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l'Employer Branding come strategia per vincere la war for talent, Tesi di laurea di Gestione delle Risorse Umane e Organizzazione

Una tesi di laurea presentata presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Facoltà di Economia, Corso di Laurea in Mercati e Strategie d’Impresa. L'autrice approfondisce il tema dell'Employer Branding come strategia per attrarre e trattenere i talenti al proprio interno e promuovere l'immagine dell'azienda come datore di lavoro. Vengono descritti i principali fattori che rendono aspra la War for Talent, il concetto di Employer Branding, le sue leve di attraction e retention, i vantaggi e le difficoltà dell'implementazione di iniziative di Employer Branding e come le organizzazioni possono definire ed implementare una strategia di Employer Branding. Infine, viene presentata una ricerca empirica basata sull'analisi di dati ottenuti tramite un questionario e delle interviste rivolte ai responsabili delle risorse umane di due imprese.

Tipologia: Tesi di laurea

2022/2023

In vendita dal 10/10/2023

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Scarica l'Employer Branding come strategia per vincere la war for talent e più Tesi di laurea in PDF di Gestione delle Risorse Umane e Organizzazione solo su Docsity! UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE Sede di Milano Facoltà di Economia Corso di Laurea in Mercati e Strategie d’Impresa L'Employer Branding come strategia per vincere la War for Talent. Focus sulle leve di attraction e retention: un confronto generazionale Relatore: Prof. Stefano Antonelli Tesi di laurea di: Laura Manieri N. Matricola: 5109344 Anno Accademico 2022 – 2023 2 “Clients do not come first. Employees come first. If you take care of your employees, they will take care of the clients.” Richard Branson 5 Introduzione In un contesto come quello attuale, caratterizzato da un mercato del lavoro sempre più dinamico e competitivo, la competizione tra le imprese per attrarre i talenti di cui hanno bisogno – la cosiddetta War for Talent – sta diventando sempre più aspra. Ciò ha fatto emergere la necessità per le organizzazioni di mettere a punto delle iniziative finalizzate non solo ad attrarre, acquisire e trattenere i talenti più preziosi al proprio interno ma anche a promuovere la propria immagine come datore di lavoro. Il cuore pulsante di questa sfida è l’Employer Branding una disciplina che sta rapidamente guadagnando un posto di rilievo tra le strategie aziendali globali. Lo scopo di tale elaborato è quello di dimostrare da un lato come, ad oggi, per le imprese sia fondamentale prendere in considerazione tale disciplina al fine di mettere a punto delle iniziative per attrarre e trattenere i talenti al proprio interno e dall’altro comprendere come per essere stia diventando sempre più importante definire in maniera attenta quelle che sono le leve utilizzate per attrarre e trattenere i dipendenti di cui hanno bisogno nonché una proposta di valore accattivante per differenziarsi dalla concorrenza come datori di lavoro. In particolar modo, il primo capitolo di tale elaborato, si aprirà con una riflessione relativa all’importanza delle risorse umane, le quali sono considerate un elemento di vantaggio competitivo sempre più importante per le imprese. Verranno poi descritti i principali fattori che stanno concorrendo a rendere sempre più aspra la cosiddetta War for Talent e che, di conseguenza, hanno portato le imprese a riflettere sulla necessità di promuovere sé stesse non solo più come produttrici di beni e servizi ma anche come datori di lavoro. Si cercherà poi di definire il concetto di Employer Branding ricorrendo all’analisi della letteratura esistente sul tema e approfondire quello che è il suo rapporto con il corporate brand e il product/service brand. Infine, verranno presentati quelli che sono i principali vantaggi che le imprese possono trarre dall’implementazione di iniziative di Employer Branding nonché quelli che sono i limiti e le difficoltà che esse possono riscontrare. Per quanto riguarda il secondo capitolo, in esso verrà illustrato come le organizzazioni possono andare a definire ed implementare una strategia di Employer Branding. In particolare, verranno descritti in maniera dettagliata quelli che sono i vari step in cui si può 6 articolare tale strategia con un maggiore focus sulle fasi di analisi del contesto interno ed esterno dell’impresa, di sviluppo e test dell’Employer Value Proposition, della comunicazione della stessa e del KPI reporting. Verranno inoltre presentati e descritti una serie di strumenti ed attività a cui le imprese possono fare ricorso al fine di implementare tale strategia. Infine, il terzo capitolo andrà ad illustrare una ricerca empirica basata sull’analisi di dati ottenuti tramite due strumenti: un questionario rivolto a lavoratori attuali e potenziali e delle interviste rivolte ai responsabili delle risorse umane di due imprese. Tale capitolo si propone di raggiungere un duplice obiettivo. In primis, quello di capire, da un lato, quali sono le leve di attraction e retention maggiormente apprezzate dai lavoratori attuali e potenziali e dall’altro, se persone appartenenti a generazioni diverse, affidano più importanza a certe leve piuttosto che ad altre. In secondo luogo, si vogliono indagare le modalità attraverso cui le imprese implementano le proprie iniziative di Employer Branding nonché quelle che sono le leve di attraction e retention più utilizzate dalle stesse. Si cercherà poi di comprendere se esse differenziano la propria proposta di valore e le proprie iniziative a seconda dell’appartenenza generazione del talento che vogliono attrarre o trattenere al proprio interno. 7 CAPITOLO 1 - Introduzione all’Employer Branding 1.1 Le persone come fattore critico di successo e la necessità di vincere la War for Talent Investire sulle persone, sulla loro crescita di competenze, conoscenze e abilità, sulla loro capacità di lavorare insieme agli altri, sul loro potere inteso come possibilità di esprimersi, è la condicio sine qua non per qualunque impresa, piccola o grande, per recuperare competitività sui mercati1. È proprio con questa frase che Gianni Lattanzio, segretario generale dell’associazione Ambientevivo, sottolinea l’importanza del fattore lavoro inteso come un elemento chiave da cui può dipendere la competitività delle imprese sui mercati. La rilevanza di tale fattore produttivo è emersa soprattutto negli ultimi decenni durante i quali l’ambiente all’interno del quale operano e si sviluppano le organizzazioni ha subìto profonde trasformazioni; si è passati infatti da un’economia basata sull’industria ed i servizi in cui le imprese non dovevano affrontare una forte concorrenza e in cui il progresso tecnico e scientifico era molto lento, a un’economia fondata sulla conoscenza, caratterizzata da una forte concorrenza domestica ed internazionale e in cui lo sviluppo tecnico e scientifico è divenuto sempre più rapido. Di fronte a questo nuovo scenario, imprenditori e manager di tutto il mondo, si sono accorti che i tradizionali fattori di vantaggio competitivo, tra cui è possibile trovare la qualità tecnologica e le economie di scala, sono diventati sempre più facili da imitare da parte di competitor potenziali ed attuali e di conseguenza è sempre più raro che essi possano portare le imprese ad avere un vantaggio sulla concorrenza. Tale nuovo contesto ha sottolineato l’importanza per le imprese di ottenere e valorizzare delle risorse in grado di portare ad effetti non duplicabili da parte dei concorrenti. Secondo la resource-based view (RBV) infatti, il vantaggio competitivo dell’impresa, nonché il suo stesso successo, dipende dalle risorse che essa ha a disposizione e dall’utilizzo che fa delle stesse; solo se queste sono di valore, rare, non sostituibili e non imitabili allora possono essere considerate strategiche ed utili al raggiungimento di un vantaggio competitivo, e come sottolineano Patrick M. Wright e Gary C. McMahan sono proprio le risorse immateriali dell’impresa, prime tra tutte le risorse 1 Gianfaldoni S. e Giannini M. (2016) Gestione delle risorse umane, un approccio sistematico multidisciplinare, Pisa University Press, Pisa 10 contribution ma la loro moltiplicazione, il che significa che l’azzeramento, o anche la sola riduzione ai minimi termini, di uno di questi tre elementi annulla i benefici dell’altro a qualunque livello si esprima. È quindi fondamentale che ci sia equilibrio tra le tre dimensioni del talento, le quali sono descritte dall’autore nel seguente modo: • competence (competenza): questo termine descrive la capacità dell’individuo di rispondere alle aspettative associate al ruolo ricoperto all’interno dell’azienda sia oggi che in futuro. Secondo l’autore le organizzazioni possono creare o migliorare le competenze dei propri collaboratori investendo nella loro formazione e sviluppo, chiarendo ad essi cosa ci si aspetta da loro, monitorando quelli che sono i miglioramenti delle loro performance, valutando le loro prestazioni e fornendo dei feedback; • commitment (motivazione): la motivazione si ha quando le persone compiono volontariamente uno sforzo, il quale è finalizzato al raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione. Essa si ha quindi quando i collaboratori vanno oltre quello che è il loro senso del dovere e mettono dello sforzo extra per fare bene il proprio lavoro ricercando allo stesso tempo dei modi per svolgerlo nella maniera più efficiente possibile. È quindi importante motivare i propri collaboratori e ricompensarli per il maggiore impegno che mostrano nel perseguimento degli obiettivi aziendali in quanto, solo così, tutte le competenze e le abilità di cui dispongono saranno pienamente utilizzate a favore dell’impresa avendo essi la certezza che questa ripagherà completamente la loro prestazione. Al fine di stimolare e mantenere la motivazione delle persone le imprese devono presentare ai propri dipendenti una chiara value proposition – proposta di valore - alla quale si collegano una serie di elementi tra i quali è possibile trovare quelli che Ulrich chiama “incentives” ovvero un giusto salario, bonus e altri benefit di natura non finanziaria, “opportunities” ovvero la possibilità di crescere e imparare all’interno dell’organizzazione e “impact” che consiste nell’opportunità di osservare il contributo che il proprio lavoro ha apportato all’impresa; • contribution (contributo): si ha quando le persone si sentono personalmente appagate grazie al fatto che danno un proprio contributo all’interno dell’organizzazione. Ciò avviene quando l’identità del collaboratore, i suoi valori e i suoi obiettivi coincidono 11 con quelli dell’organizzazione. Tale elemento sussiste nel momento in cui l’organizzazione mette i propri collaboratori di fronte a sfide ed obiettivi da raggiungere che sono per loro stimolanti. Quindi, come precedentemente affermato, le imprese ricercano diverse tipologie di talenti a seconda di quelle che sono le loro esigenze. Nonostante ciò, spesso capita che esse vadano alla ricerca di persone aventi stesse caratteristiche o attributi similari ed è proprio qui che nasce la concorrenza tipica della War for Talent, termine usato per sottolineare come oggigiorno le organizzazioni debbano “lottare” al fine di attrarre e trattenere i talenti necessari per avere successo. Tale concetto venne coniato nel 1997 da Ed Michaels, Helen Hanfield-Jones e Beth Axelrod, consulenti di McKinsey, con l’intento di indicare il fenomeno di competizione tra le imprese per trattenere e motivare quelle risorse - i talenti - in grado di fare la differenza in un ambiente competitivo sempre più complesso6. La guerra dei talenti ha avuto inizio negli anni 80 del secolo scorso con la nascita dell’information age che ha sostituito l’industrial age. Ciò ha fatto diminuire l’importanza dei cosiddetti hard assets - macchine, capitale, fabbriche ecc. - mentre ha sottolineato la necessità di puntare sugli intangible assets - diritti di proprietà intellettuale, brand e talenti - i quali hanno cominciato ad assumere un ruolo sempre più rilevante all’interno delle imprese. A supporto di ciò, diverse ricerche mostrano come, nel corso del secolo scorso, il successo delle organizzazioni sia diventato sempre più dipendente dalle persone e ciò è dimostrato dal forte incremento della domanda dei cosiddetti knowledge workers (lavoratori della conoscenza). È possibile, inoltre, affermare che la War for Talent fonda le proprie origini nella particolare situazione sociale che contraddistingueva gli USA e l’Europa negli anni 90 del secolo scorso, la quale era caratterizzata da un forte calo demografico che aveva colpito la popolazione soprattutto nell’intervallo di tempo che va dal 1966 al 1977. Ciò ha portato ad una conseguente difficoltà per le imprese nel reperire forza lavoro qualificata in coloro che erano nati in quel decennio, la cosiddetta generazione X. La situazione demografica negativa si è protratta anche successivamente a tale periodo arrivando fino ad ora in cui si ha un contesto 6 Michaels E., Handfield-Jones H. e Axelrod B. (2001) The War for Talent, Harvard Business School Press, Boston 12 particolarmente grave per quanto riguarda l’Italia; i dati Istat, infatti, confermano un declino continuo della fascia di età compresa tra i 25 e i 40 anni7. Tale fenomeno sociale era aggravato dalla sempre meno standardizzazione delle competenze che ha fatto si che la ricerca dei giusti candidati venisse a rappresentare una vera e propria sfida per le imprese. Nel loro libro, i consulenti di McKinsey precedentemente citati, riportano inoltre una serie di cambiamenti (elencati nella figura 1.2) avvenuti nel mercato del lavoro che stanno, ancora oggi, contribuendo a rendere sempre più intensa la guerra per i talenti e che quindi stanno spingendo sempre più imprese a focalizzare la loro attenzione sull’attrazione ed il mantenimento di risorse sempre più scarse al loro interno. 7 Istat (22 settembre 2022) Previsioni della popolazione residente e delle famiglie – base 1/1/2021 [Comunicato stampa] Figura 2 Popolazione totale prevista secondo gli scenari ISTAT, EUROSTAT E UNPD anni 2021-2070, milioni di residenti. Fonte: Istat Figura 1.1 Pop lazione totale prevista secondo gli scenari ISTA , EUROSTA E UNPD anni 20 1-207 , milioni di residenti. Fonte: istat.it 15 che essi si aspettano sempre di più dai propri datori di lavoro. Rispetto al passato, infatti, i lavoratori stanno assumendo un atteggiamento sempre meno passivo e vittimistico. Essi sono sempre più consapevoli di essere Risorsa e chiedono una ricompensa adeguata al contributo che prestano. Hanno quindi delle aspettative sempre più evidenti: non solo ricercano una maggiore tutela della propria sfera privata ma si aspettano anche di ottenere opportunità di crescita, formazione, carriera e gratificazioni nonché un ambiente di lavoro sempre più sereno e sempre più attento ai propri bisogni. Il lavoratore odierno quindi non si limita a rivendicazioni sulla retribuzione offerta e su obiettivi si mera sussistenza ma si aspetta molto di più. Ciò sottolinea la necessità per le imprese di utilizzare anche leve diverse da quella economica per attrarre e trattenere i dipendenti di cui hanno bisogno. Infine, un ultimo elemento che contribuisce a rendere più aspra la War for Talent e sottolinea l’importanza di mettere in atto delle strategie utili non solo ad attrarre nuovi lavoratori ma anche a trattenere quelli attuali è la loro crescente mobilità rispetto al passato. Il fenomeno del job-hopping che consiste letteralmente nel passare da un lavoro all’altro – e da un datore di lavoro all’altro - è infatti sempre più ricorrente nel mondo del lavoro contemporaneo. A confermare tale tendenza è una ricerca condotta da Deloitte la quale mostra che il 24% dei millennial sta pianificando di lasciare il proprio lavoro entro i prossimi due anni e tale percentuale si alza al 40% se si considera la generazione Z11. Tale fenomeno può generare una serie di problemi per le imprese. Innanzitutto, assumere ed inserire delle persone nuove al proprio interno comporta per esse un investimento molto importante in termini di tempo e denaro: bisogna selezionare accuratamente le risorse, fare formazione e dare loro il tempo di ambientarsi. Si calcola che una persona neoassunta inizi a diventare davvero produttiva dopo i primi sei mesi ma se essa cambia lavoro dopo poco tempo (uno o due anni) il suo contributo alla causa aziendale può dirsi troppo breve e ciò non è un bene per l’azienda. Inoltre, il job hopping può andare ad inficiare la stabilità dell’impresa facendo vacillare il rapporto di fiducia tra realtà aziendale e risorse umane. Viene quindi meno quel senso di appartenenza che le imprese ritengono fondamentale per motivare i propri dipendenti e di conseguenza avere successo. Queste sono solo due delle principali implicazioni del job hopping ma sono sufficienti per poter affermare che è necessario per le imprese contenere tale fenomeno ed è quindi opportuno per esse mettere in atto delle strategie di retention per evitare che i propri 11 Deloitte (2022) Striving for balance, advocating for change. The Deloitte Global 2022 Gen Z & Millennial survey 16 dipendenti di valore possano abbandonare l’organizzazione e mettersi così a disposizione di altre imprese. È quindi chiaro come le risorse umane rappresentano un fattore fondamentale per le imprese da cui dipende il loro successo. È per questo necessario per esse riuscire ad attrarre i talenti di cui hanno bisogno cercando di differenziarsi dai competitor e vincere così la guerra per i talenti. Tale processo di differenziazione sta diventando sempre più fondamentale e le organizzazioni stanno iniziando a capire l’importanza di mettere a punto delle strategie che possano permettere loro di diventare employers of choice ovvero aziende per le quali i talenti vogliono lavorare. Nel contesto odierno assume quindi un ruolo fondamentale l’Employer Branding, il quale è ormai diventato un fattore critico di successo per le imprese che vogliono ottenere un vantaggio nella guerra per i talenti. Per esse è quindi importante non solo capire cosa attrae i nuovi talenti verso l’organizzazione ma anche quelli che sono i fattori che li spingono a rimanere al proprio interno ed a generare valore. 1.2 L’Employer Branding: il marketing applicato alle risorse umane Nel paragrafo precedente è emerso come, ad oggi, sia sempre più difficile per le imprese attrarre e trattenere al proprio interno le persone di talento. A peggiorare tale situazione è il fenomeno della Great Resignation (grandi dimissioni) che ha caratterizzato il periodo post pandemia e che consiste in un elevato numero di dimissioni presentate in un periodo di tempo ridotto spesso da parte dei talenti migliori di una azienda, i quali vanno alla ricerca di condizioni di lavoro più vantaggiose al di fuori della stessa. A prova di ciò vi è uno studio di McKinsey che mostra come, a livello globale, il 40% dei lavoratori sia intenzionato a cambiare lavoro nei prossimi mesi12. Quanto affermato ha fatto riflettere le imprese sull’importanza di applicare le logiche del marketing non più solo verso i propri clienti ma anche verso i dipendenti potenziali ed attuali al fine di attrarre talenti nuovi e fidelizzare quelli già presenti. È quindi cresciuto negli ultimi anni l’interesse verso l’Employer Branding il quale può essere definito molto semplicisticamente come quella strategia di posizionamento dell’azienda non più in relazione ai prodotti e servizi che vende al cliente ma in relazione al clima aziendale e alla propria attrattività come luogo di lavoro che è 12 De Smet A. et al. (2021) Great Attrition or Great Attraction? The choice is yours, McKinsey Quarterly 17 fondamentale per consolidare la reputazione dell’impresa e promuoverla come datore di lavoro ideale. La disciplina dell’Employer Branding, quindi, si colloca a metà strada tra la disciplina del marketing e quella delle risorse umane. È possibile infatti affermare che la disciplina del marketing che comprende il branding e il brand management, oltre ad essere utilizzata al fine di attrarre e trattenere i clienti dell’impresa si sta sempre più applicando in riferimento al mondo delle risorse umane e del talent management con la finalità di attrarre, motivare e trattenere persone di talento. C’è quindi bisogno che i marketers imparino ad essere famigliari con i dettagli della disciplina HR e allo stesso tempo è necessario che gli specialisti HR imparino a pensare strategicamente e sappiano utilizzare degli strumenti propri del mondo del marketing e della comunicazione. E’ possibile fornire un esempio di come uno strumento tipico del marketing possa essere utilizzato all’interno della funzione HR di un’azienda, prendendo in considerazione il recruitment funnel il quale può essere considerato il corrispettivo del marketing funnel, ma se quest’ultimo ha come obiettivo quello di esplicitare il processo di trasformazione di un lead (individuo potenzialmente interessato a un prodotto dell’impresa) in un vero e proprio cliente, il recruitment funnel spiega quelli che sono gli step che portano un lavoratore potenzialmente interessato a lavorare presso una determinata organizzazione a diventare un effettivo collaboratore della stessa. Figura 1.4 The Recruitment funnel. Fonte: Alashmawy A. e Yazdanifard R. (2019) A Review of the Role of Marketing in Recruitment and Talent Acquisition, International Journal of Management, Accounting and Economics, Vol. 6, No. 7, 569- 581 Tale strumento mostra come il primo obiettivo del recruitment marketing e quindi dell’Employer Branding sia quello di creare l’awareness ovvero far si che persone potenzialmente interessate a lavorare all’interno di una data azienda possano diventare consapevoli dell’esistenza della stessa come possibile datore di lavoro. Il secondo step è la 20 i lavoratori si riconoscono, essi saranno stimolati a dare di più sul lavoro e ciò potrà tradursi in una migliore prestazione degli stessi che può portare ad un miglioramento della performance dell’intera organizzazione. È per questo motivo che il management deve investire sulla creazione di un’identità e una cultura aziendale forte in quanto, proprio negli ultimi anni, si è notato che un aumento del senso di appartenenza dei collaboratori è correlato all’incremento della loro soddisfazione, a un miglioramento della loro performance e ad un più basso turnover. Per quanto riguarda invece la reputazione, essa può essere definita come l’insieme delle percezioni, delle valutazioni e delle aspettative degli stakeholder rispetto alle azioni passate e future di un’azienda. Come si può intuire, quindi, la reputazione aziendale è un asset intangibile fondamentale che impatta non solo sulle vendite e sulla performance economica dell’impresa ma anche sulla sua capacità di attrarre risorse umane e talenti. Dunque, la reputazione aziendale non influisce solo sulle scelte d’acquisto dei consumatori ma anche nella scelta dell’azienda come luogo di lavoro. Secondo LinkedIn, infatti, il 75% dei potenziali candidati prima di presentarsi ad un colloquio di lavoro effettua delle ricerche sulla reputazione aziendale e quasi il 70% dei candidati rifiuterebbe una offerta di lavoro da parte di un datore con una cattiva reputazione17. Inoltre, secondo CareerArc, il 55% delle persone abbandona la candidate journey dopo aver letto recensioni negative dell’azienda in quanto employer18. 17 Circi F. (2020) Cara Azienda, e tu, quanto Employer Branding sei?, Linkedin 18 CareerArc (2017) The Future of Recruiting 21 L’immagine sovrastante mostra quelli che sono i fattori che influenzano la percezione dell’impresa da parte dei lavoratori e che quindi incidono sulla reputazione aziendale. Prendere in considerazione da parte delle imprese tali fattori e migliorarli può avere quindi due importanti conseguenze che sono, in primis, quella di attrarre e trattenere i talenti migliori, e in secondo luogo, quello di trasformare i dipendenti in ambasciatori della reputazione dell’impresa verso l’esterno. Questa seconda finalità è fondamentale in quanto, così come i consumatori dei beni e servizi dell’impresa possono consigliare o sconsigliare i suoi prodotti ad altri potenziali consumatori in base a quella che è stata la loro esperienza, allo stesso tempo, i dipendenti hanno il potere di fornire referenze e scrivere recensioni negative e positive le quali possono influire sulla volontà di potenziali lavoratori di scegliere l’azienda in questione come luogo di lavoro. LinkedIn afferma infatti che le persone reputano i dipendenti di un’azienda la fonte di informazioni più affidabile; da quanto emerge da una ricerca pubblicata da Hootsuite, infatti, il 53% delle persone tende a fidarsi più di un collaboratore rispetto che dell’amministratore delegato di un’impresa19. Infine, prendendo in considerazione il marketing interno, è proprio in tale elemento che bisogna ricercare le origini dell’Employer Branding. Esso può essere definito come una particolare funzione del marketing che non è diretta ai consumatori finali dei beni e servizi di un’impresa ma che si rivolge ai collaboratori interni all’organizzazione. Il marketing 19 Campher H. (2020) LinkedIn Elevate is Shutting Down. Here’s What You Need to Know, Hootsuite HQ Figura 1.5 Fattori che incidono sulla percezione dell'immagine aziendale e la sua reputazione da parte dei lavoratori. Fonte: Ambler T. e Barrow S. (1996) The Employer Brand, Journal of Brand Management, Vol. 4 No. 3, 185-206 22 interno serve quindi per soddisfare le esigenze dei dipendenti soddisfacendo contemporaneamente gli obiettivi dell’organizzazione. Come afferma Kotler, infatti, il marketing interno consiste nell’assumere, formare e motivare i propri dipendenti al fine di servire al meglio i clienti20. Esso viene considerato quindi una delle varie leve del marketing classico - quello rivolto ai consumatori - in quanto tutte quelle che sono le diverse iniziative aziendali rivolte ai propri collaboratori possono essere considerate anche un modo per arrivare in maniera più personale e diretta al cliente esterno. Questo perché il marketing interno ha tra i suoi obiettivi anche quello di preparare adeguatamente coloro che rappresentano il first moment of truth ovvero il primo punto di contatto tra azienda e consumatori. Come afferma Richard Benson, fondatore del Virgin Group, infatti “non vengono prima i clienti. Sono i dipendenti che vengono prima. Se ti prendi cura dei dipendenti, loro si prenderanno cura dei clienti”. La crescita dell’interesse delle imprese nei confronti del marketing interno riflette quindi una realtà in cui le imprese hanno iniziato a rendersi conto che le persone che le costituiscono sono un asset fondamentale che è necessario ascoltare e tutelare se si vogliono ottenere delle performance migliori e una migliore soddisfazione dei propri clienti. Se, nel 1996, quando il termine di Employer Branding venne coniato, l’attenzione nei confronti di tale disciplina era molto scarsa, negli ultimi anni tale termine è sempre più presente nella letteratura e l’attenzione dei ricercatori nei confronti di questa tematica sta crescendo molto. Ciò è dimostrato dalle diverse definizioni di Employer Branding che sono sorte nel corso del tempo. Nel 2002 infatti Lloyd lo definisce come “la somma degli sforzi di un’azienda di comunicare al personale esistente e potenziale quanto è desiderabile come posto di lavoro”21 mentre nel 2004, J. Sullivan lo definisce come “la strategia per gestire la notorietà e la percezione che gli impiegati, i potenziali impiegati e le altre parti interessate all’azienda dovranno maturare nel lungo termine”22. Una delle definizioni più complete si deve però attribuire a Eugenio Amendola il quale può essere considerato uno dei massimi esponenti della disciplina dell’Employer Branding nel panorama italiano e che nel proprio libro definisce tale concetto come una “strategia di marketing finalizzata a creare 20 Kotler P. (1994) Marketing Management: Analysis, Planning, Implementation, and Control, Prentice Hall, Englewood Cliffs 21 Lloyd S. (2002) Branding from the inside out, Business Review Weekly, Vol. 24, No. 10, 64-66 22 Sullivan J. (2004) Eight Elements of a Successful Employment Brand, ER Daily, Vol. 23, 501-517 25 E’ possibile a questo punto individuare ciò che accomuna tutte queste definizioni affermando che l’Employer Branding ha come obiettivo quello di valorizzare l’impresa come luogo di lavoro promuovendo nei confronti di soggetti interni ed esterni ad essa quelli che sono gli elementi che la rendono unica e desiderabile come datore di lavoro. 1.2.2 L’Employer Branding marketing mix Così come per le imprese è fondamentale definire, attraverso un tradizionale approccio di marketing, una proposta di valore (value proposition) definita come l’insieme dei benefici che essa promette di fornire ai clienti e da cui questi ultimi possono ricavare una soddisfazione tale da giustificare il pagamento del relativo costo, allo stesso tempo è fondamentale per esse definire la cosiddetta Employer Value Proposition, la quale deve ricomprendere ed integrare tutti gli elementi che possono essere funzionali a soddisfare i bisogni ed i desideri dei dipendenti attuali e potenziali. Al fine di definire tale value proposition le imprese possono prendere in considerazione l’employment marketing mix il quale può essere considerato il corrispettivo del marketing mix tradizionale. A differenza di quest’ultimo, che ha come scopo quello di soddisfare i consumatori e raggiungere degli obiettivi di mercato, l’employment marketing mix si pone come obiettivo quello di far si che si crei e si mantenga nel tempo un rapporto tra lavoratore ed organizzazione. Secondo tale marketing mix, infatti, i lavoratori attuali e potenziali vengono visti come potenziali Figura 1.6 Employer Branding Wheel. Fonte: Barrow S. e Mosley R. (2005) The Employer Brand: Bringing the Best of Brand Management to People at Work, Wiley, Chichester 26 acquirenti di una relazione di lungo termine con l’impresa stessa. In particolare, Doru Șupeală, in un articolo intitolato “Inspire to Hire and Win the War for Talent” fornisce una dettagliata descrizione di 15 elementi fondamentali che devono comporre il marketing mix nel momento in cui ci si rivolge a “consumatori interni” con degli obiettivi di Employer Branding. Essi sono chiamati le 15 P dell’employment marketing mix e sono27: - Product: esso è l’elemento più complesso del marketing mix e coincide, da un lato, con il lavoro offerto (job) e dall’altro, con i prodotti stessi dell’impresa. In primis, un ruolo fondamentale è giocato dal lavoro stesso (job) il quale, al fine di attrarre e convincere il potenziale lavoratore, deve essere definito a presentato dall’impresa come se fosse un prodotto commerciale. Se il lavoro e la derivante relazione con l’impresa attraggono ed ispirano il lavoratore, gli suggeriscono fiducia e qualità e sembrano funzionali a rispondere ai suoi desideri e bisogni, esso sarà attratto dall’organizzazione stessa e felice di contribuire al perseguimento dei suoi obiettivi. In secondo luogo, avere dei prodotti di successo è un fattore potentissimo in un’ottica di Employer Branding. Questo perché i potenziali lavoratori sono fortemente attratti dall’opportunità di contribuire direttamente alla realizzazione di tali prodotti soprattutto nel momento in cui essi sono complessi dal punto di vista tecnologico; - Price: esso comprende il salario e i vari benefit offerti dall’organizzazione in cambio del lavoro, dello sforzo e dell’energia dei propri collaboratori. Questi elementi, che sono chiamati transactional benefits, devono essere definiti attentamente e devono, da un lato, essere coerenti con quanto offerto da imprese diverse a risorse similari e dall’altro, devono permettere al lavoratore di soddisfare i propri bisogni più materiali e creare le condizioni per la loro fedeltà ed engagement; - Placement: in termini di Employer Branding tale concetto indica l’insieme dei canali utilizzati dall’impresa per attrarre i collaboratori tra i quali si trovano i recruiter, sia propri dell’impresa che esterni, head-hunters, freelancer agencies ecc; - Promotion: include la pubblicità delle posizioni vacanti, il marketing diretto ed altre tecniche che permettono di raggiungere il target predefinito. Si parla a tale proposito 27 Șupeală D. (2018) Inspire to Hire and Win the War for Talents, Marketing – from Information to Decision Journal, Vol. 1, 54-66 27 di job advertisement che ha come obiettivo quello di pubblicizzare posizioni vacanti fornendo delle informazioni reali ed accurate ma allo stesso tempo ricche ed attraenti; - Physical evidences / processes: questi elementi sono connessi alla necessità per l’impresa di creare delle condizioni di lavoro ed un ambiente lavorativo attraenti e gradevoli per i collaboratori; - People (lavoratori attuali): sono un elemento fondamentale perché i dipendenti dell’impresa sono i primi ambasciatori della stessa. I collaboratori sono infatti un vettore che può influenzare positivamente non solo potenziali consumatori dei prodotti dell’impresa ma anche potenziali collaboratori della stessa. Una strategia di Employer Branding, infatti, non dipende solo da ciò che l’impresa comunica attraverso i propri canali ma anche da ciò che comunicano i dipendenti; - Principles (valori etici): sono principi fondamentali che guidano il comportamento dei collaboratori e dell’impresa stessa. Ad esempio, per differenziarsi dai competitor e migliorare la propria attrattività, le organizzazioni potrebbero definire un’employer brand che include un HRM più sostenibile e che può quindi promuoverle come imprese molto attente e responsabili nei confronti dei propri collaboratori attuali e potenziali; - Purpose: è necessario che le imprese definiscano un “profound and high purpose” in grado, non solo di generare engagement e motivazione nei collaboratori ma anche di fidelizzarli; - Profession branding: questo fattore, insieme all’industry branding rappresenta una tecnica per attrarre specialisti operanti in altri settori attraverso la presentazione a loro di progetti, prodotti, tools e benefit accattivanti; - Prospects (lavoratori potenziali): tale elemento contribuisce al marketing mix in quanto va a definire quelle che sono le caratteristiche che una persona deve avere per poter lavorare in una determinata organizzazione o in un determinato team. Se tali caratteristiche relative alla persona appaiono positive per i potenziali collaboratori, l’identificazione e la collaborazione con la categoria di lavoratori aventi tali caratteristiche potrà suscitare l’interesse di potenziali dipendenti; 30 risultano poco efficaci a comunicare la propria offerta in quanto datori di lavoro e quindi sono meno conosciute o attrattive agli occhi dei potenziali collaboratori; 2. best employer: queste imprese invece hanno un forte employer brand ma ciò non vale per il corporate brand. Sono aziende che si contraddistinguono per l’attenzione rivolta ai propri dipendenti ma che non hanno una grande notorietà a livello corporate; 3. weak company: sono imprese con un basso grado di corporate brand e un basso grado di employer brand e che sono quindi poco attrattive sia per i clienti che per i potenziali dipendenti in quanto operano in maniera poco efficiente in entrambi i mercati di riferimento (quello dei beni e servizi e quello del lavoro); 4. strong company: esse coincidono con le organizzazioni che hanno un forte corporate brand ed un robusto employer brand. Sono quindi imprese con una forte attrattività sia nei confronti dei clienti che nei confronti dei dipendenti e che possono beneficiare di un elevato livello di apprezzamento in generale. Sono queste le aziende che possono vantare di fatturati molto elevati in quanto, non solo sono conosciute dai consumatori per la qualità dei propri prodotti ma sono anche molto attrattive per i dipendenti potenziali o attuali che le considerano employer of choice. Tale matrice è quindi un’ulteriore dimostrazione di come le imprese che hanno maggiore successo sono proprio quelle che, non solo si occupano dello sviluppo del proprio brand a livello corporate ma che si occupano anche di mettere a punto un’efficace strategia di Employer Branding. In secondo luogo, è opportuno approfondire quello che è il rapporto tra l’employer brand e il product/service brand. Anche essi devono essere considerati due elementi strettamente interconnessi e che si influenzano reciprocamente anche se hanno delle caratteristiche ben distinte. Prima di chiarire come questi due brand sono correlati tra di loro è opportuno chiarire quelle che sono le principali differenze tra i due. Innanzitutto, considerando il target di riferimento, l’Employer Branding si rivolge ai lavoratori attuali e potenziali dell’impresa mentre il product/service branding si rivolge a consumatori attuali e potenziali di beni e servizi. Inoltre, se l’Employer Branding ha come finalità quella di attrarre e trattenere i 31 lavoratori facendo leva su fattori come l’ambiente di lavoro, le politiche di compensation, il work-life balance ecc., il product/service branding ha come obiettivo quello di creare e mantenere nel tempo una relazione con i clienti dell’impresa stessa attraverso il miglioramento delle caratteristiche dei prodotti, della loro immagine, della loro qualità e performance. È proprio a questo punto che è possibile individuare un primo punto di contatto tra Employer Branding e product/service branding. Osservando tale immagine, infatti, si può capire come una delle componenti dell’employer brand consista nella forza del product brand. Un forte product brand può infatti aumentare l’interesse di potenziali lavoratori a lavorare per l’impresa e di conseguenza l’impresa potrà dedicare minori sforzi nella costruzione di una strategia di Employer Branding; un forte product brand può infatti contribuire ad attirare i talenti che condividono i valori dell’azienda. Al contrario, se si considerano le componenti del product brand, una delle più importanti è data dalla qualità e performance del prodotto; ciò sottolinea l’importanza di avere un forte employer brand che permetta all’impresa di attrarre e mantenere al proprio interno lavoratori di talento che possano creare prodotti e servizi di qualità. Inoltre, è opportuno affermare che, oggigiorno, i consumatori sono sempre più interessati a come un’impresa si comporta nei confronti dei propri dipendenti e ciò può incidere su come essi percepiscono un brand e sulla loro volontà di acquistare un prodotto venduto sotto lo stesso; è possibile notare quindi come la forza di un determinato product brand dipenda anche dal trattamento che l’impresa riserva ai propri collaboratori. Secondo una ricerca di CareerArc, infatti, il 64% delle persone smetterebbe di acquistare prodotti di brand di aziende che hanno una reputazione negativa Figura 1.9 Componenti del product brand e dell’employer brand. Fonte: Mokina S. (2014) Place and Role of Employer Brand in The Structure of Corporate Brand, Economics and Sociology, Vol. 7, No. 2, 136-148 32 come datori di lavoro29. E’ possibile quindi affermare che il product brand e l’employer brand sono due elementi complementari; un forte product brand gioca un ruolo fondamentale per incrementare la forza dell’employer brand, al contrario l’employer brand è fondamentale per attrarre e trattenere lavoratori in grado di creare valore per l’impresa ed i suoi prodotti e rafforzare quindi il product brand. Come afferma Sofiia Mokina in un articolo pubblicato sull’Economics & Sociology: “The product brand has the greatest influence on employer brand. The stronger product brand is, the more attractive a company is as an employer. The better implementation of employer brand values to staff by company, the better staff delivers essence and fulfills the promise of product brand to customers and partners30”. 1.2.4 L’Employer Branding Framework Per comprendere meglio cosa si intenda per Employer Branding, è possibile prendere in considerazione l’Employer Branding Framework elaborato K. Backhaus e S. Tikoo in una loro ricerca intitolata “Conceptualizing and Researching Employer Branding”31. Esso 29 CareerArc. (2018) Employer Branding Study 30 Mokina S. (2014) Place and Role of Employer Brand in The Structure of Corporate Brand, Economics and Sociology, Vol. 7, No. 2, 136-148 31 Backhaus K. e Tikoo S. (2004) Conceptualizing and Researching Employer Branding, Career Development International, Vol. 9. No. 5, 501–517 Figura 3.10 Employer Branding Framework. Fonte: Backhaus K. e Tikoo S. (2004) Conceptualizing and Researching Employer Branding, Career Development International, Vol. 9. No. 5, 501–517 35 lavoratori possono determinare una maggiore soddisfazione del cliente e quindi maggiori profitti per l’intera organizzazione32. È possibile quindi affermare che l’Employer Branding migliora le condizioni di lavoro dei dipendenti incrementando di conseguenza la soddisfazione dei clienti e quindi i profitti dell’impresa. 1.2.5 L’Emloyer Branding nell’ottica dell’Employee Life Cycle È stato più volte affermato che le attività di Employer Branding non si esauriscono dopo l’assunzione del dipendente ma continuano in tutti gli stage che costituiscono l’Employee Life Cycle ovvero un insieme di sei fasi caratterizzanti la vita lavorativa di un dipendente all’interno dell’impresa e che consistono in attraction, recruitment, onboarding, development, retention e separation. Figura 1.11 Employee life cycle. Fonte: elaborazione dell’autore Iniziando dalla fase dell’attraction, come ripetuto più volte, uno degli obiettivi principali dell’Employer Branding è quello di attrarre i talenti di cui l’impresa ha bisogno per raggiungere i propri obiettivi. In questa fase l’azienda deve comunicare quelli che sono i propri valori e i propri punti di forza per suscitare l’interesse del potenziale candidato ad intraprendere un percorso lavorativo nella propria realtà. È importante quindi che l’impresa metta a punto la cosiddetta EVP – Employer Value Proposition – e la comunichi attraverso 32 Heskett J.L., Sasser E.W. e Schlesinger L.A. (1997) The Service Profit Chain: How Leading Companiers Link Profit and Grouwth to Loyalty, Satisfaction, and Value. Free Press, New York 36 diversi canali, tra i quali è possibile trovare il career site e la pagina LinkedIn della stessa. Prima di definire delle strategie per attrarre potenziali lavoratori è importante però che l’impresa definisca attentamente quelle che sono le “candidate personas” ovvero le persone che rappresentano l’assunzione ideale per un ruolo specifico. Questo perché l’EVP deve essere definita e comunicata diversamente a seconda dalla tipologia di lavoratori che l’impresa ricerca. In particolar modo l’EVP, concetto di cui si parlerà più dettagliatamente del capitolo successivo, può essere considerata come l’insieme dei valori e dei benefit – come un ambiente di lavoro e un clima aziendale positivo, un’interessante retribuzione ecc. - che l’azienda offre ai suoi dipendenti attuali e potenziali. Essa deve essere all’altezza delle aspettative di ogni dipendente e può essere vista come uno scambio: da un lato i dipendenti offrono all’azienda le proprie competenze, il proprio tempo e la propria dedizione e in cambio l’azienda offre loro, non solo uno stipendio ma anche un contesto che contribuisce a renderli soddisfatti e che di conseguenza incrementa la loro produttività. L’EVP è quindi uno strumento fondamentale per intercettare l’interesse dei talenti prendendo in considerazione quelli che sono i driver considerati più importanti nella scelta di un datore di lavoro, tra cui è possibile trovare un buon work-life balance, opportunità di carriera e un’atmosfera di lavoro piacevole. Il recruitment è la seconda fase dell’Employee Life Cycle durante la quale l’impresa fornisce varie informazioni su cosa voglia dire lavorare al proprio interno e che sono relative, ad esempio, agli avanzamenti di carriera, alle sfide che il lavoratore si troverà ad affrontare, alle opportunità offerte dall’impresa ecc. Tutte queste informazioni possono essere interpretate dal candidato come delle vere e proprie promesse fatte dall’impresa nonché dei messaggi che, secondo Rousseau, stanno alla base del cosiddetto “psychological contract” definito come l’insieme delle credenze e delle aspettative dell’individuo riguardo gli obblighi reciproci esistenti tra esso stesso e l’organizzazione33. È fondamentale per l’impresa non violare tale contratto in quanto ciò può essere percepito dal dipendente come un mancato rispetto da parte della stessa delle promesse fatte. Ciò, infatti, può andare ad impattare sul turnover del personale, nonché sulle decisioni dei lavoratori di abbandonare l’impresa, sulla soddisfazione degli stessi, sulla loro fiducia e anche sulla loro performance. È quindi 33 Backhaus K. e Tikoo S. (2004) Conceptualizing and Researching Employer Branding, Career Development International, Vol. 9, No. 5, 501-517 37 opportuno che i messaggi che vengono trasmessi dall’impresa in fase di recruitment siano coerenti con l’effettiva realtà che la caratterizza. Diversi studi dimostrano infatti che nel momento in cui vengono trasmessi dei messaggi onesti ed informazioni realistiche sulla realtà aziendale (che possono essere sia positive che negative), ciò ha un impatto positivo sul turnover in quanto permette ai candidati di avere delle aspettative più coerenti con quella che è la effettiva realtà dell’impresa e ciò si traduce in una maggiore fiducia degli stessi. La terza fase dell’Employee Life Cycle è l’onboarding che consiste nel processo di integrazione di un nuovo dipendente all’interno dell’organizzazione. Questa è una fase fondamentale da cui può dipendere la volontà di un lavoratore di continuare a lavorare presso l’azienda in questione e quindi la sua retention. I primi giorni dopo l’assunzione, infatti, possono influire molto sulla costruzione dell’opinione da parte dei candidati del proprio datore di lavoro. L’onboarding è quindi una fase fondamentale perché permette al neoassunto di inserirsi velocemente in azienda e quindi iniziare subito a contribuire al raggiungimento degli obiettivi aziendali. Per questo motivo, l’onboarding di un nuovo employee è uno degli anelli centrali di una catena di Employer Branding che non deve essere sottovalutato. Esso, infatti, provoca un effetto immediato di comparazione tra aspettative, promesse e realtà effettiva, il quale può condizionare l’affezione di una risorsa verso il brand sin dai suoi primi minuti di lavoro. È quindi molto importante che le imprese utilizzino l’Employer Branding per supportare il processo di onboarding ed è inoltre fondamentale che tale processo sia coerente con la filosofia, la promessa e i valori che ruotano attorno all’employer brand. Le imprese possono utilizzare diversi strumenti per favorire tale processo tra cui è possibile trovare: il welcome kit il quale, per i talenti neoassunti, acquista un potere di Employer Branding enorme poiché stimola da subito l’orgoglio e il senso di appartenenza all’impresa; il welcome day che permette ai dipendenti di essere accolti e riconosciuti dall’intero staff; oppure il SAL - stato avanzamento lavori - settimanale one-to-one che richiede ai referenti interni della nuova risorsa di ascoltare le sue impressioni e sensazioni e quindi allo stesso tempo fidelizzarla e metterla nelle migliori condizioni per integrarsi fin da subito nei meccanismi produttivi dell’azienda. La quarta fase è il development il quale può contribuire, non solo alla creazione di un’immagine positiva dell’azienda come datore di lavoro ma anche alla soddisfazione, 40 può portare alle imprese, ci sono però molti ostacoli che esse possono incontrare nel momento in cui decidono di implementarla. 1.3.1 Benefici dell’Employer Branding Sono diversi i benefici che le imprese e i loro dipendenti possono ottenere grazie all’implementazione di una strategia di Employer Branding. Di seguito sono elencati i principali: 1. maggiore capacità di attrarre dipendenti di qualità: si è più volte sottolineato che uno degli obiettivi principali dell’Employer Branding sia quello di attirare i talenti di cui l’impresa ha bisogno. È fondamentale quindi per essa riuscire ad ottenere l’interesse del maggior numero di potenziali collaboratori in maniera tale da avere una platea più ampia di candidati tra cui poter scegliere ed aumentare quindi la possibilità di assumere dipendenti altamente qualificati e motivati. Uno studio condotto da Linkedin ha infatti dimostrato come le imprese con un forte employer brand ricevano il 50% in più di candidature spontanee rispetto ad altre34; 2. aumento della retention di impiegati chiave: l’Employer Branding migliora la retention dei lavoratori in quanto contribuisce a creare un ambiente di lavoro positivo e coinvolgente dove essi si sentono apprezzati e soddisfatti del loro lavoro. Ci sono diversi modi attraverso cui esso incide sulla volontà dei dipendenti di continuare a lavorare presso un’impresa; in primis, l’Employer Branding, contribuisce a creare un senso di appartenenza dei lavoratori all’impresa in quanto li aiuta a sentirsi parte di un’organizzazione che condivide i loro valori ed obiettivi; in secondo luogo, un forte Employer Branding può contribuire alla realizzazione di un ambiente di lavoro in cui i dipendenti di sentono valorizzati, stimolati e motivati e ciò può spingerli a rimanere all’interno dell’azienda nel lungo termine. 3. diminuzione dei tempi e dei costi di assunzione: ci sono diversi modi attraverso cui l’Employer Branding incide sui tempi e sui costi di assunzione. Innanzitutto, esso contribuisce a ridurre il tasso di turnover e di conseguenza l’impresa non deve impiegare tempo e denaro per sostituire l’ex dipendente. Come dimostrato da una 34 LinkedIn, The Ultimate List of Employer Branding Statistics for Hiring Managers, HR professionals and Recruiters 41 ricerca di LinkedIn, infatti, l’implementazione di attività di Employer Branding permette all’impresa di ridurre il turnover del 28% e tutti quelli che sono i costi diretti ed indiretti associati ad esso35. In secondo luogo, l’Employer Branding consente di attrarre una maggiore quantità di talenti e di ricevere più candidature spontanee da parte degli stessi, di conseguenza l’impresa dovrà impiegare una minore quantità di tempo e denaro per cercare e selezionare i candidati. Inoltre, i candidati selezionati saranno più inclini ad accettare un’offerta di lavoro e ciò contribuirà a ridurre il tempo necessario per completare il processo di assunzione. La ricerca di LinkedIn precedentemente citata dimostra infatti come l’implementazione di attività di Employer Branding possa ridurre del 50% il cost- per-hire e dimezzare anche il time-to-hire. 4. miglioramento della performance finanziaria: ci sono diversi modi attraverso cui l’Employer Branding può migliorare le prestazioni finanziarie dell’impresa. Innanzitutto, come già affermato, esso consente di ridurre i costi associati al turnover e all’assunzione di nuovi dipendenti. In secondo luogo, esso incide positivamente sui ricavi attraverso diverse modalità; l’Employer Branding, infatti, aumentando la motivazione e la soddisfazione dei collaboratori, determina una migliore performance degli stessi la quale si traduce, da un lato, in una migliore performance dell’intera organizzazione e dall’altro, come spiega la “employee- costumer-profit chain”, ad un incremento della soddisfazione dei clienti e ad un conseguente incremento dei profitti dell’impresa. Come sostiene Reichheld, infatti, dipendenti non leali non possono portare all’impresa clienti leali36. Tutto ciò è supportato da uno studio condotto da ricercatori presso Gallup che dimostra come dipendenti soddisfatti e motivati possano portare ad un incremento delle vendite del 18% e ad un incremento del profitto del 23%37. Infatti, come già affermato, il modo in cui le imprese trattano i propri dipendenti può influire sulla volontà di un consumatore di acquistare i suoi prodotti e quindi sui profitti derivanti dalla vendita di beni e servizi. Secondo una ricerca di CareerArc, infatti, il 64% dei consumatori 35 LinkedIn, The Ultimate List of Employer Branding Statistics for Hiring Managers, HR professionals and Recruiters 36 Reichheld F. (1996) Learning from customer defection, Harvard Business Review, Marzo/Aprile, 56-69 37 Harter K.J. et al. (2020) The Relationship Between Engagement at Work and Organizational Outcomes, Gallup 42 smetterebbe di acquistare i prodotti di un’impresa che non riserva ai propri dipendenti un trattamento corretto38. È opportuno sottolineare che quelli appena descritti sono solo alcuni dei benefici che possono derivare dalla corretta implementazione di attività di Employer Branding. Nonostante ciò, essi sono sufficienti per capire come, in un mercato fortemente competitivo, l’implementazione di tali attività può fare la differenza per attirare e trattenere i talenti migliori, distinguersi dai concorrenti e migliorare le performance delle imprese 1.3.2 Principali sfide Nonostante l’Employer Branding sia una strategia che ad oggi le imprese non possono non prendere in considerazione, non sono pochi i limiti che i vari soggetti che si occupano della sua definizione ed implementazione devono affrontare. In seguito, sono elencate le principali problematicità che è possibile incontrare quando si cerca di costruire il marchio di un’impresa come datore di lavoro: 1. limiti di budget: per implementare attività riconnesse all’Employer Branding è necessario che le imprese abbiano a disposizione molte risorse, prime tra tutte il capitale. La ridotta disponibilità dello stesso, infatti, può incidere sull’implementazione di strategie di Employer Branding in diversi modi. Innanzitutto, può rendere molto difficoltoso per l’impresa creare dei contenuti online ed offline per promuovere se stessa come luogo di lavoro ideale; essa potrebbe, per esempio, non avere delle risorse per sviluppare un career site accattivante o per implementare altre attività per aumentare le candidature tra cui è possibile trovare non solo eventi di recruiting – presentazioni universitarie, webinar ecc.- ma anche attività che possono consistere nell’implementazione di video-EVP – una clip che ha come scopo quello di trasmettere in maniera più diretta e chiara la Employer Value Proposition dell’impresa- piuttosto che in iniziative di branded entertainment – contenuti di intrattenimento attraverso cui il brand promuove mission e valori di un’impresa per generare maggiore attrattività di mercato e reputazione. In secondo luogo, l’impresa potrebbe non disporre di risorse sufficienti per offrire ai dipendenti 38 CareerArc, The Future of Recruiting 45 CAPITOLO 2 - Strategia operativa di Employer Branding Nel capitolo precedente si è dimostrato come, per le imprese, prendere in considerazione ed implementare attività di Employer Branding stia assumendo un’importanza via via maggiore. Questo perché, come più volte ripetuto, per avere successo, esse hanno bisogno, non solo, di attrarre i talenti giusti ma anche di motivarli e mantenerli al proprio interno e ciò è ancora più importante in un contesto come quello attuale in cui la cosiddetta War for Talent sta diventando un fenomeno con cui le organizzazioni devono confrontarsi sempre più spesso e dove la sostenibilità delle stesse è minacciata ulteriormente dall’invecchiamento della popolazione, dall’aumento della mobilità del lavoro e della migrazione, dal calo dei tassi di fertilità e dall’incremento del costo del lavoro41. Si è inoltre affermato che l’Employer Branding non comprende solo attività legate al recruiting e alla comunicazione di posizioni vacanti ma deve essere considerato una vera e propria strategia d’impresa che, in quando tale, ha un orizzonte di medio lungo termine. La strategia di Employer Branding può essere definita come un approccio universale e documentato avente come obiettivo quello di traslare i valori dell’organizzazione, i suoi approcci e la sua personalità ad un’audience costituita da diversi soggetti, in primis, i suoi lavoratori attuali e potenziali. Il suo scopo, quindi, è quello di distinguere l’offerta di un’impresa, in termini di benefici che può portare ai propri collaboratori, da quella dei competitor, dimostrando così il motivo per il quale una persona dovrebbe voler lavorare per essa piuttosto che per altre. Definire una strategia di branding che comunica in maniera autentica il perché un’impresa dovrebbe essere scelta come employer è quindi fondamentale per l’acquisizione e la retention dei talenti in quanto aiuta a migliorare l’attrattività della stessa nei confronti dei potenziali collaboratori ed a mantenere quelli attuali motivati. Sviluppare una strategia di Employer Branding può quindi fare la differenza nella scelta da parte di un candidato tra i vari datori di lavoro ma è necessario sottolineare che non tutte le strategie sono definite allo stesso modo e prendono in considerazione le stesse fasi. Nonostante ciò, è possibile generalizzare individuando una serie di step che le organizzazioni possono seguire per definire al meglio la propria strategia, i quali sono illustrati nel seguente diagramma. 41 Incorvaia A. (2020) Employer Branding: Attrarre e coltivare talento in azienda in modo strategico e creativo, Apogeo, Milano 46 Figura 2.1 L'Employer Branding come sequenza di operazioni circolari. Fonte: therightgroup.com.au La figura sovrastante mostra come la strategia di Employer Branding possa essere vista come una serie di azioni circolari che vanno dall’analisi del contesto interno ed esterno dell’impresa, allo sviluppo e test dell’Employer Value Proposition, alla comunicazione della stessa e al KPI reporting. Tutti questi step, che incorporano una serie di attività da svolgere, sottolineano come le attività di Employer Branding non coinvolgano solo funzioni aziendali come quella delle risorse umane o del marketing ma anche specialisti della comunicazione o di analisi dei dati; per esempio, nella fase di analisi sarebbe consigliabile un coinvolgimento di specialisti di data science al fine di estrarre, partendo dai dati, delle informazioni, a cui non sempre un HR o un responsabile della comunicazione possono accedere. In tale capitolo, si approfondiranno le varie fasi in cui si può esplicitare una strategia di Employer Branding con una particolare attenzione a quelle di analisi, di definizione dell’EVP, di comunicazione e di monitoring e misurazione dei risultati ottenuti. 47 2.1 Diagnosi Una strategia di Employer Branding non può prescindere da una preliminare analisi del contesto dell’organizzazione. Quando si parla di contesto è necessario focalizzarsi sia all’interno dell’impresa, e quindi prendere in considerazione le persone che già lavorano per la stessa, sia all’esterno e considerare quindi non solo i potenziali lavoratori che l’impresa cerca di attrarre al suo interno, ma anche i competitor i quali sono rappresentati da imprese che, operando o meno nello stesso settore, ricercano dei lavoratori con caratteristiche simili, per esempio, in termini di competenze e conoscenze. Sono molteplici gli obiettivi che le imprese si propongono di raggiungere in questa prima fase; innanzitutto, prendendo in considerazione il contesto interno, l’intento è quello di analizzare il modo in cui i dipendenti attuali dell’impresa percepiscono l’employer brand e verificare se sussistono eventuali gap tra come l’impresa vorrebbe essere percepita come employer e come essi effettivamente la percepiscono, nonché capire come le varie iniziative di Employer Branding siano recepite dai dipendenti. In secondo luogo, prendendo in considerazione il contesto esterno, è necessario innanzitutto effettuare un attento studio del mercato del lavoro per comprendere quali sono i principali trend in atto che le imprese non possono non prendere in considerazione quando definiscono la propria strategia e per analizzare quelli che sono i potenziali lavoratori partendo da un’accurata segmentazione del mercato che porta ad individuare raggruppamenti omogenei di lavoratori di cui l’impresa dovrà conoscere e approfondire i comportamenti e le aspettative al fine di meglio orientare la propria attività di Employer Branding e definire la propria EVP, concetto di cui si parlerà più approfonditamente in seguito. Inoltre, è fondamentale prendere in considerazione i propri competitor che, in un contesto in cui la War for Talent è sempre più aspra, potrebbero voler attrarre tipologie di talenti i quali, rappresentando i candidati ideali per diverse imprese, sono contesi dalle stesse. L’obiettivo di tale analisi è quella di studiare quali sono le attività di Employer Branding messe in atto dai competitor di un’impresa affinché essa possa trovare una strategia che le permetta di ottenere un posizionamento unico e distintivo e quindi vincente. 50 amici e parenti come luogo di lavoro. Sono inoltre coloro che contribuiscono in maniera più rilevante alla promozione dell’immagine dell’impresa e alla crescita della stessa. È molto importante per le organizzazioni indagare tale categoria di dipendenti attraverso ulteriori domande in quanto il loro feedback può permettere loro di capire quali sono gli attributi che più hanno contribuito a rendere positiva la loro esperienza al proprio interno e che quindi devono essere presi in considerazione al fine di promuovere non solo l’attraction e la retention dei talenti ma anche la produttività degli stessi; - neutrals: sono i dipendenti che hanno fornito una risposta compresa tra sette e otto. In generale, essi sono soddisfatti del loro ambiente di lavoro e dell’impresa per cui lavorano ma sono aperti anche ad offerte provenienti da altre imprese. Tali dipendenti non raccomandano la propria organizzazione ad altri soggetti ma allo stesso tempo non parlano negativamente della stessa. Prendere in considerazione tale categoria di lavoratori è fondamentale in quanto, se opportunamente indagati, essi possono fornire all’impresa dei feedback che possono esserle utili per comprendere su quali fattori può fare leva per migliorare il proprio employer brand; - detractors: sono i collaboratori che hanno fornito una risposta compresa tra zero e sei. Essi sono coloro che non raccomanderebbero l’impresa per cui lavorano come employer e che potrebbero diffondere delle opinioni negative sulla stessa nonché cercare un altro impiego presso una differente organizzazione. È fondamentale per le imprese chiedere a tali dipendenti quali motivazioni li hanno portati a fornire tale risposta, questo al fine di capire come esse possono agire per migliorare la loro soddisfazione mettendo in atto delle iniziative di Employer Branding mirate. Una volta individuate le varie categorie di lavoratori che, come precedentemente sottolineato, possono fornire all’impresa importanti insight su come migliorare il proprio employer brand, è possibile calcolare il valore di tale indicatore attraverso la seguente formula: eNPS = % Promoters - % Detractors Il risultato derivante da tale operazione ha una grande rilevanza per una serie di motivi. Innanzitutto, esso può essere facilmente confrontato con il risultato ottenuto dai competitor 51 e ciò consente all’impresa di comprendere se le proprie politiche di Employer Branding devono essere migliorate e dove è necessario che focalizzi i suoi sforzi. In secondo luogo, essendo un indicatore molto semplice da ottenere esso può essere calcolato diverse volte nell’arco di un anno e ciò permette all’impresa di avere dei feedback continui su come le proprie iniziative impattano nel tempo sull’engagement e la soddisfazione dei propri dipendenti. Infine, il vantaggio principale è quello di permettere all’impresa di capire immediatamente se le proprie iniziative rivolte ai dipendenti funzionano o meno; nel caso in cui tale indicatore fosse negativo infatti, l’impresa potrebbe immediatamente capire che le proprie iniziative finalizzate a mantenere i propri dipendenti motivati, a trattenerli all’interno di essa e che potrebbero anche rappresentare dei fattori di attraction per potenziali collaboratori sono inadeguate o insufficienti ed agire di conseguenza. È però doveroso sottolineare che il solo indicatore dell’eNPS non è sufficiente al fine di permettere alle imprese di capire se le proprie iniziative di Employer Branding sono adeguate o se andrebbero ridefinite. Questo deve essere infatti accompagnato da delle survey con domande più specifiche che permettono di ricevere degli ulteriori feedback dai propri collaboratori ed indagare quelli che sono i motivi che hanno portato loro a dare una certa risposta. Oltre alle survey, ci sono altri strumenti che permettono di ottenere delle informazioni sul contesto interno delle imprese. Tra i più utilizzati ci sono gli employer review sites – come Glassdor o CareerBliss – su cui i dipendenti attuali dell’impresa possono esplicitare quelle che sono le loro opinioni circa la loro esperienza con il proprio datore di lavoro. Anche le informazioni raccolte su tali siti sono importanti, nonché un punto di partenza per definire la propria strategia di Employer Branding. Ancora una volta, infatti, tali dati possono essere usati per agire nell’ottica di migliorare la propria organizzazione come luogo di lavoro. Per esempio, se indagando i vari employer review sites si nota che un grande numero di lavoratori è insoddisfatto dell’organizzazione per cui lavora poiché ci sono, ad esempio, poche opportunità di crescita ed apprendimento, l’impresa potrebbe partire da tale dato, indagarlo ulteriormente, per poi agire concretamente offrendo delle soluzioni che permettano ai propri dipendenti di avere maggiori opportunità di crescita ed apprendimento e di conseguenza essere più motivati e più propensi a continuare a lavorare per l’impresa stessa o a consigliarla ad altri soggetti. 52 In tale paragrafo si è quindi dimostrato come le opinioni che gli attuali lavoratori hanno della propria impresa e della propria esperienza all’interno di essa sono una base fondamentale per rafforzare il proprio employer brand. Per questo motivo è necessario che le imprese creino al loro interno una cultura del feedback e sottolineino come molte azioni messe in atto siano state guidate proprio da informazioni ricevute dai propri dipendenti. È necessario quindi che esse stimolino i collaboratori ad esprimersi, anche anonimamente, su quella che è la loro esperienza al proprio interno facendo loro capire che il loro feedback è fondamentale non solo per il futuro sviluppo dell’organizzazione ma anche per il loro benessere. 2.1.2 Analisi del contesto esterno Nel paragrafo precedente si è visto come l’analisi del contesto organizzativo interno che si concentra sugli attuali collaboratori dell’impresa, sia fondamentale per comprendere innanzitutto come definire la propria strategia di Employer Branding e in secondo luogo se questa stia portando ai risultati sperati. Oltre a svolgere un’analisi del proprio contesto interno è necessario anche analizzare l’ambiente in cui l’organizzazione è inserita e con cui essa si deve interfacciare. È opportuno quindi, da un lato, prendere in considerazione il mercato del lavoro e condurre un’analisi avente ad oggetto i potenziali collaboratori che l’impresa vuole attrarre al proprio interno e dall’altro, prestare attenzione ai competitor che, nell’ambito nella War for Talent, cercano di attrarre talenti che nel mercato del lavoro possono essere contesi da una molteplicità di imprese. Analisi dei competitor L’analisi dei competitor, o benchmarking, consiste nell’identificare i propri concorrenti diretti ed indiretti, svolgendo successivamente una ricerca volta ad individuare i loro punti di forza e di debolezza nonché a identificare delle opportunità di differenziazione al fine di definire una proposta di valore unica e distintiva. Nell’ambito dell’Employer Branding, delle imprese si definiscono competitor se ricercano nel mercato del lavoro talenti con caratteristiche similari e quindi si “sfidano” nella guerra per i talenti. Analizzare la concorrenza ha quindi come obiettivo quello di studiare come le imprese concorrenti presentino il proprio employer brand nel mercato del lavoro prendendo in considerazione non solo quelle che sono le loro EVPs (Employer Value Propositions) ma anche le loro strategie di recruitment e gli sforzi di Employer Branding sostenuti per attrarre e trattenere i talenti al 55 ad essa di individuare degli aspetti in relazione ai quali questi sono valutati negativamente e studiare come trarre vantaggio da ciò; - recruiting channels: è necessario identificare quali sono i principali canali utilizzati dai concorrenti per attrarre i propri candidati ideali; - job description: il modo in cui una posizione vacante viene descritta può essere un elemento determinante in fase di application. L’impresa potrebbe quindi ispirarsi ai propri aspirational competitors per definirle al meglio. Una volta individuati ed analizzati questi aspetti, è possibile individuare quelli che sono i propri punti di forza e di debolezza rispetto ai competitor nonché i punti di parità e di differenziazione. In particolar modo, identificare quelli che sono i principali gap rispetto ai propri concorrenti può permettere all’impresa di capire come intervenire nella definizione delle proprie iniziative di Employer Branding. Per esempio, se un’alta percentuale di concorrenti offre una certa tipologia di benefit o è attivo su uno specifico social media mentre l’impresa in questione no, essa potrebbe agire colmando tale gap. In secondo luogo, l’analisi dei competitor può aiutare le imprese ad individuare delle opportunità nonché delle modalità di differenziazione, in quanto aiuta loro a capire quali sono gli elementi che non sono stati presi in considerazione da essi nel definire la propria strategia di attraction e retention e che potrebbero quindi permettere all’impresa di avere un vantaggio nel raggiungimento di queste due finalità. È possibile quindi affermare che l’analisi dei competitor aiuta le imprese a differenziare il proprio employer brand ma è fondamentale sottolineare che tale analisi deve essere svolta in maniera costante in modo tale che esse possano continuamente ridefinire quelle che sono le proprie iniziative di Employer Branding rispetto a quelle messe in atto dalla concorrenza. È quindi possibile affermare che, soltanto partendo dalla comprensione di quelli che sono i punti di forza e debolezza dei propri concorrenti, si può sviluppare una strategia in grado di rendere il proprio employer brand unico e distintivo e permettere all’impresa di conquistare un vantaggio competitivo nell’attrarre i talenti nonché posizionarsi come top of choice nella mente dei potenziali e attuali collaboratori. 56 Analisi dei potenziali dipendenti La fase di analisi del contesto esterno prosegue con l’analisi del mercato del lavoro e quindi dei potenziali dipendenti dell’impresa ovvero delle persone che essa si propone di attirare al suo interno. Anche in relazione a questa fase è possibile trovare dei parallelismi tra la disciplina dell’Employer Branding e quella del marketing. Infatti, se da un lato, nel momento in cui un’azienda vuole lanciare un determinato prodotto in un mercato deve, come prima cosa, analizzarne il contesto ed identificare a quali gruppi di individui rivolgersi e in che modo, tramite quello che viene comunemente chiamato processo di segmentazione del mercato, allo stesso tempo, un’organizzazione che vuole implementare una strategia di Employer Branding efficace deve preoccuparsi di conoscere i bisogni e le aspettative dei diversi segmenti di mercato in modo da poter poi adattare la propria offerta e la propria comunicazione ai vari target individuati. Il processo di segmentazione del mercato consiste quindi nell’individuazione di diversi gruppi di individui aventi le stesse aspettative e che rispondono in maniera identica ad una determinata iniziativa di Employer Branding. In particolar modo la segmentazione del mercato del lavoro nasce dalla convinzione che sta alla base del concetto stesso di segmentazione ovvero quella secondo cui sia più conveniente considerare separatamente diversi gruppi di consumatori così da potere definire una strategia che meglio si adatti ai loro bisogni e alle loro aspettative. La segmentazione del mercato del lavoro quindi consente alle aziende di suddividere la forza lavoro in gruppi omogenei in base a diverse caratteristiche come ad esempio le loro competenze, la loro esperienza, la loro generazione di appartenenza e il loro livello di attività o passività nella ricerca di un’occupazione e può essere considerato uno strumento importante per creare, da un lato, dei messaggi di reclutamento più mirati e dall’altro, per identificare quelli che sono i segmenti di lavoratori più adatti a ricoprire certe posizioni lavorative. Dopo avere portato a termine il processo di segmentazione, infatti, è necessario proseguire individuando i segmenti di dipendenti che andranno a costituire il target a cui rivolgersi, identificando i bisogni di quest’ultimo e codificando una strategia operativa che dia risposta ad essi. Per quanto riguarda i criteri che le imprese possono seguire per effettuare una segmentazione del mercato del lavoro, tra di essi è possibile trovare quelli demografici come l’età - e quindi l’appartenenza generazionale, di cui si parlerà più approfonditamente nel prossimo capitolo - il genere e il livello di istruzione, quelli psicografici che si riferiscono alle caratteristiche di personalità, stili di vita e comportamenti dei candidati e quelli professionali che riguardano 57 l’esperienza lavorativa, le competenze e le qualifiche professionali degli stessi. Una modalità di segmentazione particolarmente interessante è però quella individuata dal Lou Adler Group società di consulenza specializzata nel fornire a recruiter e manager di tutti il mondo un supporto nel processo di selezione di talenti di diverso tipo44. La particolarità di questa tipologia di segmentazione è che essa ha ad oggetto, non solo i candidati attivi, ovvero quelli che sono alla ricerca di una prima occupazione o di un’opportunità lavorativa migliore, ma anche i candidati passivi i quali, al contrario, sono già in possesso di un’occupazione e non ne ricercano un’altra. Tale tecnica di segmentazione prevede la rappresentazione dei candidati in una circonferenza suddivisa in tre cerchi concentrici dove ogni cerchio delinea un grado differente di passività, essendo alcuni candidati più passivi di altri. È fondamentale che le imprese prendano in considerazione tutte e tre le tipologie di lavoratori in quanto in ciascuno di questi tre segmenti si potrebbero trovare quelli ideali per ricoprire una determinata posizione. Figura 2.2 Livello di passività dei lavoratori nella ricerca di una nuova occupazione secondo il modello elaborato da Lou Adler group. Fonte: Adler L. (2005) How to Hire Passive Candidates, ERE In particolar modo, osservando l’immagine 2.2, è possibile notare che, partendo dal cerchio più esterno (Outer Ring) e proseguendo verso il centro (Core) il grado di passività del lavoratore cresce e con questo lo sforzo che le imprese devono sostenere per entrare in contatto con esso ed attrarlo poi al proprio interno. 44 Adler L. (2005) How to Hire Passive Candidates, ERE 60 Figura 2.3 Esempio di candidate persona Fonte: De Vita A. (17 Dicembre 2020). Recruiting Marketing: strumenti e strategia per attrarre talenti, Altamirahrm Nella figura sovrastante è riportato un esempio di candidate persona che è possibile prendere in considerazione al fine di sottolineare come l’offerta di valore dell’impresa - o Employer Value Proposition - dovrà essere definita sulla base delle caratteristiche, aspettative e bisogni del target rappresentato dalla candidate persona. Per esempio, parlare di valori aziendali o particolari benefit potrebbe non interessare a un candidato appartenente alla generazione X che potrebbe avere come obiettivo quello di concludere la propria carriera mentre potrebbe essere interessante per un esponente della generazione Y che potrebbe sentirsi più coinvolto quando ad esempio, in un annuncio di lavoro, legge che un’azienda attua determinate politiche di welfare. Creare una candidate persona consente quindi alle imprese di definire un approccio maggiormente personalizzato quando si rapporta nei confronti dei propri candidati ed esplicitare loro, in maniera più diretta, come potrebbe rispondere alle loro esigenze. 61 2.2 Sviluppo Una volta conclusa la fase di diagnosi, si hanno tutte le informazioni necessarie per procedere con la definizione e la comunicazione della EVP la quale rappresenta un elemento fondamentale che può determinare il successo o il fallimento della strategia di Employer Branding. 2.2.1 Definizione della EVP Come precedentemente affermato, dopo aver ottenuto delle informazioni circa le aspettative ed esigenze dei dipendenti (attuali e potenziali), capito come i competitor, diretti o indiretti, implementano le loro iniziative di attraction e retention e compreso, tramite delle analisi, come l’impresa stessa è vista all’interno dai propri dipendenti e all’esterno dai potenziali candidati nonché come essa si posiziona rispetto ai principali concorrenti, è possibile procedere andando a definire l’Employer Value Proposition la quale può essere considerata una componente centrale e fondamentale in una strategia di Employer Branding. Infatti, così come nell’ambito del marketing le imprese vanno a definire quella che è la loro Value Proposition ovvero l’insieme dei prodotti e servizi che rappresenta un valore per un determinato segmento di clientela – o buyer persona specifica - e che va a rispondere alla domanda “perché questo tipo di cliente dovrebbe scegliere il mio prodotto/servizio e non quello di aziende competitor?”, nell’ambito delle risorse umane è necessario definire attentamente l’Employer Value Proposition che ha come obiettivo quello di esplicitare i motivi per cui un potenziale lavoratore dovrebbe scegliere una data azienda come employer. La EVP, quindi, ha come obiettivo principale quello di mettere in risalto tutto ciò che per un dipendente o un futuro collaboratore può essere considerato di valore sottolineando quelli che sono i vantaggi derivanti dal lavorare all’interno di una data impresa. Ciò è fondamentale in un contesto in cui la cosiddetta guerra per i talenti è sempre più aspra e in cui quindi le imprese devono cercare di differenziarsi tra di loro andando a definire delle EVP sempre più uniche e distintive. Ci sono diverse definizioni di EVP ma la più completa è quella fornita dal manuale di Ed Michaels intitolato The War for Talent che afferma: 62 l'Employer Value Proposition prende forma dalla somma complessiva di tutto ciò che le persone vivono e ricevono nell’ambito del rapporto di lavoro con un’azienda: la soddisfazione intrinseca per il lavoro, l’ambiente, la leadership, i colleghi, la retribuzione ed altro ancora. È quello che fa l’azienda per soddisfare i bisogni, le aspettative ed anche i sogni dei collaboratori45. Da tale definizione si nota che, quando si parla di EVP, ci si riferisce ai benefici o, più in generale, elementi di valore, sia tangibili che intangibili, che i dipendenti percepiscono o di cui essi fanno esperienza in quanto parte attuale o potenziale di un’organizzazione. Essa prende in considerazione non soltanto elementi materiali come il salario o i benefit ma anche componenti immateriali come, ad esempio, la possibilità di carriera, di sviluppo, il work-life balance, la cultura organizzativa, l’ambiente di lavoro, la leadership, eccetera. Inoltre, secondo, l’EmpAt Scale elaborata da Berthon46, l’EVP è data dalla combinazione di diversi fattori di valore che possono appartenere a cinque categorie che sono definite nel seguente modo: - development value: fa riferimento alle opportunità di crescita e di sviluppo offerte dall’organizzazione; - economic value: comprende i benefit e la retribuzione offerta dall’impresa e in generare tutti gli elementi di carattere economico; - interest value: si riferisce all’offerta di un lavoro sfidante e stimolante che incoraggia la creatività e l’innovazione da cui dipendono poi processi, prodotti e servizi innovativi; - application value: fa riferimento alla possibilità che l’impresa dà al proprio collaboratore di applicare le proprie competenze e conoscenze; - social value: ci si riferisce ad elementi che contribuiscono alla definizione dell’ambiente di lavoro come, ad esempio, il supporto da parte dei propri colleghi. È quindi fondamentale definire l’Employer Value Proposition cercando di integrare tutti questi fattori e bilanciando ciò che i dipendenti forniscono all’organizzazione, in termini di 45 Michaels E., Handfield-Jones H, Axelrod B. (2001) The War for Talent, Harvard Business School Press, Boston 46 Berthon P., Ewing M.T. e Hah L.L. (2005) Captivating company: dimensions of attractiveness in Employer Branding, International Journal of Advertising, Vol. 24, 151-172 65 Innanzitutto, è bene concentrarsi su ciò che l’impresa può offrire, in secondo luogo, partendo da analisi dei competitor precedentemente effettuate, bisogna considerare quello che essi stessi possono offrire e infine l’esperienza che il lavoratore farà all’interno dell’impresa a partire dal suo primo giorno di lavoro. Al fine di scrivere una buona EVP è quindi necessario trovare un equilibrio tra questi tre elementi: - Status Quo: è necessario prendere in considerazione quelli che sono gli elementi particolarmente apprezzati dai lavoratori attuali; - Key Differentiator: bisogna tenere conto di ciò che l’impresa offre che, al contrario, non viene offerto dai competitor; - the Big Picture: è necessario tenere sempre in mente che tipologia di talento potrà essere funzionale al raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione e quelle che sono le loro aspettative e bisogni a cui l’impresa potrebbe rispondere. Inoltre, affinché possa essere efficace, una EVP deve essere innanzitutto vera e credibile, diversi studi hanno infatti dimostrato come la mancata coerenza tra l’”expected EVP” ovvero i benefici che i collaboratori si aspettano di ricevere data l’EVP comunicata dall’impresa e la “perceived EVP” ovvero i benefici di cui effettivamente fanno esperienza, determina una maggiore probabilità di abbandonare l’impresa51. In secondo luogo, l’EVP deve essere rilevante ovvero deve cercare di offrire ciò che è percepito di valore dai soggetti che l’impresa si propone di attrarre; a tale proposito Randstad ha condotto una ricerca avente il fine di individuare quelli che, ad oggi, sono i fattori che influiscono maggiormente sull’attrattività di un’organizzazione e sulla sua capacità di mantenere motivati i dipendenti attuali e che ogni azienda dovrebbe quindi considerare. Tali elementi sono sia tangibili che intangibili e sono un’atmosfera di lavoro piacevole, un buon work-life balance, una retribuzione e dei benefits interessanti, la sicurezza del posto di lavoro e la visibilità del percorso di carriera52. Inoltre, una buona EVP deve essere distintiva, ovvero si deve distinguere da quella dei competitor in quanto deve permettere ai lavoratori a cui viene indirizzata di vedere tutti gli elementi di valore che potrebbero ottenere decidendo di investire in una determinata impresa. 51 Sokro E. (2012) Impact of Employer Branding on employee attraction and retention, European Journal of Business and Management, Vol. 4, No. 18, 164-173 52 Randstad (2023) Employer Brand Research 2023 66 Infine, è necessario sottolineare che l’EVP deve essere definita prendendo in considerazione quelle che sono le diverse caratteristiche dei vari segmenti, o candidate personas, a cui l’azienda si rivolge. L’obiettivo è quello di fare emergere il fit tra i bisogni delle candidate personas e l’offerta di valore dell’impresa. Una singola EVP, quindi, può essere adattata a diversi ruoli, dipartimenti e funzioni presenti all’interno dell’organizzazione. A titolo esemplificativo è possibile considerare una EVP e vedere come essa può essere adattata ai vari ruoli organizzativi. “We offer a place to do great things with great people” Tale EVP, che può risultare molto generica, potrebbe quindi essere leggermente modificata così da essere più coerente con, ad esempio, i bisogni e le aspettative di soggetti con un diverso grado di seniority all’interno dell’azienda. Per esempio, per attrarre stagisti o candidati junior essa potrebbe essere definita in questo modo: “We offer a place to do great things with great people and grow within our organisation” Allo stesso modo, se l’impresa avesse come obiettivo quello di attrarre dei manager, la stessa EVP potrebbe essere strutturata come segue: “We offer a place to do great things with great people, with autonomy to make decisions that spark real change” A tal punto è quindi possibile affermare che l’EVP è il manifesto su cui si regge l’intera identità di un brand e può essere considerata come una complessa architettura di elementi razionali ed emotivi che, eretta su poche e semplici frasi, innesca nel lettore la voglia e l’orgoglio di lavorare per una data azienda. A titolo di esempio si può prendere in considerazione l’EVP di un’impresa che da sempre si è distinta all’interno del mercato del lavoro attraendo migliaia di talenti: LEGO “Come and play: joining the LEGO family means building your career with one of the world’s most recognised and loved brands. You will experience a safe place to grow, learn 67 and do your best work. We believe leadership is for everyone, not just people leaders and we succeed together”53. Tale EVP, che in poche righe fornisce un’infinità di messaggi, dà l’opportunità di vedere come, ci sono quattro elementi che non dovrebbero mai mancare all’interno di essa: 1- lo scenario: è il contesto all’interno del quale opera l’impresa e si posiziona la marca. In questo caso “one of the world’s most recognised and loved brand”; 2- i valori: ovvero gli ideali aspirazionali che ne governano le azioni quali divertimento, sensibilità, apprendimento ed immaginazione; 3- la cultura: si fa riferimento al patrimonio spirituale di esperienza e saperi (“we believe leadership is for everyone”); 4- la promessa: ha come obiettivo quello di prefigurare al candidato la sua opportunità di realizzazione (“we succeed together”). L’esempio citato sottolinea inoltre come sono proprio i valori, la cultura, la vision e la mission dell’impresa la base da cui partire al fine di definire una valida Employer Value Proposition. 2.2.2 Comunicazione e canali utilizzati Nel paragrafo precedente si è dimostrato come la definizione della Employer Value Proposition sia un’attività fondamentale quando si vuole attuare una strategia di Employer Branding. È opportuno però sottolineare che non è sufficiente definire una buona EVP ma è ancora più importante definire una corretta strategia di comunicazione della stessa che tenga conto del target a cui si vogliono veicolare i propri messaggi. Una cattiva comunicazione della propria EVP, e più in generare, del proprio employer brand da parte delle imprese potrebbe infatti rendere vani gli sforzi sostenuti per la sua creazione. Infatti, così come un piano di marketing non può prescindere dalla comunicazione del product o corporate brand, allo stesso modo il processo di Employer Branding può esprimere la sua massima potenzialità solo se accompagnato da una comunicazione efficace in cui i messaggi che si vogliono 53 www.lego.com 70 Figura 2.5 Ecosistema circolare di comunicazione. Fonte: Incorvaia A. (2020) Employer Branding: Attrarre e coltivare talento in azienda in modo strategico e creativo, Apogeo, Milano In questa sede si prenderanno in esame tre punti fondamentali di questo modello ovvero il website, i social media e il territorio partendo dal presupposto che ad oggi le aziende non si limitano a promuovere il proprio Employer Brand solo attraverso i classici canali analogici ma stanno espandendo la loro presenza anche online affidandosi sempre di più a siti di networking sociale. Innanzitutto, è necessario prendere in considerazione i siti web delle imprese e in particolare le sezioni dedicate alla carriera come le career page le quali, secondo una ricerca effettuata da LinkedIn sono ritenute dal 61% delle aziende il miglior canale da usare in sede di comunicazione del proprio employer brand56. Inoltre, secondo un’indagine condotta da Randstad il 30% dei lavoratori italiani si avvale del sito web delle imprese per cercare delle opportunità professionali ed avere delle informazioni circa un potenziale datore di lavoro57. Queste ricerche spingono quindi a riflettere sull’importanza dello strumento della career page per promuovere il proprio employer brand. Attraverso di esse, infatti, le imprese hanno l’occasione di raccontarsi e far emergere quelli che sono i propri valori, la propria identità, la propria cultura, opportunità di carriera e i benefici che offrono ai propri dipendenti. L’obiettivo è sempre il seguente: mostrare ai potenziali collaboratori come potrebbe essere lavorare all’interno di una determinata organizzazione e convincerli a candidarsi. Ci sono una serie di linee guida che le imprese possono seguire per andare a strutturare la propria career page nel modo più accurato ed efficace possibile. Innanzitutto, esse devono fornire 56 Gagen A. (2016) Global Recruiting Trends for 2017, LinkedIn 57 Randstad (2023) Employer Brand Research 2023 71 un’overview di ciò che l’impresa fa sottolineando quelli che sono i prodotti e servizi offerti e la mission aziendale. Ciò è fondamentale ed aiuterà i potenziali collaboratori a capire meglio se potrebbero essere adatti a lavorare all’interno di una determinata realtà. È possibile a tal punto presentare un esempio di come tali elementi possano essere inseriti all’interno di una career page. L’immagine sovrastante infatti mostra come, Seenit, impresa che si occupa di aiutare le aziende a creare contenuti tramite il crowdsourcing di video, esplicita la propria storia e la propria mission nella propria career page58. In secondo luogo, una career page dovrebbe fornire delle informazioni circa i benefici, sia materiali che immateriali, che l’impresa offre ai propri dipendenti. Ciò permette, non solo di far capire ai potenziali candidati che l’impresa si preoccupa di loro ed investe nel loro benessere, ma potrebbe aiutare l’impresa a differenziarsi dai competitor che potrebbero non offrire gli stessi vantaggi. Inoltre, negli ultimi anni, le imprese si stanno sempre di più rendendo conto dell’importanza dei cosiddetti employee video testimonials, i quali appaiono nelle loro career page con una frequenza sempre maggiore. Tali video, prodotti da dipendenti attuali o passati rappresentano un modo molto efficace per far capire ai potenziali dipendenti com’è lavorare all’interno di una data organizzazione. Essi, inoltre, sono molto utili per 58 seenit.io Figura 2.6 Esempio di comunicazione dei valori aziendali nella career page. Fonte: https://www.seenit.io/jobs 72 creare una connessione più personale e diretta ed un conseguente maggiore senso di fiducia tra lo spettatore-potenziale collaboratore e l’impresa. Tali video infine risultano essere molto efficaci in fase di attraction in quanto mostrare – e non solo raccontare – quella che è la cultura aziendale e la vita al proprio interno attraverso un proprio collaboratore stimola una maggiore fiducia nello spettatore. Figura 2.7 Esempio di inserimento di employee video testimonials nella career page. Fonte: https://www.seenit.io/jobs Anche in tale sede è possibile utilizzare la career page di Seenit per esemplificare come le testimonianze dei dipendenti passati e attuali possano essere mostrate sul sito aziendale. Infine, come mostrato nell’immagine sottostante, una career page dovrebbe esplicitare in maniera chiara quelli che sono i valori aziendali, questo perché, da un lato, essi sono un elemento distintivo dell’azienda e dall’altro, perché permettono all’impresa di attrarre dei candidati che si riconoscono con essi e ciò è fondamentale in quanto il successo delle imprese è strettamente correlato all’esistenza di coerenza tra i valori di un’organizzazione e i valori delle persone che lavorano al loro interno. 75 Si è visto quindi come il web, oggigiorno, giochi un ruolo fondamentale per la promozione del brand di un’azienda in quanto employer ma non bisogna dimenticare che esse si avvalgono ancora di canali analogici per raggiungere tale fine. È possibile a tal punto analizzare un altro canale dell’ecosistema circolare di comunicazione parlando di territorio e quindi di iniziative, come le job fair o i career day piuttosto che interventi in aula, le quali permettono alle organizzazioni di comunicare il proprio brand stabilendo connessioni di prossimità basate sulla fiducia con il proprio target. I canali analogici rivestono ancora oggi un’enorme importanza in quanto nessuna piattaforma online, per quanto possa adottare un tono di voce accogliente, empatico, amichevole, famigliare e confidenziale è in grado di trasmettere un senso di fiducia ed autenticità quanto il contatto umano diretto. Il canale analogico per eccellenza utilizzato dalle imprese per comunicare e sostenere il proprio brand, soprattutto nel target dei laureandi o neolaureati, sono i career day. Grazie a tali eventi le imprese possono entrare direttamente in contatto con i giovani e spiegare loro quelle che sono le caratteristiche ed i valori della propria filosofia employer, infatti, oltre all’aspetto incentrato sul recruiting e quindi sulla raccolta di curricula e la possibilità di effettuare brevi colloqui conoscitivi, le organizzazioni hanno la possibilità, tramite l’allestimento di uno stand creativo ed innovativo, di creare un primo impatto positivo nei confronti del pubblico di riferimento e portarlo a dimostrare un interesse che prima della partecipazione al career day l’impresa difficilmente avrebbe potuto generare. È proprio per questo motivo che tali eventi si rivelano particolarmente utili in situazioni in cui l’impresa non è molto conosciuta nel mercato del lavoro e ha quindi come obiettivo fondamentale quello di aumentare il proprio livello di awareness. È opportuno quindi studiare bene come presentare la propria azienda e la propria EVP durante tali eventi in quanto, una presentazione o un workshop ben costruiti e ben illustrati potranno rimanere impressi nella memoria dei soggetti target a cui sono stati destinati i quali potranno avere una dimostrazione più completa e reale dell’ambiente organizzativo. È proprio per questo motivo che in tali eventi, solitamente, vengono coinvolti i dipendenti delle aziende in quanto rappresentano i migliori testimoni diretti dell’organizzazione e da cui può emergere in maniera trasparente quella che è la soddisfazione riguardo al datore di lavoro. Un’altra modalità analogica utilizzata per comunicare l’employer brand al target studenti/neolaureati sono gli interventi in aula durante i quali manager di diverse organizzazioni sono chiamati a tenere degli speech durante i corsi universitari. Tali eventi, 76 sono utili da un lato alle imprese, le quali possono rivolgersi direttamente a un target molto specifico sostenendo un costo molto basso per promuovere sé stesse come employer e aumentare l’awareness della propria employer identity e dall’altro agli studenti, i quali possono ascoltare in aula delle testimonianze dirette relative a quella che può essere l’esperienza dei giovani all’interno di una data organizzazione. Infine, le imprese possono organizzare una serie di eventi come open day o incontri informali come aperitivi o cocktail party oppure decidere di sponsorizzarne altri. Prendendo in considerazione gli open day, durante tali occasioni le porte dell’azienda vengono aperte al pubblico – in particolare a studenti, neolaureati o gruppi di associazioni studentesche – ed essa, nel modo più trasparente possibile, mette in luce cosa voglia dire lavorare al proprio interno, permettendo ai candidati potenziali di vedere con i propri occhi gli uffici, i luoghi relax, gli spazi comuni eccetera. Per quanto riguarda invece gli eventi informali, essi si rivelano efficaci quando l’azienda vuole abbattere il muro della confidenzialità dei rapporti e fare emergere una visione più umana di sé stessa puntando sui valori emozionali in contesti meno istituzionali. Per ultimo, l’impresa potrebbe decidere di incrementare la propria awareness sponsorizzando degli eventi. Anche in questo caso essa deve scegliere accuratamente gli eventi da sponsorizzare in base a quello che è il target che vuole raggiungere. Per esempio, se l’impresa vuole farsi conoscere tra studenti o neolaureati essa dovrà decidere di sponsorizzare eventi o manifestazioni organizzati dalle associazioni studentesche o università. Per concludere, è molto importante che nel comunicare il proprio employer brand, le organizzazioni partano dal presupposto che esse si stanno rivolgendo a persone, interne o esterne a loro, che a loro volta potrebbero ritrasmettere i messaggi ricevuti a soggetti che non sono direttamente esposti alla loro comunicazione. È importante quindi prendere in considerazione il fatto che i soggetti che appartengono al target della comunicazione dell’impresa possono fare da promotori di un’immagine positiva o negativa della stessa e quindi influenzare quelle che sono le percezioni di soggetti terzi. La comunicazione del proprio employer brand quindi non si esaurisce alle persone, interne o esterne, che rientrano nel target che l’impresa si propone di raggiungere, ma coinvolge una più ampia sfera di individui e ciò è un fattore che le imprese devono prendere in considerazione quando studiano le proprie attività di comunicazione. 77 2.3 Monitoring e misurazione Start with your goals. Without clear goals, you’ll never be able to measure success. If your goal is to retain employees by adding a benefit package, your measure of success would be employee retention and feedback on that package. If your goal is to drive awareness, there’s a metric for that. If your goal is to get clicks to job openings, there’s a metric to that. Set clear goals and measure against them. - Carmen Collins È proprio con queste parole che Carmen Collins, Social Media & Talent Brand Lead di Cisco, introduce un concetto che sta alla base della misurazione delle iniziative di Employer Branding, ovvero il fatto che non sussistono degli indicatori universali che possono essere utilizzati da tutte le imprese indipendentemente dai loro obiettivi. Infatti, nel misurare l’efficacia delle proprie iniziative di Employer Branding, esse devono concentrarsi sul calcolo di indicatori che siano strettamente correlati con gli obiettivi che si prefiggono di raggiungere. Tale prassi però non è molto diffusa tra le organizzazioni, le quali, molto spesso, piuttosto che concentrarsi sul calcolo di pochi indicatori che però possono avere una grande portata informativa, ne calcolano una molteplicità e ciò non permette loro di verificare se si stanno indirizzando correttamente verso il raggiungimento dei propri obiettivi. È possibile quindi affermare che gli indicatori che le imprese calcolano devono essere strettamente correlati ai loro goal che possono coincidere, per esempio, con l’attrazione di talenti qualificati, la costruzione di una solida reputazione come datore di lavoro, la riduzione del cost-per-hire e la creazione di un migliore ambiente di lavoro. La misurazione della strategia di Employer Branding è una fase fondamentale della stessa in quanto permette alle imprese di capire se le iniziative messe in atto sono utili al raggiungimento degli obiettivi prefissati ed agire di conseguenza, eventualmente anche rivedendo la propria strategia. 2.3.1 Principali indicatori Come precedentemente affermato le imprese possono calcolare una serie di metriche che permettono loro di misurare l’efficacia delle proprie iniziative di Employer Branding. In seguito, sono riportate quelle più utilizzate: - eNPS: tale indicatore, di cui si è parlato in maniera approfondita precedentemente, esprime quella che è la qualità dell’esperienza dei lavoratori all’interno 80 - Employer Brand Index (EBI): tale indicatore, concepito da Link Humans61, azienda specializzata nel fornire supporto alle imprese che vogliono migliorare la propria reputazione come employer, ha come obiettivo quello di fornire una visione generale di cosa i dipendenti passati, presenti e futuri dicono di una determinata organizzazione online rispetto a sedici attributi tra i quali si possono individuare i benefit offerti, la cultura dell’organizzazione, la remunerazione, l’ambiente di lavoro, il work-life balance e il wellbeing. L’EBI quindi può essere utile a misurare quella che è la performance dell’organizzazione in queste sedici aree e misurare eventuali miglioramenti; - offer acceptance rate: tale indicatore misura la probabilità che un candidato accetti un’offerta di lavoro. Esso può fornire delle informazioni circa la bontà del processo di recruitment ma anche sulla forza dell’employer brand di una impresa. Infatti, valori alti di tale indicatore, possono fare intendere che un potenziale collaboratore ha una buona percezione dell’impresa in quanto datore di lavoro. Inoltre, è possibile capire, osservando come tale indicatore si evolve nel corso del tempo, se il proprio employer brand si stia rafforzando o meno ed agire di conseguenza. Infatti, nel momento in cui si nota che il valore di tale indicatore diminuisce nel tempo, l’impresa potrebbe agire prontamente ed indagare le ragioni che spingono coloro a cui è stata presentata un’offerta di lavoro a rifiutarla per poi vedere se tali motivazioni sono in qualche modo connesse a quella che è la loro percezione dell’impresa come datore di lavoro; - employee retention rate e turnover: costruire un solido employer brand può aiutare le imprese a ridurre il turnover ed incrementare le retention dei propri collaboratori e ciò è di fondamentale importanza in un contesto come quello attuale in cui il mercato del lavoro è sempre più dinamico. Tale indicatore è uno dei più utilizzati quando si vuole valutare l’efficacia delle proprie iniziative di Employer Branding. Un alto tasso di employee retention e un basso turnover indicano infatti che l’impresa sta costruendo un forte employer brand, al contrario, se il tasso di turnover risulta essere molto elevato, ciò potrebbe suggerire che l’impresa sta avendo difficoltà nella gestione dell’esperienza dei dipendenti e nella retention dei talenti; in questo caso è opportuno indagare le motivazioni che spingono le persone ad abbandonare l’impresa 61 Siocon G. (2023) 10 employer branding metrics every company should track, Recruitee 81 così che essa possa capire come migliorare l’esperienza dei propri dipendenti ed il proprio employer brand. - Employer Branding ROI: questo indicatore è molto importante per capire se gli investimenti effettuati per migliorare il proprio employer brand e quindi la propria reputazione in quanto employer hanno prodotto dei benefici per l’organizzazione. Per calcolare tale indicatore bisogna prendere in considerazione tutti i costi che l’impresa deve sostenere per migliorare il proprio brand come datore di lavoro e tutti quelli che ne sono stati i conseguenti benefici in termini, per esempio, di maggiore produttività dei dipendenti, minore turnover eccetera. È possibile quindi intuire come per le imprese sia fondamentale calcolare degli indicatori utili a valutare ed eventualmente migliorare il proprio employer brand. Inoltre, è importante considerare che per avere una valutazione dell’Employer Branding attendibile e veritiera è necessario analizzare diversi indicatori. L’obiettivo infatti è quello di ottenere una visione complessiva delle percezioni e dell’esperienza dei dipendenti e dei candidati al fine di identificare eventuali punti di forza e aree di miglioramento e consolidare un Employer Branding positivo. 82 CAPITOLO 3 - Attrarre e trattenere i talenti: ricerca empirica Nei capitoli precedenti si è dimostrato come per le imprese sia sempre più importante mettere in atto delle iniziative di Employer Branding e rafforzare quindi il proprio brand come datore di lavoro. Questo perché, nel contesto attuale caratterizzato sempre di più da fenomeni come la talent scarcity, la competizione tra le stesse, quando si tratta di attrarre e trattenere i talenti al proprio interno è sempre più aspra. Ciò ha determinato per esse la necessità di studiare sempre più attentamente quelli che sono i bisogni, le aspettative e le caratteristiche delle persone di cui hanno bisogno per poter mettere a punto delle iniziative di Employer Branding nonché delle Employer Value Proposition strutturate in base alle aspettative specifiche di tali risorse. Questo capitolo presenta i risultati di una ricerca empirica effettuata tramite due strumenti – un questionario rivolto a diversi soggetti che possono rappresentare i lavoratori attuali o potenziali di un’impresa e due interviste rivolte ai responsabili delle risorse umane di aziende particolarmente affermate nei settori di riferimento - che si pone come obiettivo quello di comprendere il punto di vista dei lavoratori (attuali e potenziali) e delle imprese in riferimento alle principali leve di attraction e retention. In particolare, tale ricerca vuole raggiungere un duplice obiettivo: 1- in primo luogo, essa si propone di dare un contributo alle ricerche già esistenti e comprendere se ci sono dei fattori – leve di attraction e retention - che, considerando il mercato del lavoro attuale, sono particolarmente importanti per i lavoratori e che quindi possono, più di altri, andare ad influire sulla loro volontà di iniziare o continuare a lavorare per un determinato datore di lavoro-impresa. Dopo aver compreso ciò si andrà poi a indagare se lavoratori appartenenti a generazioni differenti diano più importanza a determinati fattori rispetto che ad altri. In particolar modo, al fine di raggiungere tale obiettivo è stato utilizzato lo strumento del questionario, il quale è stato rivolto a diverse persone che possono rappresentare lavoratori attuali o potenziali di un determinato datore di lavoro. Le modalità di definizione, diffusione ed analisi del questionario verranno descritte in seguito. 2- in secondo luogo, tale ricerca cerca di capire, da un lato, quali sono le iniziative di Employer Branding nonché le leve di attraction e retention su cui le imprese 85 È opportuno quindi, a tal punto, andare a descrivere, in maniera più approfondita, la EmpAt (Employer Attractiveness) scale di Berthon in modo tale da facilitare la comprensione del questionario che è stato elaborato per raccogliere i dati costituenti la base della ricerca condotta. Innanzitutto, è bene chiarire cosa si intenda con il concetto di Employer Attractiveness il quale viene definito da Berthon come “the envisioned benefits that a potential employee sees in working for a specific organization” ovvero tutti i benefici che un potenziale lavoratore ritiene di ottenere nel momento in cui andrà a lavorare per una determinata impresa. È possibile quindi affermare che la capacità attrattiva di un datore di lavoro – o Employer Attractiveness – può essere definita come ciò che motiva un potenziale lavoratore a prendere in considerazione un datore di lavoro invece di un altro e che spinge i lavoratori attuali a restare. E’ proprio partendo da tale definizione che Berthon ha condotto una ricerca per individuare 25 attributi – chiamati items - che possono andare a influenzare la cosiddetta Employer Attractiveness ovvero la capacità di un datore di lavoro di attrarre (e trattenere) i talenti di cui ha bisogno, i quali sono la base della cosiddetta EmpAt scale. Una volta individuati questi 25 attributi, i quali possono essere visti come leve di attraction e retention, Berthon li classifica in cinque categorie, le quali possono essere considerate un’estensione delle tre dimensioni precedentemente individuate da Ambler e Barrow ovvero quella funzionale, psicologica ed economica. Tali cinque categorie sono: - l’interest value: misura quanto un individuo sia affascinato da un’azienda che promuove un ambiente di lavoro stimolante, che implementa pratiche di lavoro innovative e che valorizza quella che è la creatività dei dipendenti al fine di creare prodotti e servizi innovativi e di alta qualità. Questa dimensione dell’EmpAt scale riflette quindi quanto sia attraente per un individuo un tipo di impresa che pone l’accento sull’innovazione, la creatività e l’eccellenza nella produzione. Attributi che fanno riferimento a tale categoria sono “un ambiente di lavoro stimolante” piuttosto che “pratiche di lavoro innovative”; - il social value: tale dimensione misura fino a che punto un lavoratore attuale o potenziale sia attratto da un datore di lavoro che offre un ambiente di lavoro divertente, gioioso e in cui si pone enfasi sulle relazioni tra i colleghi e che incoraggia 86 la collaborazione e non la competizione. Attributi riconducibili a tale categoria sono “un ambiente di lavoro sereno” e “ottime relazioni con i colleghi o i superiori”; - l’economic value: prende in considerazione fattori aventi carattere economico come la retribuzione, i benefit, l’avanzamento di carriera e valuta fino a che punto un individuo sia attratto da un datore di lavoro in grado di offrire uno stipendio sopra la media, un pacchetto retributivo vantaggioso, sicurezza lavorativa e opportunità di crescita professionale. Questa dimensione, quindi, riflette quanto sia significativo per un lavoratore il fattore economico nella scelta di un datore di lavoro; - il development value: misura quanto un lavoratore sia attratto da un’organizzazione in grado di incidere positivamente sulla propria autostima e fiducia di sé nonché di offrire riconoscimento. In altre parole, misura quanto una persona sia attratta da un’azienda che riconosce il valore del suo contributo e al tempo stesso favorisce il suo sviluppo personale e professionale; - l’application value: tale categoria misura quanto un individuo sia attratto da un’organizzazione che consente ai suoi dipendenti di applicare le conoscenze acquisite e di condividere la propria esperienza con gli altri all’interno di un contesto che mette al centro, da un lato, la soddisfazione del cliente e dall’altro, questioni umanitarie e l’attenzione nei confronti della comunità in cui opera. Nella figura sottostante sono riportati i 25 attributi che sono ricondotti alle cinque categorie che compongono la Employer Attractiveness scale. 87 Figura 3.1 I 25 Attributi della EmpAt scale classificati per categoria. Fonte: elaborazione dell’autore partendo dalla EmpAt scale definita da Berthon L’obiettivo di tale ricerca, così come quello degli autori citati in precedenza è quindi quello di capire, tramite lo strumento del questionario, quali tra queste dimensioni possono maggiormente influenzare l’attrattività di un’organizzazione come datore di lavoro e quindi quali tra i vari attributi dell’EmpAt scale siano percepiti come più importanti e come maggiormente in grado di influenzare positivamente la scelta di un datore di lavoro da parte di un lavoratore attuale o potenziale nonché la sua volontà di continuare a lavorare in una data organizzazione. In seguito, verranno descritte le modalità di definizione del questionario rappresentante il punto di partenza di tale ricerca e la relativa analisi. Working in an exciting environment INTEREST VALUE Innovative employer – novel work practices/forward-thinking The organisation both values and makes use of your creativity The organisation produces high-quality products and services The organisation produces innovative products and services A fun working environment SOCIAL VALUE Having a good relationship with your superiors Having a good relationship with your colleagues Supportive and encouraging colleagues Happy work environment Good promotion opportunities within the organisation ECONOMIC VALUE Job security within the organisation Hands-on inter-departmental experience An above average basic salary An attractive overall compensation package Recognition/appreciation from management DEVELOPMENT VALUE A springboard for future employment Feeling good about yourself as a result of working for a particular organisation Feeling more self-confident as a result of working for a particular organisation Gaining career-enhancing experience Humanitarian organisation – gives back to society APPLICATION VALUE Opportunity to apply what was learned at a tertiary institution Opportunity to teach others what you have learned Acceptance and belonging The organisation is customer-orientated 90 compongono la EmpAt scale elaborata da Berthon e indicati nella figura 3.1. In particolare, in riferimento ad alcuni attributi, è stato presentato il seguente quesito: “Immagina di essere alla ricerca di una nuova impresa per cui lavorare (o una prima impresa presso cui iniziare il tuo percorso professionale). Quanto sono importanti per te i seguenti fattori quando pensi a un potenziale (o ideale) datore di lavoro-impresa? (1 = per nulla importante; 10 = assolutamente importante)” È stato quindi chiesto ai rispondenti di valutare, secondo una scala da 1 a 10, quanto per loro, determinati attributi, riconducibili a tutte e cinque le categorie indicate da Berthon, fossero importanti. Tra questi si possono quindi trovare “un ambiente di lavoro stimolante” piuttosto che “un salario superiore alla media” o “la possibilità di fare carriera all’interno dell’impresa”. In riferimento ad altri attributi, è stato proposto invece il seguente quesito: “Quanto sono importanti per te i seguenti aspetti?” Con questa seconda domanda, ai rispondenti è stato chiesto di valutare con la stessa modalità aspetti come “avere un buon rapporto con i colleghi”, “avere un buon rapporto con i superiori” piuttosto che “essere apprezzato ed ottenere dei riconoscimenti dai superiori”. Nella tabella sottostante sono riportati i vari attributi che gli intervistati hanno dovuto valutare durante lo svolgimento del questionario. Anche in questo caso ogni attributo è riconducibile ad una delle cinque dimensioni individuate da Berthon ed è possibile individuare la categoria di appartenenza dell’attributo osservando il colore della riga in cui essi sono collocati (verde = interest value; azzurro = social value; giallo = economic value; rosa = development value; blu = application value). È facile notare come ciascuno di essi possa essere ricondotto agli attributi della EmpAt scale indicati nella figura 3.1. 91 Figura 3.3 Questionario. Fonte: elaborazione dell’autore Quanto sono importanti per te i seguenti fattori quando pensi a un potenziale (o ideale) datore di lavoro-impresa? 1. Produce beni e/o servizi innovativi 2. Adotta delle pratiche di lavoro innovative e lungimiranti 3. Dà spazio e valorizza la creatività (es. incoraggia l'espressione delle proprie idee) 4. Produce beni e/o servizi di alta qualità 5. Offre un ambiente di lavoro stimolante 6. Offre un ambiente di lavoro divertente 7. Offre un ambiente di lavoro piacevole e sereno 8. Offre un pacchetto retributivo attraente (es. salario, bonus, benefits) 9. Offre un salario superiore alla media 10. Offre sicurezza e stabilità economica 11. Offre buone opportunità di carriera all'interno dell'impresa (es. promozioni) 12. Offre la possibilità di fare esperienza in vari dipartimenti 13. Offre la possibilità di fare esperienze e acquisire competenze utili alla carriera 14. Può essere un trampolino di lancio per futuri impieghi 15. Offre la possibilità di insegnare agli altri ciò che ho imparato 16. Offre la possibilità di applicare ciò che ho appreso altrove (scuola, università, altre imprese) 17. Ha un interesse rivolto ai consumatori/clienti 18. Ha degli scopi umanitari (es. l'impresa è molto impegnata socialmente) 19. Fa sentire accettati e stimola il senso di appartenenza ( "mi sento orgoglioso di lavorare per una data impresa") Quanto sono importanti per te i seguenti aspetti? 20. Avere un buon rapporto con i colleghi 21. Avere un buon rapporto coi superiori (es. capi, manager, responsabili) 22. Avere dei colleghi che mi incoraggiano e supportano 23. Lavorare per un'impresa che mi fa sentire più sicuro/a di me 24. Lavorare per un'impresa che mi fa sentire meglio con me stesso/a 25. Essere apprezzato/a e ottenere dei riconoscimenti dai miei superiori 92 L’ultima sezione del questionario comprende due domande aperte: 1. “C'è un'impresa in particolare in cui ti piacerebbe lavorare? Perché?” 2. “Ci sono dei fattori non elencati precedentemente che ricerchi in un datore di lavoro ideale?” Questi quesiti sono stati aggiunti a quelli precedenti per colmare quelli che sono i limiti della EmpAt scale la quale potrebbe non andare ad individuare alcuni fattori che invece potrebbero essere rilevanti nella scelta di un datore di lavoro. Infine, è opportuno sottolineare che prima di diffondere il questionario è stato effettuato un test dello stesso al fine di individuare eventuali problemi relativi alla sua interpretazione. Il questionario è stato somministrato quindi a un numero molto ristretto di persone che hanno fatto emergere due principali problematiche; innanzitutto, alcune di esse avevano difficoltà a comprendere cosa significassero i vari attributi proposti dalla EmpAt scale di cui dovevano valutare l’importanza. Tale problema è stato risolto aggiungendo degli esempi che potevano aiutare nell’interpretazione. In secondo luogo, il questionario testato prevedeva una scala di valutazione da 1 a 5. Si è notato che tale scala non era particolarmente adeguata in quanto, non permettendo agli intervistati di esprimersi con una grande flessibilità, aveva portato le loro risposte ad essere molto simili tra di loro, se non uguali e di conseguenza sarebbe stato difficile individuare eventuali differenze tra come i diversi attributi fossero percepiti dalle varie persone piuttosto che dalle varie generazioni. Tale problema è stato risolto permettendo ai rispondenti di esprimersi utilizzando una scala da 1 a 10. Una volta testato il questionario, esso è stato diffuso e reso disponibile per la compilazione per circa tre settimane. 3.1.2 Analisi quantitativa È opportuno a tal punto descrivere l’analisi di tipo quantitativo che ha seguito la fase di raccolta dei dati avvenuta tramite il questionario descritto nel paragrafo precedente. In particolar modo, prima di separare i dati raccolti a seconda delle tre generazioni su cui si focalizza tale ricerca è stata condotta una macroanalisi che considera i dati in maniera aggregata il cui scopo è quello di comprendere quali fattori (o leve di attraction e retention) sono ritenuti particolarmente rilevanti dai lavoratori attuali e potenziali indipendentemente 95 vi sono una retribuzione e dei benefit interessanti e la sicurezza del posto di lavoro. Risultati molto simili, inoltre, sono emersi dallo studio condotto da Reis e Braga dove le dimensioni più importanti sono sempre le tre appena citate. Per quanto riguarda invece gli attributi riconducibili alle dimensioni dell’“interest value” (M=8,18; DS=1.58) e dell’“application value” (M=7.54; SD=1.79), sebbene esse siano comunque molto importanti nella scelta di un datore di lavoro, non risultano essere attraenti come quelli riconducibili alle altre tre dimensioni. Infine, è importante sottolineare che i valori assegnati dai rispondenti ai vari fattori sono tendenzialmente molto elevati. Tale risultato era prevedibile in quanto, il questionario, come detto più volte, si basa sulla valutazione di diversi fattori che possono essere considerati delle leve di attraction e/o retention e che quindi sono tendenzialmente, chi più e chi meno, desiderabili da un lavoratore attuale o potenziale. Una volta effettuata tale macroanalisi, i dati sono stati tripartiti tra le varie generazioni: la generazione X, la generazione Y e la generazione Z. Come precedentemente affermato, lo scopo di tale analisi è quello di capire se persone appartenenti a generazioni diverse diano una diversa importanza alle varie dimensioni che possono caratterizzare un rapporto di lavoro e quindi agli attributi (o leve di attraction e/o retention) a loro riconducibili, ciò al fine di vedere se ha senso per le imprese differenziare le proprie leve per attrarre o trattenere talenti di generazioni differenti. Per questa analisi si è fatto ricorso, non solo alla statistica descrittiva ma anche al test di Mann-Whitney. Facendo in primis ricorso alla statistica descrittiva, nella seguente tabella sono riportati i valori delle medie calcolati in riferimento ad ognuna delle cinque dimensioni e differenziando le tre generazioni. 96 Figura 3.5 Media calcolata per ogni dimensione in riferimento alle tre generazioni. Fonte: elaborazione dell’autore Prendendo in considerazione la sola statistica descrittiva e non effettuando alcun test a supporto dei risultati ottenuti, dall’osservazione delle medie riportate in tale tabella è possibile affermare che tutte e tre le generazioni considerano particolarmente importanti nella scelta di un datore di lavoro gli attributi riconducibili alla dimensione “social value”. Gli esponenti di tutte le tre generazioni ritengono infatti particolarmente importante instaurare un buon rapporto con i colleghi e con i propri responsabili e sono molto attratti da ambienti di lavoro piacevoli e sereni in cui si sentono incoraggiati e supportati. In particolare, gli attributi di tale dimensione risultano essere particolarmente importanti per le persone appartenenti alla generazione X. Tale risultato può essere intuito andando a prendere in considerazione i risultati ottenuti a livello complessivo precedentemente analizzati. Allo stesso modo, osservando tale tabella, si può dedurre che la dimensione dell’“application value” risulta essere, tra tutte, quella a cui le persone appartenenti ad ognuna delle tre generazioni affidano meno importanza nella scelta di un datore di lavoro e ciò e particolarmente vero per la generazione Z. Lo stesso risultato è emerso dallo studio effettuato da Reis e Braga che, pur non prendendo in considerazione la generazione Z, mostra come l’“application value” è, sia per la generazione Y che per la generazione X la meno rilevante. Inoltre, è opportuno affermare che per tutte e tre le generazioni la dimensione economica – quella dell’ “economic value” - è molto importante anche se, secondo gli esponenti della generazione Z la dimensione del “development value” risulta prioritaria ad essa; essi infatti risultano essere molto attratti da un datore di lavoro che permetta loro di fare esperienza e acquisire delle conoscenze utili alla loro carriera e che dia, allo stesso tempo, particolare rilevanza ai riconoscimenti ed ai feedback. Al fine di poter provare o meno le conclusioni tratte facendo ricorso alla sola statistica descrittiva e poter vedere se ci sono delle differenze significative relativamente a come le APPLICATION VALUE DEVELOPMENT VALUE ECONOMIC VALUE SOCIAL VALUE INTEREST VALUE 8,388,618,788,828,55GEN X 7,48,18,128,387,84GEN Y 7,338,378,298,638,15GEN Z 97 varie generazioni percepiscono le cinque dimensioni caratterizzanti un rapporto di lavoro è stato effettuato un test statistico utilizzando il supporto di un software chiamato SPSS Statistics. Il test utilizzato è il test di Mann-Whitney il quale è un test non parametrico usato per confrontare due campioni indipendenti e determinare se le distribuzioni degli stessi sono significativamente diverse. A tale test si ricorre quando i dati non soddisfano i requisiti di normalità richiesti per l’applicazione di test parametrici come il più conosciuto t-test. In particolar modo, tale test, utilizzato anche da Reis e Braga, prevede due ipotesi, l’ipotesi nulla (H0) secondo cui non vi è alcuna differenza significativa tra le distribuzioni dei due gruppi e l’ipotesi alternativa (H1) secondo cui invece c’è una differenza significativa tra le distribuzioni dei due gruppi. Il risultato di tale test è un valore p che indica la probabilità di ottenere il risultato osservato se l’ipotesi nulla fosse vera. Se il valore di p è sufficientemente basso (tipicamente inferiore a un valore soglia predefinito, come 0,05) si può procedere rifiutando l’ipotesi nulla e concludere che vi sono differenze significative tra i due gruppi. Per effettuare tale analisi sono state quindi individuate due ipotesi: h0: la distribuzione delle variabili è la stessa tra le varie generazioni h1: la distribuzione delle variabili non è la stessa tra le varie generazioni È opportuno ricordare che il test permette di confrontare solo due gruppi, per cui, in tale sede, sono state confrontate due generazioni alla volta. Nella tabella sottostante sono riportati i risultati ottenuti effettuando il Mann-Whitney test.
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