Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

L'ETA' POST-UNITARIA ( VERGA, D'ANNUNZIO, PASCOLI), Appunti di Italiano

LASCAPIGLIATURA: EMILIO PRAGA, ARRINGO BOITO PASSAGGIO DAL NATURALISMO FRANCESE AL VERISMO ITALIANO: VERGA (VITA E OPERE) IL DECADENTISMO, IL SIMBOLISMO L'ESTETISMO: D'ANNUNZIO - ANALISI DEL PIACERE E OPERE POETICHE GIOVANNI PASCOLI: VISIONE DEL MONDO E ANALISI OPERE

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 01/10/2019

Anna2.
Anna2. 🇮🇹

4.8

(5)

6 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica L'ETA' POST-UNITARIA ( VERGA, D'ANNUNZIO, PASCOLI) e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! L’ETA’ POST-UNITARIA LA SCAPIGLIATURA La scapigliatura non è un movimento organizzato, ma è un gruppo di scrittori che operano nello stesso periodo, gli anni 60 70 dell'ottocento, e negli stessi ambienti: Milano Torino Genova, e che sono accomunati dall'insofferenza per le convenzioni della letteratura contemporanea e da un impulso di rifiuto di rivolta. Il termine scapigliatura fu preposto per la prima volta da Letto Arringhi nel suo romanzo ‘La scapigliatura il 6 febbraio’ del 1862. Era un termine letterario arcaico che veniva riportato in vita, per fornire l'equivalente italiano del francese bohème. Bohémiens significava propriamente vita zingaresca. Il modo di vivere di questi scrittori irregolare, estraneo alle norme di vita delle comunità contadine e agricole dell'Europa, aveva sempre suscitato un atteggiamento misto di repulsione e segreta attrazione. A Parigi quegli artisti che disprezzavano una società fondata sul mercato e sulla produttività vennero respinti a una vita misera e precaria. Pe questo essi scelsero, come forma di protesta, modi di vita irregolari, disordinati, ostentando il rifiuto dei valori delle convenzioni borghesi ed accettando come segno di nobiltà e di libertà proprio quella miseria a cui l’organizzazione sociale li condannava. Si venne così a creare il mito, strettamente romantico, dell'artista povero. La Scapigliatura si sviluppa nel 1860, ma non essendoci un manifesto non può essere considerato un movimento culturale. Con il suo avvento non possiamo parlare della fine del romanticismo, in quanto essa rappresenta il vero romanticismo italiano. Gli scapigliati sono scrittori accomunati dalle medesime aspirazioni. La scapigliatura e il 6 febbraio, proposto da uno degli scapigliati, Cletto Arringhi, nel 1862, si tratta di un romanzo in cui si parla della scapigliatura e del suo significato. Proprio da quest’opera deriva il nome della scapigliatura. La scapigliatura comprende i giovani di ambo i sessi tra i 20-25 anni, che vivevano nelle grandi città industrializzate, infatti il mondo borghese in Italia si sta sviluppando in questo periodo. Si tratta di ragazzi indipendenti e pronti a tutto, che non si sentono a proprio agio nella realtà in cui sono costretti a vivere. Sono rappresentanti del mondo borghese, ma lo giudicano negativamente, in quanto ancora legati ai valori tradizionali (bellezza, arte…) sostituiti da altri dalla borghesia (ricchezza, guadagno…). I motivi della loro irrequietezza sono: . L’animo travagliato da contraddizioni, riguardo a ciò che sono e ciò che la realtà impone loro di essere. La differenza di ciò che hanno in testa e ciò che hanno in tasca, ciò che hanno dentro e il loro stato effettivo . Le influenze sociali (società borghese) . L’eccentricità e il disordine del vivere. Si tratta di uno dei caratteri del Boehemian, che in Italia si traduce nella scapigliatura e nei tratti del maledettissimo, che si presentano in questo periodo in quanto i Italia è questo il momento in cui si erige la società borghese e si generano le contraddizioni sociali. gli atteggiamenti del maledettissimo portano all’uso di alcol e droga. [Questa casta o classe, pandemonio del secolo … serbatoio del disordine … ordini] È un pandemonio del secolo. È la personificazione della follia. È rifiuto, critica e opposizione. Per questo l’opera degli scapigliati è critica. Solo ora l’intellettuale italiano perde il suo peso sociale (contrariamente al risorgimento). È composta da individui di ogni ceto, ogni estrazione sociale, ogni posizione. Ognuno porta il proprio contributo. Hanno ideali di speranza e ideali che si contrappongono alla realtà. Hanno una povertà elegante (la povertà di un Duca). Mefistofele, che probabilmente allude all’opera di Dideroit, è caratterizzato da un lato da un profilo italiano milanese, la parte divertente e positiva: ideale. Dall’altro dal maledettissimo che porta all’alcol e alla droga. Hanno un volto smunto: realtà. Dal punto di vista letterario, gli scapigliati sono contro Manzoni e i manzoniani, con tutti i romanzi storici che imitavano i promessi sposi. Si scagliano quindi contro il tardo romanticismo, eccessivamente sdolcinato. Erano poesie di occasione. La loro importanza sta dal punto di vista culturale. Pertanto in Italia Bodelaire dalla Francia e dall’America Po’. Con il gruppo degli scapigliati compare per la prima volta nella cultura italiana dell'ottocento il conflitto tra l'artista e la società. Con il processo di modernizzazione economica e sociale dell'Italia la società tende a declassare e emarginare gli artisti, che assumono atteggiamenti ribelli e anti-borghesi. Di fronte agli aspetti salienti della modernità gli scapigliati assumono un atteggiamento ambivalente: da un lato provano repulsione e orrore, che li porta ad aggrapparsi al passato, che il progresso andava distruggendo; dall'altro si rassegnavano a rappresentare il vero. Questa ambivalenza è la manifestazione tipica di un’età di crisi violenta e di un rapido trapasso. Gli scapigliati definirono questo atteggiamento dualismo. Essi si sentono divisi tra ideale e vero, senza possibilità di conciliazione. E la loro opera è proprio l'esplorazione di questa condizione di incertezza. I modelli a cui guardano gli scapigliati sono in primo luogo i romantici tedeschi, come Hoffmann, Jean Paul e Heine. Principalmente però essi ammirano e imitano Baudelaire, il poeta che aveva cantato l'angoscia della vita moderna nelle grandi metropoli, la lacerazione che si produceva tra la spleen, il vuoto e il disgusto di questa vita e l’irraggiungibile ideale. Importanti sono anche Poe e i poeti della Parnasse, una scuola affermatasi in Francia. La posizione della scapigliatura nella storia della cultura dell'ottocento è quella di un grande crocevia intellettuale, attraverso cui filtrano temi e forme delle letterature straniere, che contribuiscono a svecchiare e a sprovincializzare il clima culturale italiano. Gli scapigliati, con il culto del vero, introducono in Italia il gusto del nascente naturalismo. D'altra parte, la tensione verso il mistero e l’inesplicabile, anticipano future soluzioni della letteratura decadente. In una direzione decadente va anche la loro sensibilità acuta per la mescolanza delle sensazioni, che porta alla fusione dei diversi linguaggi artistici. Per questo nelle loro opere gli scrittori cercano di caricare la parola di suggestioni cromatiche e musicali. Anche il culto della bellezza della forma anticipa per certi aspetti l'estetismo decadente. Gli scapigliati non arrivano, attraverso una rigorosa scelta irrazionalistica, ad aprire veramente nuovi orizzonti conoscitivi, quelli che invece il decadentismo europeo e italiano saprà esplorare. Di conseguenza non arriva neppure a elaborare una lingua poetica che possa essere lo strumento di quell'avventura conoscitiva; non riescono a caricare la parola poetica di infiniti echi e suggestioni. EMILIO PRAGA Nasce a Milano nel 1839. Negli anni giovanili potere viaggiare a lungo per l’Europa, venendo in contatto con l’ambiente parigino. Dopo il dissesto dell’azionda familiare, si diede all’alcol ed a una vita disordinata. Tra gli scapigliati fu quello che visse più autenticamente il modello del ‘maledettissimo’ derivato da Baudelaire. Morì in miseria, distrutto dall’alcolismo, a soli 36 anni. Fu pittore e poeta. Con la raccolta ‘Tavolozza’ impiega un linguaggio caratterizzato da espressioni comuni, ignote alla lingua della poetica tradizionale. Scrive poesie di polemica contro la borghesia, il culto del denaro e la modernizzazione… Il maledettissimo si esprime nei suoi termini brutali e realistici nella raccolta ‘Penombre’, con la quale scandalizzò il pubblico. >PRELUDIO (1864) Si tratta di quartine. La poesia è una sorta di manifesto della scapigliatura che esprime la condizione spirituale che è propria di un’intera generazione intellettuale, da notare è il ‘Noi’ collettivo. L’opra si divide chiaramente in due parti. - La prima parte è negativa e mira a definire ciò che quella generazione non può più essere: non ha più fede religiosa, che è la fonte di tutti i valori. Per questo l’autore esprime un rifiuto nei confronti di Manzoni. Verso Manzoni gli scapigliati hanno un atteggiamento ambivalente di odio-amore: sentono la necessità di ribellarsi, ma non riescono a liberarsene perché ne avvertono la grandezza ineguagliabile, che li schiaccia. Il tono truculento dell’opera tradisce una disperata nostalgia della fede: “la bestemmia è una preghiera capovolta che conferma la fede in dio”. Noi: non è un pluralis maiestatis Padri malati: sono i romantici, si tratta di una malattia perché 1. c’è già conflitto tra spiritualità e realtà, 2. Fa riferimento alle accezioni di Manzoni e leopardi alla malattia Aquile al tempo di mutare le piume: sono brutti, il loro è uno svolazzare non un volo armonioso progressiva della società e della funzione dello scrittore, a cui viene assegnato un preciso impegno sociale politico. Il ciclo dei ‘Rougon-Macquart’ è un ciclo di 20 romanzi pubblicati tra il 1871 e il 1893. Lo scrittore traccia un quadro della società francese del secondo impero attraverso le vicende dei membri di una famiglia. Accanto agli intenti medico-patologici, che fanno si che l’opera possa essere definita anche come ‘narrativa scientifica’,si collocano poi gli intenti sociali e politici. Zola vuole dare un quadro completo della società francese in tutti i suoi strati sociali sin tutti i suoi ambienti caratteristici. L’atteggiamento ideologico di Zola in questi romanzi e decisamente progressista, da un lato violentemente polemico verso la corruzione e l’avidità dei ceti dirigenti e verso l’ottusità interessata della piccola borghesia, dall’altro pieno di interesse per i ceti subalterni, di cui sono denunciate con vigore le condizioni subumane di vita. Lo ’scrupolo dello scienziato’ induca Zola a riprodurre con implacabile crudezza anche gli aspetti più ripugnanti. Questo aspetto dei suoi romanzi fu quello che più colpì il pubblico contemporaneo. Dietro alla facciata dei propositi scientifici e del crudo realismo sociale è facile scorgere in Zola il permanere di un temperamento fondamentalmente romantico, che si delinea in un descrittivismo esasperato. Alla dimensione simbolica si associa talora una componente di vitalizio panico nella raffigurazione della natura. Altrove invece Zola arriva a squisitezze perverse e decadenti: amori incestuosi, la presenza di piante esotiche o mostruose (il motivo della vegetazione malata e perversa avrà lunga fortuna nella letteratura decadente). L’opera di Zola lascia confluire in sé stimoli provenienti da tutta la letteratura contemporanea. Lo stile di Zola è spesso una prosa ridondante, corposa, ricca di colore, dalle volute ampie e sonore. - Il discorso indiretto libero Il discorso indiretto libero è un discorso indiretto privo di una marca grammaticale che segni l’inizio del pensiero del personaggio, di un verbo reggente, di una congiunzione; per questo è chiamato libero. Tale procedimento consente agli scrittori grande scioltezza e duttilità nell’inserire discorsi e pensieri dei personaggi nel fluire della narrazione. Vine usato in particolar modo da Verga e dagli scrittori successivi. Si diffonde a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. (Il realismo è un elemento trovabile in tutta la letteratura, mentre il verismo fa riferimento a questa specifica corrente) 2. Il Verismo italiano L’immane di Zola che si diffuse in Italia fu quella del romanziere scienziato realista, nonché dello scrittore sociale, in lotta contro le piaghe della società, in nome del progresso e dell’umanità. Furono gli ambienti culturali milanesi di sinistra ad esaltare la sua opera sin dai prima anni Settanta. La sinistra milanese però dimostrò di non avere la forza culturale e l’altezza intellettuale necessaire per costruire una teoria artistica organica e coerente e per creare un nuovo linguaggio letterario. (In Italia il naturalismo, l’esperienza dei romanzieri francesi, si conosce già nel momento della scapigliatura (’70-’80) e nella sua esigenza di realismo in qualche maniera si avvicina al naturalismo.) Una teoria coerente e un nuovo linguaggio furono elaborati da due intellettuali conservatori, meridionali, che operavano nello stesso ambiente milanese: Capuana e Verga. L’evento che determina la nascita del verismo si ha solo nel ’78 quando compare la recensione dell’Ammazzatoio da parte di Luigi Capuana. La prima opera di Verga è ‘Rosso Malpelo’ del 1878. Il primo romanzo di Capuana, del 1879, è ‘Giacinta’. Nel 1880 Verga pubblica ‘Vita dei Campi’, che comprende anche ‘Rosso Malpelo’. Il primo romanzo di Verga, ‘I Malavoglia’, esce nel ’88. È subito chiaro che il verismo italiano è vicinissimo al naturalismo, ma non è la stessa cosa. In Italia si considera il verismo come uno stile, un metodo di scrittura, che si caratterizza per l’impersonalità e l’adeguamento dello stile al soggetto (proporre una forma che aderisca al soggetto), come nel Satyricon. Infatti Luigi Capuana, pur esaltando l’opera zoliana, ci coglie chiaramente un modo di intendere la letteratura ben diverso da quello del naturalismo francese. Capuana respinge la subordinazione della letteratura a scopi estrinsechi. Nella sua prospettiva il Naturalismo perda la volontà di fare scienza e l’impegno politico diretto e si traduce solo in un modo particolare di fare letteratura. La scientificità deve consistere nella tecnica con cui lo scrittore rappresenta, che è simile al metodo dell’osservazione scientifica, per quanto resti nei limiti che sono propri dell’arte. La scientificità insomma si manifesta solo nella forma artistica. E in questo modo si riassume il principio dell’impersonalità dell’opera d’arte, intesa come eclisse dell’autore. E’ il motivo centrale della poetica di Capuana e Verga. - Determinismo Il Determinismo è la convinzione che il carattere umano sia determinato da vari fattori e non possa essere cambiato. L’uomo fallisce e muore nel momento il cui cerca di migliorare la propria condizione di vita. Si vede in Verga, principalmente nei malavoglia. Per Verga cerchi di uscire dalla condizione in cui sei nato soccombi: quindi i Malavoglia che nascono poveri pescatori devono rimanere tali. Ciò vale anche per chi si trova in una posizione alta si tratta dell’ideale dell’ostrica: ci troviamo a nascere su uno scoglio, se ci strappano da li moriamo. In Verga dio non c’è, non ci aiuta. GIOVANNI VERGA 1. La vita Giovanni Verga nacque a Catania nel 1840, da una famiglia di agiati proprietari terrieri di ascendenze nobiliari. Compì i primi studi presso maestri privati, da ci assorbì il fervente patriottismo e il gusto letterario romantico (primo romanzo ‘Amore e patria’). Si iscrive alla facoltà di Legge a Catania, ma non terminò i corsi. Si dedicò al lavoro letterario e al giornalismo politico. Questa formazione irregolare segna inconfondibile la sua fisionomia di scrittore, che si discosta dalla tradizione di autori leterarissimi e di profonda cultura umanistica. Si forma sui testi degli scrittori francesi moderni di vasta popolarità, ai limiti con la letteratura di consumo, come Dumas, Sue, Feuillet. Ciò lascia un’impronta sensibile nei suoi romanzi. Nel 1865 si trasferisce a Firenze consapevole che per diventare scrittore autentico doveva liberarsi dai limiti della sua cultura provinciale. Nel 1872 si trasferisce a Milano, centro culturale vivo e aperto a sollecitazioni europee. Qui entra in contato con gli ambienti della scapigliatura. In un primo momento la produzione è romantica Nel 78 avviene la sua svolta capitale verso il verismo, con la pubblicazione del racconto ‘Rosso Malpelo’. Nel 1880 le novelle ‘Vita dei campi’, nel 1881 ‘I Malavoglia’, nel 1883 ‘Le novelle rusticane’ e ‘Per le vie’, nel 1884 il dramma ‘Cavalleria rusticana, nel 1887 le novelle di ‘vagabondaggio’. Nel 1889 il secondo romanzo ‘Mastro-don Gesualdo’, e negli anni successivi il terzo ‘La Duchessa de Leyra’. Dal 1893 torna a vivere definitivamente a Catania. Dopo il 1903, con la pubblicazione del dramma ‘Dal tuo al mio’ si chiude in un silenzio totale. Le lettere di questo periodo mostrano un inaridimento assoluto, anche nella passione (Contessa Castellazzi di Sordevolo). Le sue posizioni politiche si fanno più chiuse e conservatrici. Muore nel gennaio del 1922. 2. I romanzi preveristi La prima produzione è Romantica infatti nel 1860 la Sicilia sta vivendo il dramma dell’unione italiana. Ancora a Catania aveva pubblicato il romanzo ‘Una peccatrice’ poi ripudiato. A Firenze termina ‘La storia di una capinera’ (1871), romanzo sentimentale che narra di un amore impossibile e una monacazione forzata. A Milano finisce il romanzo ‘Eva’ già iniziato a Firenze. Tratta di un siciliano che brucia le sue illusioni e i suoi ideali artistici nell’amore per una ballerinetta, simbolo della corruzione di una società materialista. Si avvicina ai temi critici della scapigliatura: intellettuale emarginato e declassato da una società dominata dal principio del profitto. Seguono romanzi che analizzano sottili passioni mondante: ‘Eros’ e ‘Tigre reale’. Entrambi usciti nel 1875, segnarono il successo di Verga e furono considerati dalla critica come chiari esempi di realismo, di analisi ardita e impietosa di piaghe psicologiche e sociali. Questi romanzi si inscrivono però in un clima tardo-romantico, rappresentando ancora ambienti aristocratici o la bohème artistica, rimanendo ancora lontani dal modello del Naturalismo francese. 3. La svolta verista Nel 1874 verga pubblica un bozzetto di ambiente siciliano e rusticano ‘Nedda’, che descriveva la vita di miseria di un braccante. Può essere considerato un preannuncio alla svolta, un primo passo verso il Verismo. In realtà stava maturando in Verga una crisi che si traduce nel racconto del 1878 ‘Rosso Malpelo’, che si discosta dalla materia e dal linguaggio della sua narrativa anteriore. È la storia di un garzone di miniera che vive in un ambiente duro e disumano, narrata con un linguaggio nudo e scabro, che riproduce il modo di raccontare di una narrazione popolare. È la prima opera della nuova maniera verista, ispirata ad una rigorosa impersonalità. Il cambio così vistoso di temi e di linguaggio è stato spesso interpretato come una vera e propria conversione. In realtà Verga si è sempre proposto di dipingere il vero, semplicemente possedeva strumenti ancora approssimativi e inadatti, poco personali e inquinati da una convenzionale maniera romantica. L’approdo al verismo è quindi una svolta capitale ma non una brusca inversione di tendenza, è piuttosto il frutto di una chiarificazione progressiva di propositi già radicati, la conquista di strumenti concettuali e stilistici più maturi: la concezione materialistica della realtà e l’impersonalità. Con la conquista del metodo verista verga non vuole affatto abbandonare gli ambienti dell’alta società per quelli popolari. Anzi, come si propone nella prefazione ai ‘Malavoglia’, si propone di tornare a studiarli proprio con quegli strumenti più incisivi di cui si è impadronito. Le basse sfere non sono che il punto di partenza del suo studio dei meccanismi della società, poiché in esse tali meccanismi sono meno complicati e possono essere individuati più facilmente. Poi lo scrittore intende applicare via via il suo metodo anche agli strati superiori. 4. Poetica e tecnica narrativa del Verga verista Già nel 1879, pubblicando la novella ‘L’amante di Gramigna’ aveva avuto modo di esporre i suoi intendimenti nella lettera dedicatoria a Farina. Secondo la sua visione, la rappresentazione artistica deve conferire al racconto l’impronta di una cosa realmente avvenuta, l’evento deve inoltre essere raccontato in modo che il lettore non abbia la sensazione di vederlo attraverso la lente dello scrittore. Per questo lo scrittore deve eclissarsi. Il lettore avrà l’impressione non di sentire un racconto di fatti, ma di assistere a fatti che si svolgono sotto i suoi occhi. Evitando l’intromissione dell’autore che spiega e informa, si può creare l’illusione completa della realtà ed eliminare ogni artificiosità letteraria. ‘L’Amante di Gramigna’ è un documento umano -espressione cara ai Naturalisti- quindi vero. Io te lo ripeterò come l’ho raccolto: non c’è l’intervento dello scrittore, che esclusivamente registra i fatti. Le parole che usa non sono le sue, ma ripete ciò che sente, il modo di esprimersi di chi si trova in quell’ambiente (si tratta del processo di regressione: aderire della forma al soggetto). Faccia a faccia con il fatto nudo e schietto: viene mostrato il fatto così come è accaduto, così come si verificano, senza il filtro dello scrittore. Il processo della creazione rimane un mistero, perché non cogliamo la mano dello scrittore. L’opera d’arte sembrerà essersi fatta da se: il lettore ha l’impressione che l’opera si faccia da se. Il punto di vista dell’autore non si avverte mai nelle opere di Verga: la voce che racconta si colloca tutta all’interno del mondo rappresentato, è allo stesso livello dei personaggi, usa i loro stessi modi di esprimersi. È come se a raccontare fosse uno di loro che però non compare direttamente nella vicenda e resta anonimo. Un esempio chiarissimo è fornito dall’inizio di ‘Rosso Malpelo’: “Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo”. La logica che sta dietro quest’affermazione non è certo quella di un intellettuale borghese qual era Verga: fa infatti dipendere da una qualità essenzialmente morale, un dato fisico, rivela cioè una visione primitiva e superstiziosa della realtà. È come se a raccontare non fosse lo scrittore colto, ma uno qualsiasi dei minatori della cava in cui lavora Malpelo. Non solo, ma questo anonimo narratore, tipico delle opere verghiate che trattano di ambienti popolari, non informa esaurientemente sul carattere e sulla storia dei personaggi, né offre dettagliate descrizioni dei luoghi dove si svolge l’azione: ne parla come se si rivolgesse a un pubblico appartenente a quello stesso ambiente, che avesse sempre conosciuto quelle persone e quei luoghi. Perciò il lettore all’inizio dei vari racconti si trova difronte a personaggi di cui possiede solo notizie parziali, e solo poco a poco arriva a conoscerli, attraverso ciò che essi stessi fanno o dicono, o attraverso ciò che altri personaggi dicono di loro. di conseguenza anche il linguaggio non è quello che potrebbe essere dello scrittore, ma un linguaggio spoglio e povero, punteggiato di modi di dire, paragoni, proverbi, imprecazioni popolari, dalla sintassi elementare e scorretta, in cui traspare la struttura dialettale. 5. L’ideologia verghiana rappresenta lo spirito tradizionalista per eccellenza, l’attaccamento ad una visione arcaica e ai suoi valori. L’attaccamento del vecchio ai valori antichi non vale a preservare la famiglia, ma è una delle cause della sua rovina. È vero che alla fine Alessi riuscirà a ricomporre un frammento del nucleo famigliare, ma ciò non implica un ritorno perfettamente circolare alla condizione iniziale. Il romanzo non si chiude affatto con questa parziale ricomposizione dell’equilibrio, bensì con la partenza di ’Ntoni dal villaggio. È un finale emblematico: il personaggio che già aveva messo in crisi quel sistema, se ne distacca per sempre, allontanandosi verso la realtà del progresso. Il suo percorso sarà continuato da Gesualdo, l’esponente più tipico del moderno. Il romanzo rappresenta la disgregazione del mondo della civiltà contadina e l’impossibilità dei suoi valori. I malavoglia segnano proprio il superamento irreversibile di una componente di nostalgia romantica. Lo scrittore ormai, approdato ad un verismo puramente pessimistico, sa bene che quello non è semplicemente un mondo che scompare, ma un mondo mitico che non è mai esistito. L’idealizzazione investe solo alcuni personaggi, non il mondo rurale nella sua totalità. l’autore non sa ancora rinunciare del tutto a certo valori e li proietta in alcuni personaggi privilegiati, pur sapendo che si tratta di valori ideali. Il romanzo ha un costruzione bipolare. Si tratta di un romanzo corale, in cui il coro si divide nettamente in due: da un lato i Malavoglia, caratterizzati dalla fedeltà ai valori puri, dall’altro la comunità del paese, mossa mossa solo dall’interesse. si alternano così nella narrazione due punti di vista opposti. L’ottica del paese ha il compito di straniare sistematicamente i valori ideali proposti dai Malavoglia. Quei valori visti agli occhi della comunità appaiono strani e vengono stravolti e deformati. Lo stracciamento operato sui valori dal punto di vista del paese vale a denunciare l’impraticabilità di un mondo dominato dalla lotta per la vita. Dall’altro lato però, il punto di vista ideale dei Malavoglia vale a fornire un metro di giudizio dei meccanismi spietati che dominano l’ambiente del villaggio, facendo emergere la disumanità della logica dell’interesse e della forza e consentendo di rappresentarla in una luce critica. vi sono due cadenze temporali nei Malavoglia: un tempo ciclico segnato dal ritmo delle stagioni, dei lavori agricoli e della pesca, dalle feste religiose; e un tempo storico che vi si sovrappone. All’opposizione tempo ciclico/ tempo storico corrisponde l’opposizione spazio interno/ spazio esterno ai confini dl villaggio. 9. Le Novelle rusticane, Per le vie, Cavalleria rusticana tra il primo e il secondo romanzo del ciclo dei ‘Vinti’ passano ben otto anni. Nel lungo intervallo verga pubblica un altro romanzo che non rientra nel disegno preannunciato, ‘Il marito di Elena’ (1882). Nel 1883 escono le novelle rusticane che ripropongono personaggi e ambienti della campagna siciliana in una prospettiva però più pessimistica, che porta in primo piano il dominio esclusivo dei moventi economici dell’agire umano e rivela come la fame e la miseria soffochino ogni sentimento disinteressato. Un indagine analoga viene condotta nelle novelle di ‘Per le vie’, pubblicate nello stesso anno. Nel 1884 Verga tenta l’esperienza del teatro con il dramma ‘Cavalleria rusticana’ tratto da una novella di ‘Vita dei campi’, che ebbe molto successo. 10. Il Mastro-don Gesualdo (1889) Tra i ‘Malavoglia’ e quest’opera ci sono due novelle, che affrontano il tema della ricchezza. ‘Per le vie’ e ‘Novelle rusticane’. Il tema anticipa mastro don Gesù Aldo. È il secondo romanzo del ‘Ciclo dei vinti’. Gesualdo Motta, da semplice muratore, con la sua infaticabile energia è riuscito ad accumulare una fortuna. la sua ascesa sociale dovrebbe essere coronata dal matrimonio con Bianca Tra, una donna di una nobile famiglia ormai in rovina. Il protagonista crede che il matrimonio possa aprirgli le porte all’aristocrazia, ma la nobiltà lo disprezza per le sue origini e la moglie stessa non lo ama. Nasce una bambina, Isabella, che è frutto di una relazione tra la mogli e un cugino avvenuta prima del matrimonio. La bambina gli reca dolore perché crescendo si vergogna delle umili origini del padre. Altre amarezze gli provengono dalla famiglia, infatti il padre e i fratelli lo ripudiano per la ricchezza che è riuscito a racimolare. La figlia si innamora di un povero cugino e scappa con lui, ma per rimediare Gesualdo la da in sposa al duca de Leyra, un nobile squattrinato per cui deve sborsare una dote spropositata. Tutte queste amarezze minano la salute del protagonista che si ammala di cancro al piloro. Viene ospitato dalla figlia e dal genero, ma relegato per i suoi atteggiamenti rozzi. Muore solo, vedendo tutte le sue ricchezze sperperate. mantiene il principio dell’impersonalità.nel nuovo romanzo il livello sociale si è elevato rispetto ai ‘Malavoglia’ e alle novelle: si tratta di un ambiente borghese e aristocratico. Di conseguenza anche il livello del narratore si innalza e va a coincidere di fatto con quello dell’autore reale. Non si verifica più il fenomeno dello stracciamento. Inoltre mentre i ‘Malavoglia’ sono un romanzo corale, ne ‘Il Mastro don Gesualdo’ la figura del protagonista si stacca nettamente dallo sfondo e dagli altri personaggi. È infatti la storia di un individuo eccezionale, della sua epica ascesa e della sua caduta. Per questo gran parte della narrazione è focalizzata sul protagonista. Lo strumento per eccellenza di questa focalizzazione interna è il discorso indiretto libero. Scompare anche la bipolarità tra personaggi depositari dei valori e rappreetati della legge della lotta per la vita, che caratterizzava i ‘Malavoglia’. Il conflitto tra i due poli si interiorizza e passa all’interno di un unico personaggio. Pur dedicando tutta la sua vita e tutte le sue energie alla conquista della roba, conserva in se un bisogno di relazioni umane autentiche. Non arriva mai fino in fondo a praticare quei valori che erano tipici del vecchio ’Ntoni. Gli impulsi generosi e i bisogni affettivi sono sempre sormontati dall’attenzione gelosa all’interesse. La roba è il fine primario della sua esistenza, e ciò lo porta a negare i propri valori. Si vede qui come scompaiono in Verga quei residui di idealismo romantico presenti ancora nei ‘Malavoglia’, in cui nel quadro desolato della realtà comparivano ancora personaggi interamente positivi. In ‘Mastro don- Gesualdo’ c’è il trionfo dell’economicità. Verga è approdato ad un verismo rigorosamente conseguente e il suo pessimismo è diventato assoluto, al punto da obbligarlo a rappresentare una realtà dura e disumanizzata. Il frutto della scelta di Gesualdo in favore della logica della roba è una totale sconfitta umana. Dalla sua lotta epica per la roba, dalla sua energia eroica e dalla sua ascesi, Gesualdo non ha ricavato che odio, amarezza e dolore; sicché questo frutto amaro si somatizza nel cancro allo stomaco, che lo corrode e lo porta alla morte. Si parla della celebrazione di una nuova ‘religione’ che va a sostituire quella della famiglia. Anche qui verga non ha un atteggiamento moralistico, ma si pone in modo problematico difronte alla materia. Egli riconosce quanto vi è di eroico nello sforzo di Gesualdo, ma rappresenta soprattutto il rovescio negativo. Gesualdo è un vincitore materialmente, ma è un vinto sul piano umano. 11. L’ultimo Verga Il terzo romanzo del ciclo ‘La Duchessa di Leyra’ non sarà mai portato a compimento. Gli ultimi due romanzi del progetto iniziale non saranno neppure affrontati. Le ragioni dell’interruzione sono da ricavare nella combinazione dell’inaridimento dell’ispirazione e della stanchezza dello scrittore, a cui va unito lo stesso logoramento dei moduli veristi, sostituiti da una nuova narrativa di vasto successo. Dal 1893 Verga è tornato a vivere definitivamente a Catania, sintomo di una sostanziale rinuncia alla letteratura. Pubblica ancora raccolte di novelle ‘I Ricordi del capitano d’arte’ e rielaborazioni di racconti più antichi. Lavora ancora per il teatro, riducendo per le scena ‘La Lupa’ e facendo rappresentare ‘Dal tuo al mio’. Tuttavia si tratta di opere stanche che non aggiungono nulla di nuovo alla sua produzione, o testimoniano semmai un’involuzione. IL DECADENTISMO Il 23 maggio del 1883 sul periodico parigino ‘Le Chat Noir’ Paul Verlaine pubblicava un sonetto dal titolo Langueur (che definisce la spiritualità tipica del decadentismo -il languore è caratteristico dello spirito decadente- è proprio con quesa pubblicazione che viene fatta coincidere la data d’inizio del movimento), in cui affermava di identificarsi con l’atmosfera di stanchezza e di estenuazione spirituale dell’Impero romano alla fine della decadenza. Il sonetto interpretava uno stato d’animo diffuso nella cultura del tempo, il senso di disfacimento e di fine di tutta una civiltà. Queste idee erano proprie di circoli d’avanguardia, che si contrapponevano alla mentalità borghese e ostentavano atteggiamenti bohémien e idee provocatorie, ispirandosi al modello maledetto di Baudelaire. La critica per designare atteggiamenti del genere usò il termine “decadentismo”, in accezione negativa e spregiativa, ma quei gruppi intellettuali lo vollero assumere polemicamente, rovesciandone il senso a indicare un privilegio spirituale. Il movimento trovò il suo portavoce nel 1886 in un periodico ‘Le Décadent’. Le personalità più significative del gruppo sono: Verlaine, Corbiére, Rimbaud, Mallarmé. (Verlaine cura un’antologia di poesie ‘i poeti maledetti’, prodotte da lui stesso e dagli amici. E l’anno successivo esce il romanzo ‘Controcorrente’.) Il termine decadentismo quindi originariamente indicava un determinato movimento letterario, sorto in un determinato ambiente: quello parigino durante gli anno Ottanta. Poiché le tendenze di quel movimento sarebbero state riprese la storiografia letteraria italiana ha assunto il termine a designare un’intera corrente culturale, di dimensioni europee (ultimi decenni Ottocento- primo Novecento). Infatti parlando di decadentismo facciamo anche riferimento a uno spirito che si protrarrà fino al novecento inoltrato, tant’è alcuni critici non lo ritengono ancora concluso. Nella visione decadente viene radicalmente rifiutata la visione positivista che costituisce l’opinione corrente borghese.il decadente ritiene che la ragione e la scienza non possano dare la vera conoscenza del reale, perché solo rinunciando all’abito razionale si può tentare di attingere all’ignoto. L’anima decedente è perciò sempre protesa verso il mistero, verso l’inconoscibile. Per questa visone tutti gli aspetti dell’essere sono legati tra loro da arcane analogie e corrispondenze, che possono essere colte solo in un abbandono di empatia irrazionale. Ciò è esposto nel sonetto ‘Corrispondenze’ di Charles Baudelaire. La visione decadente propone una sostanziale identità tra io e mondo, tra soggetto e oggetto, che si confondono in un’arcana unità. La scoperta dell’inconscio è un dato fondamentale della cultura decadente. Infatti decadenti si lasciano assorbire dal vortice tenebroso, distruggendo ogni legame razionale, convinti che solo questo abbandono totale possa garantire un’esperienza ineffabile, la scoperta di una realtà più vera. Innanzitutto come strumenti privilegiati del conoscere vengono indicati tutti gli stati abnormi e irrazionali dell’essere (malattia, follia, nevrosi, delirio, sogno, incubo, allucinazione), che aprono prospettive ignote. vi sono poi alte forme di estasi che consentono quest’esperienza dell’ignoto e dell’assoluto. Si tratta dell’atteggiamento che è stato definito panismo, secondo cui, attraverso l’annullamento, si può potenziare la propria vita fino a renderla come divina. Un altro tipo di stato di grazia è costituito dalle epifanie: un particolare qualunque della realtà, che appare insignificante alla visione comune, si carica improvvisamente di una misteriosa intensità di significato. Tra i momenti privilegiati della conoscenza, per i decadenti, vi è l’arte. Gli artisti vengono considerati sacerdoti di un vero e proprio culto, capaci di spingere lo sguardo là dove l’uomo comune non vede nulla, di rivelare l’assoluto. Per questo l’arte appare il valore più alto. Questo culto religioso dell’arte ha dato origine al fenomeno dell’ESTETISMO. L’esteta è colui che assume come principio regolatore della propria vita il bello, ed esclusivamente in base ad esso agisce e giudica la realtà. Tutta la realtà è da lui filtrata attraverso l’arte. Va costantemente alla ricerca di sensazioni rare e squisite, si circonda degli oggetti più preziosi, prova orrore per la banalità e la volgarità della gente comune. Si tratta di posizioni che vengono teorizzate originariamente in Inghilterra, e avranno poi massima risonanza con Oscar Wilde e Gabriele D’Annunzio (secondo i loro principi la vita stessa deve essere un’opera d’arte). Ne consegue che il poeta rifiuta di farsi banditore di idealità morali e civili. L’arte divine cioè arte pura, poesia pura. La poesia è rivelazione quindi del mistero e dell’assoluto, allora la parola poetica assume un valore puramente suggestivo e evocativo. Si determina in conseguenza una vera e propria rivoluzione del linguaggio poetico, il cui significato si fa evanescente o scompare del tutto, lasciando solo il suo alone suggestivo. La poesia pura diviene inevitabilmente oscura, al limite dell’incomprensibilità. Si rivela qui il carattere estremamente aristocratico dell’arte decadente. La scelta è inoltre motivata dalla nascente cultura di massa, che offre al grande pubblico prodotti fatti in serie. Per questo l’artista sente il bisogno di difendersi, di differenziarsi, e si rifugia nel linguaggio cifrato ed ermetico per salvare l’arte vera. Si delinea quindi in questo periodo una frattura radicale tra artista e pubblico, tra intellettuale e società. Vari sono i mezzi tecnici per ottenere questi effetti di segreta suggestione: - la musicalità: la parola si carica di valori evocativi e suscita echi profondi. nella visione decadente la musica è la supera tra le arti, proprio perchè la più indefinita e svincolata da ogni significato logico e referenziale. rifiuto della rima. l’Azzurro è l’ideale a cui vogliono arrivare. Questo invito verra accolto e porterà in Italia al verso libero. C’è un’accusa al labor limæ. ESTETISMO L’opera base di questa poetica è ‘Controcorrente’. Questi scrittori riconoscono un nuovo ruolo all’intellettuale, o meglio riconoscono nuovamente il ruolo dell’intellettuale nella società, che era stato messo in crisi dalle vicende storiche e economiche. Un esempio da Bodelaire a pagina 512 ‘Perdita d’aureola’ : dialogo tra il poeta e l’amico, n un bordello. Il poeta perde l’aureola nel fango mentre attraversava la strada. l’aureola è il segno distintivo rispetto agli altri uomini. È stato scritto intono alla metà dell’ottocento. In questo caos, in questo fango: la società del tempo, l’artista perde il suo ruolo distintivo. Della cosa Bodelaire è dispiaciuto, trasformandosi in un uomo normale, ma allo stesso tempo è contento, perché può compiere tutte le bassezze degli uomini comuni. Questa è la condizione del poeta moderno della metà dell’ottocento. Un altro esempio sempre di Bodelaire a pagina 489 ‘L’albatro’: il poeta è paragonato all’albatro, un uccello maestoso mente vola, quando scende a terra quelle ali che in cielo sono la sua bellezza n terra sono la sua bruttezza, perché le ali sono troppo lunghe. Finché si trova nel suo ideale è un principe, quando lo costringiamo a vivere sulla terra, negazione della poesia, è oggetto di critiche e derisioni. È una chiara opposizione tra cielo e terra. Questa è la condizione del poet ache fatica ad entrare in relazione con la società e ciò che lo circonda. Qui è presente la solita opposizione, il dualismo tipico della scapigliatura. Da questa condizione il poeta decadente cerca di uscire attribuendo al poeta il ruolo di interpretare la realtà. Nascono così diverse immagini del poeta: poeta veggente, che attraverso lo sgretolamento dei sensi coglie particolari aspetti della natura. Esempio del poeta in D’annunzio, in una pagina del ‘Piacere’ e un esempio del poeta in Pascoli. > Online T2 ‘Il verso è tutto’ Questo poeta contemporaneo che scrive il verso è tutto è D’annunzio stesso, si tratta di un’autostazione. ‘Divina è la parola e il verso è tutto’. Quando ritrova per un attimo l’ispirazione perduta, trona la musicalità. In questo luogo rinascimentale ritrova a vena poetica, ritrova la musicalità che fluisce nel verso, andando a capire come la poesia sia la voce della verità: il verso è tutto. Se non cielo il poeta la natura è muta. (In questo senso D’annunzio va oltre i simbolisti). È chiaro il ruolo fondamentale del poeta. ‘Può raggiungere l’assoluto’: al massimo grado la poesia arriva all’ideale. Il poeta ha una chiave interpretativa superiore. Poeta = Superuomo. > T1 p. 672 da ‘Il fanciullino’ L’idea del Pascoli è che dentro ogni uomo ci sia un fanciullino, che rimane tale nonostante l’avanzamento dell’età. Il poeta fa in modo che a interpretare la realtà sia il fanciullino, che non ha la razionalità. Il fanciullino è chiaramente razionale: sogna, crede alla finzione, parla con i sassi, gli alberi, gli dei, ride e piange senza motivo. Il linguaggio che definisce la natura deriva dal fanciullino. Questi testi dimostrano come il poeta recupera il suo ruolo. In questo periodo viene dato un grandissimo valore all’arte. Con alcuni di questi scrittori arriviamo ad affermare la vita è arte e l’arte è vita. Questo è l’estetismo: vivere come in un opera d’arte. l’elemento unico che va a costituire la nostra vita. Tre sono i testi forndamentali: controcorrente(Francia 1894) il piacere(Italia- 1889) il ritratto di Dorian Gray (Inghilterra 1890). Ci sono dei modelli a cui essi guardano: - Parnassiani operano in Francia tra il ’60-’70, si chiamano così rifacendosi al nome del monte Parnaso. Essi recuperano l’arte classica, recuperando l’ideale che l’arte sia autonoma da qualsiasi ambito. Va liberata a qualsiasi ambito a cui è stata legata nel corso del tempo. Recuperano principalmente il classicismo rinascimentale. - Preraffaelliti si diffondo circa intorno agli ’50 dell’ottocento e guardano allo stilnovismo e a Dante. Il principale rappresentante è Walter. È importante ciò che questi artisti lasciano, portando poi al decadentismo. GABRIELE D’ANNUNZIO 1. La vita La vita di D’Annunzio può essere considerata una delle sue opere più interessanti: secondo i principi dell’estetismo bisogna fare della propria vita un’opera d’arte, e D’Annunzio fu costantemente teso al conseguimento di questo obiettivo. Nato nel 1863 a Pescara da un’agiata famiglia borghese, studiò nel collegio Cicognini di Prato. Esordi sedicenne con un libretto di versi, ‘Primo vere’. Si trasferì a Roma per frequentare l’università, ma preferì vivere tra i salotti mondani e redazioni di giornali. Acquistò subito notorietà, attraverso la produzione e attraverso una vita scandalosa. Sono gli anni in cui D’Annunzio si crea la maschera dell’esteta, dell’individuo superiore che si rifugia in un mondo di pura arte e che disprezza la morale corrente. Questa fase estetizzante attraverso una crisi nella svolta degli anni Novanta; lo scrittore cercò nuove soluzioni e le trovò in un nuovo mito, quello del superuomo, ispirato approssimativamente alle teorie del filosofo tedesco Nietzsche. D’annunzio puntava creare l’immagine di una vita eccezionale sottratta alle norme del vivere comune. Colpirà il pubblico soprattutto la sua vita da principe rinascimentale condotta nella villa della Capponcina (dove ambienterà la degenza di Andrea Sperelli); e i suoi amori, specie quello lungo e tormentato con Eleonora Duse. D’Annunzio in realtà era strettamente legato alle esigenze del sistema economico del suo tempo e voleva, attraverso gli scandali, mettersi in primo piano nell’attenzione pubblica, per vendere meglio la sua arte e i suoi prodotti letterari. Quindi, paradossalmente, il culto della bellezza ed il vivere inimitabile, superomistico, risultavano essere finalizzati al loro contrario. Si tratta di una contraddizione che non riuscì mai a superare. In obbedienza alla nuova immagine mitica che voleva creare di se, D’annunzio non si accontentava più dell’eccezionalità di vivere puramente estetico: vagheggiava anche sogni di attivismo politico. Nel 1897 tentò l’avventura parlamentare come deputato dev’estrema destra. Nonostante la sua fama agli inizi del Novecento, nel 1900 fu costretto a fuggire dall’Italia e a rifugiarsi in Francia. Nell’esilio si adattò al nuovo ambiente letterario pur senza interrompere i legami con la patria ‘ingrata’ che aveva respinto il suo figlio d’eccezione. L’occasione tanto attesa per l’azione eroica gli fu offerta dalla prima guerra mondiale, durante la quale si arruolò volontario nonostante l’età non tanto giovane (52 anni). Nel dopo guerra si fede interprete dei rancori per la vittoria mutilata che fermentavano tra i reduci, capeggiando una marcia di volontari su Fiume. Scacciato nel 1920, con le armi, sperò di proporsi come duce in una rivoluzione reazionaria, ma fu scalzato da un più abile politico, Benito Mussolini. Il fascismo lo esaltò, ma al tempo stesso lo guardò con sospetto, confinandolo in una villa di Gardone. D’Annunzio fece della propria vita un mito, un’opera d’arte. Ha una produzione estremamente vasta, di opere si dividono in poetiche - narrative - teatrali, che si protrae fino ai primi decenni del 1900. Lo schema da utilizzare per capire D’Annunzio è dividere la sua produzione in due parti: una riguardante l’elemento dell’ideale, e l’altra riguardante l’elemento del reale. Il contrasto tra reale e ideale è presente anche in D’annunzio (come succede da Foscolo in poi). L’ideale per D’Annunzio è la bellezza, l’arte che il poeta ha il compito di far rinascere, che la società borghese consumistica ha fatto cadere. Il poeta ha il compito di essere produttore della bellezza ormai venuta meno, o almeno di andare a recuperare dal passato. Il recupero dal passato si nota principalmente nelle raccolte degli anni Ottanta. In altri testi lamenta il venir meno di questa bellezza. L’unica produzione di bellezza si ha con le Laudi. Con l’opera poetica viene presentato l’ideale. Di contro abbiamo una realtà che ostacola la realizzazione degli ideali, quindi l’ideale dannunziano è destinato a fallire: ciò si nota principalmente nei romanzi, in cui i protagonisti sono fallimentari. La produzione è molto intrecciata. 2. L’estetismo e la sua crisi L’esordio letterario di D’Annunzio avviene sotto il segno di due scrittori: Carducci e Verga. Le prime due raccolte liriche si rifanno a Carducci delle ‘Odi Barbariche’. ‘Primo vere’ è la primissima raccolta di D’Annunzio sedicenne e risulta essere più un esercizio di apprendistato. Mentre in ‘Canto nuovo’ oltre alla metrica barbara ricava da Carducci il senso tutto pagano della comunione con una natura solare e vitale. Le ‘Odi Barbare’ (p.322) sono poesie in cui Carducci sperimenta metriche nuove: si tratta di un primo passo verso il cambiamento metrico a cui si assisterà in Italia. Carducci tenta di riprodurre con la metrica italiana la metrica antica (greca e latina): mescola i versi in modo da ottenere versi latini. La metrica latina è una metrica quantitativa, mentre la metrica italiana è accentuata. Andare a usare una per creare l’altra determina un metro barbaro, all’orecchio sia degli antichi che dei moderni. Il riprodurre una metrica con l’altra porta ad un effetto barbaro.Tale opera, come ventata di novità, fece molto successo. D’Annunzio parte da qui e porterà aventi questo sperimentalismo fino ad arrivare ala scrittura in versi liberi. Recupera Carducci anche nei temi, nella carica vitalissima, nel godimento sfrenato della vita, la solarità (alcuni dei temi dell’opera di Carducci). Vitalismo è esaltazione del godersi la vita, del rapporto pieno con la natura. Non mancano però spunti diversi che fanno intuire come il vitalizio sfrenato celi sempre in se il fascino ambiguo della morte. La raccolta di novelle ‘Terra vergine’ guarda al Verga di ‘Vita dei campi’ ed è il corrispettivo in prosa del ‘Canto novo’. In ‘Terra vergine’ anche D’Annunzio presenta figure e personaggi della sua terra, l’Abruzzo. Tuttavia nel libro non c’è nulla dei meccanismi della lotta e dell’impersonalità verghiate, infatti sul piano delle tecniche narrative c’è una continua intromissione della soggettività del narratore. Il mondo di ‘Terra vergine’ è sostanzialmente idilliaco, non problematico. Sulla stessa linea si pongono le raccolte di novelle successive, ‘Il libro delle vergini’ (1884), ‘San Pantaleone’ (1886), che si riuniscono nella raccolta ‘Novelle della Pescara’. Anche questi temi rivelano l’ambiguo compiacimento per un mondo magico, superstizioso e sanguinario. Se dunque esteriormente le novelle di D’Annunzio si richiamano al verismo, la loro sostanza profonda si richiama alla matrice irrazionalistica del Decadentismo. La stessa matrice è evidente nella copiosa produzione in versi degli anni Ottanta, che rivela l’influenza profonda dei poti decadenti francesi e inglesi. ‘Isaotta Guttadauro’ (1886) è un esercizio di recupero delle forme quattrocentesche; la ‘Chimera’ (1890) insiste sui temi di sensualità perversa e di una femminilità fatale e distruttrice.Qui va a recuperare dal passato. Il mondo cavalleresco medioevale o il mondo rinascimentale. Il mondo cavalleresco, lo stilnovismo, la donna angelo vengono ripresi con la considerazione che quella sia la vera bellezza e che debba essere ripresa. Essa è mescolata con i temi cari a D’annunzio: erotismo eccessivo, idea di sfinimento, la presenza della famme fatale, la donna vampiro che distrugge l’energia vitale del maschio, miscuglio tra sacro e profano, tra sacro ed erotico. È l’atmosfera decadente. Senso di decadimento allo stesso tempo sensuale, in cui il poeta si crogiola tanto origine a versi belli a livello stilistico. Queste opere poetiche sono il frutto della fase dell’estetismo dannunziano, che si esprime nella formula ‘Il Verso è tutto’. L’arte è il valore supremo, e ad essa devono essere subordinati tutti i valori. Sul piano letterario tutto ciò dà origine a vero e propio culto religioso dell’arte e della bellezza. La poesia sembra nascere da un’altra letteratura . Pertanto i versi dannunziani sono fitti di echi letterari, che provengono dai poeti classici, da quelli della tradizione italiana, dai contemporanei poeti francesi e inglesi. Questo personaggio dell’esteta è una risposta ideologica ai processi sociali in atto nell’Italia post-unitaria, i quali tendevano a declassare e ad emarginare l’artista o lo costringevano a subordinarsi alle esigenze della produzione e del mercato. Il giovane D’Annunzio, tuttavia, non si rassegna e vuole il successo e la fama, quindi il personaggio dell’esteta è una forma di risarcimento immaginario da una condizione reale di degradazione dell’artista. D’annunzio propone un’immagine nuova di intellettuale, che si pone fuori dalla società borghese, e fa rivivere una condizione, ormai tramontata, di privilegio dell’artista. 3. I romanzi e l’influsso del mito del superuomo - Il Piacere (1889) Ben presto però D’Annunzio si rende conto che l’esteta non ha la forza di opporsi realmente alla borghesia in ascesa. Il suo isolamento, lungi dall’essere un privilegio, non può che divenire sterilità e impotenza, il culto della bellezza si trasforma in menzogna. La costruzione dell’estetismo entra allora in crisi. Il primo romanzo ‘Il Piacere’ (1889) ne è la testimonianza più esplicita. Infatti proprio all’interno dei romanzi è evidente come ciò che cerca nella poesia venga stroncato dalla realtà. Al centro si pone la figura dell’esteta Andrea Sperelli. Il principio questa mentalità è l’automobile. Il protagonista è Paolo Tarsis, che adora fare corse sfrenate in automobile, culminerà con una corsa in aereo. Partendo dalla Toscana vuole arrivare fino in Sardegna. La traversata avverrà, ma non è del tutto una vittoria perché anche se arriva dall’altra parte, non ha un atterraggio tranquillo e lui si trova ferito e sdraiato sulla sabbia. La scena finale è tutto tranne quella dell’eroe. C’è la relazione con la donna Isabella, estremamente problematica, nevrotica, incestuosa. Lo stile di questi romanzi mostrano come ci stacchiamo sempre più dal verismo fino ad arrivare al romanzo psicologico che caratterizza il primo novecento. L’attenzione dell’autore non è ai fatti ma in prospettiva. L’attenzione data ai fatti è sempre più ridotta. 4. Le opere drammatiche L’ideologia superomistica ha un peso dominante nell’approdo di D’Annunzio al teatro, che avviene a partire dal 1896, con la composizione della ‘Cita morta’. Il teatro, rivolgendosi alle moltitudini, può essere un più potente strumento di diffusione e di propaganda. Al teatro D’Annunzio si accostò anche per Eleonora Duse, grande attrice con cui intrattenne una lunga relazione a partire dal 1894. La drammaturgia dannunziana rifiuta le forme del teatro del tempo, il teatro borghese e realistico, ed ambisce a un teatro di poesia, che trasfiguri, sublimi la realtà riportando in vita l’antico spirito tragico, e si regga su una complessa trama simbolica. Molte di queste opere attingono gli argomenti dalla storia o dal mito classico, tuttavia non mancano drammi ambientati nel presente, ma con la preoccupazione costante di creare climi poetici, lontani dalla prosaicità borghese. Alcuni drammi sono decisamente politici. Anche nel teatro la tensione superomistica all’eroismo e all’azione si scontra con forze di segno contrario, che portano il protagonista alla sconfitta. A parte rispetto ai drammi storici e moderni, si colloca ‘La figlia di Iorio’ (1904), che D’Annunzio stesso definisce tragedia pastorale. Si riscontra un gusto decadente per il barbarico e il primitivo, il fascino esercitato dal popolo contadino visto come emblema dell’irrazionale. 5. Le Laudi L’apro all’ideologia superomistica concede con la progettazione di vaste e ambiziose costruzioni letterarie. Nel campo della lirica vuole affidare la summa della sua visione a sette libri di ‘Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi’: un progetto di celebrazione totale che esaurisca tutto il totale. I primi tre libri ‘Maia’, ‘Elettra’, ‘Alcyone’, furono terminati nel 1903, nel 1912 il quarto ‘Merope’,che raccoglie le canzoni scritte in onore della guerra in Libia, postumo poi ‘Asterope’, che raccoglie le canzoni in onore della prima guerra mondiale. Gli ultimi due libri pur annunciati non vennero mai scritti. I titoli derivano dai nomi delle Pleiadi. La prima vera esperienza con il verso libero è di Lucini. Questo verso aveva dato origine alla necessità di sganciarsi dai limiti, anche quelli metrici. D’annunzio sperimenta il verso libero, partendo dalla metrica barbara. - Maia Il primo libro è un lungo poema unitario di oltre 8000 versi liberi di varia lunghezza, prevalentemente dispari. Non c’è uno schema fisso di rime, ma ciò non comporta la sparizione della rima. L’opera presenta subito un’evidente novità formale: D’Annunzio adotta il verso libero. Il fluire libero del verso risponde al carattere intrinseco del poema, che si presenta profetico e vitalissimo. L’intento di D’Annunzio è quello del poema totale, che dia voce alla sua ambizione panica e raccoglie tutti ele infinite e diverse forme della vita e del mondo. Costituisce la Laus Vita, una lode alla vita vissuta con slancio, con piena partecipazione. Il poema è la trasfigurazione mitica di un viaggio in Grecia, realmente compiuto da D’Annunzio. Il protagonista si presenta come eroe ‘ulisside’. Il viaggio nell’Ellade è l’immersione in un passato mitico. Si immerge poi nella realtà moderna, nelle metropoli industriali orrend, ma brulicanti di nuove immense potenzialità vitali. Il mito classico vale trasfigurare questo presente, riscattandolo dal suo squallore. Il passato modella su di se il futuro da costruire. Per questo l’orrore della civiltà industriale si trasforma in una nuova forza e bellezza, equivalente a quella dell’eliade. Il poeta arriva così ad inneggiare (fare inni) ad aspetti tipici della modernità, poiché racchiudono in sé possenti energie, che possono essere indirizzate a fini eroici ed imperiali. Le masse operaie: ovile strumento nelle mani del superuomo. Dall’antica Grecia, culla dell’ideale, si passa al presente che ci aspetteremmo essere la negazione di quella bellezza, mentre stupisce presentando il bello della città moderna. In questo c’è un certo influsso agli inizi del novecento il futurismo, il cui manifesto si ha nel 1909. Dopo la fuga estetizzante nella bellezza del passato, D’Annunzio aveva affidato all’intellettuale superuomo il compito di intervenire attivamente nella realtà. La contrapposizione alla realtà moderna era ancora violenta. Ora, con Maia, si ha una svolta: nel mondo moderno D’Annunzio scopre una segreta bellezza. Il poeta non si contrappone più alla realtà borghese moderna, ma si propone quale cantore dei suoi fatti memorabili. Dietro a questa celebrazione dell’epica eroica della modernità è facile intravedere la paura e l’orrore del letterato umanitario dinnanzi alla realtà industriale che tende ad emarginarlo o a farlo scomparire del tutto. Paura e orrore sono traditi dal fatto che possono entrare nell’ambito poetico solo se debitamente esorcizzante mediante la sovrapposizione di qualcosa di noto e rassicurante per l’intellettuale, le immagini del mito e la storia classica. In questo D’Annunzio rimane ancora all’interno di una cultura tradizionale: come Parini. L’originalità di D’Annunzio consiste nel fatto che egli non si chiude a contemplare la propria condizione, ma reagisce costruendosi sterminati sogni di onnipotenza. È un tentativo dell’intellettuale per fare i conti con la modernità, per lottare contro i processi che tendono ad annientare la sua figura storica, per ritrovare un ruolo. - Elettra Il secondo libro è caratterizzato dall’oratoria della propaganda politica diretta. La struttura ideologica è simile a quella di Maia, infatti ripropone il doppio mondo che produce la bellezza: passato, presente. Una parte cospicua del volume è costituita da una serie di liriche sulle ‘Città del silenzio’, in cui presenta figure di importanti personaggi della nostra storia e città della nostra penisola che si distinguono per un passato glorioso che dovrà modellare il futuro. - Alcyone Il terzo libro è apparentemente molto lontano dagli altri due, in cui prevale il tema lirico della fusione panica con la natura. Il libro è come diario (un’insieme di poesie costruite in modo tale da creare una sorta di romanzo) ideale di una vacanza estiva, dai colli fiesolani alle coste tirreniche tra la Marina di Pisa e la Versilia. La stagione estiva è vista come la più propizia ad eccitare il godimento sensuale, a consentire la pienezza vitalistica: l’io del poeta si fonde con il fluire della vita del Tutto, si identifica con le varie presenze naturali, animali vegetali, minerali, trasfigurandosi e potenziandosi all’infinito in questa fusione ed attingendo ad una condizione divina. Emergono gli elementi migliori della poesia di D’annunzio e i temi fondamentali, quali il vitalismo, il panismo (sciogliersi dell’uomo nella natura e viceversa), l’antropomorfizzazione della natura: tematiche che indicano quanto D’Annunzio sia simbolista (le corrispondenze sono così forti che uomo e natura diventano intercambiabili). Sul piano formale attua una ricerca di sottile musicalità, che tende a dissolvere la parola in sostanza fonica e melodica, con l’impiego di un linguaggio analogico, che si fonda tra un gioco continuo di immagini tra loro rispondenti. Alcyone è stat vista dalla critica come poesia pura, sgombra dal peso dell’ideologia superomistica e delle sue finalità pratiche. In realtà l’esperienza panica non è ch euna manifestazione del superomismo: solo la parola magica del poeta-superuomo può cogliere ed esprimere l’armonia segreta della natura, raggiungere e rivelare l’essenza segreta delle cose. Il ruolo del poeta è quindi fondamentale, inoltre egli viene presentato come Fanciullo divino, che ha la funzione di modulare la poesia dando voce alla natura. Tuttavia non manca in Alcyone la ripresa diretta di certi motivi ideologici largamente sfruttati negli altri due libri delle Laudi. Non solo, ma nel linguaggio subentra in molti punti la tensione retorica, la gonfiezza enfatica fatta di interrogazioni, esclamazioni, enumerazioni ridondanti. il peso dell’ideologia superomistica, pur presente, non arriva a guastare interamente il libro, che offre alcuni dei risultati più alti della poesia dannunziana. Alcyone accanto alla poesia pascoliana si pone come capostipite della poesia italiana del Novecentocon l’analoga funzione di prefigurare soluzioni formali a venire. T6 P.622 La sera fiesolana Si tratta di versi liberi. Non descrive mai, quindi presenta la sera fiesolana, l’arrivo della sera nei pressi di Fiesole, vicino a Firenze. Propone immagini che evocano l’esperienza vissuta dal poeta. Si tratta di tre strofe chiuse dal ritornello Laudata sii (san Francesco, Jacopone da Todi… ). non descrive la sera, la ricrea a poco a poco proponendo immagini ora visive ora uditive che si intrecciano e una dopo l’altra danno la sera. 1. La prima strofa è totalmente priva di punteggiatura, perché è un tutt’uno: una serie di immagini che a cascata si aprono e introducono la sera. Parte con una sinestesia ‘fresche le mie parole’. Si capisce perché le parole sono fresce più avanti, esse sono fresche perché giungono alla sera, che porta freschezza. Si crea una legge nascosta tra la natura e il poeta. ‘Come’ introduce una similitudine: le parole fresche vengono paragonate al fruscio delle foglie nel vento. Parliamo di una qualità che si coglie con il tatto ad una che si coglie con l’udito. A rigor di logica non riusciamo a dare una spiegazione a questa similitudine. D’annunzio crea un’ allitterazione straordinaria in cui ripropone il rumore del fruscio delle foglie che generano freschezza. Dal rumore passiamo ai colori. È arrivata la sera con la luna. Ci mette davanti agli occhi, nella pelle, nelle orecchie questa sera. La propone con le immagini. Nel momento in cui la scala del potatore diventa nera, accanto al busto del gelso che è argentato, colgo il contrasto grazie alla luce della luna. I rami spogli, perché il potatore sta tagliando i rami del gelso. ‘Mentre la luna è prossima a le soglie cerule’: ecco che la luna sta prendendo il suo posto in questo cielo azzurro intenso. La luna sembra stendere una luce che è moderata (chiamata vereconda da pascoli), come un velo posato sulla natura, su cui giace il loro sogno. ‘La campagna già si sente da lei sommersa nel notturno gelo’: freddo che noi già percepivamo dalle parole fresce. La campagna assorbendo la freschezza sembra assorbire la pace sperata senza vederla. Dopo il lavoro, con l’arrivo della sera, la campagna si riposa. R: C’è la lauda che si rivolge alla sera, personificata, che viene lodata per elementi umani: antropomorfizzazione. Lodata per il viso di perla (stilnovismo), gli occhi, da cui usciranno le lacrime, la pioggia che cadrà sulla campagna sottostante. 2. La seconda strofa si apre come la prima, con una sinestesia seguita da una similitudine. Parole dolci: sinestesia. Il dolce viene paragonato alla pioggia. La dolcezza delle parole rimanda alla delicatezza con cui scende la pioggia, si tratta della pioggerella di fine estate. Questa pioggia diventa ‘commiato lacrimoso della primavera’: come se la primavera fosse umana, viene atropomorfizzata, e andandosene saluta piangendo. Ancora una volta si crea una corrispondenza tra le parole del poeta e la natura. Le parole sono dolci come la pioggia. Dopo di che c’è un’attenta descrizione degli alberi so cui cade la pioggia (vv. 22-) anticipa ‘La pioggia nel pineto’, vuole riprodurre con le parole e il ritmo il suono della pioggia e il ticchettio, usando artifici retorici. Gli aghi dei pini (novelli rosei diti) sono antropomorfizzati. Il grano non è ancora biondo e non è più verde, è una sfumatura indefinibile. Sfumatura tra il verde che fu e il giallo che sarà. Il fieno è un fieno che è già stato falciato e trascolora. Gli olivi sono fratelli (ciò ricorda San Francesco). Gli olivi rendono i colli pallidi di santità: elemento religioso. Gli olivi hanno la foglia che riflette la luce argentea. I colli coperti dagli olivi illuminati dalla fioca luce, sta anche piangendo, che rende i colli pallidi, che danno un senso di santità. I colli sono umanizzati. R: Con la seconda lauda arrivano profumi che già erano stati pregustati con i pini e il fieno. La sera è antropomorfizzata e ha delle vesti profumate: ha un vestito di fieno e una cintura che è il salice. 3. La terza strofa: il poeta mette se stesso al centro della scena e attribuisce a se stesso il potere di spiegare alla donna il potere della natura: atteggiamento chiaramente simbolista. Usa la prima persona singolare. Per la donna i reami d’amore sono sconosciuti. Le fonti erano ritenute sacre dagli antichi e si credeva fossero custodite dalle antichità. Riprende questo aspetto dal passato. Segreto riprende il significato della natura come mistero. Le colline sono le labbra della natura. Senza il poeta la natura non parla. In questo modo D’Annunzio dice che se non c’è il poeta la natura non parla, non semplicemente che la poesia è il linguaggio della natura. R:Con la terza lauda, ricorda sempre il canto di san Francesco che si chiude con la lauda alla morte allo stesso modo in cui D’annunzio loda la morte della sera che lascia il posto alla centrale è che il poeta coincide con il fanciullino che sopravvive al fondo di ogni uomo: un fanciullino che vede le cose per la prima volta. Al pari di Adamo anche il poeta fanciullino dà il nome alle cose e deve usare un linguaggio che ci sottragga ai meccanismi mortificanti della comunicazione abituale e sappia andare nell’intimo delle cose. Dietro questa metafora del fanciullino è facile scorgere una concezione della poesia come conoscenza precauzionale e immaginosa, concezione che ha radici ancora nel periodo romantico, ma che Pascoli piega in direzione decadente. L’atteggiamento irrazionale e intuitivo consente una conoscenza profonda della realtà, permette di cogliere direttamente l’essenza segreta delle cose, inoltre il fanciullino scopre nelle cose le somiglianze e le relazioni più ingegnose. Il poeta appare come un ‘veggente’, dotato di una vista più acuta di quell degli uomini comuni, colui che per un arcano privilegio può spingere lo sguardo oltre le apparenze sensibili, attingere all’ignoto, esplorare il mistero. Si vede chiaramente che come la poetica pascolano rientri nell’ambito decadente. In questo quadro culturale si colloca la concezione della poesia pura: per Pascoli la poesia non deve avere fini estrinsechi, pratici; il poeta canta solo per cantare, non si pone obiettivi civili, morali, propagandistici. Tuttavia precisa ch eia poesia pura può ottenere effetti si suprema utilità morale e sociale. Il sentimento poetico infatti, dando voce al fanciullino ch eè in noi, sopisce gli odi e gli impulsi violenti che sono propri degli uomini, aldilà delle barriere di classe e di nazione. Questo rifiuto della lotta tra le classi si riferisce al livello dello stile. Pascoli rifiuta il principio aristocratico del classicismo che esige una rigorosa separazione tra ciò che è alto e ciò che è basso ed accetta solo la prima categoria. Ricchi di poesia non sono solo gli argomenti alti e sublimi, ma anche quelli più umili e dimessi. La poesia è anche nelle piccole cose. In tal modo Pascoli porta alle estreme conseguenze la rivoluzione romantica, facendo entrare nella sua poesia sia le realtà umili e dismesse, sia le glorie nazionali e i miti classici. (Inoltre per la prima volta fa entrare in poesia animali e vegetali in poesia che vengono descritti come esseri umani (es. La rondine in X Agosto). 4. L’ideologia politica Appartiene alle correnti di sinistra moderata, si tratta di un socialismo umanitario: l’umanità unita per il bene comune. Si tratta di un tema che ricorre spesso all’interno della poesia. Pascoli è contro l’ingiustizia, ma ritiene che gli uomini debbano agire per il bene comune anche nel momento in cui si tratta di situazioni che comprendono le fascia più basse della società. 5. I temi della poesia pascoliana È evidente l’affinità culturale con il clima del Decadentismo. Tuttavia Pascoli è l’esatto opposto del poeta maledetto; nel suo vissuto incarna esemplarmente l’immagine del piccolo borghese. Infatti dal punto di vista letterario, l’immagine del poeta corrisponde perfettamente quella dell’uomo: si presenta programmaticamente come il celebratore della realtà piccolo borghese e dei suoi valori. Una parte quantitativamente cospicua della sua poesia è destinata proprio al funzione di proporre quella determinata visione della vita, in nome di intenti pedagogici, moralistici, sociali. È la celebrazione del piccolo proprietario rurale. In questo ambito di poesia pedagogica e ideologica rientra l’invito dell’accontentarsi del poco, e all’eliminazione dei conflitti con gli altri ceti, in un clima di cooperazione e di concordia fraterna. A questo filone ideologico della poesia pascoliana appartiene anche la predicazione sociale e umanitaria, il sogno di umanità affratellata, che nella solidarietà trovi una consolazione al male del vivere. Da questo umanitarismo scaturisce poi una serie di temi correlati, ispirati a un sentimentalismo patetico e zuccheroso, che rimandano alla tenacia della letteratura umanitaria di fine Ottocento. Questa predicazione si avvale anche di miti: il fanciullino che rappresenta la nostra parte naturalmente ingenua e buona può garantire la fraternità degli uomini; il nido famigliare caldo e protettivo crea conforto e riparo dalla realtà esterna. Come si vede proprio perché crede nel valore pedagogico della poesia, oltre a farsi cantore delle modeste idealità piccolo borghesi, può allargare la sua predicazioni a temi più ampi, che vestono l’umanità intera. Per questo può assumere la funzione del poeta vate, che canta le glorie della patria, che indica gli obiettivi del suo riscatto nelle guerre coloniali e esalta il compito di assicurare la coesione nazionale proprio dell’esercito. Affrontando in poesia questi temi Pascoli interpretava la visione della vita e i sentimenti di larghi strati della popolazione italiana, mentre D’Annunzio si offriva solo alle masse piccolo borghesi. La prova di questa sintonia instauratasi tra il poeta e il pubblico è la sua fortuna scolastica: grazie alla tenuità dei suoi temi, all’insistenza su figure e situazioni infantili, il linguaggio spesso semplice o addirittura pargoleggiante, fu il poeta prediletto per la scuola elementare e lui stesso indicava esplicitamente come i fanciulli fossero il suo uditorio ideale. Questa immagina di Pascoli fu accolta dalla critica, che a lungo lo classificò come poeta delle piccole cose, della natura, degli affetti famigliari… rimuovendo gli aspetti più inquietanti della sua poetica. Le trasformazioni del clima culturale e del gusto, con l’ausilio di una critica particolarmente acuta e sensibile, hanno portato alla luce un Pascoli tutto diverso, scoprendone la straordinaria novità e forza d’urto, un Pascoli inquieto, tormentato, morboso, visionario, che ben si inserisce nel panorama del contemporaneo Decadentismo europeo. Pascoli come autore decadente sa caricare gli oggetti più comuni di sensi allusivi e simbolici, e proiettare nella poesia le sue ossessioni profonde, portando alla luce i mostri, le zone oscure e torbide della psiche, una sensualità perversa e morbosa, espressa nel simbolo del fiore maligno, velenoso e al tempo stesso ammaliatore. Egli traduce nel simbolo della pianta parassita, il vischio, la consapevolezza della duplicità della psiche, dell’urgere di forze sconosciute, che possono stravolgere gli impulsi razionali. Sente ovunque, in ciò che lo circonda, la presenza della morte e trasfigura il reale in un clima visionario, sospeso tra la realtà e il sogno. Traduce le acquisizioni della moderna scienza astronomica in una percezione sgomenta dagli abissi dello spazio siderale e con angoscia anticipa future catastrofi cosmiche o dà voce al terrore di precipitare nell’infinità senza limiti del cielo. Disgrega l’ordine del reale dilatando smisuratamante il minimo particolare. Perciò pascoli può a buon diritto essere ritenuto il nostro scrittore più autenticamente decadente, a indicare una tendenza che da voce agli smarrimenti e alle angosce di un periodo di terribili tensioni, che sa scoprire aspetti inediti del reale e soprattutto un modo nuovo di vederlo e di rappresentarlo. 6. Le soluzioni finali Il modo nuovo di percepire il reale, si traduce, nella poesia pascolano, in soluzioni formali fortemente innovative. LIVELLO SINTATTICO La sintassi di pascoli è ben diversa da quella della tradizione poetica italiana, che era modellata sui classici e fondata su elaborate e complesse gerarchie di proposizioni principiali, coordinate e subordinate: nei suoi testi poetici invece la coordinazione prevale sulla subordinazione. Di frequente inoltre le frasi sono ellittiche, mancano del soggetto, o del verbo, o assumonola forma dello stile nominale. L’architettura della frase classica indicava la volontà di chiudere i dati del reale in una rigorosa rete di rapporti logici, mentre la frantuamazione pascolano rivela il rifiuto di una sistemazione logica dell’esperienza, il prevalere della sensazione immediata, dell’intuizione, dei rapporti analogici, allusivi, suggestivi, che indicano una trama di segrete corrispondenze tra le cose, al di là del visibile. È una sintassi ch traduce perfettamente la visione del mondo pascolano, una visione fanciullesca, analogica, che mira a rendere il mistero. la conseguenza è che gli oggetti più cuotidiani e comuni, visti sotto quest’ottica, presentano una fisionomia stranita appaiono come immersi in un’atmosfera visionaria o di sogno. questo smarrimento dei moduli d’ordine cosueti in cui veniva sistemata la percezione del reale, questo relativismo e questa apertuara delle prospettive, sono alcune delle caratteristiche più tipiche della letteratura del Novecento. LIVELLO LESSICALE Pascoli non usa un linguaggio fissato entro un unico codice, come era proprio di tutta la tradizione monolinguistica della poesia italiana a partire da Petrarca: mescola tra loro codici linguistici diversi, allinea fianco a fianco termini tratti dai settori più disparati. Non nascono tuttavia scontri di livelli, conflitti di registri: come le cose convivono senza gerarchie, così avviene delle parole che le designano. Si tratta di un principio formulato nel ‘Il fanciullino’: il poeta, come vuole abolire la lotta tra le classi sociali, così vuole abolire la lotta tra le classi di oggetti e di parole. Troviamo quindi nei suoi testi termini preziosi ed aulici, termini gergali e dialettali, una minuziosa e precisa terminologia botanica ed ornitologica, termini dimessi e quotidiani del parla colloquiale, parole provenienti da lingue straniere. L’infrazione della norma tradizionale è conseguente alla caduta delle certezze. Infatti essa significa che il rapporto tra l’io e il mondo in Pascoli è un rapporto critico; è caduta quella certezza assistita di logica che caratterizzava la nostra letteratura fino a tutto il primo romanticismo. LIVELLO FONICO Le espressioni che colpiscono sono quelle che non rimandano a un significato concettuale, come è proprio del linguaggio grammaticalizzato, ma imitano direttamente l’oggetto. Sono in prevalenza riproduzioni onomatopeiche. Esse non mirano ad una riproduzione puramente neutra, neutralistica, del dato oggettivo: indicano invece un’esigenza di aderire immediatamente all’oggetto, di penetrare nella sua essenza segreta, evitando le mediazioni logiche del pensiero e della parola codificata, rientrando insomma in quella visione logica del reale che è propria di tutta la poesia pascoliana. Costantemente i suoni usati da pascoli possiedono un valore fonosimbolico, tendono ad assumere un significato di per se stessi, senza rimandare al significato della parola. Tra questi suoni si crea una trama sotterranea di echi e rimandi. Questa trama va a costituire la vera architettura interna del testo, a supplire l’assenza di strutture logico-sintattiche. Allo stesso fine concorrono assonanze e allitterazioni. LIVELLO METRICO La metrica pascolano è apparentemente tradizionale, nel senso che impiega i versi più consueti della poesia italiana, endecasillabi, decasillabi, novenari, settenari… e gli schemi di rime e strofe più usuali. Ma in realtà questi materiali sono piegati dal poeta in direzioni personalissime. Con il sapiente gioco degli accenti Pascoli sperimenta cadenze ritmiche inedite. Anche il verso, come la struttura sintetica, è di regola frantumato al suo interno, interrotto da numerose pause segnate dall’interpunzione, da incisi, parentesi, puntini di sospensione. La frantumazione del discorso è accentuata dal frequentissimo uso degli enjambement. Pascoli, pur collocandosi ancora all’interno di determinati codici tradizionali, li piega in direzioni assolutamente inedite. LIVELLO RETORICO Al livello delle figure retoriche, Pascoli usa largamente il linguaggio analogico. Il meccanismo è quello della metafora, ma l’analogia pascoliana, come quella dei simbolisti, non si accontenta di una somiglianza facilmente riconoscibile: accosta invece in modo impensato e sorprendente due realtà tra loro remote, eliminando per di più tutti i passaggi logici intermedi e identificando immediatamente gli estremi, costringendo così ad un volo vertiginoso dell’immaginazione. Un procedimento affine all’analogia è la sinestesia, che possiede al pari un’intensa carica allusiva e suggestiva, fornendo diversi ordini di sensazioni. L’effetto è quello i una maggiore indefinitezza. 7. Le raccolte poetiche I componimenti pascoliani, spesso comparsi su periodici o riviste furono poi raccogli dal poeta in una serie di volumi, pubblicati tra il 1891 e il 1911. Tuttavia cercare di ricostruire uno sviluppo interno della sua poesia seguendo la successione cronologica è forviante in quanto il loro ordine di uscita non coincide con quello della pubblicazione. (Nel corso degli anni Novanta Pascoli lavorano contemporaneamente a vari generi poetici.) La distribuzione dell varie raccolte corrisponde non tanto all’ordine cronologico di composizione, quanto a ragioni formali, di natura stilistica e metrica. la poesia di Pascoli è sostanzialmente sincronica: non possono essere distinte svolte veramente radicali, che possano far pensare a fasi diverse e distinete. 8. Myricae La prima vera raccolta fu ‘Myricae’, pubblicata nel 1891, conente 22 poesie,; con la seconda edizione del 1892, si ampliò fino a contenere 72 componimenti, poi 116 e poi 156. Il titolo è un espressione virgiliana (viene ripreso dalla 4^ egloga di Virgilio) in cui il poeta latino proclama l’intenzione di innalzare un poco il tono del suo canto, perché non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici (Myricae). Pascoli assume queste piante proprio come simbolo delle piccole cose che egli vuole porre al centro della poesia. L’ideologia politica. I temi. Le soluzioni formali sono da sapere bene, perché è la grande novità di Pascoli. T7 P.708 Temporale (1892) Pascoli attua una riforma del linguaggio poetico. Struttura: come il contenuto è sviluppato nel testo. si tratta della poesia tipica per poter cogliere la riforma del linguaggio di Pascoli. Un verso che ci presenta un rumore mentre gli altri presentano immagini visive. Sono immagini messe a flesh l’una dopo l’altra. Primo immagine uditiva. Il contenuto nella poesia è strutturato in immagini giustapposte. Tra di esse non c’è un nesso logico esplicitato. Sono molto sintetiche e sintetico è il testo stesso. Sintassi: parattatica. C’è un segno di punteggiatura alla fine di ogni verso (segni forti o medio forti). Anche la virgola, tranne tra il secondo e il terzo verso, lo stacco è comunque molto forte per le immagini che presenta. C’è un solo verbo, che non indica un’azione, ma un colore, quindi potrebbe essere sostituito da un sostantivo. Molti sono i periodi nominali. È tutto isolato non ci sono enjambement. Ritmo: essendoci una punteggiatura insistente è spezzato. Suono: bubbolio è un’onomatopea, le u e le o danno il senso di paura che il temporale incute. l’onomatopea è tipica di pascoli, secondo un critico, Contini, può essere ricondotta al fanciullino. Si tratta di una figura tipica del modo di esprimersi dei bambini. Il bambino usa la cosiddetta parola frase: pappa. In pascoli anche i suoni hanno una funzione come simboli di una condizione di dolce e sofferenza. Livello lessicale: in cui rientra anche l’onomatopea. Il lessico di pascoli è un lessico molto vario che va dall’espressione onomatopeica all’uso di lessici specifici (botanico, scientifico… è estremamente curato), e va a termini gergali (le porche per indicare le zollette di terre). Si passa dal casolare bianco che vede nel nero a un ala di gabbiano. Si tratta di una libera associazione. Va associato a quello che lui vedeva. È un esempio di passaggio analogico. Oppure l’ala del gabbiano poteva sembrare sintomo del nido. Alla lettera ci descrive un temporale. Bisogna leggere ciò che sta sotto. Rimanda alla condizione esistenziale. Il bubbolio, il lontano (che allunga il suono con il gruppo nt) e i puntini di sospensione ( poco presenti nella poesia, anche la punteggiatura è innovativa). Evoca in noi suoni. Evoca poi immagini che sono di violenza: il rosso, il colore del sangue, il fuoco è distruttivo, il nero è estremamente solido, realistico. Il nero è il cuore del lutto, della morte, della tragedia. Quello che c’è di positivo sono solo rammenti, stracci. Pascoli usa il sostantivo ‘stracci di nubi chiare’, che da un’immagina molto plastica, realistica. Il casolare in contrasto è il nido. Luogo di protezione, non tanto di felicità. Forse per questo presenta l’ala del gabbiano che potrete i suoi piccoli come il nido protegge pascoli. Pascoli rimane nella tradizione (i versi sono tradizionali, settenari), ma la rinnova profondamente con la punteggiatura e con il ritmo. Si tratta di una ballata che stacca un verso dagli altri. La rima del primo verso è chiusa dall’ultimo verso. Si crea un quadretto, una cornice in cui sono rinchiuse le immagini di questo temporale. Da pascoli si arriverà allo stile della metrica molto particolare di Ungaretti. Già Leopardi in a Se stesso l’aveva messo in pratica. Apparentemente la poesia sembra essere la descrizione di un fenomeno, apparentemente potrebbe sembrare un bozzetto verista. A proposito di Pascoli si parla di impressionismo. Si tratta di una lettura soggettiva della realtà fatta di pennellate molto veloci (pennellate di rumore o di suono. Molto simile a questa poesia è il Lampo e Lavandare. Il lampo (online) La rima crea sempre un quadretto: era rima con nera. All’interno le rime seguono il ritmo abab. Anche la struttura è molto simile: un susseguirsi di immagini. Esposte nel primo verso e poi riprese a chiasmo negli altri versi. Si tratta di un paesaggio che appare a Pascoli nel momento in cui il lampo squarcia le tenebre. Il cielo e la terra sono inseriti con il polisindeto. A terra è definita con tre aggettivi (in sussulto svolge l’azione di attributo), anche il cielo da tre. Esse sono espresse in climax: per la terra ascendente: ansante, poi violacea e poi iniziano i sussulti che la portano alla morte, quindi la terra è devasta da quanto è in corso. Le immagini sono ancora immagini tragiche di morte dei distruzione. Il cielo è ingombro, pieno di nubi nere tanto da diventare tragico e distrutto, completamente a pezzi. Anche queste sono tre espressioni di devastazione, morte e distruzione. I due punti al primo verso hanno una funzione tradizionale. Al verso 3 i due punti hanno un significato analogico. La casa bianca compare e scompare nel lampo, che si distingue dai colori del cielo e della terra. apparì sparì indica la velocità dell’azione, la ripetizione bianca bianca indica la luminosità della casa. Tacito tumulto è un ossimoro. Questo è l’unico riferimento uditivo della poesia, che rimanda an rumore di morte. C’è una similitudine che lega l’apparizione della casa al battito di ciglia. Quest’occhio è largo e esterrefatto, che indicano il terrore dell’occhio nel momento in cui vede l realtà. Quello che vede è così sconvolgente da spaventarlo. La similitudine lega la casa all’occhio per il colore e per la modalità di aprirsi e chiudersi, infatti anche per l’occhio accosta i versi si aprì si chiuse. Sono presenti molte figure di suono. Abbiamo una nota che Pascoli aggiunse per spiegare ai lettori il senso della poesia. L’occhio è occhio del padre morente. Quello che viene descritto è quello che il padre vide nell’attimo tra la vita e la morte. In quell’attimo gli passò davanti tutta la sua vita, la realtà. Riguardo questa poesia la critica parla di espressionismo, dato dal linguaggio duro violento che serve per riprodurre la violenza la tragicità dell’esistenza (caratteristica che si vede anche in Persio). La critica ha trovato molti suoni aspri, la ripetizione della u che da un suono cupo, anche gli aggettivi che descrivono il celo sono duri al suono e duri come immagini. Le immagini del cielo e della terra sono angoscianti. La terra è descritta secondo le tappe del soffocamento. Lavandare (online) Si parte da un quadretto naturalistico rustico. Questo campo mezzo grigio e mezzo nero perché è stato arato a metà. La parte scura è quella arata, in cui le zolle sono sollevate e bagnate. In mezzo a questo campo rimane l’aratro che pare dimenticato nella nebbia. Il paesaggio è descritto nei colori e nel immagini visive. Si tratta sempre di colori cupi (il grigio è il colore che suggerisce di usare Verlaine). Si passa poi alle immagini uditive: il rumore fatto dalle lavandaie che sono al fosso (gora, termine del linguaggio gergale) con tonfi spessi (da indumenti pesanti) e cantilene (canto). Si tratta di un tipico momento della vita quotidiana dell’epoca. Il ritmo del movimento delle lavandaie e prodotto da verbo sciabordare (verbo onomatopeico) in rima interna con lavandare, anche tonfi riproduce questi movimenti. I due punti hanno uso tradizione e analogico. Capiamo che è il canto di una lavandaia per il singolare femminile. Il tu è l’innamorato della lavandaia che è partito e ancora non torna. Con la sua partenza è rimasta abbandonata come l’aratro nel campo. Qui pascoli ci guida a capire il significato dell’aratro, che indica la condizione di solitudine e abbandono dell’uomo. Quindi non si tratta di un bozzetto verista. Qui la critica ha parlato di impressionismo. Donna-aratro: corrispondenza. T8 P.710 Novembre (1890) Recupera la strofa saffica. Pascoli è un grande classicista, allievo di Carducci. È la poesia che descrive il paesaggio dell’estate fredda dei morti. L’estate dei morti è il periodo di san Martino, l’inizio di novembre, quando c’erano giorni tiepidi, non si lavorare nei ampi e i braccianti si trasferivano da un azienda all’altra. l’apparenza è quella di essere in primavera. L’area (è sottinteso) gemmea. Tu generico crede di essere in primavera. Pascoli è molto puntiglioso sul linguaggio botanico (critica Leopardi perché mette in mano alla donzelletta che vien dalla campagna dicendo ch erose e viole non possono stare nello stesso mazzo perché fioriscono in periodi diversi). Odorino amaro: sinestesia. Usa un procedimento come quello della sera fiesolana, questo odorino amaro di sente nel cuore. La sinestesia va a coinvolgere anche la sfera delle sensazioni e delle emozioni, non solo i cinque sensi. La realtà è una realtà invernale, quindi il Ma ci prepara alla negazione di quello che ha detto. È presentata con immagini violente: la secchezza del pruno (morte> come nella foresta dantesca), le piante sono stecchite, le trame nere segnano il cielo, il cielo è vuoto: morto. Il terreno è presentato in indice di morte, di sterilità. Ciò che vediamo è morto, nero, secco, vuoto. Silenzio intorno. Il suono torna anche nell’ultima strofa. la fragilità della fobia è spostata sul verbo. Si può vedere come ipallage o come metafora intrecciata con la sinestesia. Il silenzio è morte e quei pochi rumori che si sentono rimandano alla morte: foglie che cadono morte. Sembra primavera ma è l’estate fredda dei morti. C’è un forte enjambement e c’è un forte ossimoro: estate fredda. C’è un paesaggio morto in questo periodo. Si può applicare l’analisi del linguaggio. Le tre quartine si corrispondono. Il primo verso è diviso dalla pausa in due emistichi, che si corrispondono nelle strofe. Il primo e il secondo verso sono uniti dall’enjambement più o meno forte. Ci sono poi enjambement dove non c’è la punteggiatura. T6 P. 704 Assiuolo (1897) È un piccolo rapace, un uccello. È ritenuta da Mengaldi il massimo esemplare dell’impressionismo simbolico di pascoli. La metrica è ancora tradizionale, ma rinnovata. L’ultimo verso brevissimo, onomatopeico, con i punti di sospensione che allungano il suono. Alba di perla è una metafora che indica il colore del cielo. l’alba proietta nel cielo il colore baincaceo: che ricorda quella della sera fiesolana. Il mandorlo e il melo svettano sopra questa nebbia per cercare la luna che ormai è tramontata. Venivano soffi di lampi: sinestesia h era una connotazione visiva del paesaggio. Il soffio di lampi proviene da un nero di nubi: carica tutta l’attenzione sull’aggettivo, caratteristica tipica dell’espressionismo. Questo modo di sostanziare il colore può essere una metonimia (astratto per il concreto). La nota uditiva è il verso del rapace: chiu. Poi continuo con il paesaggio. Rare è aggettivo qualificativo di stelle e viene usato al posto dell’avverbio: enallage (quando una parte del discorso viene cambiata). Nebbia di latte è una metafora che riprende l’alba di perla: da la stessa immagine del cielo bianco. Il poeta riferisce un suono che sentiva in quel contesto: il rumore delle onde del mare che vanno e vengono con un ritmo costante, quindi l’impressione è che il mare stia cullando la sabbia. Da qui si passa a un frufru di animaletti che si muovono tra le piante. il terzo sentivo introduce una sensazione: ciò che il poeta prova nel cuore. Non è un sentire uditivo ma un percepire. C’è un passaggio analogico velocissimo, dal rumore alla sensazione, tutto retto dallo stesso verbo messo in anafora. La sensazione è comunque separata da una punteggiatura medio forte, tuttavia l’anafora ci porta ad aspettarci un altro suono. La sensazione vine paragonata a un suono, all’eco del grido che fu. va mettere insieme attraverso la similitudine sfere sensoriali diverse. C’è ancora la sensazione uditiva: chiu, che diventa un singulto. Passa da essere una voce che proviene dai campi a un singulto. Indica che qualcosa non va bene. Ritorna presentare il paesaggio. Un’immagine tra il visivo (luci) e il tattile (sospiro di vento che trema). Sospiro di vento è una metafora. Il vento va a muoversi sulle lucide vette. I due punti introducono una delle analogie più ardite in pascoli. Le cavallette squassano finissimi sistri d’argento. Il sistro è uno strumento musicale, tipico della dea Iside. Il verso della cavalletta ricorda il rumore prodotto dal sistro. Il passaggio dalle vette alle cavallette da cosa è determinato? Si apre una parentesi (indica il rinnovamento della punteggiatura): il rumore delle cavallette è paragonabile al tintinnio delle porte invisibili. Introduce un interrogativa: che forse non si aprono più? Se queste pose sono quelle del paradiso può essere che non si aprono più per la natura umana. Si pensa alle porte dell’aldilà in quanto Iside è moglie e sorella di Osiride dio dell’aldilà. Il chiu è diventato un pianto di morte. Le porte hanno a che fare con la morte. Anche qui poco alla volta la morte si fa strada. Le tre definizioni della voce dell’assiuolo sono definite in climax ascendente.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved