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La Europa del Cinquecento: Monarchie, Conflitti e Crisi, Dispense di Storia

Sulla situazione politica e militare in Europa durante il Cinquecento, con un focus sulla monarchie nazionali in Europa orientale e settentrionale, la frammentazione politica e debolezza militare in Italia, e le guerre di religione e politica estera che condizionarono lo sviluppo europeo. Il testo copre la sconfitta francese nella battaglia di San Quintino, la politica estera di Carlo V, la Guerra dei Trent'anni e la crisi del Seicento.

Tipologia: Dispense

2020/2021

Caricato il 25/09/2021

giuliafelix
giuliafelix 🇮🇹

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Scarica La Europa del Cinquecento: Monarchie, Conflitti e Crisi e più Dispense in PDF di Storia solo su Docsity! L’ETÀ MODERNA L'età moderna viene generalmente considerata l'epoca posta tra la scoperta del continente americano (1492) e la definitiva sconfitta di Napoleone Bonaparte (1815). Questo arco di tempo è caratterizzato da profonde trasformazioni che interessano ogni aspetto della vita umana. I viaggi di esplorazione, le nuove rotte commerciali e la scoperta di nuovi continenti trasformano gli orizzonti mentali ed economici dell'uomo europeo e avviano un processo di interrelazione su scala mondiale della storia. Analogamente, le nuove forme statali si lanciano in conquiste e guerre a livello continentale prima, planetario successivamente. L'unità religiosa dell'Occidente cristiano viene rotta dalla Riforma protestante, mentre il pensiero filosofico si avvale di nuovi metodi sganciati dalla tradizione e dall'insegnamento delle autorità del passato. Si teorizzano nuove forme di governo, e le rivoluzioni americana e francese segnano il definitivo tramonto del sistema socio-politico basato sulla divisione in ordini della società e, con l'avventura napoleonica, fondano le basi dell'epoca contemporanea. LE SCOPERTE GEOGRAFICHE E L’ESPANSIONE COLONIALE Gli Stati europei nel XV e XVI sec. finanziarono viaggi ed esplorazioni geografiche spinti da una politica di potenza e da motivazioni di ordine economico. Le miniere sudanesi che avevano fornito oro all'Europa sin dal Medioevo si erano ormai quasi esaurite. La crescita degli scambi commerciali con le Indie rese urgente alla fine del sec. XV l'apertura di una via marittima intorno all'Africa che desse accesso all'Oceano Indiano, aggirando l'Impero ottomano. Le recenti invenzioni tecniche e il perfezionamento della bussola garantivano una navigazione sempre più sicura. La casuale scoperta del continente americano a opera di Cristoforo Colombo diede il via alla colonizzazione di vasti territori ricchi di oro e metalli preziosi e alla evangelizzazione di antiche e sconosciute civiltà. Giunsero in Europa dalle Americhe nuovi prodotti come il mais, la patata, il pomodoro, il cacao, destinati in seguito a entrare nell'uso comune. Le nuove rotte commerciali ponevano in evidenza i porti atlantici segnando l'inizio della decadenza del Mediterraneo e di Venezia: l'economia stava per diventare mondiale. Le esplorazioni geografiche L'avvio delle esplorazioni geografiche si deve al genovese Cristoforo Colombo il quale (fra la fine del sec. XV e l'inizio del XVI) volendo raggiungere le Indie attraverso l'Atlantico, su navi fornitegli dalla flotta spagnola, si imbatté nel continente americano (1492-1504). Intanto la cireumnavigazione del continente africano a opera di Vasco da Gama (1497-98) assicurò ai Portoghesi il monopolio del mercato delle spezie e aprì una nuova via per le Indie. Altre nazioni come l'Inghilterra, la Francia e l'Olanda si affrettarono a organizzare viaggi ed esplorazioni rompendo il monopolio ispano-portoghese. Le spedizioni di Cortés (1519-35), Pizarro (1531-35) e Cartier (1534-41) inaugurarono la pratica degli Stati europei di acquisire le terre di nuova scoperta, mentre continuavano le esplorazioni delle coste atlantiche del continente americano nei viaggi dei fratelli Caboto (1497, 1508, 1553-57), di Amerigo Vespucci (1499-1501), di da Verrazano (1524) e di Hudson (1607-10). Altri navigatori intanto esploravano le regioni costiere del Pacifico come Magellano (1519-22) che per primo circumnavigò la terra. Nei secc. XVII e XVIII teatro delle maggiori imprese esplorative fu il Pacifico: nei viaggi di Tasman (1642-43), de Bougainville (1767-68), von Humboldt (1799-1804), ma soprattutto di James Cook (1768-79), le finalità commerciali e politico-militari si unirono a quelle scientifiche. Le scoperte geografiche in America Latina misero in contatto gli Spagnoli con popolazioni dall'antica e fiorente civiltà: gli Incas, gli Aztechi e i Maya. Le prime due popolazioni, di tradizione guerriera, abitavano rispettivamente il territorio messicano e la regione montuosa del Perù, i Maya erano presenti nella fascia oggi compresa fra il Guatemala e il Messico. Queste popolazioni organizzate con una struttura sociale rigidamente piramidale erano basate su un'economia quasi esclusivamente agricola. Le loro civiltà svilupparono molto le conoscenze astronomiche e scientifiche (calendario, eclissi) e le espressioni artistiche e religiose (templi a gradini, piramidi), mentre rimasero arretrate sul piano tecnologico: non conoscevano affatto l'uso della ruota e non sapevano lavorare il ferro. Questo tratto pose i presupposti per la disfatta cui andarono incontro una volta entrate in contatto con i conquistatori europei la cui superiorità militare era evidenziata dall'uso delle armi da fuoco e dal cavallo. Gli Spagnoli si dedicarono a una guerra di conquista, devastando e spogliando le città delle loro ingentissime ricchezze: gli uomini di Cortés ebbero ragione in tre anni (1519-22) dell'intero Regno azteco; con pochissimi uomini Pizarro e de Almagro si impadronirono tra il 1531 e il 1534 dell'Impero inca. Terminata la fase della razzia, lo sfruttamento delle colonie si resse sulla creazione di encomiendas, enormi porzioni di territorio concesse in usufrutto dalla corona ai conquistadores, col diritto di imporre agli indios tributi in natura o prestazioni lavorative e l'obbligo di commercio esclusivo con la madrepatria. La necessità di manodopera aggiuntiva a quella indigena, decimata dai massacri della conquista e dalle epidemie portate dagli Spagnoli, ingrossò il commercio di schiavi dall'Africa già avviato dai Portoghesi. Non mancarono azioni a difesa degli indios come l'esperimento gesuita delle reducciones, comunità autonome di indios dove vigeva la proprietà comune delle terre (1609-1767), e la coraggiosa denuncia delle atrocità commesse dai conquistadores a opera del domenicano Bartolomeo de Las Casas. Gli imperi coloniali L'impero portoghese fu il primo a svilupparsi, grazie al finanziamento delle spedizioni marittime del sec. XV. In Portogallo esisteva infatti un'importante tradizione nautica risalente al re Enrico il Navigatore (1394-1460) che aveva fondato un osservatorio e una scuola cartografica e nautica. L'impero portoghese ebbe soprattutto il carattere di una efficiente rete commerciale, imperniata su poche fortezze ed empori in Africa e in Asia, ma su un'area troppo estesa per essere difesa dalle possibilità militari e finanziarie della Corona La struttura sociale La prima età moderna aveva ereditato la struttura sociale gerarchizzata e rigidamente divisa per ordini del Medioevo. Alla nobiltà, al clero e al terzo stato (costituito dai non-nobili e dai non-ecclesiastici) lo sviluppo economico e imprenditoriale aveva aggiunto altri elementi che rendevano il panorama sociale più complesso. Anzitutto, la borghesia di origine commerciale tendeva a conquistare posizioni di maggior prestigio, e a nobilitarsi. Poteva conseguire tale risultato acquistando le cariche di tipo giudiziario e amministrativo che in diversi Stati europei erano venali e davano accesso alla nobiltà. Molti sovrani favorirono la formazione di questa nuova nobiltà, chiamata anche nobiltà di toga. In alcune aree (Nord Italia, Olanda, zona renana della Germania) i livelli alti della nobiltà cittadina erano costituiti dal patriziato, le cui origini erano connesse alle attività mercantili, che monopolizzava le cariche politiche dello Stato. Forniti generalmente di ingenti ricchezze, i patrizi erano capaci di gareggiare con la nobiltà di origine feudale per ricchezza, cultura e consistenza patrimoniale. L’economia L'economia cinquecentesca, come già detto, è prevalentemente agricola. La coltura e lo sfruttamento della terra svolto in maniera estensiva occupano gran parte della popolazione a causa della scarsa produttività dei terreni. Le rese delle semine dei cereali sono molto basse, le carestie sono sempre in agguato, dal punto di vista delle tecniche agrarie non ci sono delle novità sostanziali. Il ribasso dei prezzi del grano causato dalla messa a coltura di nuove terre ha provocato la trasformazione di molti arativi in pascoli per il bestiame, soprattutto ovino. Il fenomeno è molto diffuso ma acquisterà una grandissima importanza in Spagna con la Mesta: l'organizzazione che raccoglie i latifondisti, grandi allevatori di pecore, e che godrà dell'appoggio della stessa Corona nelle lotte contro gli agricoltori. Esplode infatti il fenomeno delle rivolte agrarie, testimonianza del crescente pauperismo fra i contadini. L'esistenza di grandi mandrie di bestiame presuppone terreni di grandi dimensioni da destinare al pascolo, tali sono le terre comuni presenti in quasi tutti i villaggi. Contro queste terre e la loro improduttività si alzeranno in Inghilterra vibrate proteste dando luogo al fenomeno delle enclosures, le recinzioni delle terre comuni da destinare all'arativo e alla coltura del grano. Tale processo continuerà fino alle soglie della rivoluzione industriale e ne costituirà un importante presupposto. Nelle città intanto si sviluppano alcune vivaci attività manifatturiere e mercantili: le scoperte geografiche e il grande sviluppo commerciale danno notevole impulso ai cantieri navali e all'attività bancaria. Un'altra attività acquista sempre maggior rilievo: l'industria tipografica che vede primeggiare i torchi veneziani. Questi settori richiedono manodopera preparata e altamente qualificata, si costituiscono così le prime organizzazioni di lavoro: le corporazioni che raccolgono insieme apprendisti, operai e maestri di bottega per tutelare i segreti della professione. Le conseguenze della scoperta delle Americhe saranno avvertite in Europa nella seconda metà del secolo, quando l'afflusso di ingenti quantità d'oro e metalli preziosi provocherà in Spagna una grave inflazione: la rivoluzione dei prezzi, alla cui origine vi sono anche cause economiche interne all'Europa, prima fra tutte il divario crescente tra l'offerta stazionaria di beni e la domanda in sensibile crescita. L’attività bancari La diffusione delle transazioni commerciali a lunga distanza aveva favorito la nascita di strutture complesse e articolate: le compagnie commerciali, quasi sempre a gestione familiare, organizzate con una sede principale e molte filiali nelle più importanti città portuali e commerciali. Il trasporto delle merci avveniva per lo più per mare o per via fluviale, le strade interne invece erano disagevoli e insicure per la presenza di banditi. I pagamenti erano garantiti dalle lettere di cambio, che accreditavano l'importo dovuto sostituendo il pagamento in contanti. I ricchi mercanti-banchieri acquistarono un ruolo di primo piano sulla scena politica grazie ai prestiti fatti a principi, re e imperatori in cambio di terre, privilegi e monopoli commerciali. Esempi tipici sono costituiti dai Fugger di Augusta, che prestarono nel 1519 a Carlo V 550.000 fiorini per l'elezione a imperatore, e a Firenze dalla famiglia Medici in grado di instaurare nella città il Principato. LA FORMAZIONE DEGLI STATI NAZIONALI Un processo che caratterizza la prima età moderna è l'accentramento del potere da parte delle monarchie a base nazionale o dei regimi oligarchici presenti in molti Stati dell'Europa occidentale. I compiti che lo Stato evoca a sé sono essenzialmente la difesa, l'esercito e soprattutto la fiscalità. Il principe moderno svincolato dalla sua origine feudale si presenta come il fulcro della vita politica e la sua Corte diviene centro di potere e luogo di mecenatismo. Viene creato un Consiglio permanente con consiglieri nominati dal principe stesso scelti in base alle loro competenze. Il particolarismo amministrativo non viene abolito, ma subordinato ai voleri del principe che lo incrementa tramite la venalità delle cariche. I funzionari sono però sottoposti al controllo statale tramite ispettori di nomina regia che periodicamente verificano la situazione degli uffici. Molti borghesi acquistano cariche pubbliche per acquisire prestigio e salire nella scala sociale, il principe nobilita alcuni dei suoi esponenti creando la nobiltà di toga e fomentando così la rivalità con la nobiltà di origine feudale. L’Eur identali Agli albori dell'età moderna alcuni Stati dell'Europa occidentale avevano raggiunto la coesione territoriale. La Spagna, per esempio, aveva visto unificare in un solo Stato vari territori grazie al matrimonio di Ferdinando d'Aragona con Isabella di Castiglia e successivamente alla conquista di Granada e alla cacciata degli Arabi (1492). Nel 1580, per l'estinzione dei Braganza, anche il Portogallo divenne un possedimento spagnolo. Di fatto l'amministrazione delle diverse regioni spagnole restava separata, la Castiglia aveva la preminenza sulle altre terre poiché era la più ricca e la più densamente popolata, inoltre le colonie americane erano state unite al suo territorio. Amministrativamente la Spagna era governata da un organo centrale, il Consiglio di Stato, con funzionari nominati dal re, più altri che si occupavano degli affari relativi ai vari territori (per es. il Consiglio delle Indie, quello d'Aragona, quello d'Italia ecc.). Fu rafforzato un organo giudiziario, il tribunale dell'Inquisizione, per vigilare sulla limpieza de sangre (purezza di sangue) degli Spagnoli e sorvegliare i conversos (i giudei convertiti). L'Inghilterra dal canto suo aveva visto consolidarsi il potere monarchico con l'avvento della dinastia Tudor (1485) che coincise con un periodo di pace e prosperità. La società civile era molto mobile: la gentry, la piccola nobiltà terriera attiva e intraprendente economicamente, dominava la vita delle contee (le suddivisioni amministrative del Regno). Il Parlamento diviso in due Camere, quella dei Lords (comprendente la nobiltà maggiore e i vescovi), e quella dei Comuni (composta dalla piccola nobiltà e dalla borghesia cittadina) che era l'organo rappresentativo del popolo. Il sovrano aveva istituito tre organi centrali per amministrare il Regno: lo Scacchiere (in verità già esistente nel Medioevo) con funzioni economiche e fiscali che controllava la raccolta delle imposte, la Camera Stellata che fungeva da Corte suprema, giudicando i tumulti e le sollevazioni popolari, e il Consiglio privato anch'esso di nomina regia che discuteva i principali problemi e consigliava il sovrano. Anche la Francia con il sovrano Luigi XI (1461-83) aveva avviato una politica di riforme grazie al potere economico garantito dalle LA RIFORMA PROTESTANTE E LA CONTRORIFORMA CATTOLICA La Riforma protestante fu un movimento di opposizione radicale alla Chiesa di Roma avviato nel sec. XVI dalla predicazione di Lutero che comportò la rottura dell'unità religiosa dell'Europa cristiana. Dal punto di vista teologico luteranesimo e calvinismo rivendicavano un rapporto diretto del singolo con le Sacre Scritture (tradotte nelle lingue nazionali) negando la centralità della Chiesa e dei sacramenti. Sul piano politico molti principi tedeschi videro nell'adesione alla Riforma il mezzo per contrastare il disegno di centralizzazione statale dell'imperatore Carlo V. Ciò suscitò conflitti e rivolte che insanguinarono l'Europa per decenni. La Chiesa cattolica, già colpita dallo Scisma d'Oriente, reagì a questa nuova minaccia prima con la scomunica dei principi riformati e poi con la convocazione di un grande Concilio: il Concilio di Trento (1545-63). In questa sede non solo si riaffermarono i fondamenti teologici e disciplinari dell'ortodossia cattolica, ma si disciplinò anche la struttura ecclesiastica ponendo le basi per la riconquista delle nazioni passate al protestantesimo. La riforma protestante L'interpretazione della Bibbia proposta da Martin Lutero (1483-1546), monaco agostiniano tedesco, era imperniata sul concetto della giustificazione per fede. La salvezza è concessa da Dio all'uomo grazie alla sua infinita misericordia, non in base ai meriti terreni. Solo la fede salva l'uomo e la fede è in primo luogo sottomissione alla Bibbia, la Parola di Dio. La Chiesa e i sacramenti non vengono più considerati il tramite necessario fra Dio e l'uomo. Le indulgenze (la remissione dei peccati concessa dal pontefice dietro versamento di denaro) non hanno alcun fondamento. Lutero compendiò le sue idee in uno scritto: Le 95 tesi (o Tesi per chiarire l'efficacia delle indulgenze) che si narra fu appeso alla porta della Chiesa di Wittenberg la notte del 31 ott. 1517. Il testo venne diffuso in tutta la Germania suscitando consensi in ogni ceto perché poneva fine al commercio delle indulgenze e toglieva fondamento al fiscalismo romano. Papa Leone X reagì con la scomunica di Lutero (Bolla Exsurge Domine del 15 giu. 1520). Nello stesso anno Lutero espose il suo pensiero in alcuni scritti: Appello alla nobiltà cristiana della nazione tedesca affinché intervenga nelle questioni religiose, La cattività babilonese della Chiesa dove denuncia la corruzione della Curia e nega la validità del sacramento della confessione, infine La libertà del cristiano, il programma del luteranesimo. Molti principi tedeschi si schierarono a favore della nuova dottrina, non l'imperatore Carlo V che convocò una Dieta a Worms, alla quale intervenne anche Lutero grazie a un salvacondotto. La Dieta si concluse senza risultati, Carlo V ne approfittò per mettere al bando Lutero (Editto di Worms del 1521), portato in salvo dall'Elettore di Sassonia. La nuova dottrina aveva suscitato molte speranze nei ceti più umili: Lutero li disilluse appoggiandosi al potere dei principi. Nel 1522 la piccola nobiltà dei cavalieri insorse in nome della nuova fede tentando di occupare le terre del vescovo di Treviri, ma furono subito annientati. Lutero si dimostrò contrario a ogni azione svolta con la forza e legittimò l'intervento dei principi. Stessa sorte toccò alla rivolta dei contadini, guidati nel 1525 dal radicale Thomas Miintzer (1490-1525), che si diffuse rapidamente in molti territori dell'Impero. La reazione dei signori fu durissima, quasi centomila furono i contadini massacrati. Negli stessi anni la Riforma giungeva in Svizzera con la predicazione di Ulderico Zwingli (1484-1531). Zwingli trovò nella libera città di Zurigo il luogo ideale per la realizzazione delle sue idee che comportavano uno stretto legame tra potere politico e religioso. La Chiesa per Zwingli era costituita dalla comunione dei credenti, la disciplina era mantenuta dal potere politico. La diffusione della Riforma fu osteggiata dai cantoni meridionali cattolici che provocarono un conflitto armato, Zwingli perse la vita nella battaglia di Kappel (1531). Ginevra divenne un altro grande centro riformatore grazie al francese Giovanni Calvino (1509-64). Il calvinismo radicalizzava la dottrina della predestinazione dell'uomo allontanandola dal suo significato originario: la riuscita in questo mondo diveniva infatti la misura del favore divino; gli eletti scelti da Dio costituivano la Chiesa dei santi, l'unico strumento per avvicinarsi al divino era la lettura della Bibbia. Le magistrature cittadine dovevano vegliare, anche con modi polizieschi, sulla condotta dei fedeli. Alcune sette poco diffuse e osteggiate dalle autorità civili e religiose (Anabattisti, anti-trinitari, sociniani) ridicolizzarono il messaggio riformatore. In Svizzera la diffusione del calvinismo soppiantò almeno in parte la dottrina di Zwingli. In Scozia il calvinismo fu diffuso dalla predicazione di John Knox. Nei Paesi Bassi l'adesione alla Riforma ebbe anche il significato di opposizione alla politica spagnola che vi aveva introdotto l'Inquisizione. La rivolta contro gli Spagnoli portò alla divisione del dominio. In Scandinavia la penetrazione della Riforma si affermò prima in Danimarca e in Svezia e successivamente in Norvegia e Finlandia. In Francia la diffusione del calvinismo fu osteggiata dai sovrani, i calvinisti detti ugonotti furono perseguitati, ciò originò i conflitti interni noti come guerre di religione. In Spagna e in Italia il protestantesimo rimase un fenomeno circoscritto. Li ntroriforma e il Concilio di Treni Già l'Umanesimo cristiano di Erasmo da Rotterdam o di Tommaso Moro propugnava una riforma interna alla Chiesa con il ritorno alla povertà evangelica, la condanna del nepotismo e l'abolizione delle pratiche superstiziose, tali tendenze furono ben presto messe in minoranza. Nel 1545 si aprì il Concilio di Trento, durato ben diciotto anni con alterne fasi (che comprendono anche lo spostamento della sede a Bologna nel 1547) condizionate dalla personalità dei papi succedutisi in quegli anni. I decreti conciliari, confermati dalla Bolla Benedictus Deus (1564) di Pio IV, portarono importanti innovazioni in campo pastorale: uniformarono la celebrazione della messa, istituirono i seminari diocesani per la formazione dei parroci, introdussero per i vescovi l'obbligo di residenza e di visita pastorale nelle diocesi, ripristinarono l'osservanza della regola nei conventi e nei monasteri. Dal punto di vista teologico furono definite le dottrine relative ai sacramenti e quella della transustanziazione (cioè della reale presenza del corpo e del sangue di Cristo nel pane e nel vino al momento della consacrazione eucaristica) fu riaffermata l'autenticità della “Vulgata”, cioè della traduzione della Bibbia in latino fatta da S. Girolamo. L'iniziativa dei parroci fu affiancata dall'opera di ordini religiosi riformati o di nuova istituzione impegnati in campo educativo o assistenziale (cappuccini, barnabiti, somaschi, teatini ecc.). Nel 1540 S. Ignazio di Loyola fondò la Compagnia di Gesù alle dirette dipendenze del pontefice, con compiti in campo educativo e missionario. Pochi anni prima del Concilio, nel 1542, papa Paolo II riorganizzò il tribunale romano dell'Inquisizione, su modello di quello spagnolo. Un altro strumento repressivo fu l'Indice dei libri proibiti (1559) che controllava la stampa. All'attività della Santa Sede corrispose nelle diocesi l'impegno pastorale e riformatore di grandi vescovi come Carlo Borromeo a Milano. L’anglicanesimo La Chiesa anglicana fu costituita dal re Enrico VIII, che con l'Atto di supremazia (1534) si sostituiva al papa nel governo della Chiesa inglese, a causa del rifiuto di papa Clemente VII di concedergli l'annullamento del matrimonio con Caterina d'Aragona. Enrico VIII, dopo la scomunica, sottrasse l'Inghilterra al controllo papale ma conservò la struttura dogmatica cattolica (mantenendo tutti i sacramenti e nominando direttamente i vescovi), senza accogliere i principi del protestantesimo. Con il regno di Edoardo VI si accentuarono invece gli influssi calvinisti evidenti nel Book of Common Prayer (1552) che ammetteva solo due sacramenti, battesimo ed eucarestia. Dopo la restaurazione cattolica di Maria Tudor, Elisabetta I ritornò all'Anglicanesimo con il rinnovo dell'Atto di Supremazia e la pubblicazione dei Trentanove articoli (1561) che abolivano il celibato ecclesiastico. Il sovrano diveniva il supremo governatore negli affari ecclesiastici, riservando al Parlamento il controllo della predicazione e dei sacramenti e l'applicazione del Book of Common Prayer. Il problema religioso Dopo aver messo al bando Lutero con l'Editto di Worms (1521), Carlo V cercò di convincere il pontefice a convocare un Concilio generale della Chiesa e si adoperò per salvaguardare l'unità politica e religiosa dell'Impero. Fallito il tentativo di conciliazione con i luterani (Dieta di Augusta del 1530), Carlo V affrontò i principi luterani che avevano costituito la Lega di Smalcalda, guidata dall'Elettore di Sassonia. Li sconfisse nella battaglia di Mùhlberg (24 apr. 1547), ultimo successo contro i protestanti. Alla fine, costretto a combattere su più fronti, dovette accettare la tregua di Passau (1552), preludio alla Pace di Augusta: (1555), nella quale venne fissato il principio del cuius regio eius et religio, “di chi il paese di quello anche la religione”, cioè la libertà di culto per i principi luterani e l'obbligo dei sudditi di accettare la confessione del sovrano. Si sanciva così la divisione religiosa dei territori dell'Impero. Nel 1556, dopo aver visto fallire tutti i suoi ideali, Carlo V abdicò: rinunciò ai Paesi Bassi, ai Regni di Aragona, Sicilia, Castiglia, e alle colonie americane in favore del figlio Filippo II, che aveva investito dello Stato di Milano e del Regno di Napoli. Al fratello Ferdinando, re di Boemia e Ungheria, lasciò i domini austriaci. Si ritirò poi in convento in Estremadura. L’ideale imperiale di Carlo V Carlo V, sia per formazione culturale, sia per indicazione dei suoi consiglieri, tra cui Mercurino di Gattinara, perseguì il sogno politico di un'autorità monarchica universale che facesse rivivere l'universalismo del Sacro Romano Impero attraverso la realizzazione della Res publica christiana, un'Europa di Stati in cui l'imperatore fosse la guida politica e morale della Cristianità nella lotta contro l'Islam. Tuttavia la spaccatura religiosa della Cristianità in seguito alla Riforma protestante e l'aperta lotta sostenuta contro Francesco I di Francia resero impossibile il suo progetto politico. Anche l'idea di assicurare la successione imperiale al figlio Filippo incontrò l'opposizione dei principi tedeschi, che imposero la separazione dei domini asburgici austriaci e della dignità imperiale dalla corona di Spagna. L'EUROPA NELLA SECONDA METÀ DEL CINQUECENTO La Pace di Augusta (1555) con il principio del cuius regio eius et religio aveva sancito la divisione dell'Impero e la fine di ogni possible restaurazione dell'universalismo cristiano. Nella seconda metà del '500 i conflitti di natura politico-religiosa condizionarono non solo la politica estera degli Stati europei ma causarono guerre civili, portando alla ribellione e al distacco di territori contrari alla religione professata dal sovrano. Questo fenomeno, destinato a proseguire nel secolo seguente con la Guerra dei Trent'anni, mise in luce una profonda crisi degli Stati europei combattuti tra la volontà di assestamento e le frequenti rivolte interne. In campo economico l'atlantizzazione delle reti commerciali aveva provocato una decadenza sempre più accentuata del Mediterraneo e dell'Italia, e l'ascesa di nuovi protagonisti, primi fra tutti l'Inghilterra e le Province Unite. La Spagna, dal canto suo, aveva imboccato la via del declino rinunciando a potenziare l'economia nazionale e diventando sempre più dipendente, in campo economico, dalle colonie. La Francia e l rre di religion In Francia dopo la morte del sovrano Enrico II (1559) e dell'erede Francesco II (1560) il potere passò nelle mani della moglie Caterina de' Medici, reggente per il secondo figlio Carlo IX. Durante la reggenza si formarono due partiti nobiliari antagonisti fra loro, quello dei cattolici capeggiato dalla famiglia dei Guisa e quello ugonotto, che aveva tra i maggiori rappresentanti il principe di Condé e de Coligny. Il Parlamento di Parigi, contrastando Caterina che aveva tentato una politica di conciliazione con gli ugonotti, dichiarò questi ultimi fuori legge provocando lo scoppio della guerra civile. L'Editto di Amboise (1563) concesse la libertà di coscienza a tutti i protestanti, ma di culto ai soli nobili. Il conflitto proseguì fino all'Editto di St. Germain (1570) che assegnava agli ugonotti alcune piazzeforti non controllate dal re. Con l'assenso della sovrana i duchi di Guisa organizzarono il massacro dei calvinisti nella Notte di San Bartolomeo (24 ago. 1572) quando nella sola Parigi circa 2-3.000 ugonotti furono passati a fil di spada. Morto Carlo IX (1574) l'influenza politica di Caterina non diminuì sotto il regno del terzo figlio, Enrico III. La lotta per il potere scatenò la “guerra dei tre Enrichi” (così detta perché tutti i contendenti: il re, il duca di Borbone, capo degli ugonotti, e quello di Guisa, esponente dei cattolici, si chiamavano Enrico) che vide l'assassinio di Enrico di Guisa (1588) ordinato dal re. Alla morte di Enrico III (1589), Enrico di Borbone (marito di Margherita di Valois, sorella del re), già re di Navarra, non fu riconosciuto come erede legittimo dai cattolici e ottenne il trono con la forza delle armi e la conversione al Cattolicesimo (1594). L'Editto di Nantes, promulgato da Enrico IV nel 1598, riconosceva a tutti i sudditi la libertà di coscienza e di culto, ponendo fine alle guerre di religione. Gli lis «Fili Il Filippo II (1556-98) era stato allevato in un clima di rigido e austero Cattolicesimo. Reggente di Spagna (1543), sposò in prime nozze Maria Emanuela del Portogallo, dalla quale ebbe don Carlos; poi Maria Tudor, regina d'Inghilterra; Elisabetta di Valois e infine Anna d'Austria che gli diede cinque figli, dei quali il solo Filippo III gli sopravvisse. Filippo II estese a tutti i suoi domini il sistema castigliano, secondo una visione centralistica dello Stato che voleva il trasferimento della capitale a Madrid (1561) e la costruzione dell'Escorial, sua residenza dal 1584. Governò con l'aiuto dei Consigli (ai preesistenti fuono aggiunti il Consiglio d'Italia, 1559; quello del Portogallo, 1582, e delle Fiandre, 1588) che rispondevano direttamente a lui e sovrintendevano a ogni settore della vita dello Stato. L'intensa lotta in difesa dell'ortodossia cattolica provocò l'annientamento dei protestanti, ma anche il controllo della corona sulle nomine vescovili, i benefici, l'istruzione del clero, ponendo spesso pesanti condizionamenti al Papato. Nei confronti di ebrei e moriscos promosse una politica di conversioni forzate e di persecuzioni. In politica estera continuò il movimento espansivo nella penisola iberica che culminò con l'unione personale del Portogallo alla corona spagnola (1580). Con gli accordi siglati nella Pace di Cateau- Cambrésis rafforzò il controllo spagnolo sulla penisola italiana. La vittoria di Lepanto contro i Turchi (1571) garantì la sicurezza sulle rotte commerciali del Mediterraneo meridionale. Filippo II intervenne anche nelle guerre di religione in Francia alleandosi con i cattolici contro Enrico di Borbone. La nascita delle Province Unite Filippo II tentò di estendere la sua politica di uniformità religiosa e amministrativa ai Paesi Bassi, in larga parte calvinisti. Ciò scatenò la rivolta dei territori fiamminghi, sostenuta da Francia e Inghilterra. La violenta repressione del duca d'Alba (1567) colpì i capi dei calvinisti e impose la tassazione delle attività commerciali. Guglielmo d'Orange, esponente dell'aristocrazia fiamminga, guidò la rivolta antispagnola caratterizzata da atti di pirateria navale. Il saccheggio di Anversa (1576), voluto da Filippo II, provocò la pacificazione tra le province del Nord calvinista e quelle del Sud cattolico, frutto dell'accordo fu l'Unione di Gand con cui si chiedeva il ritiro delle truppe spagnole. Il nuovo governatore spagnolo Alessandro Farnese giocò abilmente sulle differenze religiose tra calvinisti e cattolici riuscendo a spezzare l'Unione di Gand. Nel 1579 le sette province settentrionali si proclamarono indipendenti (Unione di Utrecht). A esse si contrappose l'Unione di Arras delle province cattoliche, fedeli alla Spagna. Le Province Unite si diedero una struttura confederata con Stati generali unitari e permanenti sotto la guida di un governatore (statolder). La guerra con la Spagna continuò sino alla Pace di Vestfalia del 1648. L'Inghilterra eli ian Alla morte di Edoardo VI la sorellastra Maria la Sanguinaria (1553-58) cercò di restaurare il Cattolicesimo (con l'appoggio del marito Filippo II) attuando una violenta politica persecutoria contro i protestanti. Le succedette la sorellastra Elisabetta I (1558-1603) figlia di Anna Bolena che, ostile sia al Cattolicesimo che al puritanesimo, consolidò il potere della Chiesa anglicana. La nuova regina, scomunicata da Pio V nel 1570, sedò le rivolte cattoliche in Irlanda ma limitò anche le insubordinazioni sociali dei puritani e si schierò a fianco degli ugonotti durante le guerre di religione in Francia. In campo economico avviò la trasformazione dello Stato in potenza navale, commerciale e coloniale (con la fondazione della colonia della Virginia in America), e minacciò il monopolio commerciale spagnolo con Nel 1617 Luigi XIII, acquisiti la maggiore età e i pieni poteri, si adoperò contro il predominio asburgico in Europa e introdusse nel Consiglio Regio Richelieu (1624-42) che si sforzò di sottomettere l'alta nobiltà in cospirazione contro il sovrano. Smantellò la potenza militare ugonotta sostenuta dagli Inglesi (presa della piazzaforte ugonotta La Rochelle, 1628) concedendo loro libertà di culto. Incoraggiò lo sviluppo del commercio, di manifatture reali e la creazione di compagnie di monopolio e di una marina da guerra. Rafforzò l'amministrazione statale con la riforma del Consiglio del re e l'invio di funzionari regi (gli intendenti) nelle province. Partecipò alla Guerra dei Trent'anni come alleato delle potenze protestanti, invase la Valtellina e difese i diritti del duca di Nevers. Il crescente fiscalismo causato dai costi della politica bellica provocarono negli ultimi anni numerose rivolte. La sua politica fu continuata dal successore Mazarino. I dissidi religiosi nell'Impero L'Impero di Rodolfo II, cattolico intransigente, aveva provocato la rivolta dei protestanti uniti nell'Unione Evangelica. Nel 1612 la dignità imperiale passò al fratello Mattia, vincitore delle armate turche e delle ribellioni ungheresi. Senza eredi, su pressione del partito cattolico, Mattia designò alla successione il nipote Ferdinando di Stiria, favorevole a una restaurazione cattolica. La Dieta boema si mostrò subito ostile all'arciduca, l'invio di due rappresentanti imperiali cattolici a Praga accese ancor più gli animi e provocò la defenestrazione dei messi (23 magg. 1618). La Guerra dei Trent'anni La fase boemo-palatina (1618-23). Alla morte dell'imperatore Mattia (1619), i boemi non accettarono l'elezione di Ferdinando II e proclamarono re l'elettore palatino Federico V, sostenuto dall'Unione Evangelica. L'imperatore con l'ausilio della Spagna e della Baviera costituì una Lega cattolica, guidata dal generale Tilly che sconfisse i protestanti nella battaglia della Montagna Bianca (1620). Ferdinando II dichiarò il Cattolicesimo unica religione di Stato in Boemia, e iniziò la dura repressione dei protestanti con la confisca dei loro beni e la distribuzione ai nobili cattolici. Federico V fu proscritto dal Regno e il suo titolo assegnato a Massimiliano I di Baviera (1623). La fase danese (1625-29). Nel 1625 Cristiano IV di Danimarca, sovvenzionato da Inglesi e Olandesi, intervenne nel conflitto al fianco dei protestanti. L'esercito imperiale, comandato da Wallenstein, raccolse una serie di schiaccianti vittorie. Nel 1629 la Pace di Lubecca sancì la sconfitta della Danimarca e il suo ritiro dalla guerra. L'imperatore promulgò l'Editto di restituzione con il quale obbliga i protestanti a restituire ai cattolici le proprietà prese nel 1552. La fase svedese (1630-35). Un nuovo protagonista entrò in scena nel 1630: Gustavo Adolfo re di Svezia invase le terre imperiali e strinse alleanze con i principi protestanti. La Svezia ottenne numerose vittorie ma a Litzen (1632) nello scontro decisivo il re cadde sul campo. In seguito la Svezia subì una serie di sconfitte sino al suo ritiro (Pace di Praga, 1635). Wallenstein, destituito dal comando per crudeltà verso i suoi uomini, fu fatto assassinare dall'imperatore, mentre l'arciduca Ferdinando assunse il comando dell'esercito. La fase francese (1636-48). Richelieu, alleato della Svezia, attaccò la Spagna e l'Impero dando vita a una Lega antiasburgica tra Olanda, Parma, Savoia e Mantova. Nel 1637, morto l'imperatore, gli successe il figlio Ferdinando III, già comandante dell'esercito. Le truppe imperiali costrette a combattere su più fronti vennero spesso sconfitte, nella battaglia delle Dune (1639) gli Olandesi distrussero la flotta spagnola. Ferdinando III, che perse l'aiuto della Spagna sconvolta dalle rivolte interne, fu costretto a firmare la pace con la Sassonia (1642). A Rocroi (1643) i Francesi riportano una vittoria importante contro gli Spagnoli. Iniziarono i colloqui di pace preliminari e separati tra Francia e Impero, tra Svezia, Sassonia e Impero (1646), tra Francia e Baviera (1647). La Pace di Vestfalia (1648) sancì la fine della guerra garantendo ai protestanti la libertà di culto nei territori dell'Impero. La Spagna non firmò la pace e proseguì la guerra con la Francia fino al 1659. L'intermezzo italiano La guerra si spostò in Italia a causa del ruolo strategico rivestito dalla Valtellina (controllata dai Grigioni svizzeri) per il movimento delle truppe spagnole verso i territori imperiali. La Spagna si alleò, senza successo, ai cattolici contro la Lega dei Grigioni. Nel 1627, alla morte di Vincenzo Il Gonzaga, Spagna e Impero si opposero alla successione dell'erede designato, Carlo, principe di Gonzaga-Nevers, imparentato con la corona francese. I Francesi, che già avevano occupato Saluzzo e Pinerolo, assediano Casale, i Savoia colpiti nei loro territori si alleano con la Spagna. Nel 1630 gli imperiali occupano Mantova e la saccheggiano. Il Trattato di Cherasco (1631) riconosce i diritti dei Gonzaga-Nevers su Mantova e su una parte del Monferrato, l'altra parte viene concessa al duca di Savoia, la Francia mantiene il possesso delle fortezze di Pinerolo e Casale. LE DUE RIVOLUZIONI INGLESI E LA NASCITA DEL REGIME PARLAMENTARE Dopo la morte di Elisabetta I nel 1603 le corone di Scozia e Inghilterra erano state riunite nelle mani di un solo sovrano Giacomo I Stuart. Per ottenere il favore dei sudditi il nuovo re nominò molti baronetti, creando una vera e propria inflazione di titoli nobiliari. Giacomo I era stato educato al calvinismo ed era un fautore dell'assolutismo, il suo programma era incentrato sull'accentuazione del diritto divino dei re e sul rafforzamento della Chiesa anglicana. Il Parlamento e in particolare la Camera dei Comuni si opposero al suo progetto, al suo interno si mostrarono particolarmente intransigenti i puritani che non accettavano la struttura episcopale della Chiesa anglicana. Un altro terreno di scontro con larghi strati della popolazione era la politica economica del sovrano che aveva creato privative per molte derrate alimentari, era contrario all'espansione coloniale inglese e alla nascita di industrie laniere nazionali. I contrasti si acuirono con il regno di Carlo I (1625-49) quando l'Inghilterra partecipò alla Guerra dei Trent'anni, nella fase danese, a fianco di Olanda, Francia e Danimarca contro la Spagna. l ima Rivoluzi ingl La partecipazione alla Guerra dei Trent'anni comportava molte spese militari: il Parlamento di fronte a questa richiesta del sovrano rispose con la Petizione dei diritti (1629). Il documento riaffermava le garanzie costituzionali, tra cui l'inviolabilità personale dei cittadini, la necessità dell'approvazione preventiva del Parlamento per la riscossione delle imposte e l'impossibilità di proclamare la legge marziale in tempo di pace. Il re accolse la petizione, ma governò poi senza convocare il Parlamento con l'ausilio dei suoi ministri (il conte di Strafford e l'arcivescovo di Canterbury W. Laud). Per risolvere i problemi finanziari la corona rimise in vigore vecchie tasse non controllate dal Parlamento, la più famosa fu lo ship-money che dovevano pagare le città costiere e che ora, per la prima volta, fu estesa anche ai territori dell'interno. La situazione precipitò quando Carlo I tentò di imporre alla Scozia, a maggioranza presbiteriana di impronta calvinista, la supremazia della Chiesa anglicana e il Book of the common prayer. Gli Scozzesi si ribellarono e sconfissero a Newburn-on-Tyne (1640) Carlo I, che fu costretto a convocare il Parlamento per ottenere fondi per la guerra contro i ribelli. Il cosiddetto Corto Parlamento (magg.-giu. 1640) fu sciolto immediatamente per essersi rifiutato di concedere i fondi richiesti, ma il successivo Lungo Parlamento (sciolto nel 1653) ottenne la decapitazione di Strafford e di Laud, lo scioglimento della Camera Stellata e l'abolizione di tutte le misure fiscali e religiose prese dal re. Nel 1641 la rivolta dei cattolici irlandesi provocò la reazione del Parlamento che approvò la Grande Rimostranza nella quale si consideravano traditori i papisti e il clero corrotto. La fuga di re Carlo I a Oxford, roccaforte monarchica, fu il segnale d'inizio della guerra civile, che vide schierati con il re la nobiltà e la maggior parte dei proprietari terrieri, i prelati anglicani e i cattolici, mentre con il Parlamento si schierarono i puritani e quanti non si riconoscevano nella religione ufficiale, i magistrati e la borghesia. La prima L’ITALIA DEL CINQUECENTO E DEL SEICENTO Alla fine del '400 l'Italia godeva di un periodo di grande splendore: l'arte e la letteratura italiana, ma anche lo stile di vita delle corti erano imitati in tutti i paesi europei. Il successo doveva rivelarsi effimero dal punto di vista politico: i piccoli Stati italiani, gelosi della propria indipendenza, stavano per divenire, a causa della loro debolezza politica e militare, oggetto di conquista da parte delle nazioni vicine. Durante le guerre d'Italia le numerose alleanze e i continui cambiamenti di fronte mostrarono l'incapacità degli Stati italiani di coalizzarsi contro gli stranieri. La Pace di Cateau Cambrésis (1559) sanzionò il predominio della Spagna in Italia, dove ottenne lo Stato dei presidi ILD i Savoi; Dopo un periodo di occupazione francese (1536-61) Torino fu ripresa da Emanuele Filiberto, comandante supremo delle armate di Carlo V, che vi stabilì definitivamente la capitale sabauda spostandola da Chambéry. Emanuele Filiberto iniziò l'unificazione amministrativa dei territori: introdusse la lingua italiana nella legislazione e centralizzò l'amministrazione finanziaria e giudiziaria. Una delle direttrici di espansione territoriale dello Stato sabaudo era verso il Monferrato, dal 1559 possesso dei Gonzaga. Dopo il vano tentativo di conquista da parte di Carlo Emanuele I (1613-17), il Monferrato fu conteso da Spagnoli e Francesi con la cosiddetta Guerra del Monferrato iniziata nel 1627 e conclusasi con i trattati di Ratisbona (1630) e Cherasco (1631), secondo i quali Trino e Alba passavano ai Savoia, Pinerolo al re di Francia e il resto del territorio ai Gonzaga-Nevers. Con le paci di Utrecht e Rastadt (v. cap 10) il Monferrato passò ai Savoia. Durante il ducato di Carlo Emanuele II (1663-75) il Piemonte imboccò la via del mercantilismo investendo nelle attività produttive e nella costruzione di importanti opere architettoniche per abbellire Torino (Palazzo Reale, Teatro Regio, Palazzo Carignano). Le ambizioni di espansione territoriale nei territori di Genova dovevano restare solo un desiderio, nella battaglia di Castelvecchio (1672), infatti, la Repubblica ottenne una grande vittoria. La Ri lica Ven Forte di un efficiente apparato di governo e della sua potenza economica e commericale Venezia aveva costituito nel XV sec. un vasto territorio in terraferma che comprendeva l'odierno Triveneto, la Lombardia orientale (con Bergamo, Brescia e Cremona), il Polesine, la riviera romagnola e l'Istria. Le ambizioni territoriali veneziane furono bruscamente fermate dalla Lega di Cambrai che sconfisse duramente i Veneti ad Agnadello (1509). In campo economico la decadenza del volume dei commerci e della produzione della seta era sempre più avvertita, navi europee solcavano il Mediterraneo riducendo gli spazi alla flotta veneta. Ben presto Venezia dovette affrontare un'altra grave minaccia: l'Impero ottomano. Nonostante alcune clamorose vittorie come quella di Lepanto (1571) non riuscì a evitare una lenta ma continua erosione dei suoi possessi territoriali nell'Adriatico e nell'Egeo: nel 1569 fu persa Cipro, nel 1669 dopo una strenua resistenza cadde anche Candia (Creta), la Morea, riconquistata nel 1684, fu definitivamente persa nel 1718. Nel sec. XVII la decisione di processare nei suoi tribunali civili due sacerdoti macchiatisi di reati comuni pose Venezia in conflitto con papa Paolo V che intimò l'Interdetto (1606-07), ossia la proibizione di officiare alcuni sacramenti nei territori della Repubblica. La Repubblica di Genova L'antica Repubblica marinara in decadenza all'inizio del '500 era passata sotto il dominio francese. Nel 1512 l'ammiraglio di Carlo V Andrea Doria cacciò i Francesi da Genova e si accordò con l'imperatore per ottenere la piena indipendenza della Repubblica (Trattato di Madrid, 1528). Represse numerose congiure e in Corsica alcune sollevazioni popolari fomentate da Francesi e Turchi. Nel 1573 una rivolta tentò di allargare la base oligarchica del potere cittadino cancellando le distinzioni tra nobili e non-nobili. La città era di fatto inserita nell'orbita spagnola sia per gli interessi bancari del Banco di S. Giorgio sia per la tendenza dei nobili genovesi ad acquistare feudi nel Sud Italia. Nel 1684 la città fu duramente bombardata dalla flotta francese perché aveva continuato a commerciare con la Spagna e con Algeri nonostante il divieto impostole dal Re Sole. La pace che fu firmata l'anno dopo permise alla città di mantenere la sua indipendenza. ID iT N: Firenze sotto Lorenzo il Magnifico (1449-92) aveva vissuto un periodo di grande splendore: la Toscana era divenuta l'ago della bilancia della politica italiana. Il prestigio dei Medici fu però compromesso nei secoli successivi: durante il governo di Piero, in occasione della discesa di Carlo VIII, la città ne approfittò per fondare una repubblica teocratica (1494-98) sotto la guida di Girolamo Savonarola. Questi impose alla città una moralizzazione che gli alienò le simpatie della borghesia la quale, dopo la scomunica da parte di papa Alessandro VI, lo arrestò e lo mise a morte. I Medici poterono rientrare a Firenze solo nel 1512 grazie alla protezione degli Spagnoli. Nel 1532 Alessandro de' Medici ottenne grazie all'aiuto dello zio papa il titolo di duca e diede formalmente inizio al principato mediceo. I Medici durante il '500 fornirono al Papato due grandi pontefici, Leone X e Clemente VII. Cosimo I (1519-74) ottenne nel 1539 il titolo di granduca di Toscana, durante il suo governo si sforzò di costruire uno Stato assolutistico modernamente accentrato, riuscendo ad annettersi nel 1559 l'antica Repubblica di Siena. Li lla Chi Nel XVI sec. lo Stato pontificio partecipò alle guerre di predominio che agitavano la penisola italiana (con Alessandro VI, Giulio II, Leone X, Adriano VI, Clemente VII, Paolo IIl). Nel 1527 la città fu sottoposta al saccheggio da parte delle truppe luterane di Carlo V (i lanzichenecchi), evento che suscitò grande impressione in tutto il mondo cristiano. Con l'avvento della Riforma il potere temporale dei papi venne messo in discussione, lo Stato della Chiesa perse peso politico, anche se, in seguito, la Santa Sede riguadagnò prestigio religioso. Roma in questi anni continuava a essere un importante centro artistico grazie al mecenatismo dei papi. Lo Stato pontificio tentò di sottrarre territori ai Farnese con la Guerra di Castro (1641-44) conclusasi con la sconfitta del Papato che precipitò in una grave crisi economica. I domini noli: Milano, Napoli e la Sicili I territori controllati dagli Spagnoli erano accomunati dalla tendenza a investire nell'acquisto della terra piuttosto che nel finanziamento delle attività imprenditoriali e commerciali. Nel Sud Italia erano state infeudati non solo terre ma addirittura paesi e città. La corruzione della burocrazia spagnola favoriva i potenti locali e, tramite l'appalto dell'esazione fiscale, dava adito ad abusi di ogni sorta. Nel Milanese gravi danni provocò il passaggio dei lanzichenecchi che portarono la peste bubbonica. La crescita demografica che portò la città di Napoli a essere nel sec. XV la seconda città europea, dopo Parigi, non fu accompagnata da un equivalente sviluppo economico. L'enorme plebe in condizioni di estrema miseria fu sovente spinta alla rivolta. Nel 1647 Masaniello capitanò una rivolta popolare antispagnola sorta a causa dell'introduzione di una nuova gabella sulla frutta. La sommossa indusse alla fuga il viceré spagnolo che fece uccidere i capipopolo dai suoi sicari. Anche la Sicilia diede vita a violente rivolte anti-spagnole, nel 1647 a Palermo e nel 1674 a Messina, conclusesi senza risultati. li altri i minori Altri piccoli Stati italiani cercavano di difendere il loro territorio dalle ambizioni dei più potenti vicini, gravitando nell'orbita degli Spagnoli. Il Ducato di Mantova e il marchesato del Monferrato retti dalla famiglia dei Gonzaga-Nevers furono, come si è visto, coinvolti dai Savoia nella lunga Guerra del Monferrato. Gli Estensi che controllavano il Ducato di Modena e di Ferrara non riuscirono a impedire la sottrazione di Ferrara che nel 1598 passò allo Stato della Chiesa. Lo Stato pontificio assorbì nel 1631, alla morte di Francesco Maria della Rovere, il Ducato di Urbino. Il Ducato di Parma e di Castro vide i Farnese coinvolti in una guerra con lo Stato della Chiesa per il controllo di Castro. La Repubblica di Lucca fu oggetto di mire da parte dei Medici. la Pace di Nimega (1678) e l'annessione alla Francia della Franca Contea. La politica aggressiva del re continuò con una serie di annessioni nei Paesi Bassi spagnoli, Lorena e Alsazia. Importanti successi furono conseguiti nel 1681: la presa della città imperiale di Strasburgo e della fortezza di Casale in Piemonte. Nel 1684 Genova fu a lungo bombardata per l'appoggio dato alla Spagna. Con l'ascesa al trono d'Inghilterra di Guglielmo II d'Orange (1689), che era stato l'anima della resistenza olandese, si formò una “grande alleanza” antifrancese (detta Lega di Augusta), che univa Inghilterra, Austria, Stati tedeschi e Svezia. La guerra che seguì (1689-97) si protrasse fino alla Pace di Rijswijk, che impose alla Francia la restituzione di gran parte dei territori occupati in Alsazia e in Lorena. Ma un conflitto ancor più vasto si aprì nel 1700 con la morte di Carlo II di Spagna e la questione della successione al trono. NUOVI EQUILIBRI NELL'EUROPA DEL SEICENTO Il XVII sec. vide l'ascesa di nuove potenze emergenti che si affermarono con prepotenza sul campo militare o commerciale. Il baricentro si spostò verso Nord-est: sulla scena europea si affacciarono per la prima volta da protagonisti i Paesi Bassi, la Svezia, la Prussia e il principato di Mosca. Altri Stati come la Danimarca e la Polonia, dopo una breve parentesi di successo in campo internazionale, vedevano ridimensionate le loro aspettative. Alcune potenze tradizionali avevano già raggiunto il periodo del loro massimo splendore e stavano per affrontare un perido di crisi. L'Impero frustrato dalla Guerra dei Trent'anni nelle sue ambizioni stava cercando di ricreare una coesione interna attorno ai territori austriaci e ungheresi. La Spagna aveva raggiunto l'egemonia nella penisola italiana a spese della Francia che meditava ora la rivincita, ma entrambe le economie erano sull'orlo della bancarotta. L'Inghilterra stava vivendo un periodo di parziale isolamento a causa delle vicissitudini interne che avevano portato alla cacciata della dinastia Stuart e alla regolamentazione della monarchia. L'Impero Ferdinando III (1637-58) concluse l'ultima fase della Guerra dei Trent'anni e avviò la ricostruzione del paese. Il figlio Leopoldo I (1658-1705) affrontò con successo l'offensiva turca nel 1663-64 e nel 1683 quando respinse l'invasione dell'Austria e costrinse i Turchi alla capitolazione di Carlowitz (1699). In Europa occidentale Leopoldo I si impegnò contro la Francia di Luigi XIV, ma dovette firmare la Pace di Rijswijk (1697), salvo poi riprendere le ostilità con la Guerra di successione austriaca quando reclamò il trono per il proprio secondogenito Carlo. La Spagna Dopo il fallimento del tentativo riformatore del conte duca de Olivares la Spagna si trovò coinvolta in una serie di rivolte che interessavano non solo il territorio iberico ma anche l'Italia meridionale. Lo stile di vita nobiliare e il ritorno alla terra provocarono l'abbandono di ogni attività produttiva portando l'economia alla dipendenza dalle colonie e dai finanziamenti del Banco genovese di San Giorgio. La morte di Filippo IV (1665) scatenò la Guerra di “Devoluzione” da parte di Luigi XIV che si concluse con la sconfitta militare e la perdita dei Paesi Bassi spagnoli. Carlo II (1665-1700) ultimo discendente degli Asburgo di Spagna fu incapace di modificare la situazione e con la sua morte provocherà la Guerra di successione spagnola. Le Provini ni Il XVII sec. vide l'ascesa delle Province Unite e di Amsterdam in particolare, da quando nel 1648 la Pace di Vestfalia sancì definitivamente la loro indipendenza e chiuse la navigazione del fiume Schelda ai Paesi Bassi austriaci segnando il declino di Anversa, capitale delle Fiandre spagnole. All'apogeo della potenza commerciale e coloniale furono fondate le Compagnie delle Indie Orientali (1602) e Occidentali (1621) per mantenere i rapporti con le colonie commerciali e agricole in Asia, in Africa e nelle Americhe. L'amministrazione della cosa pubblica avveniva in modo decentrato ed era affidata al patriziato mercantile; frattanto la società olandese, cosmopolita e tollerante, era divenuta il luogo ideale di rifugio per tutti i dissidenti religiosi. La vita culturale e artistica stava vivendo un momento d'oro con celeberrimi pittori, valga un nome per tutti P.P. Rubens. L'Atto di navigazione inglese (1651) che stabiliva l'esclusiva delle navi inglesi nel commercio da e per l'Inghilterra scatenò due guerre anglo-olandesi (1652-63 e 1665-67) che si conclusero con la Pace di Breda (1667) la quale sanciva la superiorità inglese. La Guerra di Devoluzione minacciò direttamente le Province Unite ai suoi confini, così che l'Olanda si coalizzò con gli Inglesi per fermare le ambizioni francesi. Le rivalità commerciali con la Francia provocate dalla politica protezionistica di Colbert scatenarono il conflitto con Luigi XIV (1672-78) che, forte dell'appoggio inglese e svedese, invase il territorio olandese. Guglielmo II d'Orange fu proclamato statolder, l'Olanda si oppose alla supremazia militare francese aprendo le dighe e allagando il proprio territorio. La Pace di Nimega (1678) garantì alle Province Unite l'integrità territoriale a danno della Spagna che perse parte delle Fiandre, annesse alla Francia. La Svezia Durante il regno di Gustavo II Adolfo (1611-32) la Svezia grazie all'abile ministro Oxenstierna ammodernò l'esercito e rafforzò l'economia. Gustavo II, nel tentativo di imporre l'egemonia svedese nel Baltico, risolse i conflitti ancora aperti con la Danimarca e, nella guerra con la Russia, si assicurò l'Estonia (1617), Riga (1621) e la Curlandia (1626). Le sue riforme militari (che addestrarono l'esercito a operare in modo coordinato) e le sue capacità di comando gli diedero fama come uno dei migliori condottieri dell'età moderna. Intervenne nella Guerra dei Trent'anni a fianco dei protestanti, riportando importanti vittorie, ma perse prematuramente la vita a Litzen (1632). Alla sua morte l'erede Cristina aveva solo sei anni, così il governo fu retto sino al 1644 dall'Oxenstierna. Divenuta regina Cristina strappò alla Danimarca l'isola di Gotland e lo Jutland (1643-45). Nel 1648 stipulò la Pace di Vestfalia con la quale la Svezia ormai padrona del Baltico ottenne anche la Pomerania, Brema e Verden. Convertitasi al Cattolicesimo abdicò a favore del cugino Carlo X (1654-60) che coinvolse la Svezia nella prima Guerra del Nord. Carlo con l'appoggio della Francia del cardinale Mazarino dichiarò guerra alla Polonia e la sconfisse nella battaglia di Varsavia (1656). Brandeburgo, Danimarca, Impero e Russia formarono allora una coalizione antisvedese, Carlo X sconfisse la Danimarca e le impose la cessione della Scania. Il conflitto fu concluso, grazie alla mediazione di Mazarino, con le Paci di Oliva e di Copenhagen (1660) che riconobbero alla Svezia il possesso della Scania e la libertà di navigazione nel Baltico. Il successore Carlo XI (1660-97) iniziò l'opera di rafforzamento dell'autorità regia recuperando le terre usurpate dalla nobiltà e fece approvare dalla Dieta la Dichiarazione di sovranità (1682) che gli riconobbe poteri illimitati e la funzione di giudice al di sopra di tutte le classi sociali. Riformò l'esercito, la flotta da guerra e quella commerciale del Baltico, promosse la costruzione di nuovi porti. Il Princi i Mi una serie di scali per il commercio marittimo delle spezie e dei tessuti di lusso, garantito da un'indiscussa supremazia della loro flotta. All'inizio del '500 nell'India settentrionale l'Impero Moghul aveva instaurato un modus vivendi che permetteva la pacifica convivenza tra l'islamismo dei conquistatori e l'induismo degli indiani (i musulmani costituivano meno di un quarto dell'intera popolazione indiana). La società, organizzata in modo rigidamente castale, era basata sul possesso feudale della terra. I territori erano concessi dal sovrano ai nobili guerrieri, i quali in cambio della rendita terriera dovevano allestire truppe per il sovrano. Il più importante sovrano guerriero della dinastia Moghul fu Akbar che alla fine del '500, dopo aver conquistato il Sindh, il Kashmir, il Kandahar e il Belucistan, si ritrovò padrone di tutta l'India settentrionale. I Portoghesi tentarono di penetrare anche in India ma nel 1632 furono espulsi dalla loro colonia di Hungli. Durante il Regno di Aurangzeb, alla fine del '600, l'Impero raggiunse la sua massima espansione ma iniziò contemporaneamente a decadere, soprattutto per le numerose ribellioni dei sikh nei confronti del sovrano. L'Africa La parte settentrionale del continente africano era stata occupata dall'Impero ottomano e islamizzata tra il 639 e il 710 (il cristianesimo resisteva solo tra i copti del Regno di Etiopia), rompendo così i legami con l'altra parte del Mediterraneo. A sud del Sahara la civiltà sudanese fu rivoluzionata dal ricco Regno carovaniero islamico del Mali (che si estese sino a comprendere il Ghana), dotato di complesse strutture politiche e civili, poi soppiantato verso la fine del sec. XIV dall'ascesa del Regno Songhai. Il Regno Songhai (690-1590) fu il più duraturo dei regni dell'Africa centro-settentrionale. Sviluppatosi attorno alla sua capitale Tombouctou, riuscì a sottomettere le tribù tuareg e hausa e a controllare così una vasta regione compresa fra la Guinea, l'Atlantico e il Sahara; raggiunse il suo apogeo nel sec. XVI poco prima della conquista da parte del Marocco. Soprattutto sulle coste orientali si radicò in modo significativo l'Islam e sorsero fiorenti città-Stato. Nelle zone equatoriali e australi le popolazioni nere, soprattutto di etnia bantu, si organizzarono in strutture statali di importanza politica come il Regno di Monomotapa (sec. XII) e il Grande Zimbabwe (secc. XIII-XV). La penetrazione europea iniziò nel sec. XV, per opera soprattutto dei Portoghesi, che colonizzarono in vari punti le coste nel corso delle esplorazioni dei loro navigatori alla ricerca di rotte circumafricane per l'Oriente (Guinea, Benin, Angola, Mozambico). Nel 1491 il re del Congo fu convertito al Cattolicesimo a opera di missionari portoghesi. I contatti con gli europei diedero impulso all'attività commerciale nel Congo basata sugli scambi di metalli e avorio. Attorno alla metà del sec. XVII Francesi, Inglesi e Olandesi iniziarono a impiantare le prime colonie africane. Nel 1795 gli Inglesi occuparono la Colonia del Capo già degli Olandesi. Nell'Ottocento sull'Africa si puntò con maggior forza l'interesse europeo, con un fermento di esplorazioni geografiche delle zone interne e con l'attività di missionari cristiani delle varie confessioni. LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA E L'EVOLUZIONE DEL PENSIERO POLITICO Alla base della rivoluzione scientifica moderna vi era l'affermazione di uno dei princìpi cardine del Rinascimento: lo stretto rapporto intercorrente fra il destino umano e la capacità di rintracciare e controllare le leggi sottese alla realtà naturale. Ciò costituì il presupposto della rivoluzione scientifica moderna e delle sue applicazioni. Fu appunto la propensione all'innovazione tecnologica che contribuì a scavare progressivamente un solco fra la società occidentale e le altre civiltà (araba, indiana, cinese) proprio a partire dal XVI sec. In alcuni settori, come la navigazione o gli armamenti, questo divario fu per gli europei il punto di forza per affermare il proprio dominio sul resto del globo. Anche il pensiero politico e quello economico subirono un'importante evoluzione, scrittori e pubblicisti di diverse nazioni, spinti da motivi religiosi o solo ideologici, sostennero la legittimità dei diversi regimi. La rivoluzione scientifica Tra XVI e XVII sec. cambiò profondamente il modo di affrontare la conoscenza del mondo naturale. Le scoperte astronomiche, mediche, fisiche e le innovazioni del metodo filosofico si collegarono a uno spirito nuovo che scalzò la dogmatica scolastica in nome del metodo sperimentale e della libera e autonoma ricerca, del progresso della conoscenza, con straordinarie implicazioni culturali, religiose e tecnologiche. L'avvio è possibile rintracciarlo nella rivoluzione copernicana che scosse profondamente la cultura europea e influenzò nel XVII sec. il pensiero di Galileo Galilei, di Newton e di Keplero. Copernico (1473-1543), nel suo De revolutionibus orbium coelestium, espose la teoria eliocentrica secondo la quale la terra e i pianeti si muovono attorno al sole. Galileo (1564-1642), divulgatore delle teorie di Copernico sull'immobilità del sole e sul movimento della terra, fece numerose osservazioni sperimentali su altri pianeti con l'ausilio di un nuovo strumento: il telescopio. Per aver sostenuto la teoria eliocentrica fu processato dal Santo Uffizio, condannato e costretto all'abiura. Il suo caso divenne simbolo dello scontro fra la Chiesa cattolica e la cultura scientifica moderna. L'astronomo tedesco J. Keplero (1571-1630) studiò le orbite planetarie e diffuse la conoscenza delle leggi del moto dei pianeti, oltre al metodo per calcolarne la posizione. Le nuove conoscenze astronomiche permisero allo scienziato inglese Isaac Newton (1642-1727), autore di fondamentali opere in campo matematico, meccanico e ottico, di rivoluzionare la scienza moderna con la scoperta delle leggi della gravitazione universale, da lui espresse in formule matematiche. L'attenzione per le questioni metodologiche e l'importanza attribuita all'osservazione furono alla base dei progressi compiuti dalla medicina. Il belga Andrea Vesalio, grazie alle ricerche anatomiche svolte sui cadaveri dei soldati, mise in discussione alcuni principi stabiliti a priori dal modello aristotelico e li sostituì con l'osservazione anatomica della figura umana. L'anatomista inglese W. Harley (1578-1657) scoprì la circolazione del sangue; furono poste le basi della clinica (ovvero lo studio della malattia al letto del malato) e dello studio dell'anatomia patologica. L'evoluzion nsierc liti Niccolò Machiavelli (1469-1527), scrittore e uomo politico fiorentino, è oggi universalmente considerato il fondatore del pensiero politico moderno per la lucida distinzione tra etica e politica. La politica secondo Machiavelli non deve sottostare ai precetti della morale comune, ma perseguire con tutti i mezzi necessari il bene della collettività. Machiavelli nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio e nel Principe analizza l'origine e la struttura delle diverse forme di governo, l'ordinamento ideale è quello repubblicano basato sul consenso dei ceti e su buoni ordinamenti giuridici, civili e religiosi. In condizioni di pericolo o di guerra il potere è affidato a un principe che grazie alla sua virtù (cioè la capacità di realizzare un fine) dà attuazione alle leggi naturali della politica confrontandosi con la fortuna (cioè la sorte). Nel campo politologico, su esempio delle libere repubbliche, iniziarono a diffondersi teorie antiassolutistiche che volevano garantire al cittadino maggiore libertà e autonomia nella sfera privata rispetto al potere di controllo e di coercizione proprio dello Stato. Durante le guerre di religione in Francia pubblicisti e scrittori politico-religiosi protestanti (soprattutto calvinisti) teorizzarono i limiti dell'assolutismo regio e sostennero la legittimità di deporre e anche uccidere i sovrani che si opponessero alla libertà religiosa del popolo. Furono per questo definiti monarcomachi. In Olanda invece nacque la dottrina filosofico-giuridica del Giusnaturalismo che sosteneva l'esistenza di un diritto naturale composto da norme anteriori alle leggi (diritto positivo), delle quali dovrebbero costituire fondamento e modello. Il capostipite del Giusnaturalismo fu Ugo Grozio (De iure belli ac pacis, 1625), che pose la legge naturale dettata dalla ragione a fondamento di un diritto valido per tutti i popoli. Molti pensatori (J. Locke, S. Pufendorf, I. Kant, J.J. Rousseau) svilupparono questa linea di pensiero in una visione laica dell'origine della legge, e di conseguenza del rapporto tra libertà individuale e potere dello Stato. Espressione matura di questa riflessione culturale furono le Dichiarazioni dei diritti dell'uomo e le costituzioni francese e americana di fine '700. In Inghilterra le due rivoluzioni inglesi avevano dimostrato come il popolo potesse revocare al re il suo mandato quando questo violasse la vita e la libertà individuale. Non tutti i pensatori si schierarono contro l'assolutismo: in Francia Jean Bodin e in Inghilterra Thomas Hobbes sostennero i diritti e postularono i limiti del potere sovrano. Jean Bodin (1530-96), coinvolto nelle controversie politico-religiose del suo tempo, nella sua opera I sei libri della Repubblica (1576), sostenne l'esigenza di una politica di tolleranza fondata sull'assolutismo regio. Nel pensiero di Bodin il re, in quanto posto al di sopra di ogni setta religiosa o partito politico e dunque sovrano assoluto sciolto da ogni autorità o legittimazione di terzi, diveniva massimo garante della pace, dell'ordine e dell'unità nazionale, quindi dell'esistenza stessa dello Stato. Thomas Hobbes (1588-1679), vissuto durante il difficile periodo della prima Rivoluzione inglese, godette della protezione di Carlo II. Il suo pensiero era sostanzialmente materialista, razionalista e meccanicista: l'uomo, nello stato di natura, opera come un meccanismo volto all'autoconservazione, in un'inevitabile lotta generale per la sopravvivenza. L'unica via di uscita è quella data dalla razionalità che conduce gli individui ad accordarsi per delegare tutto il potere politico allo Stato (paragonato al Leviatano biblico, da qui il nome Leviathan dell'Inghilterra. Con il Trattato dell'Asiento l'Inghilterra ottenne, per trent'anni, il monopolio del commercio degli schiavi verso i territori americani controllati dagli Spagnoli. Vittorio Amedeo di Savoia ottenne il Monferrato e la Sicilia insieme al titolo di re. I Paesi Bassi ottennero a garanzia da ogni attacco francese una linea fortificata di otto piazzeforti. La successione polacca Alla morte del re di Polonia Augusto II di Sassonia (febb. 1733) suo figlio Augusto III, sostenuto da Russia, Prussia ed Austria pretese la corona contro l'altro pretendente Stanislao Leszezynski, suocero di Luigi XV, sostenuto da Francia, Spagna (che dichiararono indivisibili i due rami della dinastia dei Borbone) e Regno di Sardegna, con l'appoggio dalla maggioranza della Dieta polacca. L'elezione a re di Polonia di Stanislao Leszezynski effettuata dalla Dieta provocò la reazione di un'assemblea di nobili filoaustriaci che gli contrapposero l'elezione di Augusto III. Scoppiò la guerra che vide gli iniziali successi dei Francesi che conquistarono la Lorena e Treviri e le truppe franco-piemontesi che occuparono Modena; don Carlos di Borbone si diresse verso il Regno di Napoli (1734). Il conflitto si chiuse con la Pace di Vienna (nov. 1738) la quale riconosce Augusto III di Sassonia re di Polonia; assegna a Francesco Stefano di Lorena, marito di Maria Teresa d'Austria, il granducato di Toscana (vacante per l'estinzione dei Medici); i ducati di Lorena e Bar furono quindi concessi a titolo vitalizio al Leszczynski in cambio della rinuncia a ogni pretesa sulla Polonia (e alla sua morte sarebbero passati alla Francia); don Carlos di Borbone ottenne l'investitura del Regno di Napoli; Carlo Emanuele III re di Sardegna ottenne Novara, Tortona e i feudi imperiali nelle Langhe, l'Austria conservò Mantova e ottenne lo Stato farnesiano di Parma, Piacenza e Guastalla, la Francia si impegnò a riconoscere la Prammatica Sanzione di Carlo VI. La successione austriaca Alla morte, senza eredi maschi, dell'imperatore Carlo VI d'Asburgo (ott. 1740), l'elettore e duca di Baviera Carlo Alberto e l'elettore e duca di Sassonia Federico Augusto III di Polonia non riconobbero la validità della Prammatica Sanzione del 1713 con cui il defunto imperatore aveva designato sua erede la figlia primogenita Maria Teresa. Si formò così una vasta coalizione antiaustriaca appoggiata da Prussia, Spagna e Francia, mentre Maria Teresa ottenne l'appoggio dell'Inghilterra e dei Paesi Bassi. Nel 1741 Maria Teresa venne incoronata a Presburgo regina di Boemia. Nel 1742 i piemontesi, in precedenza alleati della coalizione antiaustriaca, si alleano con l'Impero, mentre Carlo Alberto di Baviera viene eletto imperatore con il nome di Carlo VII. Le armate austriache subiscono una pesante sconfitta a Chotusitz da parte dei prussiani, Austria e Prussia firmano la Pace separata di Breslavia che riconosce alla Prussia il possesso della Slesia. Grazie all'appoggio dei sudditi ungheresi Maria Teresa riconquista la Baviera e la Boemia, e la Sassonia si ritira dalla coalizione riconoscendo la validità della Prammatica Sanzione. Nel 1744 il riavvicinamento della Prussia alla Francia scatena la seconda Guerra per la Slesia, l'Austria viene sconfitta militarmente a Fontenoy e Hohenfriedberg e cede definitivamente la Slesia alla Prussia. Nel 1745, alla morte di Carlo VII, Francesco Stefano di Lorena, marito di Maria Teresa, fu incoronato imperatore con il nome di Francesco I. Con il Trattato di Aquisgrana (ott. 1748) terminò la Guerra di successione austriaca: Maria Teresa, riconosciuta imperatrice, cedette a Federico II di Prussia parte della Slesia, a Carlo Emanuele III di Savoia territori lombardi (Vigevano, l'Oltrepò pavese e parte della contea di Anghiera); Filippo di Borbone ottenne i ducati di Parma, Piacenza e Guastalla; la Francia non ebbe nessun vantaggio territoriale e dovette restituire i Paesi Bassi austriaci. La fine della guerra non arrestò né l'antagonismo francoinglese né quello austro-prussiano, che si manifestarono nuovamente in conflitto con la Guerra dei Sette anni (1757-63), quando l'Austria, alleata con Russia e Francia, cercò invano di recuperare la Svezia alla Prussia, alleata all'Inghilterra. GLI IMPERI COLONIALI DEL SEI-SETTECENTO L'attività coloniale era iniziata oltre due secoli prima con la scoperta dell'America e la creazione degli imperi coloniali spagnoli e portoghesi nell'America meridionale. L'espansione coloniale non fu un fenomeno limitato alla sola Europa; esso coinvolse anche l'Islam che occupò le coste settentrionali dell'Africa e, in Asia, i Manciù che si stanziarono in Cina. Gli europei, sia pure con modalità differenti, secondo i diversi paesi, si insediarono in tutti i continenti. Per alcuni Stati i territori colonizzati rappresentarono il luogo dove inviare la popolazione in eccesso, oppure dove costruire delle colonie penali ( Inghilterra e Francia). Altri, meno densamente popolati e più interessati all'attività mercantile, costruirono una fitta rete di empori e fortezze commerciali ( Portogallo). La Spagna infine costruì per le sue colonie in America una complessa struttura burocratica, difesa da un forte esercito. Motivi politici e motivazioni religiose si intrecciarono spesso grazie all'intensa opera di alcuni ordini religiosi missionari. L'America settentrionale azione del Nord America ebbe avvio un secolo dopo quella del Sud America con la fondazione della colonia inglese di Jamestown in Virginia nel 1607, della Nuova Francia lungo il fiume San Lorenzo (1604-27), di Nuova Amsterdam sulle foci dell'Hudson (1624). Compagnie commerciali appositamente fondate si impegnarono con le rispettive corone a colonizzare i nuovi territori in cambio del monopolio sugli scambi commerciali. Un elemento di novità fu introdotto quando un numero crescente di comunità religiose perseguitate in Europa trovarono rifugio oltreoceano, dando così origine alle prime colonie di popolamento con il trasferimento di interi nuclei familiari intenzionati a dare vita a insediamenti definitivi (famosi i “padri pellegrini ”, puritani inglesi, giunti nel 1620 in Massachusetts sulla Mayflower). La carta concessa dal re garantiva la possibilità di governarsi secondo principi propri, fermo restando gli obblighi di carattere economico- commerciale (esclusività degli scambi con la madrepatria). La proprietà terriera era molto diffusa, perché divisa di diritto fra tutti i membri maschi della comunità, accentuando il carattere democratico delle strutture di governo e creando uno stretto legame tra i concetti di autonomia economica e libertà politica. In quest'opera di popolamento i coloni anglo- francesi dovettero confrontarsi con la tenace resistenza opposta dalle numerose tribù indiane sospinte sempre più verso l'interno e private dei loro tradizionali territori di caccia e pascolo. Nel Nord America i possessi coloniali erano così suddivisi: i Francesi avevano occupato il territorio canadese, gli Spagnoli la Florida. Gli Olandesi avevano perso nel 1667 le colonie di Nuova Amsterdam e del Delaware a vantaggio degli Inglesi che controllavano tutta la costa orientale e i territori alle loro spalle (organizzati nelle 13 colonie). ;ca Lati L'Impero coloniale spagnolo possedeva gran parte dell'America meridionale con esclusione dei territori appartenenti ai portoghesi, il Messico e molte isole caraibiche (Cuba, Porto Rico). I domini erano retti da viceré sulla cui attività vigilava il Consiglio delle Indie. L’ILLUMINISMO L'Illuminismo fu un movimento culturale europeo del sec. XVIII che derivò il suo nome dal “lume” della ragione, attraverso la quale ci si proponeva di combattere le “tenebre” dell'ignoranza e della superstizione. L'ideologia illuminista si diffuse come mai era accaduto prima per gli altri movimenti culturali, anche oltre la ristretta cerchia intellettuale, nell'aristocrazia e in parti cospicue della borghesia. Testimonianza di questa diffusione delle idee illuministiche fu il grande successo culturale ed editoriale dell' Encyclopédie, venduta in migliaia di copie in tutta Europa. I fondamenti culturali dell'Illuminismo possono essere ravvisati nell'Umanesimo (che aveva posto l'uomo al centro dell'universo) e nel libertinismo. Nel '600 i libertini, contro il rigido conformismo della Controriforma, si qualificavano come liberi pensatori rivendicando la libertà di interpretare le Scritture e di disobbedire alle norme morali delle Chiese in nome di convinzioni personali. Le idee Primo carattere basilare dell'Illuminismo era la fede assoluta nella ragione umana (considerata come perennemente identica a se stessa e presente in tutti gli uomini). Il secondo fondamento era rappresentato dalla fede nella natura: lo stato di natura, in particolare, veniva inteso come l'età felice nella quale l'uomo era innocente e libero. La fede nella ragione e nella natura avvicinava l'illuminismo all'empirismo inglese (Locke, Hume, Berkeley) secondo il quale a ogni campo della conoscenza, comprese la politica e la morale, si applicava il metodo sperimentale delle scienze naturali, con il convincimento di poter individuare leggi generali. La religione diventava un'attività umana al pari delle altre, e un importante strumento di potere. Molti illuministi professavano il deismo che riduceva la religione nei limiti della sola ragione. Le regole di comportamento non venivano perciò da Dio ma dalla natura (in ciò l'Illuminismo riprendeva la lezione del giusnaturalismo). Ma la maggiore novità dell'illuminismo risiedeva nel convincimento di poter ricostruire una nuova età felice tramite un continuo e lineare progresso storico e l'educazione dell'umanità. Alcune istanze illuministiche furono recepite dalle case regnanti che realizzarono alcune riforme politico-economiche propugnate dai philosophes (dispotismo illuminato). L'evoluzione e gli sviluppi politici Il pensiero filosofico-politico-economico dell'illuminismo trovò piena sistemazione ne l'Encyclopédie, più propriamente Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers. Diretta da Diderot e d'Alembert quest'importante opera di divulgazione fu pubblicata a Parigi tra il 1751 e il 1772 in diciassette volumi di testo e undici di tavole, divenendo il più efficace strumento delle idee illuministiche, pervase di razionalismo antidogmatico. Diderot coltivò interessi nel campo delle scienze, dell'arte e della letteratura, sostenendo una concezione deista e rifiutando ogni finalismo della natura. D'Alembert invece si distinse come matematico, e fu chiamato a ventitré anni a far parte dell'Accademia delle scienze di Parigi. Oltre a Diderot e d'Alembert collaborarono all'Encyclopédie Montesquieu, Voltaire, Rousseau, d'Holbach, Buffon, Quesnay, Turgot. L'Enclyclopédie fu apertamente osteggiata dai gesuiti e dal partito devoto di corte e fu condannata da papa Clemente VIII (1759). Tra i maggiori esponenti del pensiero filosofico del XVIII sec. vi fu Jean-Jacques Rousseau (1712-78), vero ponte fra illuminismo e romanticismo. Nelle sue opere fondamentali, L'Emilio o dell'educazione e il Contratto sociale, denunciò il sistema repressivo delle convenzioni sociali, della rigidità culturale e dell'oppressione politica e sociale che soffocavano l'essenza più viva dell'uomo, capace invece di manifestarsi nel felice e libero stato di natura. Le idee di Rousseau influenzarono in larga misura la Rivoluzione francese, ispirando la teoria della rappresentanza popolare, l'istituzione del suffragio universale e la dottrina della sovranità nazionale. Gli aspetti rivoluzionari e ugualitari del suo pensiero gli procurarono molti avversari: potere costituito e autorità ecclesiastiche lo attaccarono violentemente, ma anche molti illuministi, vicini piuttosto al dispotismo illuminato o a forme costituzionali moderate, diffidarono di lui. Forte della sua conoscenza della tradizione empirista inglese Voltaire (1694-1778, pseudonimo di Frangois-Marie Arouet) fu uno dei principali rappresentanti dell'illuminismo francese. Brillante e prolifico scrittore, con la pubblicazione delle Lettere filosofiche suscitò ammirazione e scandalo a causa del violento antidogmatismo che le aveva ispirate. Deista in religione, moderato e liberale in politica, senza simpatie per la plebe, fu consigliere di Federico II di Prussia. In campo politico la critica illuminista della società dell'ancien régime portò il barone di Montesquieu (1689-1755) a teorizzare la separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. La visione laica, che emerge da Lo spirito delle leggi (1748), il trattato storico-politico scritto per dimostrare l'origine naturale delle istituzioni, è stata un modello essenziale per lo sviluppo delle idee rivoluzionarie francesi e per la costruzione dello Stato constituzionale, basato sulla tolleranza, l'avversione al dispotismo e la separazione dei poteri. Il pensiero fisiocratico La fisiocrazia è una corrente di pensiero economico-politico affermatasi in Francia nel XVIII sec., che vedeva nella terra e nell'agricoltura le fonti reali della ricchezza. Il movimento trae origine dalle opere di F. Quesnay e, in particolare, dal Tableau économique (1758), in cui venivano analizzati i vari settori economici, le loro interconnessioni e i rapporti fra le classi. Contrapposta al mercantilismo allora dominante, la fisiocrazia sosteneva che fonte della ricchezza era solo la terra, unica realtà capace di creare un sovrappiù rispetto al capitale anticipato e consumato. I produttori agricoli dovevano dunque poter perseguire liberamente il proprio interesse, che avrebbe portato a un aumento della ricchezza generale e al benessere della comunità. Il sovrano doveva solo creare le istituzioni per favorire lo sviluppo del settore primario e unificare le tasse sugli agricoltori in un'unica tassa sul reddito. L'Iluminismo in Italia In Italia la cultura aveva ripreso vivacità con la formazione di due importanti centri culturali a Milano e a Napoli. A Milano i fratelli Pietro e Alessandro Verri avevano promosso la Società illuministica dei Pugni e fondato un periodico “Il Caffe”. Attorno a essi si erano radunati tutti gli illuministi lombardi dal famoso Cesare Beccaria (che pubblicò, nel 1764, la prima opera contro la tortura e la pena di morte Dei delitti e delle pene) a P. Frisi, G.R. Carli, G. Visconti, A. Longo, L. Lambertenghi. Gli illuministi lombardi, esperti nel settore economico, legislativo o dell'istruzione, ricoprirono quasi tutti incarichi amministrativi presso il governo asburgico. A Napoli invece Antonio Genovesi, Ferdinando Galiani e Gaetano Filangieri continuavano la tradizione di rinnovamento culturale inaugurata dagli studi di Giambattista Vico (Principi di una scienza nuova in tre redazioni 1725, 1730 e 1744), in verità estraneo all'Illuminismo. Fra essi si distinse il Filangieri, esperto giurista, il quale partendo da presupposti illuministici sostenne l'esigenza di una codificazione delle leggi e di una riforma della procedura penale. spartizione della Polonia (1793) quando ottenne parte della Podolia. Durante la terza spartizione della Polonia (1795) attuata in accordo con la Prussia e l'Austria Caterina II ottenne parte della Curlandia e della Lituania. In politica interna fu sostenitrice dei principi illuministici, promosse la secolarizzazione delle proprietà fondiarie ecclesiastiche, favorì la libertà di stampa, fondò istituti di istruzione in tutti i capoluoghi e distretti di provincia aperti a ragazzi e ragazze. Caterina II promosse la diffusione delle idee e della cultura illuminista nella nobiltà e fra le élites intellettuali, adottando il francese come lingua di corte. Continuarono però a sussistere elementi di arretratezza sociale e civile: lo sviluppo manifatturiero e industriale del paese fu attuato anche attraverso lo sfruttamento senza limiti della servitù della gleba. Conseguenza fu la grande rivolta contadina capeggiata dal cosacco Pugacév, sconfitto e ucciso nel 1757. L’ITALIA DEL SETTECENTO Il '700 fu un secolo di notevoli cambiamenti nella situazione italiana: vi fu il passaggio dall'egemonia spagnola (che risaliva all'epoca di Carlo V) a quella austriaca (sancita dalla Pace di Utrecht); si assistette al riaffacciarsi dei Borbone di Spagna con i figli di Elisabetta Farnese (Carlo a Napoli e Filippo a Parma); alcune antiche famiglie regnanti si estinsero come i Medici di Firenze soppiantati dagli Asburgo-Lorena e i Farnese di Parma, ora passata ai Borboni. Le aristocratiche repubbliche di Genova e di Venezia e lo Stato della Chiesa nella loro immobilità si erano ormai avviate alla decadenza. I cambiamenti tuttavia non furono solo politici, il pensiero illuminista degli “enciclopedisti” francesi e dei “free thinkers” inglesi si arricchì del contributo di filosofi e giuristi italiani. Personaggi di primo piano come Beccaria, Verri e Giannone fornirono il supporto ideale ai programmi riformatori dei principi stranieri in Italia (gli Asburgo a Milano e in Toscana, i Borbone a Napoli). Nel frattempo altri mutamenti di carattere socio-economico iniziarono a modificare la struttura della società italiana. Il Piemonte Nei primi anni di regno Vittorio Amedeo II (1685-1730) cercò di liberarsi dalla presenza francese a Casale e Pinerolo: riuscì nel suo intento grazie al rovesciamento delle alleanze del 1696 quando dal campo antifrancese passò a quello di Luigi XIV in cambio delle due piazzeforti. Durante la Guerra di successione spagnola Vittorio Amedeo entrò nel campo imperiale grazie all'ausilio del comandante imperiale Eugenio di Savoia che salvò Torino in un'epica battaglia nel 1706. Dopo l'acquisizione del rango di reame e l'acquisto della Sicilia, scambiata con la Sardegna nel 1719, nasce il Regno di Sardegna. Vittorio Amedeo volle creare uno Stato forte su modello francese con l'appoggio di un nuovo ceto di magistrati e borghesi che aspirava alla nobiltà. Con l'Editto di perequazione del 1720 i carichi fiscali furono ridistribuiti non solo fra le diverse province, ma anche fra tutti i ceti. Inoltre furono emanati provvedimenti per la rivendicazione al demanio statale di tutti i beni feudali ed ecclesiastici tenuti illegittimamente per distribuirli ai fedeli collaboratori. Con la Santa Sede vi fu un duro scontro a proposito dei beni ecclesiastici immuni (in Sicilia) e vacanti, questione poi risolta con gli accordi del 1727 e del 1740. Vittorio Amedeo inaugurò una politica economica mercantilistica, favorevole allo sviluppo delle manifatture tessili nazionali e a uno sfruttamento più razionale delle risorse del paese. Con le Costituzioni del 1723 e 1729 furono fissate leggi dello Stato uguali per tutti, primo esempio di una codificazione rigorosa in una materia complessa e disordinata. Grande attenzione fu riservata alla formazione delle classi dirigenti: il modello gesuitico d'istruzione fu laicizzato, l'Università fu oggetto di importanti riforme; le innovazioni non incisero profondamente nel tessuto della società sabauda, si limitarono a produrre buoni quadri amministrativi senza portare il paese, tranne rari casi, a contatto con i fermenti culturali europei. Con Carlo Emanuele III (1730-73) le riforme produssero un ammodernamento esclusivamente burocratico dello Stato, la tendenza sabauda a espandersi nei territori della Lombardia austriaca venne confermata quando, con la Pace di Vienna (1738), vennero annessi i territori di Novara e Tortona. Ulteriori annessioni si ebbero a seguito della Guerra di successione austriaca, frutto dell'alleanza con l'Austria, che con la Pace di Aquisgrana (1748) cedette Vigevano e l'Alto Novarese al re sardo. Il successore Vittorio Amedeo III si unì alle coalizioni antirivoluzionarie: sconfitto da Bonaparte dovette firmare l'armistizio di Cherasco (28 apr. 1796) per poter eliminare un focolaio rivoluzionario ad Alba, dove era stata formata una repubblica. Da quel momento, dopo il volontario esilio del re di Sardegna, il Piemonte seguì le sorti degli altri territori italiani. ID i Milan La Guerra di successione spagnola aveva decretato il passaggio del Ducato di Milano dagli Spagnoli agli Asburgo; fu acquisito anche il Ducato di Mantova conquistato dalle truppe imperiali all'ultimo Gonzaga schierato con Luigi XIV. La Lombardia austriaca fu in primo luogo terreno di sperimentazione per le iniziative riformiste degli Asburgo: sia Maria Teresa che il figlio Giuseppe II fecero della Lombardia il banco di prova delle riforme, soprattutto in campo religioso (giuseppinismo). Carlo VI nel 1718 aveva deciso la compilazione di un moderno catasto generale, completato solo nel 1750 grazie all'incessante opera del toscano Pompeo Neri. Vennero inoltre affrontati i problemi della riforma amministrativa locale, la questionne della sperequazione fiscale e dei dazi commerciali, la riforma della beneficenza e dell'assistenza pubblica, l'assegnazione e la gestione dei vacanti religiosi tramite la creazione di giunte ad hoc formate da funzionari con specifiche competenze in materia. Gli Asburgo riuscirono a ottenere numerose adesioni al loro programma riformistico da parte di quel ceto di piccoli e medi proprietari borghesi che andavano a porre le basi per il successivo sviluppo dell'agricoltura lombarda. La stagione delle riforme coincise con il risveglio delle coscienze e delle idee, nell'ambito dello spirito di rinnovamento illuminista; merita ricordare l'esperienza de “Il Caffè” (1764-65) dei fratelli Verri e l'opera di Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene in cui si sosteneva l'inutilità della tortura come strumento per la conoscenza della verità e si chiedeva l'abrogazione della pena di morte. L'aderenza del progetto asburgico alle idee dei pensatori lombardi portò molti di essi a svolgere un ruolo importante nell'ambito dell'amministrazione austriaca. Con la prima campagna d'Italia del generale Bonaparte la Lombardia entrò nell'orbita francese. Nel lug. 1797 dall'unione dei territori ex austriaci, cispadani, bergamaschi e bresciani nasceva la Repubblica Cisalpina. Il Regno di Napoli La Pace di Utrecht sancì il passaggio dei territori dell'Italia meridionale dal dominio spagnolo a quello austriaco, mentre la Sicilia era assegnata ai Savoia. Nel Meridione, in cui clero e nobiltà terriera erano esentati dal pagamento delle imposte (che gravavano sul resto della popolazione), un nuovo ceto formato da avvocati e piccoli borghesi andava affermandosi; fu questo nuovo soggetto sociale a essere il migliore alleato dei tentativi austriaci di riforma dello Stato. Nel 1713 con la vittoria di Bitonto, Carlo di Borbone, figlio di Filippo V e di Elisabetta Farnese, riuscì ad acquistare il regno meridionale, accresciuto nel 1719 dallo scambio austro-sabaudo tra Sicilia e Sardegna. Grazie alla collaborazione del ministro Tanucci, Carlo III di Borbone (1734-59) iniziò una breve stagione di riforme Dopo le battaglie di Lexington e Concord (apr. 1775), re Giorgio III dichiarò ufficialmente ribelli i coloni e il Congresso decise l'apertura dei porti americani al mondo intero affermando il principio della piena libertà di commercio e navigazione. Seguì l'approvazione il 4 lug. 1776 della Dichiarazione d'indipendenza dei nuovi Stati Uniti d'America, redatta da Thomas Jefferson, contenente la prima formulazione dei diritti dell'uomo (alla vita, alla libertà, al perseguimento della felicità) e del diritto di resistenza politica. Le antiche carte coloniali furono abolite, iniziò il processo di stesura delle costituzioni dei singoli Stati formanti l'unione. Dopo la conquista da parte del generale inglese Cornwallis di New York e Filadelfia (genn.-sett. 1777), la guerra ebbe la svolta definitiva con la vittoria americana a Saratoga (dic. 1777) e l'entrata nel conflitto, a fianco delle colonie ribelli, della Francia (febb. 1778) desiderosa di riscattare la sconfitta subita durante la Guerra dei Sette anni, della Spagna e delle Province Unite (genn.-febb. 1779). Il conflitto divenne internazionale con la dichiarazione di neutralità armata di Russia, Svezia, Danimarca, Prussia e Austria nel 1780. La definitiva capitolazione dell'armata inglese a Yorktown, stretta d'assedio dalle forze francoamericane comandate da Washington e da Lafayette (dic. 1781), ne decisero la sorte. Col Trattato di Versailles (3 sett. 1783) la corona inglese riconosceva la piena indipendenza delle ex-colonie nordamericane. I primi i li USA La vittoria non costituì la panacea dei problemi che attraversavano il nuovo Stato affacciatosi sulla scena mondiale. Era necessario armonizzare in un corpo unico gli Stati che formavano, sotto il profilo politico, economico e sociale, un variegato mosaico. La situazione diveniva ancor più complicata a causa delle diverse tendenze che si manifestavano tra i protagonisti politici dell'indipendenza. Da un lato i federalisti, esponenti del nord della nazione e collegati ai mercanti, avvocati e imprenditori degli Stati costieri, fautori di uno sviluppo commerciale e industriale degli Stati Uniti, paladini di una rappresentanza uguale per tutti gli Stati; dall'altra parte i repubblicani antifederalisti, esponenti del mondo agricolo del sud, fautori della fisiocrazia, di una strenua difesa del diritto di proprietà e dell'egemonia politica dei grandi proprietari, il gruppo che più aveva guadagnato in termini economici dalla Guerra d'Indipendenza. Tale differenza si sviluppò nella redazione delle singole Costituzioni, generalmente più democratiche al nord, e nella redazione della Costituzione degli Stati Uniti. Ma i problemi non furono solo di carattere politico; la guerra aveva impoverito tutta una classe di lavoratori e artigiani che riuscì a risollevarsi grazie alla presenza a ovest di ricchi territori da contendere solo ai nativi pellerossa. La creazione di nuove tasse federali per coprire i debiti di guerra fece scoppiare rivolte, presto domate, tra gli agricoltori della Pennsylvania (1794). Con la presidenza di Thomas Jefferson (1801-1809) e lo spostamento della capitale a Washington si attuò l'opera di decentramento governativo, l'acquisto dalla Francia dei territori della Louisiana (1803) e, malgrado la sfortunata guerra con l'Inghilterra per l'occupazione dell'Alto Canada (1812-1814), gli Stati Uniti iniziarono la loro ascesa. LE CIVILTÀ ORIENTALI In Oriente si erano sviluppate due civiltà: quella cinese e quella giapponese. La Cina possiede una storia scritta di quasi tre millenni. Nonostante l'eterogeneità etnica e ambientale che caratterizza il suo immenso territorio, facendone un universo per molti aspetti a sé stante, il paese presenta un nucleo (la cosiddetta “Cina interna” che raccoglie i bacini dello Huang He e dello Yangtze Kiang) unitario dal punto di vista territoriale, culturale e storico. Come la Cina, anche il Giappone ha una storia millenaria mantenuta viva anche oggi dall'attaccamento a un sistema di valori e di relazioni sociali tradizionali. La storia del Giappone è stata dominata da lunghissimi periodi di chiusura totale al mondo esterno alternati da altri caratterizzati da grande capacità di assimilazione culturale. Anche dal punto di vista religioso Cina e Giappone avevano delle credenze proprie che facevano capo alla religione buddista e al Confucianesimo. La Cina alla fini Il minazione mongol. Nella storia della Cina si possono elencare tre costanti: il sistematico ricambio delle sue élites dirigenti per rottura rivoluzionaria, a seguito di rivolte popolari o di invasioni; la straordinaria continuità del sistema di potere centrale e periferico grazie a una tradizione consolidata di apparati e di quadri amministrativi (mandarinati); la forte capacità da parte della civiltà autoctona di assimilare le civiltà esterne, che ha consentito alla Cina di estendere la propria egemonia politica e culturale su gran parte dell'Asia orientale. Dopo la dominazione mongola della dinastia Yuan (1271-1367) fondata da Kubilay Khan, nipote di Gengis Khan, una rivolta popolare guidata da Chu Yuan-chang scacciò l'ultimo imperatore mongolo Toghan Temur dal territorio cinese e conquistò la capitale Pechino. La dominazione mongola, pur cercando di assorbire la struttura amministrativa cinese, aveva imposto il suo dominio con la violenza, aumentato l'oppressione fiscale sui contadini, reclutati con la forza per eseguire i lavori di arginatura del Fiume Giallo, provocando violente ribellioni. Chu Yuan-chang, capo della vittoriosa rivolta contadina, assunse il nome di Hung-wu e fondò la dinastia Ming (della Luce), 1368-1644, che portò la Cina al suo massimo splendore. La dinastia Ming distribuì la terra appartenuta ai mongoli a tutta la popolazione, privilegiando i grandi latifondisti; ogni movimento terriero fu accuratamente censito nei libri catastali. Anche la popolazione fu tutta censita per rendere più efficiente il sistema di riscossione delle imposte. Sotto il regno di Yung-lo (1402-24) fu riedificata la città di Pechino destinata a ospitare la residenza imperiale (la Città Proibita). Durante la dinastia Ming fu incrementato lo sviluppo di un'imponente organizzazione burocratica centrale e periferica, conformata agli ideali confuciani e selezionata attraverso un rigido processo di formazione ed esami letterari, condotti sui cinque classici della letteratura cinese. I mandarini infatti erano gli alti funzionari cinesi civili e militari che costituivano uno strato sociale di elevata condizione economica, rispettati e stimati in quanto servitori dell'imperatore. Le fazioni di corte degli eunuchi (i servitori personali) e dei grandi segretari (i funzionari di carriera) durante la dinastia Ming daranno vita a durissimi scontri di potere per esercitare la propria influenza sulle decisioni dell'imperatore. La Cina all'inizio del ‘600 parve aprirsi alla cultura europea; Matteo Ricci missionario gesuita giunse nel 1601 a Pechino per evangelizzare la Cina. Godette della stima dell'imperatore Wan-li perché puntò ad assimilare nel cristianesimo le tradizioni culturali locali (per es. il culto degli antenati) scontrandosi dal punto di vista teologico con i missionari domenicani e francescani che giudicavano idolatri questi riti (controversia sui riti cinesi). Nel 1557 i Portoghesi si erano stanziati nel porto di Macao, ma l'apertura all'Europa si richiuse anche a causa di problemi interni. Il guerriero Nurhatsi formò un Regno autonomo nella Manciuria orientale (1580-1626). Le rivolte contadine sempre più incontrollabili convisero i Ming a chiamare in aiuto i Manciù che ripresero la capitale, occupata dai rivoltosi, e si impadronirono del potere. Nel 1644 venne fondata la dinastia Manciù dei Ch'ing che durerà sino al 1911, allargando i confini dell'Impero cinese con una lunga serie di guerre. La Cina occupò Taiwan (1683), il Turkestan (1696), la Mongolia (1697), il Tibet (1720), gran parte dell'Asia centrale fu assoggettata all'Impero durante il regno di Ch'ien-lung (1736-96). Numerose rivolte contro i manciù furono fomentate dalle società segrete cinesi (negli anni venti del °700 dalla setta delle Triadi, nel 1775 e 1793 dalla setta buddista del Loto Bianco). Il Giappone feudale La storia del Giappone medievale è per molti aspetti legata e condizionata dalle lotte fratricide fra i grandi signori feudali latifondisti (i Daimyo) che difendevano i propri domini con eserciti privati formati dai Samurai (la classe dei guerrieri educati secondo un rigido codice etico alla disciplina, all'onore e alla fedeltà). I Daimyo, dopo essersi sottratti a ogni forma di controllo da parte della fragile autorità centrale rappresentata dall'imperatore, formavano precarie alleanze fra loro per conquistare l'ambito titolo di Shogun, ovvero di capo militare del governo con effettivo controllo su tutto il paese. Dal 1338 al 1573 il titolo shogunale fu attribuito a membri dell'influente famiglia Ashikaga, ma mentre le attività commerciali e artigianali avevano un importante sviluppo, le strutture centrali perdevano sempre più la capacità di governare, si giunse così a una completa anarchia e alla trasformazione di alcuni feudi in vere e proprie signorie (“periodo degli Stati combattenti”, 1482-1568). Oda Nobunaga (1573-82), Daimyo di Owiri, proprietario di quasi mezzo Giappone, depose gli Ashikaga e iniziò la riunificazione del paese. Durante il suo dominio favorì il cristianesimo, stabilì ottimi rapporti con i primi missionari cristiani e combatté il potere temporale dei bonzi. Dopo il suo assassinio, un generale di umili origini, Hideyoshi Toyotomi (1585-98) assunse il titolo di kampaku (reggente imperiale). Toyotomi conquistò la Corea (1598), lottò per limitare il potere dei Daimyo, istituì un'amministrazione unitaria favorendo i commerci con gli europei, ma nel 1587 proibì il cristianesimo. Alla sua morte la successione fu molto contrastata: risultò vincitore Ieyasu Tokugawa, Shogun dal 1600, che rese ereditaria la carica shogunale per la sua casta (1603-1868). Durante il suo domino pose le basi giuridiche e amministrative per l'unità del paese ma permise la sopravvivenza del sistema feudale basato sui grandi latifondi di proprietà dei daimyo destinati alla coltura del riso, mentre la libera proprietà veniva sempre più ridotta a vantaggio dello Stato e dei feudatari. Esistevano anche delle libere città, difese dai Ronin (i Samurai poveri e privi di padrone), dove trovavano rifugio abili artigiani. La capitale politica del paese divenne la città di Edo (Tokyo), mentre l'imperatore e la corte continuavano a vivere a Kyoto. Una colonizzazione da parte di europei degli immensi territori dell'America del Nord e dell'Australia e, parzialmente, dell'Africa. In molti casi, la trasformazione in senso capitalistico dell'agricoltura produsse un peggioramento nelle condizioni di vita delle classi contadine, che sovente furono ridotte alla condizione bracciantile. Questo fenomeno diede origine ad aspre lotte agrarie, centrate attorno alla proprietà della terra e ai contratti tra i proprietari e i conduttori dei fondi agricoli. La Rivoluzione in: rial Con questa espressione la storiografia designa la nascita della moderna industria verificatasi dapprima in Inghilterra e poi negli altri paesi occidentali nei secc. XVIII e XIX. Alla base di questo fenomeno vi erano una serie di fattori, già ricordati, quali l'aumento della produttività agricola, la crescita demografica, l'aumento del commercio estero e la conseguente concentrazione della ricchezza finanziaria, che si incontrarono con una fase di intense innovazioni technologiche nell'industria manifatturiera. Fra le più rilevanti scoperte tecnologiche si annovera la macchina a vapore di Watt (1764) che ricoprì un ruolo di primissimo piano. Essa emancipò il processo produttivo industriale dalla forza animale e dalla ruota idraulica, consentendo tra l'altro la collocazione delle fabbriche non più necessariamente lungo i corsi d'acqua ma, a seconda delle necessità, presso miniere, mercati, città, vie di comunicazione. Oltre all'impiego nelle miniere di ferro e di carbone per aspirare l'acqua, la macchina a vapore cominciò a essere utili ata per azionare i macchinari dell'industria cotoniera britannica; seguirono le applicazioni nelle ferriere e negli stabilimenti meccanici. L'invenzione del telaio meccanico e del filatoio multiplo, il miglioramento del puddellaggio del ferro con il sistema di Cort innalzarono la produzione soprattutto di filati e tessuti di cotone e del ferro con ritmi impensati, sfruttando alcune materie prime abbondantemente diffuse in Inghilterra (in particolare il carbone), o importate dall'esteso impero coloniale (come il cotone grezzo). Nuova ricchezza fu investita nell'attività manifatturiera, dove si affermò l'organizzazione di fabbrica che poteva utilizzare la manodopera liberata dalle trasformazioni capitalistiche dell'agricoltura. La rottura dei legami corporativi che avevano caratterizzato le botteghe artigiane e il distacco dal lavoro agricolo portarono alla diffusione del lavoro salariato, inizialmente sotto il controllo di mercanti-imprenditori e poi di capitalisti industriali. Le conseguenze sociali di questi cambiamenti furono traumatiche e profonde: l'aumento rapidissimo della popolazione delle città e la concentrazione dei lavoratori nelle fabbriche si accompagnò allo sfruttamento crescente della forza lavoro operaia (anche infantile e femminile), uno sfruttamento che doveva durare a lungo prima di essere attenuato da miglioramenti delle condizioni di lavoro o di provvedimenti di tutela pubblica. La legislazione sociale infatti fu emanata solo nel secolo successivo quando era maturata la consapevolezza dell'intervento statale nell'economia per rimediare ai danni prodotti a livello sociale dal liberismo; molto importante fu per questo scopo la pressione esercitata sull'opinione pubblica dai nascenti movimenti sindacali e socialisti. Soprattutto dopo le guerre napoleoniche l'esportazione da parte dell'Inghilterra di prodotti industriali a basso costo provocò a sua volta l'avvio dell'industrializzazione nelle zone dove le condizioni erano più favorevoli per la presenza di carbone, per esempio nei territori settentrionali del Belgio e della Francia. ILl ism Le difficili condizioni di vita degli operai inglesi portarono a forme di rivolta e di sabotaggio delle macchine usate per il lavoro in fabbrica, considerate la causa della diffusione della crescente disoccupazione operaia e del ribasso dei salari. L'espressione che ha poi indicato in generale le tendenze del movimento operaio contrario al progresso tecnologico ha preso il nome da Ned Ludd, operaio tessile, che nel 1779 distrusse un telaio meccanico. Il fenomeno del luddismo assunse nei primi decenni del XIX sec. proporzioni allarmanti e fu duramente represso fino a scomparire dopo il 1816. LA CRISI DELL’ANCIEN REGIME E LA RIVOLUZIONE FRANCESE L'espressione “Ancien Régime” venne coniata dai rivoluzionari francesi per definire in senso negativo il sistema politico e socio-economico della Francia prerivoluzionaria, contrapponendolo al “nuovo regime” nato con la rivoluzione. Essa ebbe una triplice definizione: politica (intendendo con ciò lo Stato monarchico assoluto), sociale (con la suddivisione dei sudditi per ceti, ordini o corpi più o meno privilegiati, a cui i rivoluzionari contrapposero il principio dell'uguaglianza di tutti i cittadini) ed economico (con il gravare sull'attività agricola di numerosi e antichi diritti feudali, decime e immunità, fino ai vincoli alla compravendita della terra e con la presenza di corporazioni immobili e superate). Già da tempo un diffuso spirito di riforma aveva posto il problema di un superamento dei privilegi e dei limiti dello Stato monarchico assoluto. Questa esigenza sfociò in un movimento rivoluzionario, caratterizzato da programmi radicali e a volte violenti, sulla spinta, tra il 1788 e 1789, di fattori contingenti quali l'insolubilità della crisi finanziaria (ampio deficit di bilancio) e il concretarsi della crisi economica in penuria alimentare e aumento dei prezzi dei cereali, provocati dal cattivo raccolto del secondo semestre. Dall'Assembl i N ili all'Assemblea Legislativ. Unica soluzione alla crisi finanziaria sarebbe stata l'estensione del carico fiscale alle proprietà ecclesiastiche e nobiliari, fino ad allora esenti da imposte. Fu questa la proposta del controllore delle finanze Calonne all'Assemblea dei Notabili riunita nel febb. 1787; ma essa e il Parlamento (nobiliare) di Parigi vi si opposero, attribuendo il diritto alla decisione agli Stati Generali del Regno (la tradizionale assemblea rappresentativa dei tre ordini in cui erano divisi i sudditi francesi, non più riunita dal 1614), che il successore di Calonne, Loménie de Brienne, consigliò al re di convocare per il 1° magg. 1789. L'annuncio aprì un fervido periodo di mobilitazione civile, con la redazione di molteplici cahiers de doléance (raccolte di rimostranze), con le richieste dei ceti e delle città al governo e al re. Ottenuto il raddoppio dei rappresentanti, ritrovatisi alla seduta inaugurale degli Stati Generali a Versailles (5 magg. 1789) in 578, contro 291 del clero e 270 della nobiltà, e non essendo riusciti a ottenere la concessione del voto per testa (e non per ordine, come tradizione), i deputati del terzo stato si proclamarono Assemblea Nazionale (17 giu. 1789) e giurarono di non scioliersi prima di avere dato alla Francia una costituzione (giuramento della Pallacorda, 20 giu.). A malincuore il re Luigi XVI dovette ordinare a nobili e clero di unirsi all'assemblea, che il 9 lug. si proclamò Assemblea Nazionale Costituente. La reazione della Corte (licenziamento di Necker, ministro ben visto dal popolo, concentramento di truppe intorno a Parigi) provocò l'insurrezione popolare parigina del 14 lug. 1789, conclusasi con la presa della Bastiglia (carcere simbolo dell'assolutismo monarchico) e la creazione di una municipalità rivoluzionaria e di una milizia cittadina volontaria (la Guardia Nazionale). Nelle settimane successive, sotto la spinta delle varie insurrezioni che da Parigi si propagavano nelle campagne, la Costituente approvò una serie di radicali provvedimenti: la soppressione del regime feudale (4 ago.), dei privilegi di Stato e del pagamento della decima; la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (26 ago.), che proclamava le consegnando la Repubblica francese, attraverso l'istituzione del Consolato, nelle mani di un eroe militare: Napoleone Bonaparte. La Rivoluzione in Italia Influenze di carattere democratico erano penetrate negli ambienti illuminati piemontesi e napoletani. Nel 1793 alcuni Stati italiani, tra cui Stato Pontificio e Regno di Napoli, parteciparono alla I coalizione; il Granducato di Toscana fu il primo Stato a segnare la pace con la Francia regicida. Tra 1796 e 1799 il generale Bonaparte effettuò la prima campagna d'Italia; dopo avere piegato Regno di Sardegna e Austria, ottenne favorevoli trattati di pace con i duchi padani e lo Stato Pontificio (Trattato di Tolentino, 19 febb. 1799). La volontà di legare alla Francia i popoli italiani e i voti dei patrioti fecero nascere diverse repubbliche “giacobine” nell'orbita del controllo economico e politico francese (lampante il caso della Cisalpina, soggetta a colpi di Stato come nella Francia direttoriale): prima al nord (Cispadana e poi Cisalpina, 1797; Ligure, 1797), poi al sud (Romana, 1798 e Partenopea, 1799). Vennero occupate dai francesi anche Piemonte, Toscana e Venezia, ceduta poi all'Austria con il Trattato di Campoformio (17 ott. 1797). La reazione austro-russa del 1799 portò all'azzeramento delle esperienze democratiche in Italia. L’ETÀ NAPOLEONICA Napoleone Bonaparte venne considerato a lungo l'uomo capace di cogliere l'occasione che la Rivoluzione francese offriva: dopo la deludente esperienza del Direttorio, la necessità per i moderati dell'appoggio di un generale prestigioso, unita con il fortunoso rientro dall'Egitto, fu la chiave che permise al giovane generale corso di prendere il potere. Eccezionale comandante militare, con notevoli capacità di manovrare in modo coordinato ed efficace i diversi corpi d'armata costituenti i nuovi eserciti di massa, rapido e fantasioso nelle decisioni, abile nell'usare il fattore sorpresa e nell'organizzare i servizi informativi, dotato di notevole ascendente sui soldati, seppe con le sue vittorie divulgare le idee della Rivoluzione francese, ponendo le basi per un complesso e irreversibile mutamento culturale, politico e istituzionale del continente europeo. La stessa reazione al suo rigido dominio contribuì a rinsaldare i sentimenti nazionali in diversi paesi, avviando così un processo che avrebbe segnato tutto il XIX sec. L: Secondo figlio di Carlo Maria Bonaparte e di Maria Letizia Ramolino, originari della Corsica, come capitano d'artiglieria si distinse nell'assedio di Tolone, liberando la città dagli Inglesi (1793). Nominato generale di brigata e sospettato di legami con i giacobini sotto Termidoro, fu riabilitato e Barras gli affidò la repressione dell'insurrezione realista contro il Direttorio (5 dic. 1795). Legatosi a Giuseppina Tascher de La Pagerie, vedova del generale Beauharnais, la sposò il 7 mar. 1796. Nominato generale in capo dell'armata d'Italia (2 mar. 1796), condusse la prima campagna italiana con fulminea rapidità, rivelando il suo genio militare alla testa di un'armata demoralizzata e scarsamente equipaggiata: attraverso una serie di vittorie (Cairo Montenotte, Millesimo, Lodi, Arcole, Rivoli) sugli austro-sardi, i Francesi entrarono a Milano (15 magg. 1796), favorendo poi la nascita delle repubbliche “giacobine” Cispadana e Cisalpina (dic. 1796-magg. 1797). Bonaparte quindi prese Mantova (2 febb. 1797) e occupò i territori veneti (magg. 1797), costringendo gli austriaci alla Pace di Campoformio (17 ott. 1797), da lui trattata scavalcando il Direttorio. Timoroso del suo crescente potere, il Direttorio allontanò il generale Bonaparte affidandogli la spedizione in Egitto, destinata a tagliare alla Gran Bretagna la rotta dell'India. Dopo gli iniziali successi (vittoria delle Piramidi sui Mamelucchi, 21 lug. 1798), la distruzione della flotta francese a opera dell'ammiraglio Nelson ad Abukir (1 ago. 1798) compromise però la missione, bloccando la spedizione francese in Egitto. La pr l ri Rientrato fortunosamente in Francia (9 ott. 1799), con l'appoggio del fratello Luciano, di Sieyès, Talleyrand, Fouché e Murat, oltre che dei suoi fedeli granatieri, organizzò il colpo di Stato del 18 brumaio (9 nov. 1799), con il quale abbatté il Direttorio e instaurò il Consolato, divenendo primo console. Da allora, Napoleone attuò la duplice opera di accrescimento del potere personale e di accentramento politico-amministrativo dello Stato, esautorando le assemblee legislative e rafforzando gli apparati esecutivi (creazione dei prefetti). Riorganizzò le finanze, la giustizia, creò i licei, la Legion d'onore, la Banca di Francia, fece promulgare un codice civile (il Codice Napoleonico), che segnò una tappa decisiva nel rinnovamento del diritto moderno. Dopo un'effusione austro-russa ritornò in Italia e, battuti gli austriaci a Marengo (14 giu. 1800), li costrinse alla Pace di Lunéville (9 febb. 1801), che riconobbe alla Francia l'influenza sulla ricostituita Repubblica Cisalpina e sulla riva sinistra del Reno. Con la Pace di Amiens impegnò l'Inghilterra (1802) a restituire le colonie occupate durante la rivoluzione. Con il concordato con la Santa Sede (16 lug. 1801) cercò di riconciliare al regime i cattolici. Fattosi proclamare console a vita (2 ago. 1802) e assunta la presidenza della Repubblica Italiana, Napoleone represse l'opposizione realista (complotto di Cadoudal, 1803), facendo giustiziare il duca d'Enghien (21 mar. 1804). L'Impero L'Impero. Dopo diverse sollecitazioni, il 18 magg. 1804 il senato proclamò Napoleone imperatore dei francesi e Pio VII lo consacrò a Notre-Dame (2 dic.). L'Impero fu dichiarato ereditario e venne creata una nuova nobiltà, fondata però sul servizio, non importa se civile o militare, reso all'imperatore. Napoleone prese poi il titolo di re d'Italia (26 magg. 1805). Dissolta ogni opposizione interna e imposto il controllo dello Stato sulle attività culturali e artistiche, Napoleone inaugurò una politica espansionistica in Europa, dedicandosi all'edificazione del “Grande Impero”, con una corona di Stati soggetti alla Francia, idea non lontana dal concetto rivoluzionario di “repubbliche sorelle”, spesso retti da sovrani parenti o amici di Napoleone (Olanda a Luigi Bonaparte; Napoli a Giuseppe Bonaparte, poi a Gioacchino Murat; Vestfalia a Girolamo Bonaparte; Spagna a Giuseppe Bonaparte). Contro l'egemonia francese, particolarmente forte nell'area germanica, sorsero la III e IV coalizione delle potenze europee, che Napoleone sgominò battendo gli austro-russi nella magistrale battaglia di Austerlitz (2 dic. 1805) e i russi a Eylau e Friedland (8 febb. e 14 giu. 1807). Lo zar fu costretto alla pace e all'alleanza di Tilsit (25 giu. 1807, rinascita della Polonia); annichilita la Prussia, l'Austria dovette perdere a favore del Regno d'Italia la Venezia e la Dalmazia, oltre a vedere la fine del Sacro Romano Impero germanico (1806). Libero di rivolgersi contro l'Inghilterra, che aveva distrutto, pur perdendo l'ammiraglio Nelson, la flotta francese a Trafalgar (21 ott. 1805), Napoleone, che aveva meditato a lungo su una invasione diretta, giocò la carta economica. In questo quadro si collocano il Blocco continentale (21 nov. 1806), che chiudeva i mercati europei ai commerci britannici, l'occupazione del Portogallo (nov. 1802) e della Spagna (lug. 1808), l'annessione della Liguria (1805), dell'Etruria (dic. 1807), della stessa Olanda e delle coste settentrionali della Confederazione del Reno, la nuova formazione politica nata dalle ceneri del Sacro Romano Impero, presieduta da Napoleone (1810). Tuttavia, se non fu difficile avere ragione della V coalizione sconfiggendo l'Austria a Wagram (5-6 lug. 1809) e imponendole la pesante Pace di Vienna, il risveglio dei sentimenti nazionali in Germania e Spagna (dove una diffusa guerriglia logorava le armate imperiali) incominciò ad aprire le prime crepe nella costruzione napoleonica. Per controllare gli Asburgo, Napoleone ripudiò Giuseppina e sposò Maria Luisa d'Asburgo (1810), che gli assicurò l'erede. Anticipando i preparativi dello zar, restio ad applicare il Blocco continentale, Napoleone invase la Russia (24 giu. 1812) alla rispondenti alle mutate esigenze della società: monarchia costituzionale, repubblica democratica radicale, repubblica moderata borghese, bonapartismo divennero modelli cui si ispirarono in seguito tutte le nazioni che erano alla ricerca di un nuovo assetto costituzionale. Dalla cartina dell'Europa, d'altro canto, nell'età appena terminata erano scomparsi interi Stati (come le repubbliche di Genova e Venezia) e principati ecclesiastici (Treviri ecc.); analoga sorte toccò al Sacro Romano Impero. La sistemazioni ll'Eur Prima di tutto il Congresso ratificò la restaurazione dei Borboni in Francia, avvenuta sulla base del principio legittimista, che aveva determinato l'ascesa al trono di Luigi XVIII (1814-1824). La Francia fu condannata a pagare una pesante indennità di guerra (700 milioni di franchi). Essa, tuttavia, rimase nel giro delle grandi potenze grazie all'opera del ministro Charles-Maurice Talleyrand-Périgord (1754-1838). Questi fece in modo che al paese fosse restituito il rango internazionale che aveva prima della Rivoluzione. Inoltre, si batté per impedire la spartizione dei territori francesi ambiti dalle altre potenze, sostenendo che l'equilibrio in Europa potesse essere mantenuto solo garantendo alla Francia l'integrità territoriale. Così, rispetto al 1791, la nazione perse solo la Savoia e la Sarre. Per impedire nuove spinte espansionistiche, essa fu circondata a oriente da una serie di Stati-cuscinetto: un cordone che partiva dal Piemonte e arrivava ai Paesi Bassi. Tra le colonie perse Haiti, possedimento francese nell'isola di Santo Domingo (Caraibi). In Austria, Francesco I d'Asburgo (1806-1835), pur rinunciando ai Paesi Bassi austriaci (Belgio e Lussemburgo) e ad alcuni territori di secondaria importanza in ambito tedesco, ottenne i possedimenti che erano stati dominio della Repubblica di Venezia (isole Ionie escluse). La Prussia di Federico Guglielmo III di Hohenzollern (1797-1840) acquistò parte della Sassonia e della Pomerania Svedese, alcuni territori intorno al Reno, Treviri, Colonia e la Ruhr. La Confederazione Germanica, ridotta ad appena 39 territori (Prussia e Austria comprese) ebbe nella Dieta di Francoforte, presieduta da Francesco I d'Asburgo, il proprio “cuore” amministrativo. In Russia, lo zar Alessandro I Romanov (1801-1825) ottenne la corona della Polonia, che venne ricostituita in Regno, conservò il Granducato di Finlandia (tolta alla Svezia), mantenne infine la sovranità sulla Bessarabia. Il Regno Unito di Giorgio III (1760-1820) si rafforzò sui mari ottenendo Malta e il protettorato sulle isole Ionie nel Mediterraneo; l'isola di Helgoland nel Mare del Nord; Trinidad, Tobago e Santa Lucia nelle Piccole Antille; Mauritius e Ceylon nell'Oceano Indiano; il Capo di Buona Speranza, in Africa. In Europa, Giorgio III manteneva la sovranità sul Regno di Hannover. Il Regno di Spagna tornò sotto Ferdinando VII di Borbone (1814-1833). Il Portogallo, formalmente restituito ai Braganza (in Brasile dal 1807), fu governato, di fatto, da un protettorato inglese. Dall'unione di Belgio (tolto all'Austria), Olanda e Lussemburgo fu creato il Regno dei Paesi Bassi assegnato a Guglielmo I d'Orange (1815-1840). La Danimarca venne compensata della perdita della Norvegia, assegnata alla Svezia di re Carlo XIII di Holstein (1809-1818), con i ducati di Holstein e Lauenburg. La Confederazione Svizzera, governata da una Dieta, fu dichiarata per sempre neutrale. La sistemazioni ll'Itali La penisola cadde quasi completamente sotto il controllo dell'Austria che, oltre a ottenere l'annessione diretta del Lombardo-Veneto, riacquistò il Trentino, Trieste e parte dell'Istria, influenzò la linea politica degli Stati italiani. Il Ducato di Parma e Piacenza andò a Maria Luisa d'Asburgo (1814-1847), ex imperatrice dei Francesi: alla sua morte esso sarebbe tornato sotto il controllo dei Borbone di Parma ai quali intanto fu assegnata Lucca. Il Ducato di Modena e Reggio spettò a Francesco IV d'Asburgo-Este (1814-1846) che avrebbe ricevuto in eredità il Ducato di Massa e Carrara affidato alla madre, Maria Beatrice d'Este. Ferdinando III di Asburgo Lorena (1814-1824), fratello di Francesco I, ottenne la restituzione del Granducato di Toscana, con Piombino e lo Stato dei Presidi. A esso si sarebbe congiunta Lucca una volta che i Borbone fossero rientrati a Parma. Lo Stato Pontificio, retto da papa Pio VII (1800-1823), rinunciò a Avignone ceduta alla Francia; l'Austria mantenne presidi a Ferrara e Comacchio. Nel Regno di Napoli fu restaurato Ferdinando IV di Borbone, ora Ferdinando I delle Due Sicilie (1815-1825). Per effetto di un accordo, l'Impero Asburgico ottenne il controllo dell'esercito napoletano. Vittorio Emanuele I di Savoia (1802-1821), sovrano del Regno di Sardegna, reintegrato nei suoi antichi domini, poté annettere la Repubblica di Genova. Dopo il Congresso Il Congresso di Vienna coincise con l'inizio dell'età della Restaurazione protrattasi fino al 1848. I sovrani sentirono l'esigenza di salvaguardare la nuova organizzazione europea con un sistema di alleanze: il 26 sett. 1815 Austria, Prussia e Russia suggellarono il trattato Santa Alleanza (cui aderiranno in seguito tutti gli Stati europei, tranne la Gran Bretegna e lo Stato Pontificio), il 20 nov. seguente Gran Bretagna, Austria, Prussia e Russia firmarono la Quadruplice Alleanza con cui si impegnavano a difendere gli accordi raggiunti. I MOTI DEL '20 E DEL '30. L'INDIPENDENZA DELL'AMERICA LATINA Durante la Restaurazione, lo spirito conservatore della Santa Alleanza non riuscì certo a fare presa sulla borghesia ottocentesca, favorevole a regimi costituzionali e parlamentari. In questo clima si diffuse il Romanticismo, che, rivalutando l'individuo e sostenendo l'importanza del sentimento nazionale, influenzò anche la politica dando origine a tendenze contrastanti: i conservatori videro in esso la roccaforte dell'assolutismo, gli antinapoleonici lo interpretarono in senso liberal-moderato, i giovani intellettuali, invocando il diritto alla libertà delle nazioni, lo rivolsero contro la Restaurazione. Particolarmente per scoraggiare questi ultimi e gli antiassolutisti in genere, i governi rafforzarono i regimi polizieschi. Non potendo esprimere liberamente il proprio dissenso esponenti della borghesia e, soprattutto, militari, si riunirono in organizzazioni clandestine: le società segrete. Esse furono protagoniste dei moti per la libertà nel '20 e nel '30 scoppiati anche per le difficili condizioni economiche. Intanto le colonie dell'America Latina avevano già conseguito l'indipendenza, mentre negli Stati Uniti il presidente Monroe inaugurò la politica di non ingerenza negli affari europei. Dove l'assolutismo mostrò il suo volto più duro, e le sette segrete erano più attive, scoppiarono i moti del '20-'21. In Spagna, a Cadice, il primo gennaio 1820, si sollevarono le truppe del colonnello Rafael Riego (della società segreta Comuneros), schiacciate, come tutta la popolazione, da una situazione sociale e politica insostenibile e ostili al sovrano Ferdinando VII perché contrarie all'imminente imbarco per il Sud America. I rivoltosi rivendicavano la Costituzione del 1812 (v. parte III, cap. 24), revocata dal re dopo il Congresso di Vienna. Fu concessa, ma scoppiò ugualmente la guerra civile destinata a protrarsi fino al 1823. Mentre nel Lombardo-Veneto la polizia ssominava una “vendita” carbonara arrestando Piero Maroncelli e Silvio Pellico (tra i promotori della rivista “Il Conciliatore”, antiaustriaca, pubblicata tra il 1818 e '19), negli altri Stati italiani gli eventi spagnoli convinsero le sette segrete a entrare in azione. Nel Regno delle Due Sicilie, a Nola, il primo lug. 1820, si ribellò uno squadrone di cavalleria comandato dagli ufficiali carbonari Morelli e Silvati. Re Ferdinando I nominò suo vicario il figlio Francesco che il 7 lug. concesse la Costituzione spagnola. Il 15 lug., i moti incendiarono la Sicilia tradizionalmente separatista. In ott. fu eletto un Parlamento controllato dai liberali. La situazione preoccupò Metternich. Questi, ai congressi di Troppau (ott.-dic. '20) e Lubiana (genn. '21), invocò l'intervento militare della Santa Alleanza. Proprio a Lubiana il re delle Due Sicilie rinnegò la Costituzione concessa dal figlio. Il 23 mar. 1821 gli austriaci entrarono a Napoli, rovesciando il governo costituzionale. In Piemonte i moti scoppiarono il 9 e 10 mar. Guidati dal conte Santorre di Santarosa e fidando sul coinvolgimento del principe Carlo Alberto di Savoia Carignano (che sognava un Regno dell'Alta Italia), raggiunsero Torino il 13 mar. Fu proclamata la Costituzione e re Vittorio Emanuele I abdicò: i moti fallirono per il comportamento irresoluto di Carlo Alberto e per l'ostilità del successore al trono Carlo LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE La rivoluzione industriale, iniziata in Inghilterra sul finire del XVIII sec., non tardò a manifestarsi anche in Europa. Il fenomeno non fu generalizzato, ma riguardò solo alcune regioni del continente: Francia, Prussia, poche aree dell'Impero Asburgico e zone isolate dell'Italia settentrionale; nelle Americhe si verificò nel nord degli Stati Uniti. Il “decollo” dell'industria fu legato da un lato a un aumento della produttività agricola, dall'altro a importanti innovazioni tecnologiche, all'impennata dei commerci con conseguente accumulo di capitali e alla crescita demografica. Su queste basi si sviluppò il capitalismo, sistema economico basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e dei capitali e sulla centralità dei mercati nel determinare i rapporti di scambio. Esso avrebbe portato due nuove classi sociali a prendere il sopravvento: la borghesia capitalistica, che deteneva il controllo dei sistemi di produzione moderna, e il proletariato che “vendeva” ai capitalisti il proprio lavoro in cambio di un salario (operai salariati). Destinati a convivere in perpetua concorrenza, i contrasti tra i due ceti avrebbero caratterizzato gran parte del corso storico seguente. La ripri ]l La rivoluzione industriale avvenne in corrispondenza di una forte ripresa dell'agricoltura Li (particolarmente nei paesi più avanzati del continente). Seguendo l'esempio inglese nelle aziende agricole vennero introdotte nuove tecniche (sia di coltivazione sia di allevamento) e moderne tecnologie (macchine agricole quali: seminatrici, trebbiatrici meccaniche ecc.), tali da incrementare notevolmente i raccolti. Risultato di questi passaggi fu un deciso aumento della redditività, con conseguente accumulo di capitali che, per opera delle banche, furono messi a disposizione dell'industria. Ma questo “circolo virtuoso” si innescò solo nei paesi più progrediti ed ebbe come protagonisti esclusivamente i grandi proprietari terrieri. I piccoli proprietari e il mondo agricolo delle regioni prevalentemente rurali (Spagna, Italia centrale e meridionale, Polonia, Russia) restarono ancorati al passato mantenendo i metodi produttivi arretrati. Inv: ni, ini rie e fin: La rivoluzione industriale poggiò sulle solide basi delle scoperte scientifiche e tecnologiche effettuate nel corso del XVIII e XIX sec. Già nel 1769, James Watt perfezionò la macchina a vapore; la sua applicazione nel settore tessile, nella metallurgia e nei trasporti contribuì al progresso in maniera determinante. Tra il 1830 e il 1847 il numero delle macchine a vapore crebbe costantemente nell'Europa industrializzata: in Gran Bretagna esse passarono da 15 a 30 mila, in Francia da 3 a 5 mila. La loro diffusione causò un'intensificazione dello sfruttamento delle miniere di carbone. I paesi come l'Inghilterra, la Francia, la Germania e il Belgio, che ne erano ricchi, furono avvantaggiati. Durante la rivoluzione industriale iniziò a svilupparsi la siderurgia. Vi erano altiforni per l'acciaio e la ghisa in Inghilterra, a Birmingham e Glasgow; in Germania cominciò la sua attività la famiglia tedesca dei Krupp sfruttando il bacino della Ruhr. Ben presto gli altiforni a legna furono sostituiti con quelli a coke. Si sviluppò quindi l'industria chimica, soprattutto per produrre concimi e colori artificiali, nonché lo zucchero; nel 1843 si mise a punto il processo di vulcanizzazione del caucciù. Fondamentale il supporto fornito alle industrie da nuove ed efficaci reti di trasporto. Mettendo a frutto l'invenzione del treno, nella quale ebbero una parte decisiva gli inglesi George e Robert Stephenson, all'inizio del secolo vennero costruite le prime ferrovie, che nel 1850 si estendevano già per 38 mila chilometri: di questi 14 mila erano negli USA e 11 mila in Gran Bretagna. Iniziò a diffondersi la navigazione a vapore (nel 1807 l'americano Robert Fulton costruì il vaporetto Clermont). Per comunicare a distanza lo statunitense Samuel Morse nel 1844 perfezionò il telegrafo. Il nuovo sistema capitalistico mise le imprese di fronte alla realtà della concorrenza: occorreva produrre manufatti di qualità al prezzo minore possibile per assicurarsi la supremazia sul mercato (legge della concorrenza). L'allargamento della produzione industriale richiedeva una solida organizz finanziaria. Le banche seppero subito adeguarsi: esse ormai dovevano garantire alle imprese zione la possibilità di ottenere capitali in prestito. Accanto alle banche pubbliche, si svilupparono quelle private con alla testa vere e proprie dinastie (vi erano i Rotschild, i Parish, i Baring ecc.). Le stesse imprese, crescendo, furono costrette a darsi un assetto più solido: nacquero così le Società per Azioni, in cui più capitalisti si legavano a esse con il proprio danaro. Per provvedere alla compravendita delle azioni, al cambio di valuta e al collocamento dei prestiti pubblici furono fondate le Borse (Londra e Parigi le più importanti). Li ni Nei paesi industrializzati i lavoratori che trovarono impiego nelle fabbriche delle città si ni di lavori trasferirono spesso nelle periferie urbane con le famiglie. Costretti a vivere in abitazioni malsane, e a lavorare sopportando ritmi massacranti (13-15 ore quotidiane), presto maturarono l'esigenza di vedere salvaguardati i propri interessi. Gli operai salariati iniziarono così a riunirsi in associazioni di mestiere. In Inghilterra, furono istituite le Trade Unions (Unioni di mestiere), nate nella seconda metà del XVIII sec. e riconosciute dal governo nel 1824. Nel 1834 fu istituita la Grand National Consolidated Trade Union che le comprendeva tutte. Non ottenendo successi nella legislazione del lavoro, esse si orientarono all'attività politica. Nel 1838 redassero la Carta del popolo per la democratizzazione del sistema politico inglese. In Francia tra gli artigiani e alcuni gruppi di operai si diffusero le Società di mutuo soccorso. Esse compresero che era in atto una separazione tra gli interessi borghesi e quelli del popolo. Di fronte a questi movimenti la borghesia ebbe atteggiamenti differenti. I più respingevano ogni richiesta dei lavoratori, una piccola minoranza era favorevole a un moderato interessamento. I governi, dal canto loro, affrontarono i problemi legati al mondo del lavoro proletario per evitare pericolose tensioni. In Inghilterra furono emanate leggi che limitavano a 10 ore l'orario di lavorro per donne e bambini sotto i 10 anni nel 1831. In Francia venne limitato l'impiego dei bambini solo nel 1841, ma la legge in proposito riguardava esclusivamente le fabbriche con più di 20 dipendenti. I problemi dello svil italisti L'affermarsi del capitalismo, cui sono legati lo sviluppo dell'industrializzazione, l'incremento dei commerci, i problemi di convivenza tra borghesia e proletariato, suscitò l'interesse di molti teorici. Nacque in questo periodo la dottrina del liberismo economico per cui la libertà economica (il libero commercio) non ostacolata in alcun modo dall'autorità pubblica avrebbe portato alla realizzazione di un ordine naturale della società. Capostipite di questa corrente di pensiero fu Adam Smith (1723-1790). Ripresero in seguito le sue teorie David Ricardo (1772-1823), Thomas Robert Malthus (1766-1834) e John Stuart Mill (1806-1873). I principi del liberismo furono applicati dai governi nazionali per gran parte del XIX sec. Negli stessi anni iniziava a diffondersi il pensiero socialista. L'arretratezza italiana L'Italia, in cui le barriere doganali frequenti rappresentavano un ostacolo ai commerci, restò, per gran parte del XIX sec., ancorata a un'economia precapitalistica. Alcuni accenni di industrializzazione e di modernizzazione delle tecniche agricole si ebbero nelle regioni del nord dove la borghesia era maggiormente sviluppata. Nel centro e nel sud, dove ancora vigevano ordinamenti semi-feudali, la rivoluzione industriale non ebbe se non scarsissima eco. Nel 1848 le ferrovie della penisola non superavano i 300 chilometri complessivi. Perché in Italia avesse luogo un vero processo d'industrializzazione si sarebbe dovuta attendere la ripresa di fine secolo. fatti fu immediata. In Prussia i contadini del sud e dell'ovest si ribellarono contro il persistere del feudalesimo. In marzo le insurrezioni giunsero a Colonia e Berlino, dove il 2 apr. iniziò la sua attività un Landtag democratico eletto a suffragio universale. Dopo mesi di incertezza il re concesse uno statuto, ma fece sciogliere l'Assemblea (dic. '48). A un analogo fallimento andò incontro il Parlamento federale degli Stati Tedeschi, insediatosi a Francoforte il 18 magg. 1848 per unificare il paese. Diviso tra i fautori di una Grande Germania (con l'Austria) e una Piccola Germania (senza l'Austria), fu sciolto il 18 giu. 1849. In Austria il 13 mar. 1848 il popolo insorse contro il regime che non accettò di discutere riforme. Metternich fu licenziato, l'imperatore Ferdinando I concesse il suffragio universale e la convocazione di un Reichstag senza Camera alta che abolì il feudalesimo. Altre rivolte scoppiarono tra i Cechi (represse dal generale Windisch-Graetz), in Ungheria (dove intervenne un esercito russo) e nel Lombardo-Veneto, dove, come vedremo, alla notizia della caduta di Metternich insorsero tutte le forze democratiche. IL RISORGIMENTO ITALIANO 1 Risorgimento è quel processo storico che portò alla formazione dello Stato nazionale unitario in Italia. Tradizionalmente se ne fa risalire l'inizio al Congresso di Vienna (1815), ma certamente se ne possono ritrovare i “germi” fin dal periodo della dominazione napoleonica. Già in quegli anni, infatti, si diffuse nella penisola un forte sentimento nazionale e intrapresero la loro attività le prime società segrete: come si è visto, la base borghese militare di queste ultime non fu capace di gestire le insurrezioni del '20 e del '30. I fallimenti gettarono le sette in una crisi da cui non si sarebbero più riprese. Intanto, mentre in Italia ormai si era instaurato un clima reazionario, venne emergendo dalle schiere intellettuali borghesi la figura del genovese Giuseppe Mazzini: egli maturò una nuova concezione di organizzazione cospirativa, arrivando a progettarne una che si prefiggesse l'obiettivo di conquistare certamente l'indipendenza nazionale, ma educando prima la popolazione a principi democratici e liberali. Nacque così la Giovine Italia. Accanto agli orientamenti repubblicani di Mazzini si svilupparono altre correnti di pensiero che animarono un vivace dibattito sull'avvenire politico italiano. In Italia la crisi delle società segrete portò Giuseppe Mazzini (Genova 1805-Pisa 1872), ex- carbonaro confinato in Francia nel '30, a progettare una nuova organizzazione clandestina che superasse i limiti delle precedenti: la Giovine Italia. Molteplici i suoi obiettivi: unità, indipendenza, libertà, uguaglianza e umanità. Mazzini maturò la propria idea influenzato dall'ambiente culturale d'oltralpe. Da Filippo Buonarroti derivò l'orientamento giacobino che lo portò a concezioni repubblicano-unitarie; dall'utopia socialista trasse una profonda sensibilità sociale; Guizot e Cousin lo colpirono con le loro teorie sul progresso. Mazzini era convinto che per portare a termine la propria missione la Giovine Italia dovesse prima di tutto educare la popolazione, quindi pianificare l'insurrezione. In sintesi la sua attività era dunque centrata intorno al binomio “pensiero e azione”. La propaganda mazziniana si diffuse in Piemonte e Liguria, ma anche in Toscana, negli Abruzzi e in Sicilia, infiltrandosi particolarmente negli ambienti militari. Primo atto di Mazzini, nel '31, fu di indirizzare al nuovo re dello Stato Sardo, Carlo Alberto (1831-1849), di cui era noto il coinvolgimento nei moti del '20, una lettera in cui lo esortava a prendere il comando del Risorgimento: questo gesto, forse attuato per stroncare definitivamente la fiducia che i carbonari riponevano in un eventuale intervento sabaudo nella lotta per l'indipendenza, gli costò l'odio perenne del sovrano. Al 1833 risale il primo tentativo insurrezionale della Giovine Italia: la rivolta avrebbe dovuto svilupparsi in Piemonte e a Genova. Carlo Alberto scoprì in anticipo le intenzioni di Mazzini, anche perché la congiura fu organizzata senza osservare troppe precauzioni, e procedette a una sanguinosa repressione. Fu arrestato anche Jacopo Ruffini - amico di Mazzini - che si suicidò in carcere. Ancor più fallimentare fu l'esito di un piano del 1834: fu dato incarico ad alcuni fuoriusciti italiani, comandati da un reduce dell'insurrezione polacca, Girolamo Ramorino, di penetrare in Savoia dalla Svizzera istigando i contadini alla rivolta, mentre a Genova si sarebbero sollevati gli uomini della marina militare sabauda guidati da Giuseppe Garibaldi (Nizza 1807-Caprera 1882). I fuoriusciti, però, furono facilmente sconfitti dall'esercito di Carlo Alberto. Garibaldi, rimasto solo, fu costretto a una precipitosa fuga in Francia e condannato a morte in contumacia. L'anno dopo si trasferì in Sud America. Dal canto suo, Mazzini riparò in Svizzera, dove, non potendo agire attivamente verso l'Italia, fondò con altri esuli la Giovine Europa (1834), basata sulla solidarietà tra le nazioni. In questo periodo egli attraversò la cosiddetta “tempesta del dubbio” in cui lo afflisse il rimorso di avere sacrificato tante vite senza aver centrato alcun obiettivo. Superò la crisi convincendosi che la causa nazionale italiana era più importante di ogni insuccesso contingente. Costretto a raggiungere l'Inghilterra nel 1837 perché colpito da un decreto d'espulsione, visse a Londra quasi in miseria. Tuttavia non interruppe mai la sua propaganda in Italia. Nel giu. 1844, altri mazziniani, i fratelli Attilio ed Emilio Bandiera tentarono, di propria iniziativa e col parere contrario del loro leader, uno sbarco in Calabria, fidando nell'appoggio dei contadini. Contrariamente alle speranze la popolazione delle campagne, ancora non preparata all'insurrezione, rimase inerte: abbandonati a se stessi, i rivoltosi furono arrestati e fucilati dalla polizia borbonica insieme a 7 compagni. Lmoderati: Neoguelfi e Liberal-radicali Le continue sconfitte di Mazzini rafforzarono le teorie dei liberal-moderati. Due le correnti di pensiero: una, che vedeva nella Chiesa e nei Savoia potenti mezzi di unificazione spirituale e nazionale italiana, detta neoguelfa; l'altra liberal-radicale che, contro Mazzini e i moderati, auspicava una federazione repubblicana. Vincenzo Gioberti (1801-1852) fu il principale esponente del neoguelfismo. Egli, nell'opera “Del primato morale e civile degli Italiani” (1843), affermò che l'iniziativa per l'unificazione non competeva alle masse, ma ai governi costituiti. Fu Gioberti a teorizzare una confederazione di Stati capeggiata dal Papato. La sua idea aprì un dibattito cui partecipò anche Cesare Balbo (1789-1853). In Delle speranze d'Italia (1844), Balbo, realisticamente, auspicava una confederazione di Stati da realizzarsi, quando l'Austria avesse abbandonato spontaneamente il Lombardo-Veneto, sotto l'egemonia piemontese. Intervenne nel dibattito anche Massimo d'Azeglio che nell'opuscolo Degli ultimi casi di Romagna (1846) condannò ogni metodo insurrezionale. I Liberal-radicali di ispirazione repubblicana, dal canto loro, affondavano le proprie radici nella tradizione illuminista milanese. Carlo Cattaneo (1801-69, fondatore nel '39 della rivista Il Politecnico) e Giuseppe Ferrari (1811-76) entrarono in contatto con il razionalismo settecentesco grazie alla mediazione del filosofo Giandomenico Romagnosi (1761-1835). Essi avversavano tanto il misticismo romantico e la fiducia nelle cospirazioni di Mazzini, quanto le ipotesi di unificazione legate all'espansionismo di casa Savoia e alla superiorità spirituale della Chiesa. Cattaneo e Ferrari miravano a una confederazione repubblicana di Stati da conseguirsi attraverso un rivolgimento popolare. li i italiani tra il 1 il ‘46 Mentre negli ambienti intellettuali si diffondevano le correnti risorgimentali, negli Stati italiani imperversava la conservazione. Nel Regno delle Due Sicilie, Ferdinando II (1830-'59) fu contrario a ogni innovazione liberale. Ciò impedì la formazione di una solida classe che per intima convinzione, i sovrani di Granducato di Toscana, Regno delle Due Sicilie e Stato della Chiesa schierarono i propri eserciti al fianco dei Piemontesi. Un'ondata di entusiasmo patriottico percorse la penisola, ma l'atteggiamento di Carlo Alberto, che intese assurgere a leader della coalizione, e il timore di una poderosa reazione austriaca fecero sciogliere l'alleanza come neve al sole. Così, visti gli irrilevanti successi militari di Pastrengo e Goito, e la minaccia di scisma religioso da parte asburgica, il papa si ritirò dal conflitto (29 apr. 1848), seguito da Leopoldo II e da Ferdinando II alle prese con una grave rivolta interna. Per quanto reali fossero i pretesti, non c'è dubbio che la vera ragione per cui la coalizione si disgregò fu nell'intenzione dei sovrani italiani di ostacolare i sogni egemonici di Carlo Alberto. Intanto la guerra proseguiva. Volontari toscani rallentarono gli Austriaci a Curtatone e Montanara (29 magg.), mentre l'esercito piemontese si impose a Goito ed espugnò la fortezza di Peschiera (30 magg.). I Ducati e Milano (29 magg.), nonché Venezia (4 giu.), furono annessi al Piemonte. Poco dopo, però, gli Austriaci di Radetzky, ottenuti rinforzi, reagirono ed a Custoza sconfissero duramente le forze sabaude (23-25 lug.). Il 9 ago. fu siglato l'armistizio. Per l'opposizione austriaca a ogni concessione durante le trattative di pace e per il timore che nelle città di Roma e Firenze, dove nell'autunno 1848 si erano insediati governi democratici cacciando i sovrani (a Roma sorse una Repubblica capeggiata da un triumvirato il cui membro più influente era Mazzini), i repubblicani avessero il sopravvento, nel mar. 1849 Carlo Alberto ruppe la tregua. Il 23 mar. i Sabaudi furono sconfitti a Novara; la sera stessa Carlo Alberto abdicò in favore del figlio, Vittorio Emanuele II (1849-'78). Il giorno dopo fu firmato l'Armistizio di Vignale: parte del Piemonte fu occupata dagli Austriaci, ma, almeno, il re riuscì a salvare lo Statuto Albertino. Il fallimento bellico suscitò un'insurrezione a Brescia; a Roma (dove il governo dal febbraio era in mano al triumvirato Mazzini, Saffi e Armellini) e Venezia la resistenza agli austriaci fu strenua. Roma si arrese il 4 lug. sotto i colpi francesi e napoletani, Venezia — stremata dall'assedio austriaco — il 23 ago. seguente. In Toscana il governo retto da Domenico Guerrazzi e Giuseppe Montanelli era caduto per contrasti interni. Pio IX e Leopoldo II tornarono sui rispettivi troni. Verso l'unificazione Tra il 1849 e il 1860 l'azione delle forze liberali e democratiche si concentrò intorno agli obiettivi di indipendenza e unità nazionale. Mentre i sovrani degli Stati italiani assumevano un atteggiamento profondamente reazionario (particolarmente nello Stato Pontificio e nel Regno delle Due Sicilie), in Piemonte, stipulata la pace con l'Austria costata 75 milioni di indennità ed eletta una camera moderata, il governo fu affidato a Massimo d'Azeglio (1849-'52). Questi affrontò, emanando le leggi Siccardi (1850), il nodo rappresentato dal rapporto tra Stato e Chiesa: molti privilegi del foro ecclesiastico e il diritto d'asilo furono aboliti. Nel 1850 nominò ministro dell'agricoltura del suo gabinetto Camillo Benso conte di Cavour (1810-1861). Per la sua spiccata personalità politica, che ne aveva fatto in breve il leader dei moderati, e per il suo programma (favorire il capitalismo e la creazione di un blocco tra aristocrazia e borghesia contro la democrazia mazziniana, raggiungere l'unificazione nazionale attraverso l'espansione di casa Savoia), Cavour fu chiamato a presiedere il suo primo ministero nel nov. 1852 sostenuto da forze sia di centro-destra che di centro-sinistra (il connubio). Raggiunto il potere il conte mirò a limitare l'influenza della destra conservatrice e del re nella vita politica, a laicizzare la nazione, ad avviare riforme moderate in politica interna; a dare un ruolo di prestigio al Piemonte, tale da giustificarne le pretese sull'Italia in opposizione all'Austria, in politica estera. In patria, dovette superare la crisi Calabiana (apr. - magg. 1855), suscitata dall'opposizione della destra (con a capo il senatore Nazari di Calabiana) a una legge per la soppressione degli ordini religiosi contemplativi. In campo internazionale, invece, entrò nella coalizione anti-russa durante la Guerra di Crimea, inviando un contingente dell'esercito. Ottenne così la possibilità di intervenire dalla parte dei vincitori alla conferenza di Parigi (1856), in cui riuscì a dimostrare a Francesi e Inglesi l'improrogabile esigenza di un intervento risolutivo nella penisola. Mazzini, dopo il fallimento dei moti di Milano (febb. 1853) e l'impiccagione di patrioti sugli spalti del forte di Belfiore (1852-'53), fondò il Partito d'Azione per centrare gli obiettivi di unità e repubblica. Entrato in crisi per vari tentativi insurrezionali naufragati (il più grave quello di Sapri, giu. 1857, costato la vita a Carlo Pisacane), a esso Cavour contrappose la Società nazionale interprete delle esigenze indipendentistiche moderate e liberali. La seconda Guerra d'Indipendenza e la spedizione dei Mille Per scacciare gli Austriaci (le relazioni diplomatiche con l'Austria erano state rotte già nel 1857) dal suolo italiano, Cavour pianificò un'alleanza con la Francia. Ma come coinvolgere Napoleone III nell'impresa? L'occasione si presentò nell'estate del 1858. Quando infatti, il 14 genn. di quell'anno, l'imperatore scampò a un attentato perpetrato ai suoi danni dal democratico Felice Orsini, fu presa in seria considerazione l'esplosività della situazione italiana. Di conseguenza, il 20 lug. a Plombières, Napoleone e Cavour s'‘incontrarono pianificando un accordo che portasse a un nuovo assetto della penisola dopo una guerra con l'Austria. Se ufficialmente i due statisti stabilirono di istituire tre regni (Alta Italia, Italia Centrale e Meridionale) affidati rispettivamente ai Savoia, al Papa e ai Borbone di Napoli, una volta vinto il conflitto, ognuno di essi ambiva a conseguire obiettivi ben diversi: Napoleone intendeva estendere alla penisola la propria influenza, Cavour a unificare il paese sotto il controllo sabaudo. Subito il Piemonte iniziò a lavorare per indurre l'Austria a muovere guerra: Vienna reagì inviando un ultimatum (23 apr.). Respinto da Cavour il 26 apr. 1859, iniziò la seconda Guerra d'Indipendenza. Il comando delle operazioni fu affidato a Napoleone III. La vittoria degli alleati fu fulminea (vittorie di Palestro, 30 magg., e di Magenta, 4 giu., San Martino e Solferino, 24 giu.) e provocò l'insurrezione delle regioni centrali dove (grazie alla Società nazionale) si sviluppò luppò una forte corrente di annessionismo al Piemonte. Ciò non piacque a Napoleone che, bersagliato da critiche in patria, pose fine unilateralmente alle ostilità (Armistizio di Villafranca, 11 lug. 1859) in cui l'Austria, in segno di disprezzo, cedette la Lombardia alla Francia, la quale l'avrebbe consegnata al Piemonte. Vittorio Emanuele II accettò, Cavour invece si oppose dimettendosi. Richiamato nel genn. 1860 con il favore di Inglesi e Francesi, poco dopo, visto che le pressioni popolari erano sempre più insistenti, diversi plebisciti sancirono la fusione al Piemonte dei Ducati di Parma e di Modena, dell'Emilia e della Toscana (ago.-sett. 1859, mar. 1860). La cessione della Savoia e di Nizza alla Francia, come pattuito a Plombiéères liberava il Piemonte dai vincoli diplomatici e gli consentiva di procedere nelle annessioni della Toscana e dell'Emilia. La via per annettere allo Stato Sabaudo il sud, aperta dall'iniziativa dei democratici, e il centro, partiva . dalla Sicilia. Su proposta del Partito d'azione di Mazzini (dal genovese venne il progetto di una spedizione nel sud), infatti, Garibaldi accettò di guidare un'impresa che dalla Sicilia risalisse la penisola per liberarla promettendo, nel contempo, fedeltà alla monarchia. Alla testa di circa mille volontari, parti da Quarto al comando delle navi Piemonte e Lombardo tra il 5 e il 6 magg. 1860. L'1l sbarcò a Marsala approdando in un Regno delle Due Sicilie in cui re Francesco II (1859-60) non fu capace di gestire la difficile situazione ereditata dal padre. Tra l'entusiasmo della folla e con minimo sforzo, Garibaldi espugnò tutta l'isola (battaglia di Milazzo, 20 lug.). In quei giorni si ebbero acute tensioni con Cavour che temeva un'influenza mazziniana e repubblicana sul condottiero: questi, comunque, iniziò la sua marcia verso nord. Sbarcato in Calabria il 20 ago., il 7 sett. entrò a Napoli accolto trionfalmente. Cavour, sempre più preoccupato e sostenuto da Napoleone, inviò truppe nello Stato Pontificio occupando Marche e Umbria (11 sett.). L'1 e 2 ott. Garibaldi ottenne la sua più grande vittoria militare nella battaglia del Volturno, mentre il 3 soldati piemontesi diressero verso il Sud con il re deciso a imporre la propria sovranità sulle regioni conquistate. Garibaldi, fedele alle promesse, accettò la situazione tanto che, incontratosi con Vittorio Emanuele II a Teano il 26 ott., acconsentì al passaggio dell'amministrazione dei territori annessi alle autorità sabaude. Tra ott. e nov. plebisciti sancirono l'annessione al Piemonte del Regno delle Due Sicilie e di Marche e Umbria. Il 17 mar. 1861 Vittorio Emanuele II fu decretato dal Parlamento nazionale re d'Italia. 1894 - apr. 1895), le forze armate di Pechino furono costrette alla resa: la Pace di Shimonoseki portò al Giappone vantaggi territoriali (Formosa, le Isole Pescadores, Liaotung) e commerciali, una forte indennità e la garanzia dell'indipendenza formale della Corea. I “trattati ineguali” del 1854 furono rivisti: i diritti di extraterritorialità e le tariffe preferenziali eliminate. L'espansionismo nipponico sul continente asiatico generò molti timori: Russia, Germania e Francia cercarono di frenare le ambizioni giapponesi imponendo all'Impero la restituzione della penisola di Liaotung. Per il paese fu un affronto imperdonabile: la politica militare subì un ulteriore impulso. La nuova potenza era ormai pronta a rivestire un ruolo di protagonista sulla scena mondiale. EUROPA E STATI UNITI NELLA SECONDA METÀ DELL'OTTOCENTO Nella seconda metà dell'Ottocento in Europa vennero sorgendo quei contrasti tra le potenze che sarebbero sfociati nelle forti tensioni dell'inizio del nuovo secolo. Oltre alla nuova nazione italiana, si affacciava per la prima volta sul palcoscenico internazionale la Germania che, raggiunta l'unificazione per iniziativa della Prussia (Bismarck), fu subito protagonista di un rapido processo di crescita industriale e militare. In Francia venne affermandosi il “Secondo Impero” di Napoleone ll che resistette fino al 1870, per essere poi travolto dalla Prussia (Guerra franco-prussiana); chiusa la tragica parentesi parigina della Comune di Parigi (apr.-magg. 1871), nel 1875 fu emanata una costituzione repubblicana. L' Inghilterra, pur restando prima potenza del mondo, dal 1870 in poi vide insidiata la propria leadership. La Russia, sconfitta nella Guerra di Crimea nel '55, mantenne una condotta politica di chiusura, ma nell'immenso paese si iniziarono a registrare segnali di cambiamento. Negli Stati Uniti, infine, le tensioni tra il Nord industriale e il Sud agricolo portarono a una sanguinosa guerra civile. Il ndo Impero: Bismarck e l'unificazion Il rmani In Francia dopo le elezioni del '49, Luigi Napoleone agì per restaurare l'Impero. Con una serie di plebisciti ottenne dal popolo il diritto di elaborare una nuova costituzione (14 genn. 1852). Il 20 nov. con un altro plebiscito divenne imperatore con il nome di Napoleone III. Sulle prime mantenne una linea politica conservatrice: dal 1858, invece, si orientò verso idee più liberali, per tamponare un calo di popolarità. In Prussia, nonostante la concessione dello Statuto e del suffragio universale (1848), gli Hohenzollern continuarono a perseguire una politica conservatrice. Guglielmo I, reggente dal 1858, e sovrano dal 1861 al 1888, nel 1862 nominò primo ministro un conservatore, Otto von Bismarck (1815-1898, rappresentante degli Junker, aristocratici). Questi, tra il 1866 e il 1871, fu l'artefice dell'unificazione germanica. Dal 14 giu. al 26 lug. 1866, alleato dell'Italia, mosse guerra all'Austria sconfiggendola duramente a Sadowa (3 lug.): in tal modo ottenne i Ducati di Schleswig e Holstein, insieme ad altri Stati tedeschi, che unì nella Confederazione del nord (Pace di Praga, ago. 1866). Nel 1870, quindi, si rivolse alla Francia. Da abile diplomatico fece in modo di essere attaccato dalle truppe del Secondo Impero (incidente dei Bagni di Ems). A Metz e Sedan (ago.-sett. 1870) i Francesi subirono pesanti sconfitte, l'imperatore fu imprigionato, a Parigi proclamata la Repubblica (4 sett.): presidente del consiglio fu nominato Adolphe Thiers. Inutile fu l'organizzazione di una resistenza repubblicana coordinata da Léon Gambetta: il 28 genn. 1871 fu chiesto l'armistizio. Il 10 magg.1871 fu ratificata la Pace di Francoforte (cessione dell'Alsazia e parte della Lorena). A Versailles venne proclamata la nascita dell'Impero (Reich) tedesco con a capo Guglielmo I di Prussia (18 genn. 1871). Conseguita l'unificazione Bismarck iniziò subito a perseguire una politica interna avversa a cattolici (1871, Kulturkampf, o Lotta per la civiltà) e socialisti (leggi contro il partito socialdemocratico) accusati di sovvertire l'ordine sociale. In politica estera, timoroso di una reazione francese, tramò una serie di alleanze con le varie potenze. Nel 1873 varò il Dreikaiserbund (alleanza dei tre imperatori), con Germania, Austria e Russia, destinato a entrare in crisi poco dopo: infatti, i rapporti austro-russi si incrinarono per via di contrasti nei Balcani (Guerra con la Turchia. La Pace di Santo Stefano, 1878, che sancì la vittoria russa fu rimessa in discussione da Austria e Inghilterra). Sempre in funzione anti- francese, Bismarck nel 1879 si alleò con l'Austria e poco dopo rivolse all'Italia l'invito a partecipare all'intesa: nacque così la Triplice Alleanza (20 magg. 1882). Francia: dall mune di Parigi all'affaire Dreyfi Sconfitta dai Tedeschi, la Francia si trovò divisa. Mentre il governo nazionale era nelle mani di Thiers (che dall'ago.'71 fu nominato anche presidente della Repubblica), a Parigi infuriava l'ennesima rivoluzione democratico-socialista. L'Assemblea nazionale (riunita a Bordeaux) e l'esecutivo intervennero imponendo alla città la consegna dei cannoni. I Parigini, allora, si sollevarono dando vita alla Comune (mar.-magg. 1871). In aprile e maggio si combatté una guerra civile culminata nella settimana di sangue (21-28 magg.) in cui un esercito governativo comandato da MacMahon fece più di 20 mila vittime. Tra tentativi di restaurazione monarchica (1873, a opera del duca di Chambord), l'emanazione di una Costituzione (1875) destinata a vigere fino al 1940, il varo di leggi di grande utilità sociale (istruzione, la libertà di stampa e riunione, ecc.), un tentativo di colpo di Stato di destra fallito (lo guidò il debole generale Georges Boulanger che, accusato di tradimento, si suicidò nel 1891), scandali politici (affaire Dreyfus, dal 1894), e stagnazione economica, il paese giunse all'inizio del nuovo secolo affetto da tensioni preoccupanti. La Russia e la Guerra di Crimea Le mire russe contro l'Impero Ottomano erano di vecchia data: già prima della guerra del 1878 di cui si è parlato, nel 1853, la Russia di Nicola I da un lato, la Turchia, l'Inghilterra e la Francia dall'altro, combatterono la Guerra di Crimea, scoppiata per il controllo del Bosforo. Il conflitto si risolse con la vittoria della coalizione (cui dal genn. '55 aderì anche il Piemonte). Il seguente Congresso di Parigi (25 febb.-30 mar. '56) sancì la neutralizzazione del Mar Nero e l'integrità della Turchia. Dopo la sconfitta, il nuovo zar Alessandro II (1855-1881), introdusse nel paese provvedimenti innovatori (fu abolita la servitù della gleba, 1861): ma non furono decisivi. Nacque il populismo: giovani intellettuali andarono tra il popolo predicando l'anarchismo di Michail Bakunin (1814-76) come alternativa allo zarismo. Questo movimento organizzò senza successo tentativi rivoluzionari nel 1874-75. Lo zar, scampato a vari attentati, fu ucciso il 13 mar. 1881. Inghilterra In Inghilterra a partire dal 1846 (anno in cui cadde il governo Peel) i liberali Henry John Palmerston (1784-1865) e William Ewart Gladstone (1809-98), insieme al conservatore Benjamin Disraeli (1804-81), furono i politici più rappresentativi. Palmerston, fu primo ministro quasi ininterrottamente dal '55 al '65. Durante la sua presidenza, si registrò un forte sviluppo economico. Alla sua morte, fu insediato il primo gabinetto Gladstone (1868-74), forse il più riformatore dell'XIX sec. Rilevanti i provvedimenti adottati nella socialista. Ultimi esperimenti socialisti, prima del diffondersi delle idee di Marx, furono quelli politici di Louis Blanqui e pratici Louis Blanc. Quest'ultimo ideò gli ateliers nationaux. Marx ed Engel I tedeschi Karl Marx (1818-1883) e Friedrich Engels (1820-1895) sono universalmente considerati i primi teorici del socialismo in senso moderno. Alla predicazione morale e alla progettazione di sistemi sociali completi, proposta dai loro predecessori, Marx ed Engels contrapposero la ricerca delle basi scientifiche del socialismo attraverso lo studio delle contraddizioni interne al capitalismo e l'attività di organizzazione e unificazione del proletariato. Già nel 1848, a Londra, i due pubblicarono il proprio programma nel Manifesto del Partito Comunista. Marx, poi, prese parte alla rivolta in Germania. Il fallimento del moto lo costrinse a riparare definitivamente a Londra. Fu Marx a illustrare dettagliatamente le teorie socialiste nel Capitale: il primo volume dell'opera fu pubblicato nel 1867 a Londra, gli ultimi tre uscirono postumi a cura dell'amico Engels (1885-1894); l'ultimo a cura di Karl Kautsky. Partendo dall'analisi della società capitalistica, caratterizzata dall'opposizione tra la classe borghese (detentrice dei mezzi di produzione) e la classe operaia (che può solo “vendere” il proprio lavoro in cambio di un salario), il tedesco arrivò a teorizzare l'inevitabilità del crollo del capitalismo. Poiché, infatti, i proprietari retribuiscono agli operai solo una parte del valore delle merci da essi prodotte, trattenendo per sé la differenza, o plusvalore, che genera profitto, si viene a formare una piccola classe di privilegiati a fronte di una grande massa di sfruttati. In questo caso, secondo Marx, deve iniziare una lotta destinata a sfociare nella rivoluzione proletaria. Essa, per eliminare il profitto, punta ad abolire la proprietà privata degli apparati produttivi. La Prima e la Seconda Internazionale Mentre fiorivano in Europa le teorie socialiste, nascevano nuove importanti organizzazioni in difesa dei lavoratori non più limitate agli ambiti nazionali. Il 28 sett. 1864 a Londra fu fondata l'Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIL) meglio nota come Prima Internazionale. In essa confluirono molteplici tendenze: dai mazziniani italiani, ai seguaci di Blanqui e Proudhon, agli anarchici, ai sindacalisti inglesi. Estensore del programma e dello statuto dell'Associazione fu Marx: i lavoratori dovevano liberarsi da soli dal giogo padronale, impadronirsi dei mezzi di produzione e dar vita a una collaborazione internazionale contro la guerra. Dopo un primo contrasto tra marxisti e proudhoniani, risoltosi a favore dei primi nel 1871 (Congresso di Basilea), l'Internazionale entrò in crisi a causa della violenta polemica tra marxisti e anarchici di Bakunin. I seguaci del russo, contrariamente ai marxisti, ritenevano che il nemico da sconfiggere fosse lo Stato e non il capitalismo. Vi fu una scissione nell'Internazionale che ne provocò l'indebolimento: nel 1876, al congresso di Philadelphia, fu infatti sciolta. La Seconda Internazionale, fondata a Parigi nel 1889, restò una sorta di libera federazione tra gli autonomi gruppi socialisti nazionali. Essa auspicava la formazione di veri partiti socialisti nei singoli paesi non legati in alcun modo alla borghesia. La Chi il ialism iviltà m Di fronte all'avanzata di socialismo e liberalismo, papa Pio IX, passato dalle simpatie per il neoguelfismo all'estrema difesa dei dogmi della Chiesa dopo le guerre d'indipendenza italiane, assunse un atteggiamento di chiusura totale. Per questo, senza poggiare sull'autorità di un Concilio ecumenico, stabilì d'autorità il dogma dell'Immacolata Concezione (1854), favorì le tendenze ultramontaniste (fondate sul riconoscimento della supremazia di Roma) in Francia e in Germania, con un'attenta politica di nomina dei vescovi e lasciò che i Gesuiti, per il loro attivismo, la cultura e la ferrea disciplina diventassero uno dei pilastri della chiesa. Nel 1850 fondò la rivista “Civiltà Cattolica” destinata a diffondersi enormenente tra i credenti. Nel 1864, in appendice all'enciclica Quanta Cura, pubblicò il Sillabo, cioè un elenco di proposizioni condannate dalla Chiesa. Tra queste, rilevanti le voci inerenti alla libertà religiosa, al liberalismo e al socialismo. L'ESPANSIONE COLONIALE NEL XIX SECOLO Nei primi tre quarti del XIX sec., le potenze del vecchio continente condussero una politica coloniale abbastanza limitata. Solo gli Stati economicamente e politicamente più avanzati - Inghilterra, Francia e Olanda - reputarono di poter trarre vantaggio da un rafforzamento del controllo nei territori già in possesso e da nuove conquiste, ma più per motivi di prestigio che economici. Del resto, l'affermarsi del liberismo rendeva le colonie più un peso che un vantaggio. A partire dal 1880, invece, si registrò una notevole ripresa del colonialismo, con caratteristiche completamente diverse dal passato. Per la “Grande depressione ” (1870-1896), che determinò l'esigenza di avere materie prime a basso costo da destinare all'industria e nuovi sbocchi commerciali, e per il nascente nazionalismo, iniziò una vera corsa alla conquista di nuove colonie particolarmente in Africa. A contendersele, oltre a Francia e Inghilterra, furono anche la Germania, l'Italia, il Belgio e i Paesi Bassi e gli USA: per la storia questo fu il periodo dell'Imperialismo. Li liti loniale tra il 181 il 186 L'Inghilterra vide crescere enormemente i propri interessi in India grazie alla penetrazione commerciale attuata fin dal 1815 dalla Compagnia delle Indie. Essa, indipendentemente dal governo inglese, impose propri amministratori nelle zone che occupò. Nel 1858, in seguito alla rivolta dei Sepoys, personale indiano al servizio degli inglesi, Londra sciolse la Compagnia sostituendone i funzionari con autorità governative: fu nominato un governatore con sede a Calcutta (viceré). Sempre la Compagnia delle Indie, negli anni Trenta, iniziò la penetrazione britannica in Cina, immenso paese incapace di modernizzarsi. Essa ottenne dal governo cinese il diritto di svolgere commerci nel porto di Canton. Nel 1834, gli Inglesi sottoposero la Compagnia al controllo statale; i Cinesi, allora, le ritirarono il permesso di commercio, contrari ad accettare la presenza di funzionari del governo. L'Inghilterra si oppose a questa decisione e quando un carico di oppio (sostanza proibita da Pechino di cui gli Inglesi attuavano il contrabbando) depositato a Canton fu distrutto dai Cinesi, rispose con una spedizione militare. Fu questa la prima Guerra dell'oppio (1839-1842). Annientata dai Britannici la debole resistenza nemica, si giunse alla Pace di Nanchino (1842, il primo dei trattati ineguali). Essa stabiliva il passaggio di Hong Kong alla Gran Bretagna, l'apertura al commercio estero di Shanghai e di altri porti, la riduzione delle tariffe doganali cinesi per le merci importate. In Canada, l'Inghilterra concesse un governo autonomo e un Parlamento (1840). Nel 1867 le province canadesi si unirono in federazione (dominion). In Australia, luogo di deportazione di molti malviventi comuni, nel 1842 fu insediata un'assemblea rappresentativa. Nell'Africa del Sud i coloni britannici si trovarono ad affrontare le resistenze dei boeri, calvinisti di origine olandese. Essi si ritirarono nelle repubbliche di Orange (1854) e Transvaal (1856). L'attività coloniale francese si espresse in direzione del Nord Africa. Tra il 1827 e il 1830, Carlo X, desideroso di successi in politica estera, approfittò di un incidente diplomatico per dichiarare guerra alla Turchia e occupare la fascia costiera dell'Algeria. Nel lug. 1830 (presa di Algeri) i Turchi si arresero. Pochi giorni dopo, sull'onda del successo, Carlo X emanò le ordinanze che gli costarono il trono. Sempre
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