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L'età giolittiana in Italia, Appunti di Storia

L'età giolittiana in Italia, un periodo storico che va dalla fine del governo Crispi (1896) fino all'inizio della prima guerra mondiale. Durante questo periodo, il primo ministro Giovanni Giolitti attuò importanti riforme economiche e sociali, come l'investimento nel settore industriale e l'istituzione del diritto di sciopero. anche la politica estera di Giolitti, che portò all'entrata dell'Italia nella guerra in Libia. informazioni dettagliate sulle riforme attuate e sulle sfide che l'Italia affrontò durante questo periodo.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 12/03/2023

Giuusee_
Giuusee_ 🇮🇹

12 documenti

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Scarica L'età giolittiana in Italia e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! L’ETÀ GIOLITTIANA Quest’età inizia pochi anni dopo la fine del governo Crispi (1896) dopo la battaglia di Adua e con l’assassinio di Umberto I (regnante dal 1878 al 1900) per mano dell’anarchico Gaetano Bresci. Il re non era molto amato perché era fortemente conservatore e reazionario, infatti ridusse le libertà e i poteri parlamentari. Nello stesso anno compare una nuova personalità di spicco, Giovanni Giolitti, avente già una lunga esperienza nell’amministrazione pubblica: eletto deputato nelle file della sinistra liberale (1882), era poi stato ministro del Tesoro (1889-1890). Divenuto primo ministro (1892) lasciò l’incarico l’anno successivo a causa di uno scandalo finanziario legato alla Banca Romana. Divenne poi ministro degli Interni durante il governo Zanardelli (1901-1903) e nel 1903 torna alla guida del paese per rimanervi fino al 1914. Durante quest’epoca saranno attuate importanti riforme, partendo dalla politica interna troviamo: 1) Economico: Giolitti continua a investire nel settore industriale portando il tale settore italiano a passo con quello tedesco, francese e inglese. Investe molto nell’ambito idroelettrico (acqua fonte di energia fondamentale). Tale processo ovviamente avvantaggia il settentrione (in particolare il triangolo industriale Milano-Torino-Genova), ma Giolitti pensa comunque a dei sussidi economici per aiutare il meridione, infatti istituisce la “Cassa per il Mezzogiorno” da utilizzare per gli investimenti nelle manifatture, infrastrutture ecc… L’idea non era male, anzi vi era una grande e costante erogazione di denaro, ma lo stato non controllava come fossero usati questi soldi portando così al fenomeno del clientelismo (sistema di rapporti tra persone basato sul favoritismo in nome di un reciproco interesse). Allo stato non conveniva effettuare questi controlli perché essi avrebbero portato lo stato a inimicarsi coi latifondisti e gli industriali del nord. Quindi possiamo definire Giolitti un trasformista che non voleva perdere consensi. Durante quest’epoca molti italiani, soprattutto quelli meridionali, emigrano all’estero (negli USA ben 100000 giovani) facendo perdere all’Italia una forte forza lavoro. Il continente americano era apprezzato molto dagli italiani, e le mete più ambite erano il Brasile, l’Argentina e gli USA. 2) Sociale (e anche un po’ economico): l’Italia inizia ad avere una classe operaia forte e organizzata, ma godeva di meno diritti rispetto a quella di altri paesi europei poiché si sviluppò dopo di essi. Gli operai chiedevano un salario maggiore, maggiori diritti sindacali e meno ore di lavoro. Con Crispi non c’era il diritto di sciopero e fu sciolto il partito socialista. Giolitti per guadagnare consensi cambiò direzione riformando il partito socialista e concedendo il diritto allo sciopero, così che gli operai potessero chiedere salari migliori senza dover ricorrere alla violenza. Giolitti inserì questo diritto nel privato, affermando che il rapporto patronato-operaio non riguardasse lo stato. Giolitti si dimostra essere un politico abile perché vedendo crescere il partito socialista sa che il loro appoggio aumenterà la sua forza politica, infatti il partito socialista lo aiutava astenendosi dal voto così da togliere potere all’opposizione, e successivamente Giolitti gli concedeva dei favori. Al sud scoppiano forti proteste contadine nei confronti dei latifondisti a cui Giolitti si disinteresserà poiché era alleato coi latifondisti, infatti c’era ancora un accordo tra il blocco industriale piemontese e i latifondisti, il brigantaggio non era un ricordo storicamente lontano e industrializzare il sud avrebbe leso la classe operaia settentrionale. E per di più i contadini non erano protetti dal partito socialista che proteggeva i braccianti agricoli e gli operai, ciò porto i contadini a legarsi coi movimenti anarchici aventi come obiettivo l’autogestione contadina delle terre. I socialisti iniziano a seguire sponde più estreme tanto che nel Luglio 1912 arrivò lo scontro tra la leader riformista Leonilda Bissolati e un giovane socialista rivoluzionario, Benito Mussolini. Le riforme più importanti sono: la statalizzazione delle ferrovie (attuata per rendere omogeneo il sistema logistico), la statalizzazione della telefonia, l’innalzamento dell’obbligo scolastico, il suffragio universale maschile (1912, diritto di voto a 8 milioni di italiani, 24% della popolazione) e il divieto di impiegare donne e bambini nei lavori pesanti, istituzione di un tetto di massimo giornaliero di 10 ore di lavoro, mantiene la triplice alleanza con la Germania e l’Austria, e nel 1906 nasce la CGDL (confederazione generale del lavoro) basata sul presupposto che in Italia esistesse una borghesia con cui potersi alleare per applicare eventuali riforme. Analizziamo ora la politica estera: 1) Giolitti si rende conto che in Italia si stanno diffondendo alcuni movimenti nazionalisti che stanno facendo molti proseliti liberali. I nazionalisti seguivano motivi ispiratori eterogenei e contradditori, oscillanti tra la nostalgia per il mondo preindustriale e contadino ed anche lo spirito di netta rottura con il passato che animava il futurismo, un movimento artistico-culturale fondato da Filippo Tommaso Marinetti che esaltava la tecnica, la velocità e il progresso industriale. Essi incentivano la loro politica imperialista chiedendo la ripresa delle guerre coloniali, Giolitti non era molto d’accordo perché conosceva tutti i problemi che colpivano l’Italia, ma era pur sempre un trasformista e quindi nel momento in cui il partito socialista iniziò a staccarsi poiché non ottenne un sistema fiscale proporzionato al reddito, ciò non si raggiunse a causa della mancata approvazione dei liberali. Giolitti, appoggiato dal re Vittorio Emanuele III, decide di riprendere questa guerra. Stavolta l’obiettivo è la Libia sia per la posizione strategica (molto vicina all’Italia) sia perché non era controllata da nessuna potenza europea, infatti essa è sotto il controllo dell’impero ottomano che però era un impero molto debole, tale indebolimento porterà a sua volta all’indebolimento della zona balcanica con l’indipendenza di molti stati balcanici dagli ottomani. Tra il 1911 e il 1912 l’Italia conquista la Libia che porta alla pace di Losanna. Tale trattato riconobbe all’Italia il possesso delle regioni costiere libiche, la Tripolitania e la Cirenaica (definite un grande scatolone di sabbia, ignari della presenza del petrolio), e anche delle isole del Rodi e del Dodecaneso precedentemente nelle mani dei Turchi. Poco dopo la conquista della Libia molti siciliani vi emigrano poiché la parte costiera era molto coltivabile. Dopo la conquista della Libia viene introdotto il suffragio universale maschile che porta a un esponenziale aumento degli elettori, tale aumento porta il partito liberale ad appoggiarsi ai partiti che hanno più potere sulle masse, come quello socialista di cui però aveva perso l’appoggio. Allora si appoggia ai cattolici che si organizzano col “Partito popolare” (fondato nel 1919 da Don Luigi Sturzo, confluendo poi nella “Democrazia cristiana”) che porta avanti valori cristiani: la famiglia, il lavoro, la conciliazione tra le classi, la necessità di dare spazio alla piccola proprietà contadina. Tale partito era fortemente appoggiato dai sacerdoti che istituiscono diversi punti di aggregazione intorno alle loro parrocchie e utilizzano le loro prediche per fare propaganda
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