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L'ESPULSIONE DELL'ALTRO- HAN, Sintesi del corso di Filosofia

Riassunto libro espulsione dell'altro

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 12/04/2021

gloria-paolucci
gloria-paolucci 🇮🇹

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Scarica L'ESPULSIONE DELL'ALTRO- HAN e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia solo su Docsity! L’ESPULSIONE DELL’ALTRO. Byung-Chul Han TERRORE DELL’UGUALE “Il tempo in cui c’era l’Altro è passato (l’altro come mistero, seduzione, desiderio, scompare). La negatività dell’Altro cede il posto alla positività dell’Uguale. La proliferazione dell’Uguale da luogo a quei mutamenti patologici che infestano il corpo sociale, a renderlo malato sono l’ipercomunicazione e iperconsumo, permissività e affermazione”. “Non la repressione, ma la depressione è il sintomo patologico del nostro tempo. La pressione distruttiva non proviene dell’Altro, ma dall’interno”: quindi il soggetto sviluppa tratti di auto aggressività. Quindi la proliferazione dell’uguale ed espulsione dell’altro mette in modo un processo di autodistruzione. “La stessa percezione assume oggi la forma del binge watching (il sistema di percezione più comune oggi), ovvero il consumo di video e film senza alcuna limitazione temporale. Ai consumatori vengono offerti di continuo film e serie che corrispondono al loro gusto, vengono rimpinzati come bestie da consumo con il sempre nuovo Uguale. La proliferazione dell’Uguale ci ingozza fino allo stordimento. Responsabile è la negatività dell’Altro, che penetra nel Medesimo e porta alla formazione di anticorpi. L’infarto invece dipende dall’eccesso dell’Uguale, dall’obesità del sistema. Contro il grasso non si formano anticorpi. Nessuna difesa immunitaria può ostacolare la proliferazione dell’Uguale. Quindi- Il Medesimo non è identico dell’Uguale: il Medesimo ha una forma, un’interiorità che dipende dalla differenza con l’Altro. L’uguale invece è informe, una massa indifferenziata. -Il terrore dell’Altro investe oggi ogni ambito di vita; si va ovunque senza mai farne esperienza, si ammassano informazioni e dati senza mai giungere ad un sapere. Si bramano esperienze vissute che poi ci lasciano sempre uguali. Si accumulano follower senza mai incontrare veramente l’Altro. I social media rappresentano un’atrofizzazione della società. La rete digitale non facilita l’incontro con gli altri, servono piuttosto a trovare l’Uguale e chi ha la nostra stessa opinione, lasciando da parte i diversi e gli altri. (serve quindi per avvicinarci sempre di più ad un pensiero Uguale, allontanando opinioni e punta di vista diversi). L’informazione è semplicemente li presente. Il sapere è invece un lungo processo: esso non si accorda all’attuale politica del tempo, che lo frammenta per incrementare la produttività; esso è frutto di un lungo processo a cui si arriva mediante incontro/scontro con l’altro. Anche il più grande accumulo di informazioni (i big data) dispone di un sapere molto ridotto. Non ci si chiede più il perché delle cose, la domanda diventa superflua, quindi di conseguenza nulla viene compreso (perché conoscere è comprendere), i big data quindi rendono superfluo il pensiero. Ci affidiamo senza alcuna esitazione all’è-così. Heidegger nella sua opera “L’oblio dell’essere” ci direbbe che oggi il rumore della comunicazione, la tempesta digitale di dati e informazioni, ci rende sordi nei confronti del fragore silenzioso della verità. La rete oggi si trasforma in un particolare spazio di risonanza, siamo tutti uguali al suo interno: la comunicazione globale ammette solo Altri uguali o Uguali altri. L’abolizione della lontananza non genera maggiore vicinanza, bensì la distrugge. L’assenza di distanza digitale elimina ogni forma di gioco fra vicinanza e lontananza. Tutto è ugualmente vicino e ugualmente lontano. La proliferazione dell’Uguale è “un pieno dove non traspare che il vuoto”. L’espulsione dell’Altro produce un adiposo vuoto di pienezza (= adiposo in quanto dato dall’obesità del sistema, e pienezza poiché il sistema ci illude di avere e sapere). Il film Anomalisa di Kaufmann ritrae perfettamente l’attuale inferno dell’Uguale. In questo inferno non è più possibile il desiderio dell’Altro. Lisa in questo film rappresenta l’Altro come Eros, l’Altro per eccellenza che ci redime dall’inferno dell’Uguale. In questo film tutti i 20 personaggi sono marionette ad indicare che “siamo marionette tenute da forze sconosciute; non siamo niente per noi stessi”. Trama film: Michael è un autore e un trainer motivazionale di successo. Il suo libro incrementa la produttività e tutti lo celebrano, ma nonostante il successo si trova ad affrontare una grave crisi esistenziale (si sente perso, annoiato) e vede tutti gli esseri umani con lo stesso volto e la stessa voce. Un giorno durante una conferenza sente la voce di una donna che gli appare da subito diversa dalle altre, anche se è bruttina (il suo volto si discosta dal volto collettivo ottimizzato) lui si innamora di lei. Passano la notte insieme, ma alla mattina sente che la voce di Lisa inizia ad assomigliare di nuovo a quella degli altri. Lisa gli confesserà di provenire da un altro mondo libera dall’incantesimo dell’Uguale. Anomalisa è l’Altro per eccellenza; è solo in questo momento che Michael rimane atterrito nel rendersi cOnto di essere solo una marionetta. VIOLENZA DEL GLOBALE E TERRORISMO Nella globalizzazione è insita una violenza che rende tutto interscambiabile, comparabile e per questo uguale. La totale comparazione conduce alla fine a uno svuotamento di enso. La violenza del Globale, in quanto violenza dell’Uguale (=), annulla la negatività dell’Altro, del Singolare, dell’Incomparabile. La violenza del Globale pone tutto sul piano dell’Uguale e istituisce un inferno dell’Uguale, genera una forza distruttiva di senso contrario. Già Baudrillard ha fatto notare che la follia della globalizzazione genera la follia dei terroristi: non è la dimensione religiosa in sé quindi a spingere gli uomini al terrorismo ma piuttosto la resistenza del Singolare alla violenza del Globale: è lo stesso terrore del Globale a generare il terrorismo. Glorificazione della morte: La morte è il Singolare per eccellenza (è vista come la fine della produzione) quindi i terroristi amano la morte. (Sempre Baudrillard): richiama l’attenzione sulla particolarità architettonica delle Torri Gemelle (non hanno un sistema aperto che si affaccia alla città e al cielo) hanno un sistema chiuso, non hanno un rapporto con l’esterno, con l’Altro. Cosi affermavano l’Uguale nella totale esclusione dell’Altro. L’attacco terroristico ha prodotto crepe in questo globale sistema dell’Uguale. Il nazionalismo di oggi, la nuova destra, l’identitarismo: anche essi sono riflessi del dominio del Globale: ostili agli stranieri e critici nei confronti del capitalismo. Il neoliberismo genera una notevole ingiustizia sul piano globale, perché genera sfruttamento ed esclusione sul piano globale: la società diventa sempre più inumana, sorge quindi una massa resa insicura e guidata dall’angoscia, che facilmente si lascia monopolizzare dalle forze nazionaliste e razziste. Razzismo perché l’angoscia verso il proprio futuro si rovescia in ostilità nei confronti dello straniero, ma anche odio verso se stessi. La società dell’angoscia e la società dell’odio sono l’una condizione dell’altra. Quindi: Insicurezza sociale + mancanza di speranza/prospettiva= terreno fertile per il terrorismo. Il terrorista islamico e il nazionalista razzista non sono in realtà diversi: condividono la stessa genealogia. ANGOSCIA L’angoscia può essere provocata principalmente da: l’ignoto, l’estraneo, l’inquietante. Essa presuppone la negatività del totalmente Altro. Per Heidegger nasce di fronte ad un “Nulla che viene esperito come il totalmente Altro rispetto all’ente”. In “Essere e Tempo” l’angoscia nasce quando crolla il “sentirsi-a-casa-propria caratteristico della pubblicità” cioè l’edificio di modelli di percezione e di comportamento quotidiani e familiari. L’angoscia strappa via l’Esserci -come Heidegger chiama la qualificazione ontologica dell’uomo- dalla familiare e consueta “quotidianità, dalla conformità sociale”: il “si” incarna la conformità sociale (modelli precostruiti) ci dice come dobbiamo vivere, agire, percepire. “Ci divertiamo come ci si diverte; vediamo e giudichiamo come si vede e si giudica”. La dittatura del “si” allontana l’Esserci del suo poter-essere, dalla autenticità. Il crollo del familiare orizzonte di comprensione genera angoscia. E in realtà è solo nell’angoscia che si dischiude per l’Esserci la possibilità di accedere al suo poter-essere. In Heidegger l’angoscia è in stretta relazione con la morte. La morte non significa la semplice fine dell’essere, è invece “un modo di essere”, e cioè la possibilità per eccellenza di essere se stessi. Morire significa: ”io sono; la morte è la mia morte”. Anche dopo la cosiddetta svolta, la morte continua a significare qualcosa di più che non la fine della vita. Adesso rappresenta la negatività dell’abisso, del mistero. La morte inscrive nell’ente la negatività del mistero, dell’abisso, del totalmente Altro. Nella nostra società oggi, che esclude ogni negatività, anche la morte è ridotta al silenzio, le viene sottratta ogni parola. Non è più “un modo di essere”, ma soltanto la mera fine della vita. La morte significa semplicemente la fine della produzione. In realtà sarebbe proprio la negatività ad essere vivificante per lo spirito: la negatività della lacerazione e del dolore salvaguardia la vitalità dello spirito. Oggi noi fuggiamo dal negativo, invece di soffermarci presso di lui. Il tenersi fermi al positivo invece riproduce però solo l’Uguale. Non esiste solo l’inferno della negatività, ma anche l’inferno della positività. Il terrore non proviene solo dal negativo, ma anche dal positivo. L’angoscia oggi (provocata dal crollo del mondo familiare) somiglia alla noia profonda. Ma in realtà la noia è positiva in questo senso, perché può far sorgere quelle possibilità di agire che l’Esserci potrebbe afferrare, ma che proprio in questo annoiarsi giacciono inutilizzate. La noia profonda quindi invita l’Esserci ad agire; essa ha un carattere di chiamata, parla, ha una voce. La noia dei nostri giorni invece non parla, è muta; e viene rimossa dandosi all’attività piu prossima. Oggi regna un’indifferenza ontologica. Tanto il pensiero quanto la vita si rendono ciechi rispetto al loro piano d’immanenza. Se non si entra in rapporto con esso, persiste solo l’Uguale. L’”Essere” di Heidegger indica questo piano d’immanenza, è quel piano dell’essere dove il pensiero può avere un nuovo inizio, permette che cominci qualcosa di completamente diverso. Solo grazie all’angoscia si raggiunge il piano d’immanenza dell’Essere. Oggi l’angoscia ha un’eziologia del tutto diversa. Non è riconducibile ne al crollo della conformità del quotidiano, ne all’abissalità dell’Essere. Ha luogo piuttosto all’interno dell’accordo quotidiano. E’ un’angoscia quotidiana. Il suo soggetto continua ad essere il “si”. L’esserci di Heidegger non è rivolto all’esterno, bensì all’interno. L’orientamento interiore rende superfluo il continuo paragone con gli altri, a cui si sente obbligato l’uomo rivolto verso l’esterno. Molti oggi sono tormentati da angosce diffuse: angoscia di non farcela, angoscia di fallire, di commettere errori.. Questa angoscia viene resa sempre più grande dal continuo paragonarsi con gli altri. Viviamo oggi in un sistema neoliberista che frammenta il tempo della vita e disintegra tutto ciò che ha carattere vincolante, al fine di aumentare la produttività. Questa politica del tempo neoliberistica genera angoscia e insicurezza. E il neoliberismo isola l’uomo facendolo diventare un isolato imprenditore di se stesso. Questo processo di isolamento, accompagnato dal venir meno della solidarietà e dalla concorrenza universale, produce angoscia. La perfida logica del neoliberismo afferma: l’angoscia aumenta la produttività. SOGLIE L’angoscia si risveglia anche davanti alla soglia: come transito verso l’ignoto (in relazione con la morte, è come un passaggio). Al di la della soglia comincia uno stato dell’essere del tutto diverso; chi oltrepassa la soglia si sottopone a una trasformazione e in quanto luogo di trasformazione, provoca dolore. E’ insita in essa la negatività del dolore. Il passaggio ricco di soglie cede oggi all’attraversamento privo di soglie. Ad esempio su Internet non siamo che turisti: i turisti non fanno alcuna esperienza che implica trasformazione e dolore, e per questo motivo restiamo uguali a noi stessi e viaggiamo attraverso l’inferno dell’Uguale. Le soglie però, oltre ad angosciare, possono rendere felici: stimolano fantasie rivolte all’Altro. Ma oggi, l’impulso di accelerazione della circolazione globale (della comunicazione e del globale) abbatte le soglie, producendo uno spazio privo di soglie. Sorge un nuovo tipo di angoscia, completamente sganciato dalla negatività dell’Altro: la comunicazione digitale abolisce ogni distanza al fine di velocizzarsi, e quindi va perduta ogni distanza di protezione: non esiste più uno spazio protetto e di ritiro, tutto è minacciosamente vicino, la trasparenza e l’iper-comunicazione ci privano di ogni interiorità in grado di proteggerci. L’obbligo alla trasparenza consegna tutto alla completa visibilità. Ovviamente rinunciamo alla nostra interiorità volontariamente, e ci rimettiamo alla rete digitale che ci controlla, ci svuota. La sovraesposizione digitale provoca un’angoscia latente causata non tanto dalla negatività dell’Altro ma dall’eccesso di positività (la crescente “ubriacatura” dell’Uguale porta all’angoscia quindi). ALIENAZIONE Il romanzo di Albert Camus “Lo Straniero” descrive l’essere straniero come un sentimento fondamentale dell’essere e dell’esistenza. Oggi, siamo storditi dall’iper-comunicazione digitale (quindi la comunicazione illimitata) di oggi, che distrugge sia il “tu” sia la “vicinanza”, le relazioni sono sostituite dalle connessioni. Il frastuono della comunicazione non ci rende comunque meno soli. Anzi, forse ci rende ancor più soli. Viviamo oggi in una zona di benessere dalla quale è stata eliminata la negatività dell’estraneo, il like è la sua parola d’ordine. L’estraneità è oggi sgradita, poiché rappresenta un ostacolo alla circolazione accelerata del capitale e dell’informazione. Allo stesso modo, scompare l’Altro in quanto momento di alienazione. (Teoria Marxista): L’alienazione rispetto al lavoro vuol dire che il lavoratore si rapporta al prodotto del suo lavoro come a un oggetto estraneo. Egli non si riconosce ne nel suo prodotto, ne nella sua stessa attività. Il lavoratore diviene tanto più povero quanta più ricchezza produce, perché quel che produce gli viene sottratto. Quanto più si impegna con le sue energie, tanto più egli case sotto il potere dell’altro che lo sfrutta. Questo rapporto di potere, che conduce all’alienazione e all’annullamento, viene paragonato da Marx alla religione (quante più cose l’uomo traferisce in Dio, tanto meno egli ritiene in se stesso). Quindi a causa dell’alienazione che domina i rapporti di lavoro, il lavoro dell’operaio è un continuo annullamento di sé. Oggi viviamo in un’ epoca postmarxista. Nel regime neoliberista lo sfruttamento non si verifica più nella forma dell’alienazione, bensì nella forma della libertà (illusoria) dell’autorealizzazione e dell’ottimizzazione di se stessi. Qui non c’è l’Altro come sfruttatore che mi costringe a lavorare e mi aliena da me stesso. Piuttosto sono io che sfrutto me stesso, credendo in tal modo di realizzarmi. E’ questa la perfida logica del neoliberismo. Io mi butto euforicamente nel lavoro per poi alla fine crollare (burn-out). Nel nostro tempo quindi si genera una nuova forma di alienazione. Non si tratta più dell’alienazione dal mondo o dal loro, bensì di un’autoalienazione distruttiva, che si verifica proprio nella forma dell’autorealizzazione. Questa libertà di oggi è fatale poiché non rende possibile nessuna resistenza, alcuna rivoluzione (contro cosa dovrebbe rivolgersi la resistenza?). L’uomo si aliena da se stesso e, a causa dell’assenza di negatività, questa alienazione progredisce inavvertita. Anoressia, bulimia, sono sintomi di una crescente autoalienazione. Il proprio corpo alla fine non lo si sente più. ANTICORPI La parola “oggetto” deriva dal latino obicere, che significa gettare contro. Oggetto come qualcosa che mi si rivolge contro, mi si oppone, mi contraddice. In ciò consiste la sua negatività (ricordare qui il polo negativo cosa significa, prof). Alla “merce”, in quanto oggetto di consumo, manca la negatività dell’obicere  non mi si oppone, non mi accusa ma vuole adattarsi a me e piacermi. Il mondo va perdendo sempre più la sua negatività propria dell’essere contro e il medium digitale accelera questo processo  “la gravità e l’essere contro regnano nell’ordine terraneo, mentre nell’ordine digitale manca ogni gravità che ci si fa incontro pesandoci” (Heidegger). Anche le immagini perdono la loro magia di oggetto che ci sta di fronte e con cui è possibile interloquire; alle immagini digitali manca ogni magia, non sono più immagini capaci di incantare e esaltare l’osservatore. Il mi-piace è il grado zero della percezione. La cosa è per Heidegger qualcosa che ci condiziona. Anche per Handke, sostenendo che le cose sono anticorpi  cose reali Vs cose digitali. L’ordine digitale provoca una progressiva scomparsa del corpo del mondo. Sempre meno ci sono oggi comunicazione di corpi. L’ordine digitale elimina anche gli anticorpi, mentre toglie alle cose il loro peso materiale, la loro vita propria: gli oggetti digitali non sono più obicere. Non ci vengono incontro, non incontriamo in loro nessuna resistenza. Il mi-piace è l’opposto dell’obicere. La totale assenza di un essere contro (quindi l’obiezione) non rappresenta una condizione ideale, perché senza l’essere contro si ricade dolorosamente su se stessi e ciò conduce a un’autoerosione. (oggetto Vs essere di fronte). Il “di fronte”: ciò che è in realtà presente non è ciò che il soggetto si getta di fronte come oggetto, ma ciò che perviene al percepire (attraverso lo sguardo e la voce)  l’essere di fronte avviene come incontro con il totalmente Altro. SGUARDO -E’ citato un passo della favola “Apologo della mantide religiosa” di Jacques Lacan. Il totalmente Altro si sottrae ad ogni calcolo/previsione e si manifesta come sguardo (anche leggere rete categoriale dello spirito oggettivo  restituire all’Altro la sua sconcertante e stupefacente alterità. Carattere enigmatico dell’arte: il bello si rileva solo al “lento sguardo della contemplazione”. Per Celan l’arte custodisce ciò che è inquietante e spaesante: “è un porsi fuori da se stessi, dall’umano”. L’immaginazione poetica, la fantasia poetica, pongono in immagine l’estraneo dell’Uguale. Nell’inferno dell’Uguale la facoltà dell’immaginazione poetica è morta. L’arte è a casa propria nello spaesamento, presuppone infatti un’auto-trascendenza: chi ha vocazione all’arte è dimentico di sé (crea un “io straniato”). Oggi non viviamo più in questa terra- ma siamo nella terra del benessere digitale abitata dall’ego dove è andata perduta ogni estraneità. L’ordine digitale non è poetico, in esso ci aggiriamo nello spazio dell’Uguale. Quindi: nella nostra società stiamo perdendo questo interlocutore (reale presenza dell’Altro) a favore di uno specchio in cui ci si rispecchia (ego). L’attuale iper-comunicazione soffoca gli spazi di silenzio e solitudine- soffoca il linguaggio al quale appartiene in modo essenziale il silenzio. Il rumore della comunicazione rende impossibile lo stare in ascolto. Poesia e arte sono in cammino verso l’Altro, nascono solo nell’incontro con un Altro, nel mistero dell’incontro, di fronte a un interlocutore (che oggi scompare). Compito dell’arte e della poesia allora è quello di liberare la percezione da tale rispecchiamento, e di aprirla a favore dell’interlocutore, a favore degli altri. La politica e l’economia oggi tendono a dirigere l’attenzione verso l’ego, che cosi si mette al servizio della produzione di Sé- rivolta verso l’ego. Oggi ci mettiamo in competizione per avere attenzione, anche mettendoci in vetrina, lottando fra noi per ricevere attenzione. La poesia invece cerca il colloquio con l’Altro, mentre la comunicazione dei giorni nostri è estremamente narcisistica, ha un luogo senza il tu; nella poesia invece, Io e Tu si generano reciprocamente. Ma la comunicazione digitale è concepita proprio per annullare ogni distanza: attraverso i media cerchiamo di avvicinare l’Altro- in tal modo non abbiamo più a che fare con l’Altro, lo facciamo piuttosto scomparire perché la comunicazione tende oggi a eliminare ogni momento-tu dal rapporto con l’Altro, trasformano quest’ultimo in un “esso”, cioè tende a livellarlo nell’”Uguale”. PENSIERO DELL’ALTRO Essere-sé non significa semplicemente essere-libero. Il sé è anche un carico e un peso, significa essere-un- peso-per-se-stessi. (ciò significa che l’Io è inchiodato a un pesante alter ego, a questo peso, che non può abbandonare finché vive). La depressione può essere interpretata come uno sviluppo patologico di questa moderna ontologia del sé, che cresce in modo smisurato all’interno dei rapporti neoliberistici di produzione. La massimizzazione del peso ha in definitiva lo scopo di massimizzare la produttiva. Heidegger pensava che la morte rappresentasse una possibilità eminente di afferrare il Sé (nel senso che di fronte alla morte si risveglia un enfatico io-sono). Levinas pensa che l’essere-sé non significhi essere-libero (il sé è un peso per noi) e anche la morte si manifesta come l’impossibilità per eccellenza, e somiglia al rapporto con l’Altro che chiama Eros. L’Eros viene visto esattamente come la morte, come una relazione con l’Altro che è impossibile tradurre nei termini di potere  ed è proprio la passività del non-poter-potere che la natura distruttiva della facoltà di potere lascia di sé. Il non-poter-potere si manifesta in una forma diversa di stanchezza, e cioè come una stanchezza per l’Altro, ovvero non è più una stanchezza dell’Io. Solo l’Eros è in grado di liberare l’io dalla depressione e dal narcisistico invischiamento in se stesso- solo l’Eros che mi strappa da me stesso e mi trasporta verso l’Altro, può vincere la depressione  il desiderio dell’Altro, la conversione all’Altro sarebbero un antidepressivo metafisico capace di mandare in frantumi il guscio narcisistico dell’Io. Incontrare un uomo è visto da Levinas come un “essere tenuti svegli da un enigma”: oggi non vediamo però più l’Altro come mistero o enigma, infatti esso è sottomesso alla teologia dell’utile, del calcolo e della valutazione economica (è esso stesso un oggetto economico). L’amore presuppone sempre un’alterità (che altro è l’amore se non comprendere e gioire che un altro viva, agisca e senta in maniera diversa e opposto alla nostra?): L’amore rende possibile una nuova creazione del mondo a partire dalla prospettiva dell’Altro. Se si estingue la dualità ci si fonde in se stessi, si annega nel Sé  oggi dobbiamo tornare a considerare la vita a partire dall’Altro imparando ad ascoltarlo. Quel “linguaggio pre-originario”, che è il linguaggio dell’Altro, viene oggi sepolto dal rumore dell’iper- comunicazione. ASCOLTO Forse in futuro ci sarà un nuovo mestiere: l’ascoltatore. Oggi la crescente focalizzazione sull’ego e la narcisizzazione della società rendono difficile l’ascolto, non abbiamo più la capacità di ascoltare. L’ascolto non è un atto passivo: per ascoltare devo dare attivamente “il benvenuto all’Altro” (approvare l’Altro nella sua alterità). L’ascolto precede la parola: si ascolta per portare l’Altro a parlare oppure affinché esso possa parlare e sia libero di esprimersi- così l’ascolto può essere terapeutico. Broch è un ascoltatore ospitale che svuota se stesso per diventare spazio di risonanza dell’Altro, offrendogli quindi la libertà di essere se stesso. Il buon ascoltatore si astiene dal giudizio, infatti la reazione deve essere ridotta al minimo (una singola parola può essere già un giudizio) e svuotandosi di sé diventa “nessuno”. Questo atteggiamento responsabile dell’ascoltatore nei confronti dell’Altro si manifesta come pazienza ed essere esposti. Quindi l’ego è incapace di ascoltare, deve essere soppresso- una passione dell’Altro prende il posto dell’ego narcisistico. La cultura del mi-piace rifiuta ogni forma di ferimento. Chi però vuole sottrarsi al ferimento, non fa esperienza di nulla- questo perché il mero mi-piace rappresenta il grado zero dell’esperienza. La comunicazione digitale promuove una comunicazione priva di un interlocutore, voce o sguardo. Su Twitter, per esempio, inviamo continuamente messaggi, ma questi non sono indirizzati a nessuno. I social media non promuovono una cultura della discussione, spesso sono solo governati dall’ira.  la comunicazione digitale mi mette in rete, ma allo stesso tempo mi isola. Essa annulla certamente la distanza, ma l’assenza di distanza non genera alcuna vicinanza reale. Ascoltare significa qualcosa di completamente diverso dallo scambiarsi informazioni in un social media. L’ascolto stringe relazioni fra gli uomini formando cosi una comunità. Oggi ascoltiamo tante cose, ma perdiamo sempre più la capacità di ascoltare gli altri, di offrire ascolto al loro dolore. Oggi ognuno è in un modo o nell’altro solo con se stesso, con il proprio dolore, con le proprie angosce. La sofferenza è privatizzata e resa individuale. Non viene creato alcun legame tra la mia sofferenza e la tua sofferenza. Si fa finta cosi di non vedere la dimensione sociale della sofferenza. La strategia del potere consiste oggi nel privatizzare la sofferenza e l’angoscia, e nel nasconderne così la dimensione sociale, impedendone la socializzazione- la volontà politica di costruire uno spazio pubblico viene meno, e la rete favorisce questo processo. Il romanzo “Momo” di Michael Ende mette in evidenza quest’etica dell’ascolto. Momo è un’ascoltatrice per eccellenza; Il temo di Momo è un tempo particolare. E’ il tempo dell’Altro, cioè il tempo che lei dedica agli altri prestando loro ascolto, se ne sta li semplicemente e ascolta. Ma il suo ascolto provoca miracoli: induce le persone a pensieri ai quali mai sarebbero giunte da sole; offre agli altri la possibilità di essere liberamente se stessi. L’ascolto guarisce, redime, riconcilia. Al contrario, la rumorosa società della stanchezza è sorda. Oggi è necessaria una rivoluzione del tempo che dia inizio a un tipo di tempo completamente diverso. Si tratta di scoprire di nuovo il tempo dell’Altro. La politica neoliberistica del tempo elimina il tempo dell’Altro, considerato un tempo improduttivo. La totalizzazione del tempo del Sé si accompagna alla totalizzazione della produzione, che travolge oggi ogni ambito della vita e conduce allo sfruttamento totale dell’uomo. La politica neoliberistica del tempo elimina anche il tempo della festa, il tempo della celebrazione. Il tempo festivo riguarda infatti l’improduttività. All’opposto del tempo del Sé, che ci rende soli e isola, il tempo dell’Altro istituisce una comunità. Questo tempo, perciò, è un buon tempo.
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