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L'età ellenistica, società, politica, cultura (M. Mari), Sintesi del corso di Storia Antica

riassunto dei capitoli: 1,4,6,7,8 del libro per la preparazione dell'esame di storia greca (non frequentate a.s. 2019/2020)

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 10/01/2022

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furibionda22 🇮🇹

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Scarica L'età ellenistica, società, politica, cultura (M. Mari) e più Sintesi del corso in PDF di Storia Antica solo su Docsity! 11 1.2 Quando il mondo parlava greco (Mari) L'ellenismo e i limiti cronologici Hellenismòs è un termine che esprime una nozione linguistica, ovvero l’atto di parlare greco di chi non era greco. Per i greci antichi “parlare greco” (hellenizein) rimanda anche all’assunzione dello stile di vita greco; dunque, hellenistes è colui che parla greco e assume atteggiamenti culturali di derivazione greca. Hellenismos poteva anche includere la koinè (il greco comune), la versione semplificata dell’attico in rapporto agli altri dialetti. Il verbo hellenizein può essere messo in contrapposizione col termine attikizein, parlare il puro attico. | greci, infatti, dividevano il mondo tra greci e barbari, ma chiunque poteva parlare greco e diventare greco. È una visione del mondo in cui si incontrano la convinzione del proprio primato culturale e l’idea di ethnicity che privilegia i dati linguistici e culturali, piuttosto che l'appartenenza di sangue. A contrasto però c’era lo scorso interesse dei greci ad avvicinarsi ad altre lingue e culture (fenomeno che si svilupperà nel mondo nuovo di Alessandro Magno, a partire dagli anni 30 del V sec). Fu Droysen, studioso ottocentesco, a utilizzare il termine hellenismòs per descrivere il nuovo mondo, che, dopo la campagna militare (334-330) che vide Alessandro a capo dell'impero persiano, cambiò notevolmente. Da quel momento si sviluppò una nuova forma di cultura, data dalla fusione della cultura greca e quelle orientali. Il modo di guardare il mondo antico è fortemente condizionato dal presente, ma niente sminuisce la tesi di Droysen; infatti, ad oggi è impossibile trovare un termine diverso da hellenismos per descrivere l’era aperta da Alessandro Magno. | suoi studi sono fondamentali anche per la delimitazione cronologica. La sua opera si sviluppa in tre volumi, uno dedicato ad Alessandro, uno ai successori e uno al sistema statale ellenistico; al suo interno suggerisce due letture alternative: 1. Inizio dell’ellenismo con le guerre dei diadochi e con la morte del re nel 323 2 Comprende nell’ellenismo tutto il regno che Alessandro creò a partire dal 336 Il termine più basso era individuato storicamente nella scomparsa dell'Egitto tolemaico, l'ultimo degli Stati nati dall'impero di Alessandro (nel 31 a.C. con la sconfitta di Marco Antonio e Cleopatra per mano di Ottaviano ad Azio); ma allo stesso tempo dava una lettura amplissima dell'ellenismo culturale, artistico, letterario che ha come punto d'arrivo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi nel 1453 d.C (caduta dell'impero romano d'oriente). Fu Wilamowitz-Mollendorff a imporre come data possibile per la conclusione dell'età ellenistica il 30 a.C., in quanto racchiude un insieme di vicende, come la conclusione del Regno tolemaico e dell'ultima dinastia dei diadochi, l'ingresso di Ottaviano ad Alessandria, la prima fase di trasformazione della Repubblica in Principato. In realtà gli equilibri del sistema internazionale che si era venuto a creare dopo le conquiste di Alessandro erano tramontati già prima del 31 a.C. AI mondo ellenistico aveva già posto fine la vittoria di Lucio Emilio Paolo sul re macedone Perseo a Pidna nel 168 a.C. In termini di storia culturale Droysen estese la storia ellenistica oltre l'anno 30 a.C. A seguito dell'eliminazione dei regni ellenistici si può parlare di un impero greco- romano. S'ipotizza, a seguito di questa teoria, come termine cronologico basso il Principato di Adriano (117-38 D.C.) Le fonti per lo studio della storia ellenistica L'estrema complessità di varianti locali caratterizza le strutture, i processi economici, i rapporti sociali, le ideologie politiche e i rapporti tra Stati, le istituzioni delle poleis, le forme di culto e le espressioni artistiche e letterarie. La nostra conoscenza della storia greca, a partire dal V secolo, è costituita da opere della grande storiografia di autori contemporanei ai fatti (Erodoto, Tucidide e Senofonte). Per quanto riguarda la storia ellenistica l'unico storico contemporaneo è Polibio e i suoi giudizi incidono sulla nostra possibilità di intendere i frammenti che sono giunti. È grazie a Polibio che recuperiamo sezioni importanti della storia di Sicilia (di Timeo di Tauromenio). Il naufragio quasi totale della letteratura ellenistica ci priva di opere di interi sottogeneri, come l’alessandrografia e della storiografia locale. Un sottogenere popolare è la storia dei santuari e dei culti locali. La biblioteca storica di Diodoro Siculo, summa della storiografia a beneficio del pubblico colto nel | secolo, guida all'età di Filippo Il e di Alessandro, alla prima fase della guerra dei diàdochi e alle vicende dalla Sicilia. La conservazione parziale rende difficile lo studio della storia evenemenziale del III secolo. Le motivazioni per cui certe opere sono sopravvissute ed altre no, sono accidentali. È stato osservato che le scelte tematiche degli storici di epoca romana riguardanti la storia ellenistica, rispecchiano un interesse polarizzato attorno all'impero di Alessandro e alla conquista romana della Grecia e dell'oriente. | greci stessi, in epoca romana, consolidarono un interesse classicistico per la storia del V e IV secolo, che finì per tagliare fuori le vicende che seguono l'epoca dei diadochi. Pausania considera l’epoca dell’egemonia macedone una di decadenza, concentrandosi sull’età dei Diadochi. Per un mutamento del gusto letterario gli storici che parlavano dei diadochi non erano letti in età imperiale. Bisogna tenere in considerazione anche le circostanze della conservazione delle opere (frammenti) che possano giustificare il naufragio. Quanto sopravvissuto della letteratura agonistica offre materiale agli storici (pensiero politico Aristotele e la sua idea di polis). La commedia attica, inoltre, offre spunti riguardanti la vita, la società e il diritto ateniese. La complessità della storia mistica si coglie anche ponendo lo sguardo sulle testimonianze epigrafiche, numismatiche e papiracee. Il patrimonio epigrafico disponibile in epoca ellenistica e romana e abbondante; alcune località si confermano generose di epigrafi, anche in tutta l'età ellenistica, ed altre, come la Macedonia, iniziano a parlare attraverso le iscrizioni. In generale, il panorama geografico è esteso nelle aree di lingua greca e nelle altre parti con gente parlante greco. Nei decreti onorari si riscontra una crescente tendenza a includere narrazioni dettagliate (con pathos). La quantità di papiri restituiti dall'Egitto ellenistico-romano è straordinaria: ci sono papiri di contenuto letterario che consegnano un documento grezzo, probabilmente destinato ad archivi privati. Iscrizioni, papiri e monete richiedono una competenza tecnica per essere interpretati correttamente. | documenti epigrafici sono difficili da datare ad annum, a meno che non si tratti di testi delle cancellerie reali datati con l'anno di Regno del sovrano. L'analisi dei papiri documentari consente di rimettere in discussione idee consolidate sulla natura del Regno tolemaico e degli aspetti che lo caratterizzano. Per l'importanza della corretta interpretazione storica dei dati numismatici un esempio offerto dalla Macedonia: la corretta datazione delle monete che portano l'indicazione della meris (distretto di emissione) ha permesso di attribuire questa suddivisione amministrativa agli ultimi re antigonidi. Nel campo delle fonti scritte la conoscenza dipende dai testi scritti in greco, legati alla diffusione della koiné. ogni studioso di storia deve confrontarsi criticamente con i documenti scritti in lingue diverse che permettono di cogliere aspetti essenziali delle interazioni degli Stati durante il Regno tolemaico e di fare emergere la reazione all'ellenismo (Momigliano definisce come un fenomeno storico). la letteratura sacerdotale babilonese getta luce sugli episodi delle guerre dei diadochi e sui rapporti dell'elite sacerdotale con gli Achemenidi. Proprio l'egemonia esercitata dal greco sulle fonti scritte testimonia le forme di ibridazione culturale dell'epoca ellenistica. L'indagine archeologica illustra questi processi nel campo delle tecniche, dei linguaggi visivi, dell'architettura e delle arti figurative. 1.3 Qualche aspetto caratteristico dell’età ellenistica | caratteri centrali della storia ellenistica: ® Il policentrismo per il Ve il IV * Declinazioni locali di sistemi economici, culti, istituzioni politiche ® Tutte le sfumature della cultura ellenistica La civiltà che ne deriva è molto complessa e sfaccettata nata da processi di avvicinamento e contatto. Un passo di Plutarco ha contribuito a modellare l'immagine dell’ellenizzazione nel quadro dei territori conquistati da Alessandro (aveva insegnato a praticare il matrimonio, l'agricoltura, la cura dei genitori, a venerare gli dei e a seppellire i morti, aveva diffuso la cultura omerica e le istituzioni greche in Asia). ® laricchezza dei sovrani e i modi socialmente utili di impiegarla ® il ruolo delle corti e delle élites nel funzionamento degli Stati e lamobilità di alcune fasce sociali. La storia della biblioteca di Alessandria è al cuore del fascino dell'epoca ellenistica: molte informazioni sono dubbie, come le cifre di biblia, intesi come rotoli di papiro, che essa avrebbe contenuto fin dall'epoca di Tolemeo Il Filadelfo, ma la sua centralità nella produzione, conservazione e diffusione della cultura in epoca ellenistica è indiscutibile. Se le sue dimensioni e la quantità di libri contenuti sono da ridimensionare, non c'è dubbio che il finanziamento di grandi biblioteche fu uno dei in cui meglio si espresse la competitività dei grandi Stati ellenistici e la propaganda dei sovrani. Parallelamente, si afferma come un elemento ricorrente e centrale dell'evergetismo regio il finanziamento all'opera di studiosi, ricercatori, scienziati, scrittori, artisti: le carriere di Pindaro o di Euripide mostrano che forme di mecenatismo intellettuale da parte di re e tiranni erano esistite anche in passato. Viceversa è possibile che un modello parziale sia venuto dal mondo mesopotamico, dove erano esistite grandi biblioteche (es: quella di Assurbanipal a Ninive) e dove forme di regolare sostegno alle attività intellettuali sono ben attestate dai documenti dell'Esagila di Babilonia. Nell'organizzazione del museo e della biblioteca di Alessandria, insomma, il modello delle scuole filosofiche ateniesi e del Liceo non fu probabilmente l'unico. Dall'attenzione particolare riservata al sostegno della scienza e delle tecniche applicate discende l'eccezionale ricchezza di risultaci della speculazione ellenistica in matematica, ingegneria, fisica, astronomia, medicina, urbanistica: in questi campi gli studiosi ellenistici hanno fatto segnare il punto più alto nella storia premoderna delle discipline e hanno elaborato un metodo scientifico con conseguenze dirette sulle condizioni di lavoro, sul sostegno dei sovrani ai loro sforzi e sulla possibilità di condividere idee e ambiente di lavoro con colleghi. Proprio la cooperazione, il confronto delle idee, la convivenza quotidiana con altri studiosi sembrano un dato particolarmente interessante: queste condizioni privilegiate spiegano non solo i progressi delle scienze, ma anche certi caratteri di particolare vivacità e competitività della letteratura ellenistica e le relative polemiche intellettuali (es: la straordinaria versatilità di intellettuali come Eratostene di Cirene comportò che i nemici lo chiamassero beffardamente Beta o Pentathlos, a suggerire che si impegnava in molti campi senza primeggiare in nessuno: ma egli è il simbolo forse migliore di un'epoca in cui le frontiere era le discipline, come quelle geografiche, divennero mobili). | linguaggi della politica e i culti dei sovrani (Mari) 4.1 Re ellenistici e comunità locali: alla ricerca di un linguaggio comune Il lessico politico non è monolitico o neutro, le parole dalla storia politica possono acquisire un nuovo valore in un mutato contesto generale o, se cadute in disuso, possono essere recuperate a seconda delle nuove circostanze; uno stesso termine può avere un valore anche significativamente diverso a seconda di chi e in quale contesto lo utilizzi. Riguardo al lessico greco della democrazia e al demos, che indica un preciso organo decisionale (l'assemblea), frequentemente è utilizzato, in chiave teorica, come equivalente di demokratia, per descrivere una delle forme costituzionali storicamente attuabili. La flessibilità del lessico politico in condizioni mutevoli si osserva in particolar modo nell'epoca segnata dalle trasformazioni. Alcuni termini consentono di verificare il debito del linguaggio politico ellenistico verso la tradizione della Grecia delle grandi città. Un esempio è dato dalla traiettoria semantica di autonomia: nella seconda metà del V secolo il sostantivo definiva l'indipendenza e la capacità di autodeterminazione di uno stato; nel IV secolo circoscrive, invece, ambiti decisionali lasciati alla polis, legittimando un sistema di rapporti fra Stati; in età ellenistica sono descritti come autonomi quei popoli che nei secoli precedenti sarebbero stati definiti soggetti (hypekooi). Grazie a questa capacità di adattamento i termini e i concetti poterono continuare a vivere in epoca ellenistica all'interno di stati definibili a sovranità limitata. La forza del linguaggio politico ellenistico risiede nel fatto che questo e capace di adattarsi in un mondo in cui la città, vista come organizzazione statale, ha perso la sua centralità (lessico di Aristotele, che infatti non parlerà mai della costituzione dei macedoni). La Macedonia, anche prima delle grandi conquiste di Filippo II, è un'entità politica inconciliabile con la polis; dunque, dei Macedoni non si può descrivere la politeia: la cellula fondante del loro Stato è il sovrano, o nella migliore delle ipotesi il binomio basileus kai makedones, base carismatica della regalità macedone e fondamento giuridico ed economico dello Stato. L'opposizione tra documenti emessi dalle cancellerie reali e leggi e decreti, come espressioni caratteristiche, rispettivamente, del linguaggio dei sovrani e di quello delle città, è una semplificazione schematica che consente di capire aspetti importanti sia del dialogo tra Stati monarchici e poleis, sia di quanto ancora sopravvivesse della dialettica politica interna a queste ultime. La parola del re è fonte di diritto per le città e interagisce con le istituzioni e la produzione legislativa locale. Le testimonianze epigrafiche offrono in quest'ambito squarci insostituibili sul dialogo che si instaura il sovrano e le comunità. Temi come quelli affrontati da Alessandro nel celebre diagramma del 324 o da Filippo v nelle lettere ai Larisei del 217 e del 215 incise in una celebre iscrizione (rispettivamente, il richiamo degli esuli nelle città greche e l'allargamento dei diritti di cittadinanza) interferivano gravemente con l'autogoverno delle comunità e avevano conseguenze socioeconomiche pesanti; non a caso sollevarono reazioni violente e contrastanti: nel giudizio di Diodoro Siculo il provvedimento sugli esuli fu la vera ragione della vasta ribellione antimacedone che esplose fra le città greche alla morte di Alessandro (la guerra lamiaca); Filippo v fu costretto invece a scrivere una seconda volta ai Larisei. Il “dossier di Larisa”, in cui le due lettere reali sono inglobate nei decreti cittadini, mostra in modo esemplare i reciproci condizionamenti tra i due linguaggi e la complessità dei negoziati tra potere centrale e realtà locali, che passavano anche attraverso la faticosa ricerca di parole condivise. Due aspetti emergono da questi esempi: 1. nessun re si rivolgeva a una città greca su faccende che toccavano direttamente la definizione di corpo civico 2. ognire aveva bisogno di costruirsi un consenso preliminare Il potere centrale e la diplomazia di corte, dunque, non solo operavano a costruire le basi di un linguaggio rispettoso delle autonomie locali, ma individuavano in anticipo punti di riferimento privilegiati in quegli esponenti politici locali disponibili ad accoglierne e mediarne le richieste. Nel giudizio di Diodoro, Alessandro avrebbe disposto il richiamo degli esuli anche per potenziare il partito a lui favorevole nelle varie città, così da stroncare ogni tentativo di rivolta; la prima lettera di Filippo V ai Larisei lega l'iniziativa del re a un'ambasceria con alcuni dei magistrati cittadini in carica. In entrambi i casi, il sovrano interviene sulla base di una conoscenza di prima mano delle dinamiche e dei contrasti interni alle città. Dominare il linguaggio tradizionale della politica cittadina voleva dire manipolarlo a proprio vantaggio: lo capirono anche i Romani (es: Polibio: gli abitanti di Egina, conquistata da Publio Sulpicio Galba nel 110 a.C., chiedono ai Romani il permesso di mandare ambasciatori alle città imparentate per raccogliere il riscatto da versare. La prima reazione del console è un rifiuto; solo in un secondo momento Publio, informatosi meglio sulle usanze locali, concede un atto di umanità (philanthropon) non dovuto). Ma i Romani impararono a rivolgersi ai Greci nelle forme e nei contesti cerimoniali e utilizzando le parole adatte. Così, negli anni successivi alla vittoria nella seconda guerra macedonica, Tito Quinzio Flaminino utilizza due feste della periodos, le Istmie del 196 e le Nemee del 195, rispettivamente, per annunciare la liberazione di Corinzi, Focesi, Locresi, Eubei, Achei Ftioti, Magneti, Tessali, Perrebi dal giogo macedone e quella degli Argivi dalla minaccia del tiranno Nabide di Sparta. Pochi anni più tardi, dopo la definitiva vittoria sui Macedoni a Pidna, Lucio Emilio Paolo organizzò una panegyris nella città di Anfipoli, nel 167, per annunciare la risistemazione repubblicana dei territori degli Antigonidi. I rapporti tra Romani e Greci furono scanditi dalla faticosa costruzione di un linguaggio comune. L'applicazione del lessico evergetico consente ai Greci di accogliere pubblicamente l'immagine che i vincitori volevano veicolare di sé, sollecitando così un esercizio del potere basato sull'eterna dialettica tra beneficio e riconoscenza. Le poleis riutilizzarono un bagaglio lessicale che avevano impiegato per orientare in proprio favore la politica dei re ellenistici: la differenza di fondo è che a un sistema bilanciato e conflittuale si sostituisce progressivamente, tra la fine del Ill e la prima metà del Il secolo a.C., l'impero unico dei Romani. Se i Romani seppero appropriarsi di parole per secoli utilizzate dai re ellenistici e ben note ai Greci, il loro linguaggio del potere rimase nella sostanza diverso, e i Greci. Polibio si assunse i compiti di narrare e spiegare l'ascesa di Roma all'impero mondiale e di tradurre le tradizioni politiche greche per i Romani, e viceversa. La sua testimonianza è una narrazione fortemente orientata di uno storico che fu un uomo politico. Così, dalla posizione privilegiata di chi conosce non solo l'esito della battaglia di Cheronea, ma le vicende storiche successive, Polibio può permettersi di polemizzare circa gli uomini politici delle città greche del IV secolo che era legittimo definire traditori. Polibio utilizza i termini della viva polemica tra fazioni e tenta di precisarne il senso: ma la sopravvivenza nella sua opera di una strategia politica portata avanti con altri mezzi, deve indurre alla cautela quando valutiamo il suo impiego dei termini o il suo giudizio. Delle diverse forme di politeia, nel VI libro delle Storie, Polibio offre una visione complessiva, da teorico, ma il suo è un programma politico vero e proprio. Di qui il suo giudizio tutt'altro che uniforme sulle democrazie e la loro riuscita sul campo. Doveva essere una polemica comune in età ellenistica, quando qualsiasi governo repubblicano si definiva una demokratia, ma non c'era accordo su cosa. In Polibio è assai complesso anche l'atteggiamento verso i regni ellenistici, che vuole distinguere sovrano da sovrano. Qualche tratto di novità proviene dal mondo degli intellettuali di corte (es: leronimo di Cardia, collaboratore dei re antigonidi e storico, e Tolemeo, lo storico che è un basileus). | documenti politici sono sempre frutto di mediazioni, e in molti casi rivelano marginalmente i traumi e le lacerazioni. 4.2 il culto dei sovrani ellenistici e le sue declinazioni È inevitabile cominciare l'esame della diffusione dei regimi monarchici da due episodi della vita di Alessandro. 1. Il primo è il dibattito del 317 sull'introduzione a corte della proskynesis, un profondo inchino, accompagnato dall'invio a distanza di un bacio, che i Persiani tributavano a qualunque personaggio di rango superiore, ma che ai Greci sembrava appropriato solo verso le immagini divine. Dette voce al malcontento Callistene. Nelle sue parole, la linea di confine in materia di onori che è lecito offrire al sovrano divide i barbari dell'Asia dai conquistatori greci e macedoni: potevano avere un peso decisivo la sollecitazione degli onori da parte di un re e la mediazione dei suoi sostenitori locali. La gran parte degli altri culti cittadini di re ellenistici è nota dai testi epigrafici, e qui la naturale reticenza della narrazione pubblica rappresenta gli onori come spontaneamente offerti dalle comunità. Le città adottano un registro linguistico evergetico per indurre i sovrani ad adeguarsi a quella rappresentazione benevola del loro potere: in quest'ottica gli onori divini sono uno strumento di pressione, per vincolare il re a un atteggiamento mite. Il culto dei sovrani nelle città è insomma il frutto di un negoziato tra la ricerca di legittimazione e consenso da parte del re e il tentativo delle città di assicurarsene il favore. L'impero si configura come una forma di interazione e questa dinamica risulta evidente quando il controllo di una città è conteso tra diversi Stati monarchici. Il culto istituito per Antigono e Demetrio ad Atene nel 307 fornisce un catalogo delle forme concrete che i culti civici per i sovrani assumevano. Il catalogo include rappresentazioni in statue o altre opere d'arte; la destinazione di luoghi di culto e aree sacre, con altari, e dunque sacrifici e sacerdoti; l'esecuzione di inni; la destinazione di feste, di nuova istituzione o all’interno di altre preesistenti; l'eponimia di partizioni della cittadinanza. Le modalità del culto sono direttamente ricalcate su quelle riservate agli dèi tradizionali, con una differenza: nessun nuovo tempio fu costruito per i theoi Soteres o per il solo Demetrio ad Atene. La Macedonia offre una casistica ridotta, ma significativa, sul culto cittadino dei sovrani, limitata alle aree annesse al regno non prima dell'età di Filippo II, con un certo anticipo sugli sviluppi analoghi di epoca ellenistica nel resto del mondo greco. La testimonianza più antica riguarda un culto offerto ad Aminta III (padre di Filippo) da Pidna. Le altre notizie sicure riguardano le aree esterne al nucleo del regno: Anfipoli e la valle dello Strimone, Cassandrea e la Calcidica, Maronea, Filippi e Filippopoli e Taso. Non meno interessante è il confronto tra la Macedonia e gli altri regni ellenistici nel campo del culto statale dei re o di altri membri della dinastia defunti. Qui esso non assunse mai una strutturazione precisa e organizzata, ma si sviluppa dalla tradizione macedone dei culti dei sovrani ellenistici: la necropoli reale di Ege (moderna Vergina) è il simbolo stesso della continuità dinastica. In Egitto, l'alto valore annesso alla memoria e al culto dei re defunti sembra derivare dalle consuetudini macedoni e greche. Il vero salto di qualità nella strutturazione del culto dinastico tolemaico si compie con Tolemeo Il Philadelphos, che istituì il culto postumo di suo padre Tolemeo | e di sua madre Berenice. La definitiva monumentalizzazione dell'area delle tombe reali si deve invece a Tolemeo IV Philopator, nel 215; molto più tardi un re non identificabile da Strabone, forse Tolemeo IX o Tolemeo X, pressato dai debiti, avrebbe venduto la teca d'oro contenente i resti di Alessandro e l'avrebbe rimpiazzata con un più economico contenitore in alabastro. Il culto dei sovrani defunti era collettivo e dinastico, ma ciascuno era indicato con i suoi titoli nelle formule di datazione di documenti fatte con la menzione dei sacerdoti eponimi. Questi ultimi erano scelti dal re; a partire dalla fine del Il secolo sono noti anche casi in cui il re stesso assume il sacerdozio. Documenti da diverse città del regno ci informano sulla titolatura dei sacerdoti a livello locale e sulla possibilità che una sola persona fosse sacerdote del culto del re vivente e di quello degli antenati. Le esperienze tolemaica e seleucidica mostrano l'impossibilità di separare completamente il culto collettivo dei re defunti da quello del re o della coppia reale vivente. Una conferma interessante viene dal caso della dinastia degli Orontidi in Commagene, uno dei regni autonomi che si formano nel Il secolo dal disfacimento dello Stato seleucidico, e qui, nel lungo regno di Antioco | assistiamo all’organizzazione centralizzata del culto dei re defunti e del re vivente. Monumenti e iscrizioni di eccezionale interesse, da diverse località e in particolare dall'area del Nemrud Dagi, mostrano che Antioco I istituì il culto dei suoi antenati e associò sé stesso a un singolare pantheon di divinità sincretistiche greco-iraniche. Un'iscrizione di particolare interesse da Eski Kale include lo hieros nomos (legge sacra) che regolamenta il culto. Le schiere di ritratti dei progonoi istituivano poi un artificioso collegamento genealogico tra Antioco e le più prestigiose tradizioni di potere regale. L'Egitto rappresenta la forma di culto dinastico centralizzato meglio sviluppata. In Siria, anche il culto della coppia reale conosce una sistematica organizzazione sotto Antioco III. A Pergamo è forse impossibile distinguere culto cittadino e culto centralizzato dei sovrani. In Macedonia, una divinizzazione ufficiale del re vivente al livello del potere centrale sembra da escludere: la strada 10 tracciata da Filippo Il con l'inserimento della sua effigie nella processione dei Dodici Dèi, a Ege nel 336, non fu seguita da nessuno dei suoi successori. È bene non sorprendersi per le incoerenze di un testo religioso e cerimoniale quale l'inno itifallico ateniese del 291: qui Demetrio prima è esaltato per associazione alle divinità tradizionali, poi per contrapposizione a esse (perché Demetrio è presente e può offrire un aiuto concreto, gli dèi sono invisibili e lontani; di qui la centralità dell'idea di epiphaneia e dello stesso epiteto Epiphanes). Ci troviamo in qualche modo di fronte a una forma nuova di eusebeia (pietà, devozione): è lo stesso Ateneo che ci trasmette il testo dell'inno a dirci che veniva eseguito non solo in pubblico, ma anche casa per casa. Più in generale, il culto del sovrano nelle sue diverse forme si nutre di caratteristiche essenziali del politeismo greco: l'adattabilità del pantheon olimpico alle infinite varianti locali e la costante disponibilità ad accogliere nuovi culti; l'interpretatio Graeca di divinità straniere; la possibilità di riconoscere a esseri umani dai meriti eccezionali; l'antica tradizione di attribuire a gene illustri un capostipite divino. 11 La corte e la città: interazione e competizione (Rafchidis) «Di quali benefici, allora, priva l'esilio, e di quali mali è causa? lo, per parte mia, non lo so. Possiamo finire nella rovina più completa sia venendo esiliaci, sia restando in patria. Gli esuli - si dice - non assumono ruoli di comando, non godono della fiducia di nessuno, non hanno libertà di parola: eppure certi esuli governano città in nome dei re, sono rispettati da intere nazioni e ricevono donazioni e stipendi ingenti» (Telete di Megara, Sull'esilio 23, ed. Hense). 6.1 Corte reale e casa reale La corte reale si può studiare: 1. come luogo fisico in cui i re risiedono, si trattano affari di governo e l'ideologia monarchica è esibita; 2. come un meccanismo amministrativo: il livello supremo del governo centrale negli Stati monarchici e il centro principale delle reti personali di potere; 3. come l'area politica in cui si manifestano relazioni di potere: tra individui, tra strutture di potere all'interno di un regno, e tra diverse strutture statali. La corte non è semplicemente la somma totale delle persone al servizio dell'amministrazione reale. Un ufficiale militare, un amministratore, un aristocratico o leader civico locale non fanno necessariamente parte della corte: possono farne occasionalmente, ma non lo sono per definizione. Tito Livio dà una descrizione delle élites del regno macedone deportate in Italia dai Romani nel 168 a.C.: tra cui vi erano gli amici del re e coloro che indossavano la veste di porpora, generali dell'esercito, alti ufficiali della marina e delle guarnigioni, ambasciatori e tutti quelli che erano al servizio del re. Inoltre, la maggioranza dei membri dell'élite di corte erano legati personalmente al re da legami di amicizia istituzionalizzata (philia) o da una parentela fittizia. È da sottolineare però che non tutti i philoi del re erano parte dell'élite di corte, né tutti i membri dell'élite di corte erano philoi. Alcuni esempi sono rappresentati dai paggi reali (basilikoi paides) e dalle regine. | basilikoi paides erano, nel prototipo macedone, i rampolli delle famiglie aristocratiche; vivevano a corte in adolescenza, servivano da attendenti personali del re e ricevevano un'istruzione scolastica e militare del più alto livello. Senza essere legati alla persona del re né da philia né da parentela, erano membri ugualmente dell'élite di corte regno. Il fatto che si esercitassero e studiassero insieme al futuro re dava loro eccezionali opportunità di carriera, basati su un forte legarne di fiducia e cameratismo che si era creato nella prima giovinezza. Tecnicamente, i membri della famiglia reale non erano parte del meccanismo decisionale del regno, eccetto gli eredi designati. Ma la regalità macedone era stata, così come sarà la regalità ellenistica, un dominio personale, ereditabile, piuttosto che un ufficio impersonale. | Temenidi regnavano sui Macedoni: erano all'apice di uno Stato ed erano tenuti a sostenere gli interessi di un ethnos. Questo carattere personale della regalità si accentuò ulteriormente nei regni ellenistici. Il significato attribuito alla persona, e dunque alla famiglia, del re spiega il ruolo importante delle donne della famiglia reale a corte. Esse erano a tutti gli effetti parte dell'élite di corte, anche in senso politico, per diverse ragioni: per il loro status simbolico; perché le regine ellenistiche potevano disporre di terre e di proprie corti, che includevano personale, guardie proprie e damigelle d'onore; per il loro ruolo politico, cioè snodi essenziali nelle reti di relazioni personali che legavano la corte alle élites cittadine. Un episodio poco noto, esemplare: un decreto onorario da Trezene descrive gli sforzi della città per riscattare un contingente navale catturato dalle forze seleucidiche in Asia; incapaci di assicurarsi il favore del re Seleuco I, i Trezenii ricorsero ai servigi di un cittadino di una colonia, il quale prese contatti con la regina Stratonice, figlia di Demetrio Poliorcete, la quale assicurò il rilascio della flotta. 12 che impediva a un cittadino greco di procurarsi un impiego del genere era la mancanza di aspirazioni. | casi più interessanti di interazione tra corte ed élites cittadine sono coloro che creavano un collegamento tra la polis d'origine e la corte, diventando cortigiani, continuando a far parte dell'élite locale, o mantenendo entrambi i ruoli. Il buon senso spingeva qualunque città cercasse l'aiuto di un re a servirsi di qualcuno che aveva già entrature in quella corte per migliorare le proprie chances di successo diplomatico. Un esempio è offerto dal decreto onorario per Tersippo, di Nesos, il quale era stato ufficiale di primo piano dell'esercito macedone durante la campagna d'Asia di Alessandro e più tardi philos di Filippo Ill e Alessandro IV; grazie ai contatti, riuscì ad assicurare parecchi benefici a Nesos. Poter contare su un rappresentante ben introdotto non giocava, tuttavia, sempre a vantaggio della città. Esistono parecchi esempi di membri di un'élite locale che finirono per favorire non gli interessi della città ma quelli della corte. Quando le autorità di Selge, in Pisidia, dovettero inviare un'ambasceria a Garsieri, nel 218, ritennero di aver trovato l'inviato ideale nel loro concittadino Logbasi, ma tentò di tradire la sua città e di consegnarla ai soldati di Acheo. Oltre che un passato, la relazione dei cittadini che agivano da intermediari con le corti aveva spesso, come si diceva, anche un futuro. Stratocle godette di autorità politica ad Atene grazie ai rapporti che aveva con Demetrio Poliorcete; Menedemo, filosofo e leader politico di Eretria, rimase un fedele sostenitore di Demetrio e poi di Antigono Gonata per tutta la sua carriera politica. Spesso, il legame tra un uomo pubblico e una corte veniva tramandato alle generazioni successive: i padri introducevano i figli nelle corti con cui erano in contatto, seguendo il modello consolidato dell'amicizia ritualizzata. Per la Grecia continentale: la famiglia di Aristippo governò Argo dal 272 al 224 a.C.; il predominio locale della famiglia fu creato e consolidato dal sostegno militare di Demetrio Poliorcete. Arato di Sicione non sarebbe salito al potere e ai vertici del koinon degli Achei se non avesse ereditato i contatti personali di suo padre. Egli si servì del denaro dei Tolemei per affermarsi come nemico dei Macedoni, prima di diventare un membro della corte macedone; suo figlio fu esponente della corte di Filippo v. La famiglia di Asconda di Tebe produsse i più fedeli alleati degli Antigonidi. Infine, si direbbe che i contatti di Cos con la corte macedone siano stati gestiti dalla famiglia di Aristoloco. Gli uomini pubblici che in qualsiasi modo stabilivano un legame tra la loro città e una corte reale guadagnavano significativi benefici dal loro ruolo di mediatori. Prima di tutto potevano trarre enormi vantaggi dalla generosità dei re, finché ne servivano gli interessi. Il capitale politico era ancora più importante di quello pecuniario. Alcuni di questi personaggi erano formalmente messi a capo delle loro città natali dai re; altri diventavano i leader politici legittimi e indiscussi della loro città, spesso grazie al sostegno militare dei re. Una vera autonomia fu un obiettivo irraggiungibile per molte città di secondo piano ben prima dell'età ellenistica. La novità è nella frequenza con cui un intermediario aspira ora a progressi di carriera personali. In primo luogo, le corti reali erano il luogo naturale in cui cercare rifugio dopo un rovescio di fortuna in patria. Dai re ai privati cittadini la storia ellenistica è piena di storie di importanti leader locali che cercano rifugio in una corte reale. Alcuni di loro acquisirono grande potere in esilio e divennero i consiglieri più ascoltati: Demetrio di Faro fu una figura chiave dello staff di Filippo V e il cartaginese Annibale divenne un consulente di primo piano di Antioco III. Leader politici che erano stati abbastanza saggi da coltivare relazioni con più di una corte non finivano necessariamente in quella del loro protettore: Demetrio del Falero scelse una sistemazione presso Tolemeo I. In generale, coloro che agivano da intermediari tra una città e un re spesso partivano dalla scena politica locale per poi trovare un impiego presso quel re o entrare a far parte del suo Consiglio. I re potevano servirsi di questi ambiziosi politici locali in tre modi. In primo luogo, i membri delle élites cittadine erano utili a riempire i ranghi dell'amministrazione regia. | regni e le corti ellenistiche erano strutture finalizzate a riscuotere le eccedenze di ricchezza dalle popolazioni locali; erano macchine militari professionali; erano produttori e consumatori di cultura. Di conseguenza, i re avevano costante bisogno di circondarsi di persone di talento e il mondo delle poleis greche forniva un'inesauribile riserva di candidati. In secondo luogo: importanti per i re erano i membri delle élites cittadine che restavano attivi a livello locale, in quanto erano la via più economica per imporre la propria volontà alle popolazioni locali (l'alternativa sarebbe stata un monitoraggio militare. Con la collaborazione delle élites i re potevano assicurarsi nella peggiore delle ipotesi una neutralità favorevole, nella migliore una 15 alleanza; una fonte di tributi e di forze armate. Le élites cittadine avevano un ruolo essenziale nell'inquadrare la presenza del re: grazie a loro si votavano decreti per concedere onori, si celebravano le azioni, e si prestava un culto al re di volta in volta divinizzato. Quando Stratocle, ad Atene, nel 303 e nel 302 propose in assemblea decreti identici che concedevano la cittadinanza ad amici di Demetrio Poliorcete, egli: tradusse la volontà del re nel lessico istituzionale locale. In terzo luogo: c'è una ulteriore categoria di intermediari tra città e corti, si tratta di persone che appartennero alle strutture politiche del loro Stato di origine e all’amministrazione reale, o si spostarono agilmente da un ruolo all'altro nel corso della loro carriera. Ne esistono decine di esempi: la maggior parte di questi riguardano città, come Atene, o ethne, come l'Acaia o l'Etolia, ossia Stati che cercarono di respingere il controllo dei re e continuarono con l’autonomia politica. Le variazioni nei ruoli ricoperti da questi personaggi sono frequentissime. Alcuni di loro erano inizialmente esponenti dello staff reale, cui furono poi destinati a una carica che includeva nella sua area di giurisdizione la loro città d'origine. Callicrate di Samo fu una figura chiave della talassocrazia tolemaica e un membro importante della corte, legato alla regina Arsinoe II. Testimonianze epigrafiche da Samo suggeriscono che egli fu tenuto in alta considerazione, ma non c'è prova che egli sia stato onorato. Eraclito di Atene fu un ufficiale dell'esercito macedone; ebbe un ruolo importante nel diffondere a livello locale la propaganda regia, ma non rivestì un ruolo istituzionale nella politica ateniese. Spesso questi esponenti dello staff reale coinvolti nella politica locale oscillavano con una certa libertà tra i due ruoli. Callia era un ateniese in esilio alla corte tolemaica; durante la rivolta ateniese contro il Poliorcete nel 287, egli comandava una flotta tolemaica presso Andro; si unì alla rivolta; tornò ad Alessandria, dove facilitò il lavoro delle ambasciate ateniesi; alla morte del suo re (Tolemeo II) tornò ad Atene, continuando a facilitare i contatti tra le due parti; infine, rientrò nell'amministrazione tolemaica come comandante militare. Il filo conduttore della sua carriera è il suo doppio ruolo: Callia fu un ufficiale tolemaico che aiutò Atene. Il poeta comico Filippide fu attivo ad Atene come esponente dei democratici antimacedoni, prima di andare in esilio alla corte di Lisimaco di Tracia; in seguito, servì sia gli interessi di Atene sia quelli di Lisimaco; assunse per breve tempo la carica di agonothetes, e il linguaggio impiegato è quello di statista, ma era semplicemente un cortigiano. Arato di Sidone è un esempio estremo del percorso che conduceva dalla politica locale alla corte senza perdita di autorità in patria; fu lui a scegliere di cambiare con l'obiettivo di vincere contro Cleomene di Sparta; si alleò con Antigono Dosane e promosse le decisioni degli Achei; fece approvare una legge che impediva agli Achei di contattare un altro re senza il consenso di Dosane. Il suo legame con il successivo re macedone fu ancora più stretto: Arato divenne philos e consigliere di Filippo V; guidò contingenti dell'esercito macedone e missioni diplomatiche; prese parte ufficialmente al Consiglio del re. Ancor più conta la funzione nel favorire l'integrazione tra regni ellenistici e mondo delle poleis. Un esempio è offerto da Demodamante di Mileto, generale di Seleuco I; le testimonianze epigrafiche lo mostrano attivo nella vita civica; assicurò a Mileto benefici da parte dei sovrani. 6.4 Le città ellenistiche e l’incompiuta creazione di uno stato ellenistico Le forme tradizionali dello Stato greco continuarono a essere vive comunità politiche locali e fonte primaria dell'identità politica dei Greci. Inoltre, le poleis ellenistiche e le loro élites esibirono un dinamismo nel tentare di assicurarsi benefici concreti dalle corti reali. In questo sforzo impiegarono tutte le armi diplomatiche e ideologiche. Ai re conveniva presentarsi come fondatori di poleis, garanti della vitalità, alleviatori delle miserie, protettori della libertà. Le élites cittadine cercarono un compromesso utile sia alla polis che ai re, traducendo la dura realtà del potere monarchico nel linguaggio civico dell'evergetismo e nel culto del sovrano. Le poleis fecero del proprio meglio per creare canali di comunicazione con le corti reali: coltivando contatti con tutte le corti; offrendo onori al re e ai rappresentanti; utilizzando come intermediari cittadini ben introdotti e/o membri della corte. Questa diplomazia attiva a volte funzionava. Il linguaggio dei decreti onorari cittadini mostra che, dal punto di vista della città, ci si attendeva che i legami di natura evergetica producessero tangibili effetti in futuro, obbligando l'onorato a continuare a beneficare la polis. L'esempio classico di una poli offerto dai fratelli ateniesi Micione ed Euriclide: dopo essere riusciti ad allontanare la guarnigione macedone dal Pireo con la corruzione, adottarono una politica di stretta neutralità, conservando relazioni con le corti di ica estera versatile è 16 Alessandria, Pergamo e Pella. Le azioni di politici non vanno intese sempre come finalizzate esclusivamente a favorire i loro interessi personali. Alcuni esponenti avevano sicuramente a cuore anche l'interesse della loro città. L'oratore ateniese filomacedone Demade cercò di garantire alla città decisioni favorevoli da parte dei generali macedoni, coltivò relazioni e finì per perdere la vita proprio a causa di quei contatti. Gli esponenti della famiglia di Aristoloco di Argo agirono in modo contrario agli interessi di Pella. Aristomaco | decise di siglare un trattato di pace con Alessandro, figlio di Cratero, rivale di Antigono Gonata. Suo figlio, Aristomaco II, cedette ai tentativi achei di corromperlo e fece aderire la sua città al koinon acheo. I leader impiantati dai sovrani non sempre agivano secondo gli interessi di questi ultimi, perché erano sensibili alla necessità di rispettare il sentimento locale. L'esito strutturale delle reti beneficò in primo luogo il versante regio. Le città avevano costante bisogno dell'aiuto dei re: di denaro, di aiuto militare o diplomatico; di protezione armata; di interventi giudiziari; di un alleggerimento della tassazione. La crescente dipendenza fece sì che la leadership politica delle élites cittadine avesse costante bisogno di contatti con le corti reali. La densità crescente delle reti personali che legavano città e corte rese più confusa la distinzione tra l'essere un magistrato cittadino che collaborava con una corte e l'essere un collaboratore del re coinvolto nella vita politica locale. La polis ellenistica rimase una struttura più o meno intatta, come comunità politica, e i regni ellenistici non tentarono di incorporarla strutturalmente in uno Stato unitario: ciò avrebbe toccato diritti politici che erano incompatibili con il potere personale. L'incorporazione delle strutture locali nella formazione degli Stati monarchici, attraverso il legame delle élites locali con le corti reali, fu un processo lento e inevitabile. Per le élites locali, la conquista di posizioni di predominio locale divenne una strada ovvia: solo attraverso il loro forte attaccamento al potere imperiale e all'amministrazione provinciale romana gli individui eminenti potevano sperare di mantenere le loro posizioni di potere. Gli esponenti delle élites locali passavano ora attraverso un cursus honorum che includeva un'origine aristocratica, una buona educazione, benefici verso la città d'origine, assunzione di cariche locali e contatti con il potere romano e ambascerie a Roma. 17 Megalopoli e deplora l'insufficiente sfruttamento agricolo della regione. Nella tradizione sulle fondazioni di Alessandro il livello della myriandros polis è invece considerato quasi scontato. In una tradizione leggendaria, Dinocrate (progettista di Alessandria), avrebbe proposto di trasformare il monte Athos in una statua colossale del re, la cui mano sinistra potesse contenere appunto una myriandros polis: il re avrebbe declinato la proposta osservando che sarebbe stata dipendente dalle importazioni di grano. I mezzi eccezionali a disposizione dei sovrani rendevano possibili città con migliaia di abitanti: con una concezione nuova del rapporto economico e produttivo tra la città e il suo territorio e la rinuncia alla soglia dell’autarkeia. La larga disponibilità di terra regia e la concezione del regno come territorio conquistato con la lancia fanno sì che l'attività di fondatore di città divenga centrale nella rappresentazione dei sovrani ellenistici. Anche sulla politica coloniale e urbanistica dei sovrani ci si sottrae alle generalizzazioni: in Egitto l'impegno urbanistico dei Tolemei si concentra sull’estensione e monumentalizzazione di Alessandria; in Macedonia l'attività di fondazione di città nuove si arresta con la generazione degli Epigoni. Non è secondaria in questa evoluzione l'usanza di tributare onori cultuali agli ecisti: fondare città è la maniera più sicura di garantirsi uno status divino o eroico. A seguire, il possesso della tomba marca una relazione speciale con il fondatore: un caso notevole è a Demetriade, dove fu sepolto Demetrio Poliorcete, fondatore ed eponimo della città. Il passo plutarcheo che attribuisce ad Alessandro la fondazione di oltre settanta città presenta diversi aspetti di interesse. lizzazione è inteso da Plutarco nel senso di ellenizzazione. Un topos che associa ai caratteri positivi della regalità il ruolo civilizzatore e la fondazione di un gran numero di città è fatto valere per Seleuco | Nikator. Di questa politica urbana dei sovrani le fonti non tacciono gli aspetti di violenza o imposizione. Analogamente, della rifondazione di Efeso di Lisimaco, Strabone ricorda che, di fronte alla resistenza degli abitanti, dovette ricorrere a uno stratagemma doloso. Un documento epigrafico eccezionale come le lettere di Antigono Monoftalmo mostra tutte le difficoltà: uniformazione di norme giuridiche; assegnazione di alloggi, proprietà e aree funerarie ai nuovi abitanti; contenziosi di ogni genere. 7.3 Istituzioni cittadine e demokratia L'immagine delle realtà urbane che il mondo ellenistico ci offre è anche effetto della natura delle fonti disponibili. Delle vicende possiamo sempre informaci dalle fonti epigrafiche, in abbondanza, situazione contraria rispetto alla frammentarietà dei documenti. Di qui discende anche quell'impressione di estrema varietà nelle forme istituzionali, nelle procedure, nei nomi e nella rotazione delle magistrature, che sembra comunque in sé un'indicazione di vitalità. Tra le maglie di una retorica pubblica che in certi casi diventa standard i testi emessi dagli organi di governo cittadini ci informano su una quantità di questioni importanti e concrete sulle quali essi erano chiamati a deliberare: costruzione e manutenzione di edifici pubblici; approvvigionamento granario e alimentare in genere; gestione dei santuari locali e organizzazione di feste pubbliche; reperimento dei fondi necessari alle spese; nomina di ambasciatori; risoluzione di controversie interstatali; amministrazione della giustizia. La penuria di risorse e di entrate rende le città sempre più dipendenti dalla disponibilità finanziaria di ricchi "benefattori", e il peso di questi ultimi sulla vita pubblica altera gli equilibri sociali e politici delle comunità. Si diffonde l'uso della koine accompagnato a una maggiore tendenza a incidere su superfici durevoli e pubblicare documenti pubblici (epigraphic habit). La presenza del ginnasio era tra gli elementi architettonici che rendevano riconoscibile una polis: anche nella fortuna del ginnasio nelle città ellenistiche si è visto l'irraggiamento di un modello ateniese. Se una ricca tradizione letteraria testimonia della regolare pratica sportiva e degli agoni celebrati da Alessandro durante la campagna d'Asia, una conferma archeologica ed epigrafica dell'esportazione dei valori del ginnasio viene dal sito afghano di Ai Khanum: qui il ginnasio è parte di un'articolata rivendicazione di identità greca della città, che include la presenza di un teatro e l'esposizione di una stele monumentale. Un ginnasio, un teatro e un'agorà sorsero anche a Babilonia. La generalizzata presenza dei ginnasi nelle città vecchie e nuove e 20 la centralità di questa istituzione nella polis ellenistica è confermata dai tanti decreti onorari per ricchi euergetai. Il modello dell'efebia classica poteva essere declinato in forme diverse: in Macedonia fu reinterpretato in senso prevalentemente sportivo-militare e rimase funzionale alla preparazione dei futuri soldati. Nelle poleis fuori dalla Macedonia si affermò piuttosto l'idea del ginnasio come luogo di alta educazione dei futuri cittadini, simbolo della trasmissione di un nucleo di valori civici condivisi e gelosamente preservati. È comunque da riconoscere anche nelle città non macedoni una effettiva funzione militare dell'addestramento impartito nei. Soprattutto nei documenti dall'Egitto tolemaico l'appartenenza a quelli del ginnasio è una sottolineatura importante di status sociale. Un ultimo punto della possibile eredità ateniese nelle poleis ellenistiche è la larga diffusione di sistemi di governo che si autodefiniscono democrazia. In età ellenistica il termine è ormai rivestito di valore positivo. Cruciale è la testimonianza di Aristotele che ne registra la generalizzata diffusione. Molto tempo dopo Polibio deve adottare un termine specifico (ochlokratia) per descrivere la forma degenerata di democrazia, quella radicale e irrispettosa dei diritti di proprietà. In termini formali, i testi epigrafici mostrano che in moltissime città le istituzioni della democrazia funzionarono regolarmente per tutta l'età ellenistica. 7.4 La città e il mondo esterno: sudditanza, negoziato, cooperazione orizzontale Le poleis della Grecia, delle isole dell'Egeo e dell'Asia, conservano la natura formale di Stati autonomi dotati di una chora e di istituzioni proprie. | rapporti di queste città con i nuovi Stati territoriali variano: se il livello più alto è la piena indipendenza di Rodi, la condizione più diffusa è quella di una formale autonomia. Questo status, rivendicato dalle città e formalmente riconosciuto dai sovrani, è soggetto a restrizioni di varia natura: imposizione di tributi, presenza di guarnigioni militari, decisioni regie che impongono sinecismi forzati con comunità, necessità di adeguare la legislazione locale agli indirizzi del sovrano. Dal momento in cui l'egemonia macedone si era affermata sulla Grecia, era risultato sempre più chiaro che nessuna città era in grado di opporre resistenza ai mezzi economici e militari dei sovrani. Soprattutto in aree contese e altamente strategiche come l'Egeo e l'Asia Minore, la compresenza di diversi regni garantivano alle poleis notevoli capacità di manovra e la possibilità di sfruttare a proprio vantaggio la generale instabilità. I re assecondavano le richieste delle città greche, sintetizzabili nella triade retorica eleutheria-autonomia-demokratia. Un ruolo chiave è rivestito dagli esponenti delle élites locali. Se la regalità ellenistica e le sue pretese di controllo sul territorio sono un terreno di costante negoziato, uno strumento particolarmente utile in questa dialettica è lo scambio di benefici (euergesiai). La guerra tra diverse superpotenze servì a mantenere viva la dialettica politica interna delle città greche. In qualche modo, prosegue quella tradizione di contrapposizione tra fazioni interne alla città identificabili ciascuna con una diversa linea di relazioni esterne. Esempi significativi ci vengono dalle Storie di Polibio: a proposito di Atene, è celebre il giudizio sulla linea politica neutrale perseguita dalla città sotto la guida di Euriclide e Micione. Un primo esempio è offerto dalle liste di theorodokoi dei grandi santuari, organizzati per rubriche geografiche, di coloro che nelle diverse città avevano ospitato gli inviati ufficiali del santuario (theoroi); il documento più notevole finora noto si data tra l'ultimo terzo del Ill e il primo quarto del Il secolo a.C. è la grande lista dei theorodokoi di Delfi. Due ricchi corpora epigrafici, provenienti dai santuari di Asclepio a Cos e di Artemide Leukophryene a Magnesia al Meandro mostrano lo sforzo diplomatico imponente introdotto dalle due città, rispettivamente nel 243 e nel 207 a.C. Decine di poleis risposero con il vincolo particolarmente stretto della syngeneia (consanguineità) con le comunità richiedenti. Quest'ultimo è un tradizionale strumento delle relazioni intragreche. Le concessioni di asylia erano un mutuo riconoscimento di appartenenza a un universo culturale e religioso comune, ma una regolamentazione dei rapporti interstatali utile per proteggere santuari e territori cittadini dalle scorrerie di eserciti regolari, ex soldati sbandati, pirati e saccheggiatori: uno strumento, insomma, non solo di diplomazia ma anche di politica economica e sociale. Il koinon etolico, 21 era associato nell'immaginario greco a una limitata urbanizzazione e a un'economia di saccheggio. In qualche caso alle concessioni si aggiungeva quella di isopoliteia: il termine compare nei decreti per singoli riguardanti la cittadinanza potenziale. Resta indiscutibile che questi favorissero la circolazione di uomini e merci e l'estensione e il rinnovamento dei corpi civici: anche questi strumenti giuridici si configurano dunque come utili strumenti per la politica economica delle città. Riflessioni simili si possono fare a proposito del ricorso a gii hiamati dall'esterno. Prima di tutto, è necessario distinguere questa procedura dagli arbitrati che due città in conflitto affidavano a una terza parte: si tratta viceversa di veri tribunali chiamati ad amministrare processi di natura interna. | giudici intervenivano su questioni diverse: spesso denunce per debiti insoluti, talvolta cause tra città e privati, accuse contro cittadini che avrebbero proposto provvedimenti illegali. L'invio in loco di giudici imparziali permetteva di disinnescare pericolosi conflitti interni. Con il tempo, il ricorso ai giudici stranieri si diffuse in tutto il mondo greco; i giudici stranieri non sono magistrati professionisti, ma cittadini disposti a viaggiare e a studiare il diritto di altre città. | conflitti per il controllo di santuari extraurbani, le razzie di animali e altri beni mobili e le rappresaglie definiscono un panorama di piccole guerre che riempie gli interstizi lasciati dalle grandi guerre tra le superpotenze. 7.5 La città e i suoi bisogni: spinte rivoluzionarie, evergetismo e finanza creativa Il problema endemico dei cittadini esiliati, che si arruolavano come mercenari o vagavano in cerca di fortuna, era presente ad Alessandro, che tentò di risolverlo emanando un diagramma che imponeva alle città di richiamare gli esuli: esso fu annunciato alle feste di Olimpia del 314. Negli stessi anni un certo numero di Greci e di Macedoni si trasferì nei nuovi territori. A una migrazione massiccia verso Asia ed Egitto, tra fine IV e primi decenni del IIl secolo, sembra aver fatto seguito un sostanziale esaurirsi del fenomeno già verso la metà del III secolo; subentrarono forme più irregolari e variegate di mobilità, che invertirono anche la direzione della migrazione precedente. Anche l'effetto positivo che sull'economia dell'area egea ebbe l'immissione di grandi quantità di metalli preziosi nell'ultimo quarto del IV secolo, non ebbe effetti duraturi sull'economia mediterranea: le aree rurali del continente greco continuarono a patire una iniqua distribuzione della proprietà e il crescente indebitamento di larghe fasce di popolazione. | programmi rivoluzionari dei re spartani Agide IV, Cleomene III e Nabide, tra la metà del IIl e i primi anni del Il secolo a.C., riportarono in auge due temi chiave dei conflitti sociali di epoca arcaica: le richieste di cancellazione dei debiti e di redistribuzione delle terre. Soprattutto la propaganda di Cleomene incontrò un largo successo negli anni Venti del III secolo. Numerosi riferimenti polibiani a regimi tirannici fanno pensare a una vasta diffusione di questo scenario, soprattutto nella Grecia continentale; la questione debitoria si intreccia ai problemi di amministrazione della giustizia e affiora nei decreti in onore di giudici stranieri. Un'economia più dinamica consente una migliore gestione dei conflitti interni alla fiorente Rodi, ad Atene, a Delo, o a Massalia. Ad Atene, al governo di Licurgo, corrispondono una stabilità e una ripresa economica significative e una vasta riorganizzazione di culti e santuari che va oltre il campo meramente finanziario: la città, esclusa dal grande scenario internazionale, impara con profitto a vivere dell'economia di pace. Negli anni di Alessandro e nei decenni successivi, un certo numero di Ateniesi cercò fortuna arruolandosi negli eserciti reali, ma, l'effetto delle conquiste macedoni in Oriente non fu positivo per l'economia cittadina: il ruolo del Pireo all'interno degli scambi nel Mediterraneo orientale ne risultò ridotto. È possibile notare dai dati una evoluzione dell'élite cittadina, sostanzialmente stabile, con un accentuarsi della mobilità verticale dopo il 167, con la ripresa economica collegata al recuperato controllo di Delo, e delle cleruchie. Si è fatto cenno ai dati sulla regolare partecipazione dei cittadini alla vita pubblica: di fatto, però, il tramonto definitivo del sistema dei misthoi (i rimborsi spese) consegnò il governo della città a una cerchia via via più ristretta di notabili. Dopo questo passaggio, il controllo delle élites sulle città appare accentuata. Le ridotte disponibilità finanziarie avevano reso le città più dipendenti da benefattori (euergetai). 22 faceva cavalcare; un aneddoto analogo era narrato anche da leronimo di Cardia. | due racconti richiamano la vicenda di Arione di Metimna, di Erodoto, il cui episodio viene ascritto a tradizione corinzia. A privilegiare aspetti paradossali e secondari rispetto alla narrazione storica è Ateneo (Il secolo d.C.). La presa di coscienza degli effetti di distorsione sulla percezione delle opere frammentarie è uno degli aspetti più significativi negli studi degli ultimi decenni. Dunque, alla storiografia ellenistica si deve guardare con occhi nuovi, liberandosi dai giudizi di Polibio e intraprendendo un percorso di ricontestualizzazione dei frammenti. Denunciando l'ostilità di Carete a Parmenione, l'autore P.Oxy. 4808 indicava nel pregiudizio politico un altro ostacolo alla verità. Secondo la valutazione di Arriano, gli autori scelti per l'impresa di Alessandro (Tolemeo e Aristobulo) ne sono immuni, in quanto scrivevano dopo la morte del sovrano, quando non era necessario tradire la verità; a vantaggio di entrambi giocava | 'aver partecipato alla spedizione. La convinzione della superiorità della conoscenza autoptica, di prima mano, è un tratto ricorrente. La scelta dell'autore di P.Oxy. 4808 privilegia storici che avessero preso parte alle vicende che narravano e dotati di esperienza politico-militare. Infatti, Polibio riteneva che dovessero essere i politici a scrivere di. A questi requisiti risponde anche leronimo di Cardia, storico dell'età dei Diadochi, che sarebbe stato vicino già ad Alessandro e a diversi protagonisti delle guerre dei Diadochi: a Eumene, ad Antigono Monoftalmo e Demetrio Poliorcete e ad Antigono Gonata. Così, dal 320 al 272 svolse importanti incarichi diplomatici, politici, militari e amministrativi. Si è tentato di recuperare i suoi scritti dall'impiego di Plutarco in alcune Vite parallele, di Pausania a proposito dell'invasione dei Galati in Grecia nel 279, e Diodoro, nei libri XVIII-XX della Biblioteca storica. Un'altra delle difficoltà che ostacolano la conoscenza della storiografia è il carattere aleatorio dell'individuazione delle fonti: la dipendenza esclusiva da leronimo di Cardia nei libri di Diodoro Siculo non può considerarsi certa; potrebbe aver impiegato almeno un altro autore. A leronimo si attribuisce una storiografia seria, incenerata sulle vicende politico-militari, trattate con competenza, nell'adesione al modello tucidideo. Anche se si riconosce che lui non scrive per compiacere, Pausania coglie un aspetto caratteristico della storiografia in leronimo, cioè la scelta di porre al centro della narrazione storica un individuo. Un'iscrizione ateniese ricorda la dedica ad Atena Nike di stelai contenenti resoconti storici delle imprese di Antigono Gonata sui Galati a Lisimachia, nel 277 a.C. Tutti i riferimenti al re nel decreto furono poi erasi, in un momento di crisi, ma gli hypomnemata che erano stati esposti in pubblico dovevano avere carattere celebrativo. Più tardi, anche Filippo V ebbe i suoi storici, e dopo suo figlio Perseo; parallelamente, a Occidente, non mancarono gli storici del siracusano Agatocle e di Annibale. Gli storici di corte di Filippo V tendevano a giustificarne l'azione politica, e a celebrarne i successi; per questo motivo, si attirarono l'aspra condanna di Polibio, che rifiutava alle loro opere il titolo di storia, degradandole al livello dell'encomio. Polibio non rimproverava di aver narrato il falso, ma di aver pronunciato giudizi contrari ai suoi su un episodio nella carriera del sovrano macedone (Messene, 215). L'adozione della prospettiva di una dinastia non può tradursi immediatamente in falsificazione. La storiografia di corte si può considerare un aspetto particolare del più generale patrocinio della letteratura e delle arti da parte dei sovrani ellenistici. Ad Alessandria, il fenomeno più caratteristico è l'impegno storiografico dei re: modello di Tolemeo, fondatore della dinastia, autore di una storia della spedizione di Alessandro. A Tolemeo III si attribuisce un trionfale bollettino della terza guerra siriaca; nella seconda metà del Il secolo, Tolemeo VIII redasse degli Hypomnemata. Questo stesso genere memorialistico fu praticato anche dai politici greci, per giustificare la propria azione: Demetrio del Falera, nei suoi Hypomnemata intorno al decennale governo di Atene (317-307 a.C.), si difese dall'accusa di aver abbattuto la democrazia, sostenendo di averla piuttosto emendata; il leader acheo Arato di Sidone dovette di giustificare la controversa decisione di riportare i Macedoni nel Peloponneso, per contrastare Cleomene III. All'ambiente della corte è legato anche il filone etnografico, che indagò le antiche tradizioni dell'Egitto, o dell'India. In questo ambito, spicca Berosso: sacerdote di Bel a Babilonia, compose e dedicò ad Antioco | tre libri di Babyloniaka, in greco, attingendo a fonti indigene, cuneiformi, ma orientando il materiale secondo le forme dell'etnografia greca. Nel | libro una sezione etnografica (di Babilonia) appariva accanto al racconto della creazione, e all'emergere dal mar Rosso di un uomo-pesce, Oannes; il Il libro presentava un elenco di re e dinastie fino al diluvio; il Ill fino alla conquista di Alessandro. Egli intendeva stabilire un dialogo con i 25 conquistatori. In Egitto, un altro sacerdote indigeno, Manetone, in contatto con la corte dei Tolemei, scrisse in greco tre libri di Aigyptiaka in cui, all'elenco cronologico dei sovrani, si affiancano registrazioni cronachistiche. Anche in questo caso si è ipotizzato l'intento di stabilire un dialogo con i nuovi padroni. In Occidente alla storiografia di corte (favorevole al sovrano, rappresentata da Callia e Antandro) si contrappone una tradizione ostile, il cui rappresentante è Timeo (per Polibio uno storico da tavolino, privo di esperienza concreta della vita politica). Dopo i primi cinque libri con una lunga introduzione sulle origini, si passava al periodo contemporaneo: l'opera culminava nei cinque libri dedicati all'odiato Agatocle e su Pirro. Polibio rimproverava anche la prospettiva occidentale, l'angusto patriottismo locale, e l'esaltazione di un personaggio modesto come Timoleonte corinzio. Gli storici di Alessandro potrebbero aver perseguito finalità politiche concrete, attraverso la diffusione delle loro opere. Gli storici contemporanei delle praxeis di Alessandro si accostarono tutti alla narrazione. Uno spiccato carattere politico connota tutta la storiografia ellenistica. Le storie delle singole poleis costituiscono la parte significativa della storiografia frammentaria; generalizzando, si può affermare che si articolassero in una parte mitica e una parte storica, costruite sugli dèi e gli eroi e sui magistrati eponimi. Celebravano l'identità della città, i diritti all'occupazione del territorio, e ne narravano la storia più recente in modo da giustificarne l'azione politica e celebrarne i successi. Nel caso delle poleis di rilievo nella storia mediterranea, la prospettiva locale si intrecciava con la storia contemporanea: è quanto avviene ad Androzione e Filocoro, per la storia di Atene, come ai rodii Zenone e Antistene. Come l'ambasciatore rodio Astimede aveva sminuito le colpe della sua patris, esaltandone i servigi resi a Roma, anche Zenone e Antistene celebrarono i merita in populum Romanum dei Rodii all'epoca delle guerre contro Filippo V e Antioco III. All'epoca della guerra contro Aristonico a Metropoli di lonia, è un documento epigrafico a trasmettere una ricostruzione storiografica. Il linguaggio emotivo che affiora proviene dall'oratoria politica contemporanea. Una diversa forma di impiego politico della storiografia emerge in una celebre iscrizione di Priene, che riporta il verdetto degli arbitri rodii in una contesa territoriale con Samo; le due parti addussero le testimonianze di un discreto numero di opere storiche; gli arbitri rodii dovettero esaminarle, giudicandone la verità con criteri metodologici. In un procedimento di stampo giudiziario, come quello dell'arbitrato, gli storici facevano da testimoni; gli arbitri, da giudici. Il termine terateia e il verbo tragodeo impiegati da Polibio a definire l'esagerazione degli autori dedicatisi a leronimo indicano una rappresentazione drammatica della crudeltà del tiranno. Un riferimento alla tragodia consueta negli storici s'incontra in Diodoro Siculo, che per pietà aveva rifiutato di riferire i dettagli delle violenze sulle donne, nei giorni del colpo di Stato di Agatocle a Siracusa. Polibio riportava l'esagerazione degli storici di leronimo alla necessità di ingigantire eventi o a finalità apologetiche: enfatizzando la crudeltà del tiranno la città appariva come vittima. La tragodia che gli storici talora rimproverano è dunque una forma di narrazione che sollecita le emozioni del pubblico attraverso una descrizione dettagliata delle sofferenze. Il caso più noto di una polemica è la replica di Polibio alla rappresentazione filarchea della presa di Mantinea da parte di Achei e Macedoni, nel 223 (guerra cleomenica), e delle torture inflitte ad Aristomaco di Argo. Da ciò si è tentato di individuare una corrente di storiografia tragica, con una propria poetica sviluppata nell'ambito della riflessione peripatetica. Il punto è che nessun autore rivendica la paternità di una contaminazione fra storiografia e poesia tragica. Si deve cercare l'origine nella contiguità fra storiografia e oratoria, contrapponendo una persuasione didattica e razionale, a forme di retorica, che perseguivano la persuasione attraverso le emozioni. Così, Polibio rimproverò a Filarco di aver adottato forme tragiche, articolando in una serie di scene patetiche la rappresentazione delle sofferenze della popolazione di Mantinea. Nella sua difesa di Arato, Polibio adottò una strategia codificata nei manuali di retorica, la ekbolè eleou: sostenne che i cittadini di Mantinea, macchiatisi per primi della colpa di aver sterminato i soldati della guarnigione achea avevano meritato la loro punizione. Gabba (1981) propose di spiegare le caratteristiche della storiografia ellenistica attraverso un mutamento del pubblico. Al tempo di Polibio le poleis erano state private di ogni importanza politica. Però anche nell'Atene ellenistica, la polis continuava ad assorbire gli interessi della popolazione. Delle 26 opere storiche che aveva preso le distanze dalla pratica delle akroaseis, continuavano a darsi pubbliche letture. In questo contesto, nei teatri gli storici tentavano di trasmettere al pubblico i propri giudizi politici. La globalizzazione della democrazia, e della retorica, porta con sé una democratizzazione della storiografia. La storiografia ellenistica si rivolgeva a un pubblico meno elitario, più ampio, il cui consenso andava conquistato. L'accusa di aver adottato i modi della tragedia che Polibio muove a Filarco è una battaglia anche contro la democratizzazione della storiografia. Se il disprezzo una comunicazione popolare può far pensare Polibio privilegiasse letture in ambienti ristretti, indica il faticoso tentativo di didaskein kai peitein (dimostrare e persuadere. L'allargamento del pubblico comportò un ricorso a strumenti di persuasione di stampo teatrale. Secondo il pregiudizio aristocratico, si sarebbe trattato di un deterioramento del gusto. Di Polibio l'autore di P.Oxy. 4808 riteneva che avesse scritto philalethos, con amore della verità. Nel secolo scorso, lo si è accusato invece di aver falsificato le vicende che portarono alla guerra annibalica, pur imputare i Cartaginesi. Queste affermazioni derivano nella tesi secondo cui Polibio avrebbe colto il significato di Roma nella storia universale. Rimane il problema di valutare come la rivendicazione della verità si sposi con gli obiettivi politici perseguiti nelle Storie. A Polibio, l'autore di P.Oxy. 4808 attribuiva, l’autopsia delle vicende narrate e la diretta esperienza politica e militare (partecipazione all'assedio di Cartagine al fianco di Scipione Emiliano), ma anche la virtù di una erudizione (polymathia). Non mancano elementi riconducibili al modello storiografico erodoteo, più aperto rispetto a quello tucidideo: nel libro IV, discussione scientifica sul futuro del riempimento della palude Meotide e del Ponto, dichiarava l'intento di soddisfare le curiosità di lettori philekooi, appassionato di genealogie. Anche l'analisi delle istituzioni politiche e militari romane, nel libro VI, può accostarsi all'interesse erodoteo per leggi e costumi dei popoli barbari, e al genere letterario delle politeiai, assorbito da Polibio all'interno dell'opera storica; e quando poi, per gli eventi in Oriente, cedeva al fascino del meraviglioso. Anche a Occidente mostra interesse per il paesaggio, la vita economica e le forme dell'allevamento. È innegabile la prevalenza in Polibio dell'elemento dinamico del mutamento degli equilibri attraverso la guerra. Con il tempo, Polibio decise di aggiungere altri dieci libri, spingendosi fino al 146 a.C., l'anno fatale che aveva visto la distruzione di Cartagine e di Corinto. L'età ellenistica conobbe anche una storiografia antiromana, con gli scrittori nemici di Roma: Filino di Agrigento, autore di una monografia sulla prima guerra punica; Sosilo, storico spartano, accompagnatore di Annibale nelle imprese, a cui Polibio rimproverava di aver sostenuto che alla notizia della presa di Sagunto il senato avrebbe aperto una discussione; però un papiro con un frammento del IV libro (sulle praxeis di Annibale) sembra imporre una revisione dell'aspro giudizio di Polibio. Attribuendo il merito della vittoria romana alle navi degli alleati greci di Massalia, avrebbe inteso sfatare il mito della superiorità dei Romani, per sollecitare l'orgoglio greco. Tendenze antiromane sono state rilevate poi anche nell'antiquaria: Gabba propose di leggere implicazioni politiche nella tradizione della venuta di Enea in Italia e le origini troiane di Roma. Ammettere un ruolo di Enea e di Odisseo nella fondazione della città significava nobilitarne le origini. | detrattori di Roma credevano al carattere barbaro e sfruttavano la tradizione sull'asilo romuleo. Di una polemica intorno alla questione delle origini di Roma ci informa Dionisio di Alicarnasso, retore di età augustea, replicando alle opinioni secondo cui a fondare Roma sarebbero stati dei vagabondi. Tracce delle tradizioni antiromane affiorano ancora nella lettera di M late al re dei Parti Arsace, un frammento del IV libro delle Storie di Sallustio, e nel discorso di Mitridate alle truppe nelle Storie Filippiche di Giustino. Simili motivi dovettero accompagnare le varie fasi dell'espansione romana in Oriente, quando l'ostilità a Roma si espresse in una letteratura oracolare che profetizzava la rivincita dell'Asia sull'Italia; l'oggetto della polemica di Dionisio è stato identificato in Metrodoro di Scepsi, un intellettuale al servizio di Mitridate (soprannominato Misorhomaios). Fra i motivi rimproverati ai Romani, figura la sete ricchezze. È possibile leggere una critica a Roma in un frammento di Agatarchide di Cnido. La sua potrebbe essere una generica protesta contro ogni pulsione imperialistica. Recuperare le tracce dell'opposizione a Roma nei frammenti è difficile: le voci dei vinti sono state le prime a essere disperse; inoltre, l'ostilità a Roma si esprimeva attraverso canali che difficilmente 27
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