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L'immediato dopoguerra in Italia e il biennio rosso 1919-20, Schemi e mappe concettuali di Storia

Il periodo storico dell'immediato dopoguerra in Italia e il biennio rosso 1919-20, con particolare attenzione ai movimenti ultranazionalisti e alle aspettative di mutamento sociale e politico. Si parla anche del biennio rosso, caratterizzato da scioperi e lotte sindacali, che portarono alla nascita dei consigli di fabbrica.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

In vendita dal 22/06/2022

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Scarica L'immediato dopoguerra in Italia e il biennio rosso 1919-20 e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia solo su Docsity! L’immediato dopoguerra in Italia e il «biennio rosso» 1919-20 I movimenti ultranazionalisti • Nel dopoguerra nacquero i movimenti ultranazionalisti nei paesi sconfitti (Germania e Austria), o insoddisfatti (Italia). • I richiami ideologici erano frammentari e contraddittori: • I movimenti si presentavano come rivoluzionari, fautori di un rinnovamento radicale e violento del sistema politico; • I movimenti si dichiaravano anche contemporaneamente conservatori e tradizionalisti, poiché volevano difendere le tradizioni nazionali e religiose dal dilagare del materialismo socialista e dell’individualismo liberale. • L’avversione nei confronti del socialismo e del comunismo guadagnò a questi movimenti le simpatie delle élite economiche e sociali, spaventate dall’estendersi del contagio comunista. • Questa posizione gli fece guadagnare anche le simpatie delle classi borghesi e rurali, impoveriti dalla guerra e dall’inflazione e spaventati dalla modernizzazione. • L’Italia divenne il primo paese europeo dove si affermò un movimento ultranazionalista, che diede vita a un particolare regime autoritario, che sosteneva la subordinazione degli interessi e delle libertà individuali rispetto a quelli dello Stato. • Questo esempio fu seguito poi dalla Germania, dal Portogallo, dall’Ungheria e in diversi paesi europei ed extraeuropei, come il Giappone. • Questi regimi abolirono: - La libertà di stampa e di associazione - La possibilità di manifestare liberamente la propria opinione • Lo stato era controllato da un partito unico, che finì di assumere un controllo pervasivo detto Totalitario. Le aspettative di mutamento sociale e politico in Italia • L’Italia è tra i paesi vincitori, ma la vittoria aveva esasperato l’insoddisfazione e l’inquietudine per le attese non corrisposte. • Il governo italiano era molto deluso da quanto ottenuto dai trattati di pace: troppo poco rispetto alle perdite subite. • L’Italia aveva dovuto rinunciare alla Dalmazia – che, abitata in prevalenza da slavi, invece di essere annessa all’Italia secondo il patto di Londra, divenne territorio jugoslavo – sia a Fiume – che, sulla base del principio di nazionalità, avrebbe dovuto essere annessa all’Italia ma che, secondo le decisioni londinesi, era destinata a rimanere all’Austria. • Questa situazione si era esasperata, in quanto la delegazione italiana abbandonò la Conferenza di pace. • Il governo era preoccupato: - Dalla smobilitazione dell’esercito in quanto gli ex combattenti, che avevano difficoltà a reinserirsi nella vita civile, che si mostravano sensibili alla propaganda nazionalista della vittoria mutilata, espressione creata dal poeta Gabriele D’Annunzio per mettere in luce l’inutilità dei sacrifici dei combattenti italiani - Dalla debole riconversione dell’industria bellica in quella civile - Dalla mancanza di investimenti provocata dall’aver accumulato un enorme debito pubblico. • Il paese era in miseria, ma le aspettative di un rinnovamento sociale e politico erano cresciute: - Ai contadini si era promessa la ridistribuzione della terra - Alla classe operaia, in rapida crescita, si era prospettato un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro: l’esempio della Russia accendeva la speranza rivoluzionaria. • La classe dirigente liberale italiana si era convinta che la partecipazione di larghe masse popolari alla guerra aveva reso questo soggetto sociale protagonista del periodo storico. • Si registrava un grande cambiamento provocato dalla guerra: - Il diffuso bisogno di rivoluzione democratica per superare un sistema liberale corrotto, che aveva raggiunto solo da pochissimo tempo il suffragio universale maschile non rappresentato in Parlamento - Si radicava il desiderio di una rivoluzione sociale e di riorganizzazione del sistema produttivo con una classe operaia in rapida crescita - Si allungava anche l’ombra di una rivoluzione militarista e nazionalista, richiesta da migliaia di reduci incapaci di ritornare nella situazione dell’anteguerra. Il «biennio rosso» 1919-20 • Negli operai dell’Italia Settentrionale prevalevano le organizzazioni di ispirazione socialista. • Le organizzazioni sindacali si erano coordinate attraverso le Camere del lavoro: si trattava non solo di strutture sindacali ma anche di luoghi di incontro e di cooperazione fra operai, anche non iscritti, al fine di promuovere la difesa dei diritti dei lavoratori attraverso un contratto collettivo nazionale. • Le Camere del lavoro era dirette dalla Cgl, Confederazione generale dei lavoratori e dal partito socialista. • Si affiancava ad essa la Confederazione Italiana dei lavoratori (CIL) di ispirazione cattolica, e una di carattere anarco-sindacalista l’Unione italiana del lavoro (UIL). • Nell’immediato dopoguerra i sindacati dei lavoratori si coordinarono un’imponente ondata di scioperi spontanei, provocati dal rialzo dei prezzi al consumo (carovita), che non ricercava la svolta rivoluzionaria come in Russia. • Il settore metallurgico fu attivo nelle lotte sindacali: - Otto ore di lavoro al giorno (febbraio 1919) - Difesa del salario - Difesa del posto di lavoro - Miglioramento delle condizioni lavorative • Gli operai misero in atto la tattica dell’ostruzionismo, cioè di rallentare la produzione, a cui i padroni risposero con le serrate – chiusura a lungo termine delle fabbriche – e con i licenziamenti. • Nell’estate del 1919 alcuni sindacalisti, in lotta per ottenere la fissazione dei minimi salariali, decisero l’occupazione delle fabbriche per impedire le serrate e per continuare la lotta sindacale senza smettere di lavorare – sembrava diffondersi l’idea sovietica. • Le iniziative di occupazione delle fabbriche partivano spesso dai consigli di fabbrica ispirati ai soviet russi: essi erano formati da rappresentanti dei lavoratori dipendenti all’interno delle fabbriche, eletti democraticamente da tutti gli operai. • Questi consigli di fabbrica finirono per imporsi come nuovi protagonisti della lotta politica, in quanto miravano al controllo e alla cogestione delle fabbriche – gestione del lavoro – e organizzavano la difesa armata delle strutture produttive. • I consigli di fabbrica scavalcavano spesso le rappresentanze sindacali. • L’occupazione delle fabbriche si trasformò in un insuccesso e permise al fascismo ai aumentare il proprio consenso, presentandosi come movimento d’ordine. La nascita del Partito comunista d’Italia, del Partito popolare e dei Fasci da combattimento Il Partito comunista d’Italia • I socialisti erano divisi in due correnti: - Massimalisti, guidati da Giacinto Menotti Serrati, che erano in attesa della rivoluzione, ma erano incerti sulla linea politica tanto da non imporsi nella Camera dei Deputati. In ogni caso praticavano un aperto ostruzionismo per impedire di funzionare allo Stato borghese. - Riformisti, guidati da Filippo Turati, controllavano il sindacato e non ritenevano prossima una rivoluzione. • I massimalisti erano criticati dall’estrema ala sinistra del partito, guidata da Bordiga e Gramsci. • Gennaio, 1921 nasce il Partito comunista d’Italia come scissione dal partito socialista, in occasione del Congresso di Livorno. • La grande borghesia industriale si dimostrò ben disposta nei confronti di una forza popolare violenta che si opponesse al movimento operaio e liberasse il paese dal pericolo della rivoluzione. • In Italia non si era affermato un leader socialista che apparisse affidabile alla grande borghesia o un nazionalista socialista impegnato a contrastare i comunisti. • Mussolini era il candidato ideale per difendere gli interessi della borghesia contro il movimento operaio. • I grandi industriali, soprattutto siderurgici, furono tra i primi finanziatori del fascismo: essi ottennero la possibilità di usare le squadre in camicia nera contro gli operai in sciopero. Il cittadino al servizio dello Stato • Dopo che il fascismo ebbe consolidato il proprio potere, si dotò di contenuti culturali assenti nei primi anni del movimento. • Fu caratterizzato per il suo pessimismo irrazionalista: non credeva affatto a un progresso razionale, a un cammino dell’umanità verso maggiori libertà, maggiori diritti, maggiori opportunità per le donne e gli uomini. • Il fascismo affermò vigorosamente la legge brutale del più forte, alla semplicità primitiva della lotta per la vita fra gli individui e fra i popoli e le razze. • Questa esaltazione estetica della violenza sfociava in un aperto nichilismo, che si esprimeva nel gagliardetto delle squadre d’azione – un drappo nero con un teschio d’argento. • In quest’ottica si inserisce l’idea di asservire il cittadino allo Stato. • La nuova cultura fascista era anche antimaterialista e anti-individualista e in questo si accordava con il tradizionalismo cattolico. • Il fascismo non metteva lo Stato al servizio dell’individuo, come faceva la tradizione liberaldemocratica, ma metteva l’individuo al servizio dello Stato, esaltando il concetto di nazione e di patria. • Mussolini parlava di Stato etico, cioè dotato di diritti morali sull’individuo. • Mussolini parlò in un secondo tempo di Stato totalitario, come soppressione in ogni campo della vita civile , la libertà dell’individuo, subordinandola al controllo dello Stato. Il bellicismo e l’antiparlamentarismo fascisti • Il fascismo esaltava la guerra, che era considerata una buona misura di «igiene dei popoli». Inoltre reputavano impossibile la pace duratura tra i popoli. • Analogamente non credono alle istituzioni parlamentari, che danno potere alle maggioranze e professionalizzazione della politica e la prevalenza dei mediocri e dei corrotti. • Inoltre il fascismo non credeva al diritto delle maggioranze di governare le minoranze, ma alla disuguaglianza sociale non dipendente dalle elezioni. • Queste idee collocavano i fascisti all’estrema destra. • Mussolini sfruttò la paura dei bolscevichi, al fine di adottare il bonapartismo, cioè di dotarsi di una base di massa per dirigere la politica. • Mussolini seppe sempre mantenersi in equilibrio tra queste tre componenti. Il «biennio nero» e l’avvento del fascismo fino al delitto Matteotti Il «biennio nero» 1921-22 • Il governo Giolitti, nonostante i successi in politica estera, incontrò le maggiori difficoltà nella politica interna, a causa della scarsa convinzione del sostegno dei cattolici e dei socialisti. • L’Italia sembrava avviata verso una guerra civile latente: il biennio nero fu costellato di violenti atti intimidatori dello squadrismo. • Di fronte alle violenze fasciste Giolitti ritenne di poter trovare in esso un argine alle forze politiche e sociali di sinistra e, nello stesso tempo, di poter controllare lo squadrismo: nel maggio 1921 Giolitti offrì ai fascisti la possibilità di entrare a far parte del «Blocco nazionale», cioè un’alleanza che comprendeva fra nazionalisti e liberali. • Questa strategia giolittiana non rafforzò il consenso elettorale dei liberali senza ottenere la maggioranza, mentre fra le loro file entravano in Parlamento ben trentacinque deputati fascisti. • Dopo un nuovo voto di sfiducia, Giolitti si dimise il 1° luglio 1921. • Il sovrano nominò come presidente del consiglio, Ivanoe Bonomi, un socialista che aveva lasciato il Partito socialista, al fine di formare il Partito socialista riformista, rimanendo in carico fino al febbraio del 1922, non riuscendo ad arginare la violenza fascista. • A questo governo seguì quello di Luigi Facta, che si dimostrò ancora più debole e incapace del precedente nel fermare gli scontri di piazza, durato fino all’ottobre del 1922. • La sinistra italiana si indebolì ulteriormente con una nuova scissione con la nascita del Partito socialista unitario, guidato da Giacomo Matteotti, favorevole a una collaborazione con le forze liberali in funzione antifascista. La <<marcia su Roma>> • Le violenze fasciste erano giunte a un livello insopportabile: tutte le forze politiche, ad eccezione dei socialisti e dei comunisti, si auguravano che il partito di Mussolini fosse coinvolto nel governo. • La classe dirigente italiana, compreso il vecchio Giolitti, sperava che questo potesse mutare gli indirizzi culturali del fascismo, adattandosi alle regole della politica. • Dello stesso avviso era anche il re, a cui il fascismo chiedeva di intervenire. Mussolini rifiutò di entrare in un governo in posizione subordinata e di coalizione. • Mussolini organizzò quel misto fra una grande manifestazione in armi e un colpo di stato sostanzialmente incruento, detto Marcia su Roma, il 27 e 28 ottobre 1922. • L’impresa fu guidata dai «quadrumviri»: Michele Bianchi (sindacalista), Cesare De Vecchi, Italo Balbo e Emilio De Bono (i tre capi militari). • Le camicie nere occuparono le stazioni ferroviarie e le strade che portavano a Roma, istituirono posti di blocco ed estesero il controllo militare sul territorio. • Il capo del governo Facta proclamò lo stato d’assedio, affinché i carabinieri potessero intervenire. • Il re Vittorio Emanuele III, ormai convinto che il fascismo rappresentasse la nuova e vitale forza politica italiana, cedette: non firmò il decreto di stato d’assedio e chiamò Mussolini a presiedere il nuovo governo. • Mussolini si trovava a Milano: appresa la notizia raggiunse Roma, dove ricevette l’incarico di formare un nuovo governo. • Il fascismo si era impadronito dello Stato con la forza armata degli anni precedenti. Il Gran consiglio del fascismo • Il primo governo Mussolini non era molto diverso da quello di Giolitti: vi erano numerosi popolari e liberali tra i ministri. • Mussolini dava l’impressione di non violare le regole del costituzionalismo, e i borghesi più attenti al mantenimento della legalità tirarono un sospiro di sollievo, quando rimandò le camice nere a casa. • Molti deputati dell’opposizione pensavano che Mussolini fosse un semplice governo transitorio. • Mussolini volle far capire che non era così, tenendo il «discorso del bivacco» con il quale offendeva profondamente il Parlamento [16 novembre 1922] • In ogni caso Mussolini si impegnava a rispettare le libertà sancite dallo Statuto albertino e a far cessare le violenze dello squadrismo, assicurando interventi drastici nel campo economico, invitando minacciosamente la Camera a non ostacolarlo. • Dopo questo discorso Mussolini compì due scelte che sovvertivano l’impianto liberale dello statuto: - 1. dicembre 1922 – istituzione del Gran Consiglio del Fascismo come organo di raccordo tra il partito e le pubbliche istituzioni, inoltre doveva preparare i principali provvedimenti legislativi e aveva compiti di vigilanza e di epurazione della pubblica amministrazione. - 2. Mussolini sciolse le camice nere, ma esse vennero poi inquadrate nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (gennaio 1923) – essa era una forza militare e giuridica al diretto servizio del capo del governo. • Mussolini si limitò a questi provvedimenti in quanto non voleva allarmare con le sue riforme dello Stato la classe dirigente della borghesia. • Mussolini optò per una strategia che non mutasse improvvisamente l'assetto statale. • Legge Acerbo (novembre 1923) – la maggioranza relativa dei voti al 25% otteneva i 2/3 dei seggi della Camera. Il delitto Matteotti • Alle elezioni (aprile 1924) Mussolini si presentò con un listone unico, costituito non solo da fascisti ma anche da simpatizzanti, specie tra gli intellettuali. • La campagna elettorale si distinse per le violenze e i brogli. Il partito fascista ottenne il 65% dei consensi: da questo momento Mussolini ebbe il controllo totale del Parlamento. • Di fronte ai brogli si levò la voce severe del deputato Giacomo Matteotti, denunciando i brogli. • 10 giugno 1924: Matteotti fu rapito da agenti del ministero degli Interni De Bono, che lo uccisero nell’auto e lo seppellirono sotto un ponte nella campagna viterbese. • Le opposizioni abbandonarono l’aula della Camera e si ritirarono sull’Aventino con lo scopo di indurre il re a ripristinare la legalità, costringendo Mussolini alle dimissioni. • In quei giorni il governo Mussolini vacillò di fronte all’opinione pubblica, ma egli non si dimise e il re non intervenne sulla questione. • Mussolini si assunse la responsabilità politica del delitto, coprendo i mandanti e gli assassini. • La vicenda si concluse con la sconfitta delle opposizioni antifasciste, che non seppero organizzarsi, mentre il fascismo si avviava alla sua ascesa. La costruzione dello Stato totalitario Le <<leggi fascistissime>> • Dal 1925 al 1929 Mussolini costruì il regime totalitario con il quale il fascismo si contrapponeva al liberalismo-democratico e al comunismo. • Obiettivo: pervadere tutte le istituzioni politiche di un forte senso autoritario capace di coinvolgere le masse popolari e di controllarne le coscienze; il tutto senza alterare i rapporti di forza tra le classi sociali. • Leggi fascistissime (1925-1928): esse cancellarono l’idea liberale di equilibrio, di controllo reciproco e di separazione dei poteri, modificando di fatto lo Statuto albertino del 1848. • Il potere esecutivo predominava gli altri due poteri dello Stato: Mussolini assunse il titolo di Duce con una legge del dicembre 1925, modificando il titolo da presidente del consiglio in capo del governo. In questo modo si arrogava la facoltà di scegliere e destituire i ministri e non dipendeva dalle maggioranze parlamentari, essendo responsabile solo di fronte al re. • Questa opzione sembrava far percorrere all’Italia lo stesso percorso costituzionale della Germania autoritaria di Bismarck. • Mussolini utilizzò la debolezza dello Statuto albertino, che permetteva di mutare il quadro istituzionale con un semplice decreto legge (ratificato dal sovrano), sottraendo così al Parlamento il potere legislativo. • Questo gli permise di sopprimere le autonomie locali nei comuni e nelle province: al posto del sindaco fu istituito il potestà di nomina governativa, nelle province il gerarca di nomina governativa. • Le libertà di stampa, di associazione, di insegnamento vennero soppresse a partire dal novembre 1926. • Furono autorizzati solo i giornali che accettavano di essere controllati dal regime e vennero sciolti tutti i partiti, eccetto quello fascista. • Gli impiegati dello Stato furono obbligati a iscriversi al Partito, pena il licenziamento, compresi i professori universitari: solo 12 professori in tutta l’università italiana preferirono perdere la cattedra piuttosto che iscriversi al Partito fascista. L’Ovra e il Tribunale speciale • Le squadre fasciste costituirono la Milizia, che divenne una polizia parallela, specializzata nella repressione del dissenso. • Alla Milizia si affiancò un apposito servizio segreto, l’Organizzazione per la vigilanza e la repressione dell’antifascismo (OVRA). • Gli antifascisti erano giudicati da una magistratura speciale, il Tribunale speciale per la sicurezza dello Stato, composto in parte di ufficiali della Milizia, da funzionari dello Stato e dell’esercito. Per questo motivo funzionò come tribunale militare competente anche per un reato indeterminabile come quello di aver concorso a «sminuire il sentimento nazionale». • Il fascismo teorizzava la politica agli uomini, alle donne il sociale; agli uomini la gestione delle istituzioni, alle donne l’assistenza e l’educazione della gioventù, secondo una divisione asimmetrica di ruoli e funzioni. • Il fascismo non credeva che le donne avessero la capacità di elevarsi al di sopra della loro «natura», destinata alla sottomissione, alla maternità, alla famiglia. • Lo stato fascista tenderà a radicalizzare questa immagine della donna, che si trovava però al centro di tutte le battaglie del regime per la riscoperta della vocazione rurale, artigianale e nazionalista dell’Italia; per l’incremento demografico (immagine della donna che allatta o della sposa che attende alle cure domestiche); la signora borghese che assiste i bambini poveri e ammalati. La politica economica del regime fascista e il Concordato I provvedimenti di politica agraria e demografica • Il fascismo era arrivato al potere per la spinta del mondo rurale, quindi cercò di consolidare il consenso estendendo la piccola proprietà contadina e di tenere a freno la mobilità sociale: si limitò ogni trasferimento della forza lavoro dalla campagne alle città. • Bonifica delle zoni paludose: Paludi pontine, dove furono fondate nuove città di impianto razionalista, come Littoria (attuale Latina) e Sabaudia. • Nel 1925 fu lanciata la battaglia del grano: l’Italia fascista voleva puntare sull’autosufficienza della produzione cerealicola, sacrificando le colture più pregiate come l'olivicoltura e la viticoltura. • In realtà non furono sufficienti tutte le iniziative del fascismo: la battaglia del grano aveva un significato ideologico: la dipendenza dalle importazioni era lesiva del prestigio e dell’autonomia della nazione, in quanto si rischiava di essere dipendenti economicamente da un’altra nazione. • Il governo puntò all’incremento della popolazione italiana con l’idea colbertiana, che la ricchezza e la potenza di un paese si misurassero dal numero degli abitanti. • La politica demografica era un assurdo per uno Stato, che aveva vissuto duramente il dramma dell’emigrazione per rimediare all’eccesso di manodopera in rapporto alle risorse. Inoltre si era interrotto il flusso migratorio a causa del conflitto. • Il fascismo decise di corrispondere un incentivo economico per ogni figlio nato e l’Opera nazionale maternità e infanzia (ONMI) si incaricò dell’assistenza delle donne in gravidanza sino al parto e dei bambini. • la politica demografica rispondeva al mito della giovinezza del popolo, all’esaltazione delle energie vitali. • L’aumento demografico permetteva di aumentare il numero dei soldati: un’idea arretrata in un mondo dove la supremazia tecnologica decideva i conflitti. Il radicamento della mafia • Negli anni Trenta del regime si pensò alla riforma del latifondo siciliano, ma arrivati alla vigilia del conflitto mancarono la volontà e il tempo: si doveva modificare il latifondo siciliano con il favorire i contadini a danno dei proprietari, ma ciò era impossibile in quanto il governo fascista era sostenuto dagli agrari. • Se questo problema rimase irrisolto, il fascismo cercò di modificare la realtà siciliana con il reprimere la mafia, che si era sviluppata nei decenni precedenti il conflitto mondiale. • Il prefetto Cesare Mori, detto il prefetto di ferro di Palermo, ottenne qualche risultato ma con metodi ingiusti e brutali, imponendo lo stato d’assedio a interi paesi. • La magia non venne sradicata, poiché non costituiva un fenomeno meramente criminale, ma si radicava nella struttura socio-economica dell’isola. • Il prefetto di ferro fallì per la mancanza di appoggio necessario: pertanto la mafia finì per assumersi il merito di baluardo contro le tendenze centralistiche e repressive del regime fascista. Protezionismo e autarchia • Fin dal 1924 il fascismo adottò una politica protezionista in economia. • Si impegnò a riportare il rapporto della lira con la sterlina a livelli paragonabili a quelli dell’anteguerra. • Nel 1926 l’Italia raggiunse quota novanta, ovvero il cambio di 90 lire per 1 sterlina: questo sforzo comportò un costo molto alto all’economia italiana, strutturalmente dipendente dal commercio estero. • Divenne difficile per l’Italia esportare i prodotti nazionali: la lira costava di più, quindi anche i prodotti che non erano assorbiti dai mercati internazionali e non riusciva a battere la concorrenza. Infatti i prodotti importati costavano meno di quelli italiani, danneggiando la produzione nazionale. • Dal 1929 il fascismo applicò un forte interventismo dello Stato nell’economia. Questa scelta avvantaggiò gli stessi settori della grande industria siderurgica ed elettrica. • L’interventismo si spinse verso una vera e propria autarchia, cioè a un annullamento delle importazioni per supplire con la produzione interna a tutte le esigenze del mercato. Il controllo statale dell’economia • Il rapporto del fascismo con il grande capitale fu sempre ambiguo: - Sottomissione a una politica di tutela del prestigio delle finanze nazionali, manifestando avversione per una politica economica favorevole agli interessi industriali, in quanto erano interessi forti, capaci di fare da contrappeso al regime, interessi che fanno circolare uomini, capitali, idee. - Protezione statale all’industria, soprattutto quella pesante cui garantì il controllo sociale, riducendo al minimo la conflittualità, le fornì un mercato protetto interno e una politica aggressiva su quelli esteri. • Il fascismo cercò di guidare la vita economica, creando una fitta rete di enti, opere, istituti e comitati. • 1933 – IRI – istituto per la ricostruzione industriale, nato per far fronte alla crisi mondiale del 1929. • L’IRI rappresentò il fulcro della presenza dello Stato nell’economia e lo strumento di nazionalizzazione di diversi settori in crisi – IRI acquistava le industrie in fallimento, le risanava e invece di vendere all’incanto agli industriali, le manteneva sotto il proprio diretto controllo. I Patti lateranensi e il cattolicesimo religione di Stato • Il fascismo aveva fin dall’inizio riscosso il favore della maggioranza dell’episcopato italiano che, premendo sulla Santa Sede, fece allentare i propri legami con il partito popolare che si era opposto al regime sotto la guida di don Sturzo. • L’episcopato apprezzava il fascismo in quanto garantiva l’eliminazione del conflitto sociale, l’appoggio al corporativismo e la prevalenza della finalità comunitaria su quella individualistica. Inoltre il fascismo combatteva i suoi due avversari: il socialismo e il liberalismo. • In ogni caso la Chiesa italiana non condivideva l’uso della violenza: diversi esponenti religiosi erano stati colpiti dalle squadre fasciste, come don Giovanni Minzoni che si opponeva alle violenze contro gli operai. • Il fascismo si presentava come partito d’ordine, quindi vi erano le condizioni per trovare una soluzione alla questione romana (1870). • 11 febbraio 1929 – Patti Lateranensi. • I Patti lateranensi si compongono di: - Un trattato: si riconosceva la Città del Vaticano come stato sovrano nel cuore di Roma, comprendente la basilica di San Pietro con la piazza antistante e i Palazzi vaticani. In cambio la Chiesa riconosceva la piena legittimità. - Un Concordato: la religione cattolica fu dichiarata religione di Stato, quindi materia di insegnamento nell’istruzione pubblica; il matrimonio religioso assumeva valore civile e il suo annullamento presso il tribunale ecclesiastico della Sacra Rota veniva riconosciuto anche dallo Stato; i vescovi avrebbero giurato fedeltà allo Stato, mentre i sacerdoti spretati sarebbero stati esclusi dai pubblici uffici. Si riconosceva l’azione cattolica - Una convenzione finanziaria, che stabiliva i risarcimenti e i rapporti economico e finanziari con il Vaticano. • Per il fascismo i Patti lateranensi furono un grande successo propagandistico: Pio XI espresse soddisfazione per gli accordi raggiunti, definendo Mussolini «uomo della provvidenza». La guerra d’Etiopia e le leggi razziali L’Italia fascista e la revisione dei trattati di pace • I Patti lateranensi e il presentarsi come un partito d’ordine aveva fatto ottenere riconoscimento al fascismo a livello internazionale: gli inglesi attribuivano al fascismo alcuni risultati importanti: l’avere sconfitto il bolscevismo e il disordine. • La politica estera fascista, imbevuta dal mito della vittoria mutilata, si stava impegnando nella revisione dei trattati di pace e della ricerca di nuove colonie. • L’Italia era uno dei paesi vincitori, ma si considerava iniquamente discriminata nelle sue esigenze: l’Italia era il modello dei paesi sconfitti. L’Italia cercava di espandersi nell’area balcanica ai danni della Jugoslavia, con la quale aveva la questione di Fiume e la Dalmazia. Nel 1924 il Trattato di Roma stabilì il passaggio di Fiume all’Italia. • Nel 1926 il fascismo strinse un patto di mutua assistenza con l’Albania, che segnò l’entrata di quel paese nell’orbita italiana. Una politica estera aggressiva • Negli anni Trenta l’Italia maturò un carattere aggressivo, sviluppando una politica di potenza, che si indirizzò verso l’unico stato africano che era riuscito a rimanere indipendente e con il quale l’Italia aveva avuto uno scontro ad Adua – l’Etiopia • Dal 1896 al 1935 l’Etiopia era divenuto uno stato che si avviava alla modernizzazione: costruzione di una rete ferroviaria, una rete stradale, scuole e ospedali; si era dotato di un moderno armamento (dato dagli inglesi e dai francesi); aveva avviato l’abolizione della schiavitù al fine di essere accettata nella Società delle Nazioni. Infine aveva adottato una costituzione autoritaria, che modernizzava il paese. • Alla fine del 1934 un incidente di frontiera fra l’Eritrea italiana e l’Etiopia fornì a Mussolini il pretesto del casus belli: un milione di uomini furono richiamati alle armi e l’industria bellica cominciò a lavorare a pieno ritmo. • La Gran Bretagna e la Francia non avevano l’intenzione di combattere per l’Etiopia, benché le loro opinioni pubbliche fossero indignate. Gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica protestavano con moderazione, evitando di farsi coinvolgere. La Germania appoggiava l’Italia nella conquista del paese africano con la speranza di ottenere il via libera all’occupazione dell’Austria ed espandersi fino ai confini del Brennero. La conquista dell’Etiopia • Ottobre 1935 – l’Italia fascista aggredì l’Etiopia senza alcuna dichiarazione di guerra. • Novembre 1935 – La Società delle Nazioni intervenne, in quanto l’Etiopia era membro del consiglio, con la promozione delle sanzioni economiche per l’Italia con la sospensione del commercio, la concessione dei crediti e dell’importazione delle materie prime. • Le sanzioni furono vanificate, perché la Germania – uscita dalla Società delle Nazioni per la volontà di Hitler – si dichiarò disposta a sostenerla assieme agli Stati Uniti d’America, usciti dal 1921 dall’organismo internazionale. • L’Etiopia non possedeva artiglieria pesante né aviazione e l’Italia fece uso massiccio di bombardamenti aerei. • Nel gennaio 1936 l’Italia fece uso di gas tossici con effetti letali non solo sull’esercito, ma anche la popolazione, i pascoli, il bestiame e le acque. • Mussolini autorizzò l’uso dei gas tossici e il loro impiego fu coordinato dai generali Badoglio e Graziani, comandanti dei due corpi di invasione. • La guerra d’Etiopia documentò come fosse superiore l’utilizzo delle nuove armi offensive introdotte nella Grande Guerra: il gas, il carro armato e l’aviazione. • Infine fu la più grande guerra coloniale quanto a dispiegamento di mezzi e, dal punto di vista militare, rappresentò un netto successo – solo sette mesi di campagna militare. • L’esercito italiano si macchiò di crimini di guerra contro la popolazione etiope: questi crimini furono denunciati dall’imperatore Hailé Selassié che si rifugiò in Inghilterra. • Mussolini proclamò la rinascita dell’Impero nel maggio del 1936, in quanto Etiopia, Somalia ed Eritrea andarono a costituire l’Africa orientale italiana.
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