Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Sviluppo del movimento operaio in Europa: fine XIX secolo al primo conflitto mondiale, Sintesi del corso di Storia Contemporanea

Storia sociale europeaStoria del socialismo in EuropaStoria Politica Europea

Come, a partire dalla fine del XIX secolo, la crescente disponibilità di risorse e la modernizzazione della opinione pubblica favorirono lo sviluppo di politiche riformiste in Europa, portando all'avvio di legislazioni sociali e previdenziali. Il documento illustra come la crisi dei sistemi liberali di rappresentanza basati sull'istruzione e sul censimento, che continuavano a escludere le fasce sociali meno abbienti, mise in crisi questi sistemi e portò all'emergere di nazionalismi di stato in alcune regioni. Il testo tratta anche della formazione di moderni partiti socialisti di massa organizzati su basi nazionali, che adottarono l'ideologia politica del socialismo e divennero la cultura politica dominante in molti paesi. Il documento illustra inoltre i fattori che influenzarono il successo o il fallimento di questi partiti, come il tipo di governo e la repressione politica.

Cosa imparerai

  • Quali fattori hanno favorito lo sviluppo dei partiti socialisti di massa in Europa alla fine del XIX secolo?
  • Come i sistemi liberali di rappresentanza hanno influenzato la formazione dei partiti socialisti di massa?
  • Come i nazionalismi di stato hanno influenzato la formazione dei partiti socialisti di massa?

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 05/10/2021

francesco-modugno
francesco-modugno 🇮🇹

4

(1)

20 documenti

1 / 9

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Sviluppo del movimento operaio in Europa: fine XIX secolo al primo conflitto mondiale e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! CAPITOLO 15 Nel 1913 il reddito pro capite dei paesi sviluppati era salito fino a risultare superiore di oltre 3 volte a quello del resto del mondo: lo sviluppo economico innescato dalla prima e dalla seconda rivoluzione industriale scavò tra il nord e il sud del mondo un fossato destinato a non essere colmato fino ad oggi. I rapporti commerciali tra le 2 parti del mondo avvenivano infatti all’insegna di uno scambio ineguale: i paesi sviluppati esportavano manufatti industriali in cambio delle materie prime e dei prodotti agricoli provenienti da quelli più poveri. A questo scambio ineguale si sovrapponeva spesso un rapporto di dominio coloniale che legava la madrepatria imperiale ai suoi possedimenti oltremare. Solo i paesi dell'America Latina riuscivano a sfuggire a questo sistema di relazioni internazionali asimmetriche grazie a politiche governative di sostituzione delle importazioni, cioè di protezionismo doganale contro i prodotti industriali stranieri. Nel 1913 il reddito medio pro capite dell’ Argentina era superiore a quello medio dell’Europa occidentale e nel primo decennio del Novecento il suo tasso di immigrazione era quasi il triplo di quella statunitense. Il successo economico argentino era legato all’esportazione di prodotti agricoli, pelli e carne. Anche la crescita prepotente di quest’ultima, tuttavia, fu accompagnata da una forza concentrazione della proprietà terriera e da un’alta ineguaglianza sociale. Le ampie sacche di povertà che si annidavano nelle campagne tenevano bassa la domanda interna, i grandi proprietari terrieri si trasformavano in imprenditori industriali. Alquanto diversa era, già negli ultimi decenni dell’Ottocento, la situazione dell’Europa occidentale. In quella parte del mondo l’espressione fin de siècle era stata spesso collegata a un’idea di decadenza. Quando poi il secolo fu davvero sul punto di finire, tuttavia, la grande depressione lasciò rapidamente il passo a una nuova fase di impetuosa fase espansione capitalistica, da far salutare il periodo che allora si apri come una belle époque. La belle époque sintetizzava il clima di benessere, di socialità, di uso spensierato del tempo libero che i ceti urbani più agiati della società europea del tempo seppero sprigionare. Anche il tenore delle classi popolari europee e nordamericane migliorò e l’occupazione si estese, sebbene la miseria della maggior parte della gente non fosse alleviata che in piccola parte. A partire dagli anni novanta l’esistenza di maggiori risorse ampliò i margini di manovra per politiche riformatrice, favorendo lo sviluppo nei partiti socialisti e nei sindacati di tendenze riformiste, che specie nell’Europa centrosettentrionale trovarono sbocco nel concreto avvio di legislazioni sociali e previdenziali. Dopo la seria crisi economica internazionale che si verificò nel 1907, in particolare, il declino dei salari reali dovuto all'aumento dei prezzi e all’incremento della disoccupazione provocò una forte ripresa della conflittualità operaia. Contemporaneamente crebbe anche il settore terziario. Gli sviluppi tecnologici e organizzativi delle imprese e dei sistemi di distribuzione dettero impulso a una classe media di amministratori, dirigenti, tecnici, impiegati e commessi, mentre anche la burocrazia pubblica si gonfiava con l’ampliarsi delle competenze degli Stati. In una fase caratterizzata da un intenso sviluppo tecnologico i mercati proponevano del resto nuovi e più vari e sofisticati modelli di consumo e di svago. Nelle maggiori metropoli nacquero i primi grandi magazzini. La pubblicità divenne un aspetto visibile della vita urbana: vi si dedicarono anche grandi pittori come Henry Toulouse Lautrec. Furono questi gli anni in cui lo sport si istituzionalizzò in grandi manifestazioni periodiche: le Olimpiadi risalgono al 1896, il Tour de France al 1903. Mentre il tennis si affermava come pratica del tempo libero dei ceti abbienti, il football si professionalizzò e anche per questo si diffuse invece tra i ceti popolari. In quest'ambito appare significativa la crescita dei medici, connessa ai grandi progressi compiuti dalla ricerca microbiologica, al forte impulso che ne venne alla lotta contro le malattie infettive, allo sviluppo dell’igiene pubblica e alla creazione di moderni servizi sanitari. L'incremento dell’istruzione di base e secondaria e l’ampliarsi dei diritti politici furono tra i fenomeni più estesi e appariscenti di questo periodo storico. In Africa e in Asia, l’analfabetismo continuò a dominare pressoché incontrastato anche nei centri urbani, mentre le potenze europee si preoccupavano della scolarità dei popoli indigeni solo per quel che poteva valere in termini di consenso e assimilazione. Nei paesi sviluppati l’analfabetismo arretrò invece vistosamente nella popolazione maschile e in misura minore anche in quella femminile. La crescita culturale si combinava con la vigorosa crescita dei mezzi di comunicazione di massa e della stampa. Lo sviluppo della moderna opinione pubblica favorì la crisi dei selettivi sistemi liberali di rappresentanza fondati sull’istruzione e soprattutto nel censo, che continuavano a escludere le fasce sociali meno abbienti dell’esercizio dei diritti politici. Dopo la Francia, Germania e Gran Bretagna, tra gli anni novanta e l’inizio del primo conflitto mondiale molti paesi europei allargarono sensibilmente il suffragio e in numero crescente concessero il voto a tutti i cittadini maschi. I casi nei quali il suffragio divenne davvero universale, estendendosi fino a comprendere le donne, rimasero tuttavia molto limitati: la Nuova Zelanda nel 1893, l’ Australia nel 1902, la Finlandia, Norvegia e Danimarca tra il 1906 e 1915. La grande guerra segnò un’accelerazione di questo processo: dopo la rivoluzione russa del 1917 la Russia concesse il diritto di voto alle donne, seguita nel 1918 dal Canada, dalla Germania, dall’Austria e da altri paesi, tra i quali la Gran Bretagna. Le stesse è lite dirigenti che avevano avversato la democrazia parlamentare vedendovi un pericolo per la stabilità economica, sociale e politica dei regimi liberali affermatisi nel corso dell’Ottocento, presero ora a considerarla come una necessità. Spesso questo nuovo protagonismo si accompagnava a una perdita di centralità e di importanza del fattore religioso nella vita quotidiana: ciò che in sociologia si definisce processo di secolarizzazione e che per l’Europa di fine Ottocento rappresentava un fatto del tutto nuovo, in netta controtendenza rispetto a un passato plurisecolare di grande influenza delle chiese. Le dimensioni di massa di questi diversi processi di mobilitazione mutarono radicalmente le forme della politica. Ai legami diretti, personali e clientelari tessuti dai notabili locali, subentrarono strutture complesse, organizzate su base nazionale, dotate di organi di stampa e di apparati burocratici e propagandistici, unite da ideologie e concezioni del mondo totalizzanti, guidate da leader carismatici: i moderni partiti di massa. Se le grandi organizzazioni di massa dell’età contemporanea furono tenute a battesimo da forze di opposizione a larga base popolare, l’esigenza di dare al potere politico e alle stesse strutture statali la legittimazione di un vasto consenso nella società si pose in maniera sempre più pressante alle stesse classi dirigenti e mise in crisi per questa via i sistemi liberali e conservatori del passato. Come i movimenti della società civile avevano bandiere e inni, simboli e ideologie che cementavano il senso di identità e di appartenenza dei loro militanti, così gli stati e i governi promossero l’integrazione e la nazionalizzazione delle masse. Lo fecero ricorrendo non solo ai più capillari agenti di socializzazione dei quali disponevano, ma anche ai moderni mezzi di comunicazione, a manifestazioni coreografiche e a grandi monumenti. Il diffondersi di lingue e culture omogenee attraverso la scuola e la stampa incise in profondità su secolari tradizioni locali, che specie nelle campagne avevano trovato nella religione e nella chiesa i loro referenti privilegiati. Questi fenomeni furono aspetti centrali del processo di affermazione degli stati-nazione, che giunse a compimento in questo periodo. Dopo le unificazioni italiana e tedesca, i problemi nazionali erano rimasti aperti sia in paesi come l’Irlanda e la Polonia, sia nell’Austro-Ungheria; l’emergere di rivendicazioni nazionaliste in alcune regioni appartenenti a stati-nazione consolidati, come i Paesi Baschi e la Catalogna in Spagna o il Galles in Gran Bretagna ne aprirono di nuovi. Nel 1897, anche per reazione al diffondersi in Europa di tendenze antisemite, lo scrittore ebreo ungherese Theodor Herzl costituì un movimento politico che fu denominata “sionista” con l’obiettivo di dar vita a uno stato ebraico. In questa fase storica un aspetto centrale del problema nazionale fu comunque rappresentato dall’affermazione di tendenze nazionaliste all’interno degli stati preesistenti, anche sull’onda delle loro politiche protezioniste e coloniali. Si trattò di un nazionalismo di stato dovuto all’opera dei governi per diffondere sentimenti patriottici e costruire forti identità nazionali; sia del formarsi di movimenti politici nazionalisti autonomi, talvolta antagonisti ai governi in carica, che presero piede non solo in imperi multietnici ma anche in stati-nazione come la Francia. Gli anni a 1905 queste diverse componenti si unificarono in un partito nazionale, grazie anche a forti pressioni internazionali di cui rimase un’eco nel suo nome: Section francaise de l’Internationale ouvrière. Tutto ciò contribuì anche a determinare un rapporto affatto particolare tra socialismo e movimento operaio. Mentre in Inghilterra il Labour Party fu una espressione delle Trade Unions e altrove fu viceversa il partito a prevalere sul sindacato, in Francia il movimento sindacale ebbe uno sviluppo separato. La Confederation géneral du travail nata nel 1895 assunse infatti orientamenti sindacalisti rivoluzionari ed ebbe con il partito lo sciopero generale. In Germania il sociologo Gunther Roth ha parlato dell’importante struttura organizzativa della socialdemocrazia tedesca come un fattore di integrazione negativa. Alla vigilia della grande guerra l’espansione del movimento operaio e del socialismo risultava poderosa: nel 1914 le sue organizzazioni davano voce a milioni di persone soprattutto in Europa, ma anche nelle Americhe e in Australia. Negli USA la fondazione di sindacati moderni occupò gli anni a cavallo tra i due secoli, affrontando le particolari difficoltà dovute alla massiccia immigrazione e alle conseguenti differenze etniche. La maggior dispersione dei nuclei di lavoro dipendente favorì la penetrazione di componenti anarchiche e sindacaliste rivoluzionarie, che esercitarono un peso rilevante, anche se confinato alla sfera sindacale. Sul piano politico il Partito socialista argentino, fondato nel 1896, fu il primo a eleggere un deputato al parlamento nazionale nel 1904. Tuttavia il movimento si scontrò con l’autoritarismo di istituzioni oligarchiche legate alla grande proprietà terriera e difese delle forze armate, che esercitarono spesso un ruolo politico diretto, finalizzato alla conservazione delle gerarchie sociali. In Asia e in Africa l’economia di piantagione e l’assenza di industrie limitarono invece drasticamente lo sviluppo di sindacati moderni, mentre il fiorire di movimenti anticoloniali condizionò la diffusione delle idee socialiste. Sul finire del XIX secolo si formò ad esempio un movimento sindacale tra gli operai tessili e i ferrovieri di Bombay e Calcutta; negli anni seguenti comparvero in Turchia, in Persia, in Cina e in Indonesia alcuni gruppi che si definivano socialisti. Negli anni a cavallo del 1900 il governo Salisbury-Chamberlain accompagnò una decisa linea imperialista in politica estera con un netto orientamento conservatore in politica interna, che in Irlanda assunse un carattere sempre più repressivo. Per attenuare le tensioni e rafforzare l'economia, nel 1905 Chamberlain propose di costituire un’unione doganale tra la Gran Bretagna e i territori del suo impero, ma questo tentativo di imprimere alla politica economica una svolta in senso protezionistico non ebbe successo e aprì la strada al ritorno al potere dei liberali. Sotto la guida di Henry Campbell-Bannermann fino al 1908 e poi di Herbert Henry Asquith, i governi liberali procedettero sulla via della democratizzazione del paese e in accordo con il movimento sindacale posero mano a un’imponente legislazione sociale: il lavoro nelle miniere fu limitato a 8 ore, vennero creati uffici di collocamento e fissati dei minimi sindacali. Fun inoltre costruito un sistema previdenziale pubblico, indennità di disoccupazione, pensioni per anziani e assicurazioni sanitarie e di invalidità. Per far fronte all'aumento della spesa pubblica dovuto a questo forte impegno nella costruzione di un moderno welfar state il ministro delle Finanze David Lloyd George presentò nel 1909 un bilancio di previsione che accentuava la progressività dell’imposta sul reddito, aumentando la pressione fiscale sui patrimoni più elevati. La prova di forza si concluse a favore dei liberali nel 1911, quando fu approvato un Parliament Act che privò i Lord del loro potere di veto in materia finanziaria. Forti di questo successo, nel 1913 i liberali realizzarono quindi una riforma elettorale che portò gli aventi al diritto al voto da 7 a 8 milioni. Non ebbero peraltro fine le tensioni interne che agitavano il paese: una miscela di repressione e concessioni negoziate permise al governo di contenere l’ondata di scioperi verificatasi nei primi anni dieci nelle miniere e nei trasporti, ma la persistente esclusione delle donne dal voto provocò una forte agitazione del movimento delle “suffragette”. Così venivano chiamate le donne che dalla metà del secolo, in America e in Gran Bretagna, si battevano per ottenere il diritto al voto. Dopo la conferenza di Seneca Falls negli Stati Uniti, che nel 1848 fu la prima a rivendicare il diritto al voto alle donne, in Inghilterra si era costituito nel 1855 il Circolo di Langham Place, che si occupò di istruzione, accesso alle professioni, diritti di proprietà delle donne sposate. Fu però in Irlanda che la situazione si fece più incandescente: nel 1912 Asquith ripresentò il progetto di Home Rule la cui bocciatura aveva posto fine alla carriera politica di Gladstone, ma questo si scontrò non solo con l’opposizione dei conservatori della Camera alta, bensì anche con quella dei protestanti Ulster. In Francia il nuovo secolo si aprì sotto il segno di una drammatica divisione del paese. Lo scontro tra dreyfusards e antidreyfusards, determinato dal caso Dreyfus, si radicalizzò in un conflitto tra difensori della democrazia repubblicana e restauratori della monarchia. Il pericolo a cui le istituzioni erano esposti dalla deriva reazionaria della destra cattolica e delle forze armate spinse repubblicani e socialisti a convergere in un fronte unitario. Nel 1899 la Corte di cassazione riaprì il processo Dreyfus, che si concluse con una sentenza mitigata dal riconoscimento delle circostanze attenuanti, ma il condannato fu subito amnistiato dal nuovo governo di pacificazione nazionale diretto dal repubblicano Renè Waldeck-Rousseaur, che per la prima volta in Europa comprendeva anche un socialista: Alexandre Millerand. La svolta del 1899 fu confermata nel 1902 da una grande vittoria elettorale del “blocco delle sinistre”. Per ridimensionare quello che era apparso come uno dei maggiori punti di forza del conservatorismo, il nuovo governo guidato da Emile Combes portò un attacco a fondo alla Chiesa cattolica con pesanti misure restrittive dell’insegnamento religioso, che dettero luogo nel 1904 alla rottura delle relazioni diplomatiche con il Vaticano. Nel 1905 una legge di totale separazione tra Stato e Chiesa garantì la libertà di coscienza e sollevò la repubblica da ogni obbligo finanziario nei confronti del clero. Il leader radicale Georges Clemenceau e l’ex socialista Aristide Briand, che guidarono il paese rispettivamente nel 1906-1909 e nel 1909-1911, risposero con metodi repressivi alle aspre agitazioni sindacali promosse dalla CGT, ma ampliarono nel contempo la legislazione sociale del paese, istituendo il riposo settimanale obbligatorio e nel 1910 le pensioni di anzianità. Negli anni che precedettero la grande guerra una notevole instabilità caratterizzò così la situazione politica francese: da un lato, il peso crescente delle spese militari alimentò una forte campagna pacifista e antimilitarista del movimento operaio, che ebbe il suo primo portavoce nel deputato socialista Jean Jaurès; dall’altro le forze conservatrici e nazionaliste ebbero una consistente ripresa e nel 1913 portarono un loro esponente, Raymond Poincaré alla presidenza della repubblica. Dopo la caduta di Bismarck il governo del Reich fu diretto per qualche anno da Leo von Caprivi, che con la revoca delle leggi antisocialiste inaugurò un alinea di distensione in politica interna e assunse un atteggiamento ostile all’espansione coloniale in politica estera. Il suo nuovo corso fu però bloccato nel 1894 dal Kaiser Guglielmo II, che instaurò una sorta di regime personale, sovrapponendosi sistematicamente ai cancellieri Chlodwig von Hohenlohe, Bernhad von Bulow e Theobald von Bethmann-Hollweg, al governo rispettivamente nel 1894-1900, 1900-1909 e 1909-1917. Assecondando le pressioni della finanza e dell’industria pesante per una politica estera più aggressiva, l’imperatore accentuò l’autoritarismo, il militarismo e il nazionalismo del sistema politico tedesco. Verso l’esterni fu affermata una politica di potenza che assunse una portata sempre più vasta, qualificarsi come una vera e propria politica mondiale. Nel 1897, in particolare, fu varato un piano per costruire una grande flotta da guerra, la cui realizzazione venne affidata dal Kaiser al ministro della Marina, l'ammiraglio Alfred von Tirpitz. Negli anni novanta il precario equilibrio su cui si era fondato l’impero asburgico dopo il compromesso del 1867 entrò per la prima volta apertamente in crisi sotto la pressione dell’ala più radicale del movimento nazionalista ceco, i cosiddetti giovani cechi guidati dal filosofo Tomas Marasryk, che nel 1891 un grande successo elettorale nella Dieta boema. In Cisleithania lo stesso sviluppo di moderni partiti politici risentà del peso delle questioni nazionali. Tra le forze politiche tedesche soltanto i socialdemocratici, guidati da Viktor Adler, sostenevano la necessità di fare dell’Austria una federazione di nazioni con uguali diritti; tutti gli altri partiti si opponevano alle richieste delle nazionalità non tedesche. È significativo che, quando nel 1907 fu introdotto il suffragio maschile in questa parte dell’impero, i social democratici ottenessero sì un notevole successo elettorale, ma non riuscissero a far breccia fra i tedeschi della Boemia e della Moravia. Più grave era la portata delle questioni nazionali in Transleithania, dove la maggiore omogeneità sociale dei gruppi etnici non magiari ne favorì la tendenza ad unificarsi, anche per reazione alla magiarizzazione coatta imposta dalla più progredita Ungheria. La relativa autonomia di cui questi godevano dal 1868 non aveva impedito lo sviluppo di un forte movimento nazionalista, una parte de quale propugnava l’unione degli slavi del sud in un’entità federata all’interno dell’impero e un’altra parte sognava una Grande Croazia, estesa dalla Germania alla Macedonia, dall’ Adriatico al Danubio. Nel 1908 l’annessione della Bosnia-Erzegovina all’impero parve rafforzare tali progetti e perciò incontrò il favore dei croati, ma non quello dei serbi, che pensavano a una Grande Serbia. Lo zar Nicola II, salito al trono nel 1894, aveva proseguito la linea autocratica e repressiva del paese, perseguendo fra l’altro una dura politica di russificazione delle nazionalità non russe, che contavano più della metà degli abitanti dell’impero. L’assenza di prospettive di riforma rafforzò così le opposizioni clandestine: il Partito socialista rivoluzionario, erede della tradizione populista, che aveva un largo seguito tra i contadini, e il Partito operaio socialdemocratico, fondato nel 1898, che riscosse ampi consensi tra gli operai delle fabbriche. Nel 1903 questo partito si divise tra bolscevichi e menscevichi. Le divergenze fra i due gruppi riguardavano sia il modo di concepire il partito, sia i suoi obiettivi. Ritenendo che in Russia non fossero mature le condizioni per una rivoluzione socialista, i menscevichi guardavano a una rivoluzione democratico-borghese e intendevano costruire un partito di massa sul modello delle socialdemocrazie europee; i bolscevichi guidati da Lenin pensavano che l’arretratezza e la concentrazione del potere zarista rendessero possibile un salto rivoluzionario, in vista del quale puntavano a un partito ristretto, centralizzato e disciplinato composto di militanti professionali. Nel 1905 i 2 gruppi si fusero nel Partito costituzionale democratico, chiamato cadetto dalla iniziali di questi aggettivi. Nei primi anni del XX secolo si intensificarono gli scioperi illegali, mentre i socialisti rivoluzionari rilanciarono il terrorismo e i liberali organizzarono una campagna di banchetti politici per ottenere la costituzione. La politica di sviluppo economico del ministro delle finanze Witte aveva d’altra parte sollevato crescenti malumori negli ambienti più tradizionalisti, spaventati dal montare della conflittualità operaia. Congedato Witte, Nicola II non fu in grado di attenuare le tensioni che attraversavano il paese, finché la guerra con il Giappone del 1904-05 non sopraggiunse a offrire una sorta di diversivo alla politica interna. La scintilla che fece divampare nel paese un vero e proprio incendio scoccò all’inizio del 1905 a San Pietroburgo: un enorme corteo guidato da un sacerdote della Chiesa ortodossa Georgij Gapon, si diresse verso il Palazzo d’Inverno per consegnare allo zar una petizione con la richiesta di porre fine alla guerra, concedere alla libertà politiche con la richiesta di porre fine alla guerra, concedere le libertà politiche e limitare gli orari di lavoro. Il giorno di quella manifestazione rimase tristemente noto come domenica di sangue perché le truppe fecero fuoco sulla folla provocando centinaia di morti. Ne seguì una grande ondata di scioperi e di agitazioni, che segnò l’inizio di un processo rivoluzionario. In molte città si formarono e assunsero un ruolo di spicco nuovi organismi rappresentativi del proletariato di fabbrica, i soviet operai, e nel più importante i socialdemocratici di parte menscevica conquistarono la maggioranza. Per recuperare il controllo della situazione lo zar fu allora costretto a concedere le libertà di parola, di stampa, di riunione e di associazione e a costituire un parlamento elettivo, la Duma. Tali provvedimenti ebbero l’effetto di rompere l’unità del fronte rivoluzionario perché furono accolti con favore delle sue componenti più moderate, mentre i socialdemocratici di parte bolscevica e i socialisti rivoluzionari decisero di boicottare le elezioni. Queste dettero la maggioranza al partito cadetto, che però non riuscì a varare una politica di riforme: nel luglio 1906 la Duma fu sciolta e un crescendo di misure repressive da parte del governo guidato dal conservatore Petr A. Stolypin accompagnò lo smorzarsi della pressione. Né lo svuotamento delle istituzioni parlamentari, né la reazione scatenata da Stolypin avrebbero comunque restituire solidità allo zarismo se non si fosse affrontata la più grave questione sociale del paese: quella agraria. Consapevole di ciò, fra il 1906 e
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved