel disorientamento che porta una difficile assunzione della propria specifica identità. Il testo sottolineava la complessità in cui la società italiana si trovava nell’ultimo decennio del secolo XX. La cultura contemporanea pur avendo dato all’infanzia un’indubbia centralità, spesso vive la contraddittorietà di una logica di mercato che tende a trattare l’infanzia come oggetto di consumo. Nonostante si sia assistito ad un crescente miglioramento delle condizioni materiali di vita, non si possono dimenticare situazioni economiche, sociali e culturali che mettono a dura prova il pieno rispetto della dignità del bambino e la risposta adeguata ai suoi bisogni. Il testo ministeriale del 1991 sottolineava come “la coesistenza di scenari così profondamente diversificati e contrastanti impiega quindi la scuola svolgere un ruolo di attiva presenza, in collaborazione in autonomia con la famiglia, per la piena affermazione del significato del valore dell’infanzia secondo principi di uguaglianza, libertà e di amorevole solidarietà.” Se davanti nostri occhi facciamo scorrere l’immagine dei bambini che frequentano ormai abitualmente le nostre scuole, ossia autoctoni e stranieri, comprendiamo che ciò che affermava il testo degli orientamenti del 1991, rifletteva a pieno titolo le aspirazioni per la formazione di una mentalità aperta al pluralismo e al rispetto della persona umana, riflettendo così anche il presupposto per camminare a far camminare verso la costruzione di una società interculturale. Nel testo “le indicazioni nazionali per i piani personalizzati delle attività educative nelle scuole dell’infanzia” introdotta nel 2004, si afferma che: la scuola dell’infanzia concorre all’educazione armonica e integrale dei bambini e delle bambine, nel rispetto della valorizzazione dei ritmi evolutivi, delle capacità, delle differenze e dell’identità di ciascuno. Essa contribuisce alla realizzazione del principio dell’uguaglianza delle opportunità e alla rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale. Nel definire gli “obiettivi generali del processo formativo”, le indicazioni nazionali offrono un quadro aggiornato e d’indubbio rilievo riguardo alle caratteristiche della proposta educativa delle scuole dell’infanzia: la scuola dell’infanzia rafforza l’identità personale, l’autonomia e le competenze dei bambini. Essa raggiunge questi obiettivi generali collocandoli all’interno di un progetto di scuola articolato e unitario, che riconosce la proprietà della famiglia, l’importanza del territorio di appartenenza con le sue risorse sociali istituzionali e culturali. Essa si premura che i bambini acquisiscono atteggiamenti di sicurezza, di stima di sé e di fiducia nelle proprie capacità; vivano in un modo equilibrato e positivo i propri stati d’animo, stati affettivi, esprimendo e controllando emozioni e sentimenti, rendendosi sensibili a quelli degli altri, che riconoscano e apprezzino l’identità personale ed altrui nelle connessioni con la differenza di sesso, di cultura, di valori esistenti nelle rispettive famiglie; si rendono disponibili all’interazione costruttiva con il diverso e si aprono alla scoperta, alla cura di sé e degli altri e dell’ambiente, della solidarietà, della giustizia, dell’impegno di agire per il bene comune. 3.2 L’infanzia e la sua educazione secondo gli Orientamenti della scuola materna (1991) e secondo le Indicazioni Nazionali per i Piani Personalizzati delle Attività Educative della Scuola dell’infanzia (2004). La seconda parte degli Orientamenti del 1991 ha per tema “Il bambino e la scuola”. Sono presenti riferimenti all’educazione interculturale: il termine bambino si riferisce sia al bambino straniero che all’autoctono. La scuola ha il compito di promuovere la formazione integrale della personalità dei bambini dai tre ai sei anni di età, nella prospettiva di soggetti liberi, responsabili ed attivamente partecipi alla vita della comunità locale, nazionale ed internazionale. I bambini devono essere aiutati a sentirsi parte di una comunità sempre più differenziata dal punto di vista culturale, una società in cui ci si ritrova a vivere accanto a persone diverse da noi, ma con i nostri stessi diritti e doveri. Gli Orientamenti del 1991 riconoscono l’importanza del fatto che il bambino si percepisca come membro appartenente ad un gruppo sociale ben preciso dal quale deriva una precisa cultura. Aiutando il bambino a sviluppare la capacità di compiere scelte autonome lo si rende disponibile all’interazione costruttiva con il diverso da se e con il nuovo aprendosi alla scoperta ed al rispetto pratico di valori universalmente condivisibili, quali la libertà, il rispetto di se, degli altri e dell’ambiente, la solidarietà, la giustizia e l’impegno di agire per il bene comune. Questi sono valori necessarie le l’educazione interculturale. Gli Orientamenti ci dicono che all’origine di una mentalità aperta al “diverso da me”, troviamo un corretto ed integrale sviluppo della personalità nelle sue diverse componenti. L’insegnante/educatore deve far conoscere e rispettare le principali regole di convivenza evitando ogni forma di chiusura e di discriminazione. Il percorso educativo di un bambino non comincia dalla scuola dell’infanzia perché il bambino entra nella scuola dell’infanzia con un bagaglio di conoscenze ed esperienze. Poi il percorso educativo ha bisogno di evolversi all’interno di una comunità educativa. Il bambino straniero può presentare situazioni di difficoltà nell’apprendimento e nell’integrazione. La scuola dell’infanzia deve agire in modo che anche il bambino straniero si possa integrare nell’esperienza educativa che essa offre, così da essere riconosciuto e riconoscersi come membro attivo della comunità scolastica, coinvolto nelle attività che vi si svolgono. Favorire i processi d’integrazione può rimuovere quei fenomeni di disadattamento, devianza, dispersione scolastica, delinquenza minorile. Il rispetto dei bisogni cognitivi e relazionali dei bambini, lo sviluppo delle capacità, il collegamento con i servizi territoriali costituiscono strategie più adatte ad affrontare i problemi connessi allo svantaggio causato dalle situazioni socio-culturali. Nelle Indicazioni Nazionali del 2004 si definiscono i criteri didattici e gli obiettivi formativi ai quali si deve ispirare la scuola dell’infanzia e si dà agli insegnanti il compito di tradurre questi criteri e obiettivi in Piani Personalizzati delle Attività Educative. 3.3.1 Corpo, movimento, salute La corporeità e le sue manifestazioni hanno un ruolo importante nella formazione della personalità armonica ed equilibrata. Tutto ciò che noi impariamo passa attraverso i canali del nostro corpo, a cominciare dagli organi senso-percettivi che rappresentano per l’uomo cavali indispensabili per intessere il rapporto con il mondo. Il corpo costituisce il tramite essenziale del proprio essere con la realtà a lui esterna. Alla corporeità e al suo dinamismo motorio è quindi connessa la dimensione relazionale che assume un ruolo importante nello sviluppo generale del bambino. Il corpo è il luogo di relazione e comunicazione. Con i gesti, gli atteggiamenti e le posture, la mimica, il bambino usa il proprio corpo come strumenti espressivo e simbolico. Imparare a decodificare e a utilizzare questi linguaggi non verbali del corpo si rivela una risorsa importante nella comunicazione con i bambini stranieri. Ogni cultura attribuisce significati diversi ai gesti. Un’altra indicazione emergente da questo campo di esperienza é quella riguardante la partecipazione diretta del bambino alla costruzione della propria identità. L’insieme delle esperienze motorie e corporee correttamente vissute costituisce un significativo contributo per lo sviluppo di un’immagine positiva di se. Identità personale e culturale devono svilupparsi armonicamente. La consapevolezza del proprio corpo è essenziale per un normale sviluppo psicofisico. Senza di essa, il bambino non può rendersi conto di costituire una entità indipendente e separata dal mondo circostante, non si affitte di essere Io. Gli Orientamenti del 1991 fanno riferimento al l’educazione alla salute. 3.3.2 Fruizione e produzione di messaggi La scuola dell’infanzia si rivela come un ambito privilegiato per aiutare il bambino straniero ad acquisire la seconda lingua e al tempo stesso al bambino è data la possibilità di continuare ad utilizzare la propria lingua madre. Si tratta di promuovere e sviluppare nel percorso scolastico tutte quelle attività (grafico-pittorico- plastiche, drammatico-teatrali, sonoro-musicali) per le quali i bambini hanno sempre dimostrato un particolare interesse. La televisione e il cinema possono essere ulteriori strumenti di conoscenza: essi portano i bambini a contatto con una realtà anche lontana dalla loro, li avvicinano ad altri mondi ed altre culture; tali esperienze possono essere riprese ed utilizzate dalla scuola all’interno del percorso educativo interculturale. 3.3.3 Esplorare, conoscere e progettare Questi ambiti si rivolgono in modo specifico alle capacità di raggruppamento, ordinamento, quantificazione e misurazione di fatti e fenomeni della realtà. Il richiamo è alla presa di possesso della realtà e alle sue proprietà in termini logici matematici: raggruppare, ordinare, contare, misurare. L’insegnante/educatore, avvalendosi dei dati racconti per la costruzione della biografia di ciascun bambino straniero, può utilizzare per la costruzione di simboli e per le operazioni matematiche elementi provenienti dalla cultura d’origine dei bambini stranieri. La collaborazione della famiglia può essere un’ulteriore occasione per portare in classe il proprio paese d’origine e le sue tradizioni e per fare esercizi di classificazione e localizzazione spaziale. La scuola si pone come obiettivo il rispetto per tutti gli esseri viventi e interesse per le loro condizioni di vita, apprezzamento degli ambienti naturali ed impegno attivo per la loro salvaguardia. 3.3.4 Il sè e l’altro Negli Orientamenti del 1991, lo sviluppo del sé porta alla necessità di darsi e di riferirsi a norme di comportamento e di relazione indispensabili per una convivenza umanamente valida. Di esso fanno parte tutte le esperienze che consentono e stimolano anche la presa di coscienza dell'esistenza di norme più generali su cui si fonda l'organizzazione sociale di appartenenza; nonché di diversi contesti valoriali attraverso i quali gli individui singolarmente e in gruppo danno un senso al proprio comportamento quotidiano e a quelle stesse norme morali. Bisogna promuovere il riconoscimento del valore e della dignità di ogni soggetto umano, favorendo la crescita di un solido sentimento della convivenza e della costruzione di validi rapporti interpersonali. Tra gli obiettivi specifici c'è la promozione dell'autonomia, del senso di responsabilità, dell'accoglienza e dell'appartenenza. È importante che l'insegnante si soffermi accuratamente sugli elementi di somiglianza che accomunano le esigenze proprie di ogni essere umano e sugli elementi di differenza riscontrabili
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