Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

L'empirismo inglese: Locke, Berkeley e Hume, Appunti di Filosofia

Appunti di quarta superiore (liceo classico), sull'empirismo inglese, anche con contesto, e su Locke, Berkeley e Hume.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 19/10/2022

viola-vacchini-1
viola-vacchini-1 🇮🇹

4.5

(2)

20 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica L'empirismo inglese: Locke, Berkeley e Hume e più Appunti in PDF di Filosofia solo su Docsity! EMPIRISMO INGLESE Il metodo nella filosofia Quando la scienza inizia a funzionare nel trovare una verità certa, innovazione visibile tramite un progresso tecnologico, la filosofia si trova in difficoltà e inizia a inseguire il modello scientifico fino a Kant, che chiuderà questo approccio dopo due secoli. Questo inseguimento funziona soprattutto privilegiando uno dei due elementi portanti del metodo scientifico: 1. Dal linguaggio matematico prende forma il razionalismo di Cartesio, Spinoza e Leibniz, che predilige la dimensione matematica del metodo. I razionalisti ritengono che la ragione sia il criterio fondamentale per stabilire la validità di una conoscenza 2. Gli altri prediligeranno l’elemento della visione o esperienza nell’empirismo degli inglesi Locke, Berkeley e Hume. Esso ha avuto successo in Inghilterra e l’ispirazione generale dell'empirismo, oggi l’analitica, è tipica del pensiero anglosassone. Assetti istituzionali e modelli epistemologici L'assolutismo aveva rappresentato l'idea di un sistema compatto e monolitico, retto da leggi stabili e uniformi, al cui vertice si collocava la figura del sovrano: ben corrispondeva a tale modello il ragionamento ricondotto a calcolo matematico nella concezione di Hobbes e la conoscenza deducibile dal concetto dell'unica sostanza divina delineata da Spinoza. Al contrario, il regime costituzionale uscito dalla Gloriosa rivoluzione si fonda sul riconoscimento dei limiti del potere monarchico a favore del Parlamento e sull'accettazione di una tolleranza religiosa. Proprio sulla definizione delle effettive possibilità e dei limiti della mente umana si basa la proposta epistemologica di Locke: la ragione mantiene un'importanza fondamentale, ma deve fare i conti con la concretezza dell'esperienza, dunque la pretesa di fondare un sistema conoscitivo certo cede e si costruisce un sapere solo probabile. In Gran Bretagna altri pensatori come Berkeley e Hume sviluppano le tesi dell'empirismo, ma non mancano pensatori che si contrappongono all'empirismo di matrice lockiana. È il caso del tedesco Leibniz che ripropone esplicitamente l'innatismo di ispirazione platonica, innestandolo sulla propria concezione metafisica. Locke è impegnato politicamente per l'affermazione di un regime monarchico costituzionale e per il riconoscimento di un'ampia tolleranza religiosa. Tale impegno si sviluppa sia sul piano pratico della concreta militanza sia su quello della riflessione teorica: proprio le difficoltà incontrate nella discussione su tali questioni spingono Locke a intraprendere un'ampia riflessione epistemologica che lo porta ad elaborare una teoria empirista. Inghilterra e Germania L'empirismo lockiano viene ripreso e sviluppato dagli inglesi Berkeley e Hume. Il primo giunge alla negazione dell'esistenza autonoma degli enti materiali, proponendo una metafisica spiritualista per difendere la religione cristiana. Il secondo, invece, contesta la validità di qualsiasi concezione metafisica, dimostrando l'inconsistenza del concetto di sostanza e di quello di causalità. In Germania Leibniz elabora una teoria innatista connessa alla sua concezione metafisica, che intende superare il meccanicismo cartesiano di pensiero ed estensione. L’empirismo L’empirismo è una filosofia che ha avuto successo in Inghilterra, paese con dimensione politica di praticità e contrattualistica. Questo aspetto pratico, equilibrato e concreto visto in politica è riversato nella filosofia, nell’empirismo inglese che parte sempre da Galileo e dalla rivoluzione scientifica ma dalla visione più dell’esperienza. L’empirismo inglese ritiene galileianamente che non si possa conoscere la verità se non partendo dai dati empirici, ma è presente un paradosso alquanto strano poiché ha quello che si dice un esito scettico: la riflessione filosofica sopra al dato empirico porta a dubitare del dato empirico. Hume concluderà con un sostanziale scetticismo epistemologico, filosofico e scientifico: lo scetticismo, la scarsità di fiducia nella conoscenza, è applicato a questi ambiti e metterà in dubbio un concetto pilastro della filosofia occidentale, quello di “causa” sostituendolo con il termine “abitudine”. Questo si basa su un problema originario che ha grosse conseguenze, quello della critica lockiana al concetto di substratum. A partire da Cartesio la filosofia moderna si era divisa nel problema del rapporto soggetto pensante e oggetto pensato messo in discussione da Locke. Inizia a diffondersi l’idea che il pensiero di una cosa possa essere diverso dalla cosa in sé: l’oggetto in sé che percepiamo è il substratum, che non possiamo percepire interamente, come nell’esempio di una cosa che non possiamo vedere nella sua totalità. Il problema tecnico vale soprattutto perché sarà tema trattato da Kant e Hegel, perché nell’empirismo inglese si dà inizio a ciò che sarà la filosofia occidentale moderna. John Locke L'indagine filosofica di Locke è incentrata sull'individuazione delle possibilità ma anche dei limiti della conoscenza umana. Il filosofo ritiene che la ragione costituisca l'unica luce sufficiente a guidare l'uomo nelle sue attività. Tuttavia, ciò non significa che la ragione abbia un potere illimitato: il limite principale posto alle sue pretese è costituito dall'esperienza. Locke è infatti convinto che non possa esservi nell'intelletto umano alcun contenuto che non risalga alla testimonianza dei sensi: quello esterno o sensazione, che ci permette di conoscere gli oggetti fuori di noi; e quello interno o riflessione, con cui il soggetto diventa oggetto a sé stesso e percepisce così i propri moti e atti interiori. Egli dirà che la mente umana è una tabula rasa, alla nascita non ha pensieri e idee che vengono accumulati con sensi ed esperienza: questo si contrappone all’idea platonica della conoscenza insita nell’uomo. Locke non crede che partendo dall'esperienza si possa attingere l'essenza profonda della realtà. L'ambito del sapere certo risulta ristretto, anche se fornisce al soggetto verità di grande rilevanza, come la sua stessa esistenza e quella di Dio. Al di là di tale ambito si estende un'area ampia, relativamente alla quale l'uomo non è in grado di avere certezze, ma può solamente costruire una conoscenza probabile: grazie ad essa gli esseri umani possono governare la propria esistenza, assumendo decisioni che risultano ragionevoli in considerazione dei criteri di probabilità. La stessa 1 conoscenza empirica del mondo naturale si attesta su verità relative, sempre suscettibili di essere modificate sulla base di nuove esperienze. La riflessione epistemologica di Locke nasce da un'esigenza pratica: la definizione dei limiti della conoscenza umana costituisce il presupposto necessario alla soluzione delle principali questioni. Tale indagine preliminare impedisce di avventurarsi in affermazioni che si collocano al di là delle possibilità umane. La ragione è l'unico strumento a disposizione dell'uomo per creare condizioni di vita civile: non può stabilire regole di convivenza certe e assolute, può però indagare i principi basilari della società. Il riconoscimento dei limiti motiva anche la diffidenza di Locke nei confronti di ogni dogmatismo. La razionalità, pur non potendo sostituire la fede, funge da denominatore comune tra le diverse confessioni: essa può evitare fanatismi e contrasti pericolosi. La base dell’esito scettico è il problema posto da Locke: esso è alla base della filosofia trascendentale di Kant e Hegel e ancora all’inizio del XX secolo i neo-kantiani insieme alla filosofia generale sono fermi a questa impostazione kantiana che trova qui le sue radici. La vita John Locke nasce nel 1632. Studia ad Oxford, dedicandosi alle discipline umanistiche e ottenendo il titolo di "maestro delle arti". Poi i suoi interessi si indirizzano sempre più verso la medicina e le scienze naturali, e comincia a collaborare con il chimico Robert Boyle. Entra poi a far parte della Royal Society - importante associazione scientifica britannica - e conosce Lord Ashley, futuro conte di Shaftesbury, con cui condividerà l'impegno politico di ispirazione liberale. È proprio a casa di Ashley che mette a fuoco l'obiettivo della sua ricerca filosofica: analizzare le prerogative delle facoltà conoscitive umane. Le riflessioni elaborate in quell'occasione confluiscono in alcuni appunti, che costituiranno il nucleo di una delle sue opere fondamentali: il Saggio sull'intelletto umano. Locke si trasferisce in Francia per allontanarsi da una situazione politica che stava diventando instabile, anche a causa del rapporto critico tra Lord Ashley e il re Carlo II. Locke studia la filosofia di Cartesio, che ha un ruolo primario nell'elaborazione del suo pensiero: torna poi in Inghilterra dove ricomincia anche la sua attività politica, caratterizzata dal conflitto con il partito conservatore dei tories, sostenitori del potere assoluto della Corona contro le rivendicazioni del Parlamento. Shaftesbury è poi accusato di tradimento per aver congiurato contro Carlo II e costretto a fuggire in Olanda insieme a Locke. Il filosofo torna in Inghilterra soltanto dopo la vittoria della Gloriosa rivoluzione: in quel periodo Locke, che della rivoluzione era stato sostenitore pubblica la Lettera sulla tolleranza, i Due trattati sul governo e il Saggio sull'intelletto umano. Si ritira poi nel castello di Oates, nell'Essex, dove trascorre gli ultimi anni e muore nel 1704. Un testo rivelatore della personalità di Locke Locke è l'incarnazione della figura di precettore da lui stesso delineata nei Pensieri sull'educazione, un testo in forma epistolare che il filosofo scrive su richiesta di un amico. In questo libro Locke descrive l'educatore come un uomo colto e saggio, che vanta una buona conoscenza del mondo, tratti che ricalcano la sua stessa esperienza biografica. Di origini nobili, la sua formazione è stata quella tipica di un giovane aristocratico, la quale comportava la frequentazione dei migliori college e il contatto con i principali esponenti del mondo politico. Nel suo scritto pedagogico prospetta un'educazione improntata ai principi dell'autonomia e della libertà dell'allievo, che devono essere conciliati con il rispetto dell'autorità: deve guadagnarsi la stima e il rispetto degli altri attraverso la buona reputazione che gli deriva dal suo comportamento. La virtù è intesa da Locke come una condizione di perfezionamento personale, caratterizzata dalla compostezza e dalla cultura. Parallelamente la sua visione filosofica è improntata a una razionalità consapevole dei propri limiti e delle proprie possibilità e all'esaltazione dell'individuo e delle sue libertà inviolabili. L'empirismo di Locke Sin dalla fine del Medioevo, l'ambiente filosofico inglese era stato caratterizzato da una spiccata attenzione per l'esperienza sensibile e per le ricerche sul mondo fisico. La riflessione metodologica di Galileo aveva una valenza prescrittiva: intendeva indicare in che modo dovesse procedere la ricerca scientifica. Tuttavia, quella stessa riflessione suggeriva anche l'esigenza di approfondire il problema della conoscenza umana, del modo in cui essa viene acquisita, di quali sono le sue possibilità e i suoi limiti: la discussione si sposta così dalla questione metodologica a quella epistemologica. I termini di tale discussione riprendono quelli che due millenni prima avevano contrapposto l'innatismo di Platone e l'empirismo di Aristotele, tenendo conto delle novità introdotte dalla scienza. In Inghilterra prevale il filone empirista. L'idea dell'opera di Locke era nata da discussioni che si erano svolte circa venti anni prima della pubblicazione fra l'autore e un gruppo di amici su temi di natura etico-religiosa: ci si era resi conto del rischio di incorrere in gravi errori, se prima di affrontare le tematiche in oggetto non si fossero definiti le possibilità e i limiti della conoscenza umana. La critica dell'innatismo Il Saggio sull'intelletto umano inizia con una confutazione dell'innatismo: oggetto di tale polemica sono sia epistemologia cartesiana sia il platonismo. Uno degli argomenti portati a favore dell'innatismo era la presunta esistenza di idee e principi universali, come quello logico di non contraddizione, secondo cui è impossibile che la stessa cosa sia e non sia. Locke sostiene però che anche l'esperienza potrebbe condurre uomini diversi al possesso delle medesime convinzioni. Ma il filosofo insiste soprattutto sul fatto che popoli differenti non hanno le stesse idee: gli europei erano entrati in contatto con popolazioni asiatiche o americane a seguito delle grandi scoperte geografiche e avevano compreso le profonde differenze culturali tra popoli diversi, che avevano portato alcuni intellettuali a negare l'esistenza di principi morali assoluti. Locke non approda al relativismo: le religioni politeistiche non mettono in discussione l'esistenza di un unico Dio, ma provano che l'idea di Dio non è innata, poiché dovrebbe trovarsi identica nell'animo di ogni essere umano e quindi avere carattere di universalità. Un altro argomento lockeano contro l'innatismo è la constatazione che i neonati appaiono privi di qualsiasi conoscenza e gli esseri umani sembrano acquisire gradualmente le proprie idee. I sostenitori dell'innatismo avevano ipotizzato che le idee potessero sussistere nella mente umana in forma inconscia prima che il soggetto ne diventasse consapevole grazie 2 La teoria del linguaggio Alla teoria delle essenze nominali è collegata quella del linguaggio, per Locke un sistema di segni stabilito dagli esseri umani per interagire e comunicare. È attraverso il linguaggio che gli uomini rendono noti i contenuti del proprio pensiero, le idee. Mentre i nomi propri sono segni che indicano singoli individui specifici, i nomi generali o comuni sono segni che si riferiscono alle idee prodotte attraverso il processo di generalizzazione e astrazione che abbiamo esaminato. Se il termine generale è segno di un'idea generale, quest'ultima a sua volta può essere considerata segno di un gruppo di cose: essa infatti esprime l'essenza nominale corrispondente a quell'insieme. In altre parole, l'idea generale è uno strumento mentale di classificazione che consente di raggruppare una molteplicità di elementi. Ne deriva una concezione in cui una certa arbitrarietà è riconosciuta al significato, cioè quell'idea generale cui la parola si riferisce e che non definendo un'essenza reale permanente conserva un margine di provvisorietà. Conoscenza certa e conoscenza probabile I contenuti della conoscenza derivano tutti dall'esperienza e Locke definisce la conoscenza come la percezione della concordanza o discordanza tra due idee. La conoscenza non consiste nelle idee in sé, ma nei giudizi con cui si afferma che due idee sono o non sono collegate tra loro, e può essere acquisita tramite intuizione, dimostrazione o sensazione. 1. L'intuizione consiste nella percezione diretta e immediata della concordanza o discordanza tra due idee. L'intuizione per eccellenza è quella della propria esistenza, nel momento in cui il soggetto coglie il nesso inscindibile tra l'idea che ha di sé e quella di esistenza. In questo Locke accetta il principio del cogito cartesiano, anche se rifiuta le conseguenze che ne traeva Cartesio. Egli ritiene che nell'auto intuizione di sé ognuno di noi abbia la certezza della propria esistenza, ma che da essa non si possa derivare la definizione del soggetto quale sostanza pensante. Come sappiamo secondo Locke le sostanze restano inconoscibili per l'essere umano: ogni soggetto ha la certezza intuitiva di esistere come una sostanza che pensa ma non come sostanza pensante, la cui essenza si identificherebbe con il pensiero e sarebbe puramente spirituale. Locke afferma di essere convinto che l'anima umana sia di natura spirituale, ma tale convinzione gli deriva dalla propria fede religiosa. 2. Il rapporto tra idee può essere conosciuto anche attraverso la dimostrazione che si ha quando la concordanza o la discordanza tra due idee non può essere colta direttamente, ma soltanto attraverso una sequenza di passaggi, cioè attraverso la percezione della concordanza o discordanza di una serie di idee intermedie definite prove. Ciò accade nelle dimostrazioni matematiche, ma secondo Locke anche l'esistenza di Dio può essere oggetto di dimostrazione: riprende infatti la classica prova causale risalente a Tommaso d'Aquino la quale, partendo dalla constatazione dell'esistenza di qualcosa, giunge alla divinità come causa prima. Si noti che il filosofo inglese rifiuta le dimostrazioni proposte da Cartesio, che si fondavano sulla presunta esistenza nella mente umana dell'idea innata di Dio. 3. La terza permette di cogliere la concordanza tra l'idea di una cosa e quella della sua esistenza nella realtà esterna. Si tratta della sensazione, e più precisamente della sensazione attuale: soltanto la sensazione qui e ora di un determinato oggetto testimonia infatti la sua esistenza, perché, venuta meno tale percezione, anche se di quell'oggetto rimarrà un ricordo nella mente non si potrà più sapere con assoluta sicurezza se esso continui ad esistere. La conoscenza dell'io (raggiunta mediante l'intuizione), la conoscenza matematica e di Dio (ricavate dalla dimostrazione) e la conoscenza dell'esistenza delle cose (derivata dalla sensazione attuale) rappresentano per Locke l'ambito della conoscenza certa, in cui ciascuna modalità conoscitiva si presenta con un grado di certezza minore rispetto alla precedente. Judgement Locke riconosce l'esistenza del judgement, la conoscenza probabile. Si tratta di un giudizio, una valutazione della realtà fondata su alcuni criteri, che non può tuttavia ambire a una certezza assoluta. Secondo Locke il judgement ha una notevole importanza anche se ha un ambito di applicabilità piuttosto ridotto e le cose che possiamo conoscere con assoluta certezza sono poche: gli uomini devono accontentarsi di orientare le loro scelte sulla base di semplici opinioni fondate sul judgement. Viene esemplificato attraverso il paragone della candela: la candela illumina debolmente, creando una sfera di luce la quale ci consente di vedere chiaramente le cose che si trovano nelle sue immediate vicinanze, mentre man mano che ci si allontana da essa gli oggetti ci appariranno sempre più confusi, e a una certa distanza prevarrà infine il buio. La ragione, l'insieme delle capacità conoscitive umane, illumina il mondo ma poche sono le cose che possiamo sapere con certezza, mentre al di là di esse si estende la sfera di quelle di cui possiamo avere solo opinioni e il territorio di ciò che non potremo mai conoscere. Ma essa è l'unico strumento che abbiamo a disposizione per orientarci nel mondo ed è adatta a tale scopo. I criteri della probabilità Esistono diversi gradi di probabilità, definibili sulla base di alcuni specifici criteri come l'attendibilità dei testimoni e la coerenza con l'insieme dell'esperienza. Spesso non siamo in grado di constatare direttamente determinati fatti o situazioni, e dobbiamo ricorrere alla testimonianza altrui. I due criteri possono convergere nella definizione complessiva del grado di probabilità di un'affermazione, che diventa maggiore se il testimone è attendibile e se i fatti riportati sono coerenti con l'insieme dell'esperienza. L'ambito di applicabilità della ragione Il riconoscimento dell'importanza del judgement evidenzia la distanza tra la concezione lockiana e quella cartesiana della razionalità. Per Cartesio, infatti, il campo di azione della ragione si identificava con quello dell'evidenza, cioè delle idee chiare e distinte. Obiettivo del filosofo francese era individuare un nucleo di verità evidenti, su cui ricostruire l'edificio di un sapere razionale e certo: tutto ciò che non poteva essere ridotto a chiarezza e distinzione sfuggiva al dominio della ragione e ci si doveva affidare a un’accettazione della 5 tradizione. Tuttavia, convinzione sul limite della ragione non lo porta a restringere l'uso della ragione ai soli oggetti della conoscenza certa (knowledge): egli pensa che l'ambito di applicabilità della ragione sia più ampio, purché essa rinunci alle pretese di certezza assoluta e accetti il suo ruolo fondamentale nel judgement. Si potrebbe affermare che, rispetto a Cartesio, in Locke la ragione guadagna in estensione quanto ha perso in termini di pretese di certezza assoluta: Locke ha maggiore familiarità con la medicina e con la chimica le cui verità sono sempre provvisorie e sperimentalmente rivedibili. Gli esiti potenzialmente scettici della teoria empirista La metafisica aveva cercato di rispondere a due domande fondamentali, riguardanti il che cosa e il perché, cioè la sostanza e la causa: qual è la sostanza di questo oggetto? Perché questo oggetto si è generato e subisce certe modificazioni? Tale genere di questioni era stato affrontato da tutte le concezioni metafisiche, per le quali il mondo altro non era che un insieme di cose (di sostanze) che si influenzavano a vicenda. Locke aveva iniziato a mettere in discussione le fondamenta di tali concezioni, negando che l'intelletto umano fosse in grado di conoscere la sostanza, cioè il sostrato cui ineriscono tutti gli accidenti. Tuttavia, la sua critica si era fermata a questo livello: egli non aveva affatto rifiutato l'esistenza della sostanza, che rimaneva anzi per lui il sostegno indispensabile di quegli accidenti e di quelle qualità; né aveva minimamente messo in discussione il concetto di causa, su cui riteneva di poter fondare la dimostrazione dell'esistenza di Dio. Berkeley e Hume, portando alle estreme conseguenze le premesse empiriste, negano l'esistenza stessa della sostanza e, nel caso di Hume, criticano anche il concetto di causa: l'empirismo sfocia in esiti scettici, anche se in realtà entrambi lo negano. La fondazione epistemologica di Berkeley si pone quindi come passaggio dalla fondazione epistemologica di Locke e lo scetticismo radicale di Hume. George Berkeley: la vita e le opere George Berkeley nasce nel 1685 in Irlanda, dove si iscrive al Trinity College di Dublino, dove studia matematica, filosofia e letterature classiche. Inizia poi la propria carriera ecclesiastica nella Chiesa anglicana, che lo porterà a essere nominato vescovo di Cloyne. Ottenuta dal governo inglese l'autorizzazione a fondare una scuola nelle isole Bermude, colonia britannica, giunge in America ma il progetto, che mirava all'evangelizzazione e all'educazione delle popolazioni indigene, fallisce per mancanza di finanziamenti e Berkeley si trasferisce prima a Londra e poi nuovamente in Irlanda. Muore nel 1753. Berkeley aveva iniziato a stendere degli appunti, nei quali erano presenti i temi principali del suo antimaterialismo. La prima importante opera pubblicata è il Saggio per una nuova teoria filosofica della visione, mentre il suo libro più noto è il Trattato sui principi della conoscenza umana. Nei Tre dialoghi tra Hylas e Philonous il primo interlocutore difende le posizioni materialiste, mentre il secondo sostiene la concezione idealista e spiritualista dell'autore. La negazione della sostanza estesa Il pensiero di Berkeley però è apologetico: intende essere una giustificazione e una difesa delle verità della religione cristiana. In questo senso, si propone di combattere le tendenze materialistiche presenti in buona parte della filosofia e della scienza, giungendo a negare l'esistenza autonoma della materia come era stata concepita dalle moderne concezioni meccaniciste, cioè come sostanza estesa e infinita. Riconoscendo tale esistenza bisognerebbe ammettere o che tale sostanza si identifica con la divinità, cadendo così nel panteismo di Spinoza, oppure che esiste oltre a Dio un'altra realtà infinita, che ne limiterebbe l'onnipotenza. Berkeley cerca di dimostrare razionalmente una tesi immaterialista negando la tradizionale distinzione tra qualità primarie e secondarie. Secondo quella distinzione, i colori, gli odori o i sapori (le qualità secondarie) non sussistono negli oggetti cui li riferiamo, ma sono l'effetto dell'azione delle loro caratteristiche quantitative sugli organi di senso: soltanto tali aspetti (le qualità primarie) esisterebbero dunque in quegli oggetti e non esclusivamente nel soggetto percipiente. Contro tale concezione Berkeley sottolinea il fatto che non possiamo separare neanche idealmente qualità primarie e secondarie: ad esempio, non siamo in grado di concepire un'estensione che non abbia anche un determinato colore. Pertanto, come si ritiene che colori, odori o sapori siano sensazioni soggettive, così sembra ragionevole ammettere che anche l'estensione altro non sia che una percezione del soggetto, cui non corrisponde alcuna realtà autonoma al di fuori di esso. Questo porta ad estreme conseguenze la critica di Locke al substratum: mentre per Locke il substratum non è conoscibile, per Berkeley la sua esistenza è irrilevante. Per Galileo le oggettive erano qualità misurabili, mentre quelle soggettive non lo sono, ma per Berkeley non esiste una vera differenza tra esse perché tutte sono nostre percezioni. Dire l’altezza di una persona è una qualità oggettiva, mentre dire che una persona è alta o bassa è soggettiva, ma per il pensatore il collegamento tra la struttura della persona e le tacche del metro significa che la misura è operato dalla mente e non è nelle cose stesse. Il carattere soggettivo dell'estensione Il carattere soggettivo dell'estensione è confermato anche da un'altra considerazione. Nel corso del Seicento erano stati effettuati i primi interventi chirurgici che avevano consentito ad alcune persone cieche dalla nascita di acquistare la vista, ma gli individui sottoposti con successo a quelle operazioni non avevano una percezione dell'estensione, dunque della forma e della distanza di un oggetto paragonabile a quella di un uomo da sempre dotato del senso della vista. Inoltre, gli individui che prima dell'intervento avevano avuto occasione di percepire con il tatto la forma di un oggetto appena acquistata la vista non erano in grado di riconoscere il medesimo oggetto al solo sguardo e prima di averlo toccato: soltanto la reiterata esperienza aveva consentito loro di far corrispondere la sensazione visiva e quella tattile avuta precedentemente, riferendole al medesimo oggetto. Per Berkeley tali osservazioni dimostrano che l'estensione non esiste come caratteristica inerente agli oggetti: esistono unicamente due serie di sensazioni soggettive, vista e tatto, che soltanto l'esperienza e l'azione della mente portano a unificare nel concetto di un oggetto esteso, ovvero di un corpo. Per il filosofo tale 6 oggetto non è una sostanza materiale indipendente dal soggetto, bensì il risultato di una costruzione da parte del soggetto stesso a partire dalle diverse percezioni sensibili, le uniche che possono considerarsi esistenti. Esse est percipi Dai casi analizzati deriva l'assunto che anche l'estensione esiste soltanto come percezione di un soggetto: in ciò consiste l'immaterialismo o idealismo radicale che connota il pensiero di Berkeley e che può essere sintetizzato nella formula latina esse est percipi, cioè “essere vuol dire essere percepito”. Non vi è nulla al di là di ciò che percepiamo, ossia delle nostre idee. In realtà, l'espressione deve essere così completata: esse est percipi aut percipere, ovvero “essere vuol dire essere percepito o percepire”. L'esistenza di realtà percepite, infatti, implica quella di uno o più soggetti percipienti e per il filosofo esistono dunque soltanto le idee e gli spiriti che le percepiscono. La critica del concetto di sostanza si rivolge contro le sostanze estese, che vengono ridotte a idee percepite da un soggetto, mentre non mette in discussione quelle spirituali: l'esistenza di queste ultime è anzi il presupposto della riduzione idealista delle prime: perché qualcosa sia percepito è necessario che vi sia qualcuno che lo percepisce, Dio. L'immaterialismo e l'idealismo si configurano così anche come un radicale spiritualismo coerente con la religione cristiana. Il Dio di Berkeley L’esistenza in sé dell’oggetto esiste solo nella misura di ciò che noi percepiamo, dunque l’esistenza di esso in sé è irrilevante. Questa è la stessa posizione dell’idealismo, che va a braccetto con una visione spiritualista: tutto collassa nella mente dell’uomo in quanto esso non può uscire dalla sua mente. Con l’affermazione “esse est pércipi aut percipere aut pércepi posse”, “essere è essere percepiti o percepire o poter essere percepito” Berkeley ammette l’esistenza di Dio. Infatti “percepire” è una caratteristica della mente umana, e tutto ciò che è, è perché è percepito dall’uomo oppure perché, in assenza di questo, percepito da Dio. Dio può percepire tutto ed è grazie a lui che le cose rimangono stabilmente le stesse. La visione che qui vediamo è simile a quella secondo Cartesio, che riteneva sicuro solo ciò che era nella sua mente e ciò che essa percepiva. Un'arma contro lo scetticismo La concezione di Berkeley, che nega esistenza autonoma alle sostanze materiali, potrebbe essere considerata una sorta di scetticismo parziale o moderato, in quanto limitato alla distruzione della consistenza ontologica del solo mondo fisico. Il filosofo direbbe che anche per quanto riguarda quest'ultimo la sua filosofia non rappresenta una forma di scetticismo, ma anzi la migliore arma contro le conseguenze scettiche delle concezioni materialistiche. Egli nega inoltre che la sua filosofia si configuri come un'ipotesi paradossale in contrasto con il senso comune condiviso dalla maggior parte degli uomini, i quali sono convinti di avere a che fare con oggetti esterni e materiali indipendenti dal soggetto. Berkeley sostiene di non aver voluto trasformare le cose in idee, bensì le idee in cose: la sua concezione non toglie consistenza ontologica alle cose, riducendole a una semplice apparenza, ma fornisce tale consistenza alle idee, non più considerate una copia sbiadita degli oggetti fisici. Berkeley ritiene che le cose conosciute siano le idee stesse e non sostanze estese esterne al soggetto di cui le idee sarebbero un riflesso nella mente. La sua filosofia è apparentemente scettica in quanto contesta l'esistenza degli oggetti materiali, come la più radicale negazione dello scetticismo: le cose, identificate con le idee, sono esattamente come le percepiamo, e non abbiamo bisogno di ipotizzare oggetti materiali esterni. Dio come fondamento della realtà e della conoscibilità Per comprendere a fondo la concezione di Berkeley, è opportuno fare alcune precisazioni. 1. In primo luogo, l'esse est percipi non dev'essere interpretato come se si riferisse alle percezioni del singolo individuo. Il filosofo non crede che le cose esistano in maniera intermittente, cioè soltanto quando vengono percepite: anche nel momento in cui non ne ho alcuna sensazione, potrebbero essere sentite da altri esseri umani. Per Berkeley la garanzia della costante percepibilità ed esistenza delle cose è il fatto che, anche qualora un oggetto non fosse percepito da alcuna mente umana, lo sarebbe comunque dalla mente di Dio. 2. In secondo luogo, la filosofia di Berkeley non intende ridurre il mondo a un insieme di illusioni inconsistenti. Essa consente di riconoscere la differenza tra gli oggetti reali e le apparenze del sogno o della fantasia: i primi presentano una costanza e una coerenza interne che le immagini fantastiche non possiedono affatto. Quella costanza e quella coerenza sono garantite dall'azione della divinità, che fonda e mantiene l'ordine e l'armonia dell'universo e di tutti gli oggetti che lo costituiscono. La filosofia di Berkeley trova il proprio fondamento in una concezione religiosa e in essa si risolve. Verificazionismo e falsificazionismo Nel XX secolo i pronipoti dell’empirismo hanno dato all’epistemologia scientifica una particolare forma: da una parte abbiamo il Circolo di Vienna e dall’altra Karl Popper. Entrambi si sono chiesti quale fosse il criterio per cui un assunto poteva essere considerato scientifico: il circolo di Vienna usa un semplice criterio, ovvero ritenendo che un’affermazione è scientifica quando è dimostrabile in modo empirico, dunque con il criterio del verificazionismo. Affermare che qualcuno ha la febbre è scientifica perché si basa su una serie di numeri sul termometro, mentre dire che qualcuno non sta bene non è un criterio quantificabile. Popper, tuttavia, ha proposto un criterio parallelo ma alternativo, quello del falsificazionismo o di falsificabilità. Per lui un’affermazione è scientifica quando consente agli altri di falsificarla, cioè dimostrare quando è falsa: ritiene che non si possono mai esaurire i casi di prova empirica. Per entrambi occorre un esperimento galileiano, ma la differenza è di carattere filosofico: Popper fornisce una versione più recente di quello che è nato con l’empirismo perché il falsificazionismo è un atteggiamento epistemologico antidogmatico e più aperto che accetta i limiti della scienza e qui sta la chiave dell’empirismo inglese, quella di tenere insieme il limitarsi ai dati concreti ma contemporaneamente il 7
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved