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riassunto L'impero ottomano - Suraya Faroqui, Sintesi del corso di Storia dell'Asia

riassunto libro L'impero ottomano -Suraya Faroqui ed.2014

Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015

In vendita dal 20/01/2015

Alex938
Alex938 🇮🇹

4.3

(3)

3 documenti

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Scarica riassunto L'impero ottomano - Suraya Faroqui e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Asia solo su Docsity! 1- ASCESA ED ESPANSIONE (1299-1481) La nascita dello stato ottomano Le informazioni più antiche riguardanti un principato ottomano risalgono al primo quarto del XIV secolo. In principio si trattava soltanto di uno dei numerosi staterelli che riempirono il vuoto di potere lasciato dalla dissoluzione dello stato selgiuchide in Anatolia e dalla ritira rata dei capi mongoli stabilitisi in Iran. Tra i maggiori rivali dello stato ottomano che stava espandendosi vi erano il principato di Eretna e lo stato della dinastia dei Karaman nell’Anatolia centrale. Bursa fu la prima città importante di cui si impadronirono gli Ottomani ancora sotto la guida del fondatore della dinastia, Osman I. Nel 1337 seguì Nicea, sede degli importanti concili paleocristiani. Fino alla conquista di Adrianopoli, avvenuta attorno al 1361, Bursa rimase la capitale ottomana. Fino alla presa di Costantinopoli (1453) i sultani costruirono moschee rappresentative a Bursa, tutt’ora esistenti. Quando, nel 1354, un terremoto fece crollare le mura di Gallipoli si presentò al sultano Orhan l’occasione per impossessarsi del primo porto importante. Nel 1355 la morte di Stefano Dusan segnò l’inizio del crollo dell’impero serbo. Negli anni 1363-65 la conquista di Filippopoli pose fine a una serie di operazioni militari ottomane in Tracia e nell’attuale Bulgaria meridionale. Un’ultima crociata, composta da francesi, borgognoni, ungheresi e altri sovrani europei, che avevano come obiettivo la liberazione di Costantinopoli si concluse con la piena sconfitta dei cavalieri europei. La conseguenza fu il consolidamento delle conquiste ottomane in Europa. Anche se l’invasione di Timur provocò una decisiva ma temporanea conclusione della dominazione ottomana in Asia minore, nessuno dei principi balcanici riuscì a liberarsi del dominio ottomano sui propri vecchi territori. Timur non restò a lungo in Anatolia e, dopo la conquista di Smirne, che era ancora nelle mani dei crociati, tornò a Tabriz dove morì poco dopo, nel 1405. Al termine di una lunga guerra Mehmed I si affermò come sovrano assoluto (1413-1421). Negli anni venti l’espansione riprese, a cominciare dall’Anatolia. Nel 1425 furono riconquistati Smirne e i principati sudoccidentali di Teke e Mentese. Nel 1430 fu la volta di Salonicco, che era stata a lungo la seconda città più grande dell’impero bizantino. Nel 1439 lo stato serbo cessò di esistere. L’epoca di Mehmed il Conquistatore L’impero bizantino rappresentava poco più di un enclave in territorio ottomano, anche se i numerosi assalti alle mura di Costantinopoli erano andati falliti. Quando però nel 1451, però, salì al trono ottomano il giovane sultano Mehmed II (Maometto II detto il Conquistatore), questi fece subito costruire un forte (Rumelia) per impedire il passaggio del Bosforo delle navi nemiche. Inoltre si dotò di un artiglieria contro la quale le mura di Costantinopoli non erano state ancora attrezzate, così che nel 1453 la città cadde in mani ottomane. Il regno di Mehmed II rappresentò nel complesso un periodo di rapida espansione ottomana. A Nord il principato dei tartari di Crimea fu trasformato in un principato dipendente (1475). Le colonie genovesi sulla costa del mar Nero furono in un primo momento rese tributarie del sultano, ma presto divennero anche l’obiettivo di una vera conquista. Nel 1461 fu conquistato anche il piccolo principato dei Comneni, che si fregiava del titolo di impero di Trebisonda; in breve tempo il territorio fu islamizzato, attraverso trasferimenti della popolazione e la conversione di alcuni abitanti. In Anatolia, il principato di Karamanogullari fu smembrato e annesso allo stato ottomano. Con tale operazione l’espansione ottomana aveva raggiunto l’Anatolia centrale e la sfera di potere di Mehmed II si trovò a confinare con l’area che già da qualche tempo era situata nella zona di influenza del regno mamelucco in territorio sirio-egiziano. In Rumelia, nel 1460-64, il Peloponneso fu sottratto agli occupanti bizantini e franchi, e a partire da allora la Morea divenne provincia ottomana. Anche Venezia dovette accettare sensibili perdite, dopo che l’avanguardia ottomana di Mehmed II nel 1478 era ormai all’interno del Friuli. In Albania egli fece erigere la fortezza di Elbasan e, dopo la morte del principe albanese Scanderberg l’intero paese cadde in mani ottomane e il popolo albanese emigrò in Italia meridionale. Nel 1480 fu conquistata la fortezza di Otranto (primo passo verso la conquista Italiana). Ma quando Mehmed Ii morì, il figlio Bayezid II stabilì altre proprietà e gli Ottomani misero fino alla loro presenza in Italia. Uno stato ai confini del mondo islamico Lo stato ottomano, situato ai margini del mondo islamico, disponeva di strumenti di potere politico. Si trattava soprattutto dell’opportunità di espansione nell’Europa sudorientale (la Rumelia) anche nei principati bulgaro, serbo e albanese. In una prima fase furono le zone confinanti con lo stato bizantino a offrire ai primi sultani ottomani le opportunità di un intervento. I vicini musulmani apparivano quasi meno pericolosi dei latini, anche perché, dopo la riconquista bizantina di Costantinopoli (1261), veneziani e genovesi controllavano ancora il commercio mediterraneo, mentre vecchi territori bizantini come il Peloponneso e numerose isole egee erano dominate da dinastie <<franche>>. Nell’anno 1347 Giovanni Cantacuzeno divenne imperatore bizantino dopo una fortunata ribellione contro il legittimo erede al trono. Tra i vantaggi <<politico-ideologici>> che derivavano dalla posizione di paese di confine, non meno importante fu la capacità di attrazione che esercitava su molti giovani soldati dell’Anatolia la possibilità di compiere guerre e razzie nella terra degli infedeli. Inoltre, bisogna considerare che nel XIV secolo l’Anatolia era popolata da numerose tribù nomadi disposte a trasferirsi nella penisola balcanica per trovare nuovi pascoli. La militarizzazione dei nomadi della Rumelia potrebbe indicare che lo stato ottomano abbia, da un lato, favorito l’immigrazione nelle province balcaniche di questi sudditi musulmani, dall’altro, anche tentato di controllarla. Sulla colonizzazione dei Balcani da parte dei nomadi turchi ci sono fonti piuttosto ridotte, il che ha favorito che si sviluppassero accese dispute sulla densità demografica di quei territori prima delle conquiste ottomane e sulle perdite dovute alla guerra. Non si sa infatti in che misura le epidemie di peste della fine del XIV secolo abbiano decimato la popolazione indipendentemente dagli eventi bellici ( gli eserciti i continuo spostamento favorivano l’espansione dell’epidemia). Esercito e organizzazione dello stato Nella strategia di guerra del XIV e XV secolo l’esercito a cavallo e le armi bianche come spade, lance e sciabole avevano ancora un ruolo centrale. I cavalieri erano finanziati grazie al timar, l’assegnazione delle rendite fiscali di un terreno (più in ambito rurale) posto sotto l’amministrazione finanziaria del sultano. Il proprietario persone erano fuggite prima dell’assedio e poi durante i saccheggi. Fu quindi stabilito un termine entro il quale coloro che erano fuggiti potevano godere di un’amnistia ed entrare nuovamente in possesso delle proprie abitazioni. Per favorire l’immigrazione dalle vecchie province ottomane fu fatta la promessa che gli immigrati avrebbero acquisito gratuitamente la proprietà delle case. Le nuove regole cambiarono la vita di molti sudditi ottomani. Rappresentavano un grosso peso per i surgun che si erano stabiliti contro la propria volontà a Istanbul. Dietro queste critiche stavano anche alcuni cambiamenti nel rapporto tra il sultano e i suoi sudditi. I contadini dovettero pagare imposte più elevate a causa delle campagne militari del sultano conquistatore. Fino all’epoca di Mehmed II alcuni componenti di queste famiglie avevano ricoperto alti incarichi nello stato ottomano. Ciò fu reso più complicato a causa della sua prassi politica, incline a nominare negli alti uffici uomini che erano stati formati nella scuola di palazzo ed erano subordinati al sultano in un rapporto di dipendenza molto simile alla schiavitù (il sultano ereditava i loro beni alla loro morte). Nella scuola di palazzo erano stati ammessi i giovani che erano giunti a Istanbul come prigionieri di guerra oppure a seguito della <<raccolta>> . I giovani che raggiungevano il livello più elevato servivano il sovrano in qualità di paggi. Terminata la formazione il palazzo organizzava il matrimonio dei paggi con delle donne che erano state educate nell’harem del sultano. Chi mostrava grandi capacità come militare e amministratore nelle province poteva aspettarsi di tornare nella capitale e ricevere una delle più alte cariche anche nell’ambito del gran visirato. Un sultano dopo essere salito al trono doveva uccidere i fratelli per evitare guerre civili. Tutti i figli di un sultano regnate erano in pari misura legittimi eredi al trono. Per essere preparati alla propria funzione venivano mandati in provincia in compagnia della madre e di un mentore chiamato lala. Raggiunta una certa età, andavano alla ricerca di alleati che li avrebbero successivamente appoggiati come candidati al trono. Se il sovrano raggiungeva un età avanzata, la lotta per la successione aveva inizio mentre egli era in vita e con la sua stessa partecipazione. Verso la fine del suo regno, Mehmed il conquistatore tentò di nuovo di indebolire ulteriormente la base di potere delle ricche famiglie dell’Anatolia. Molte di queste famiglie ricevevano una parte del proprio reddito da fondazioni che pur avendo uno scopo religioso-caritatevole lasciavano un certo margine di manovra nella gestione del patrimonio ai fiduciari appartenenti alla famiglia del fondatore/ice. Mehmed II applicò però un cambiamento che si opponeva al diritto islamico delle fondazioni. Di fatto ne confiscò molte, da lui precedentemente riconosciute, e trasformò la loro proprietà in timar. La sua politica danneggiò non solo le famiglie legate alle fondazioni, ma anche molti sudditi comuni. trattava di studenti, viaggiatori e fedeli che usufruivano dei servizi di queste istituzioni. Alla morte di Mehmed II, nel 1481, suo figlio Bayezid II revocò il provvedimento. 2. TRA ORIENTE E OCCIDENTE (1481 – 1600) Il consolidamento sotto la guida di Bayezid II Sotto Bayezid II l’impero ottomano visse, nonostante le guerre con Venezia, la Polonia, una fase di consolidamento. Il controllo ottomano sulle coste del mar Nero fu sancito con la conquista delle città portuali di Akkerman e di Kilia. Nel XVI secolo il Mar Nero (mare interno) fu precluso alle navi straniere. Le zone costiere dovevano solo servire solo all’approvvigionamento della capitale Istanbul. Inoltre anche il Montenegro si ritrovò sotto la supremazia ottomana. Da un punto di vista economico, ebbe grande importanza l’immigrazione degli ebrei spagnoli e portoghesi inseguito alla cacciata da parte dei re di Spagna. Coloro che arrivarono direttamente dalla Spagna dovettero lasciare il proprio patrimonio. In generale, queste persone raggiunsero i territori ottomani in diverse fasi. I nuovi immigrati si stabilirono a Istanbul, dove erano già convogliati anche gli ebrei di lingua greca sotto Mehmed II e a Salonicco. Qui gli ebrei trasformavano la produzione di tessuti di lana in una produzione locale e a loro fu assegnata la preparazione della stoffa per le uniformi dei giannizzeri. Inoltre attorno al 1493, gli immigrati fondarono la prima stamperia in funzione nell’impero ottomano. I sultani ottomani in Medio Oriente (1481-1600) La lunga guerra di Bayezid II contro i sultani mamelucchi (1484-91) non portò alcun cambiamento decisivo nell’assetto del potere. Al posto del principe turkmeno Hasan si stabilì in Persia un giovane un giovane sceicco dell’ordine Safa wiyya, lo scià Ismail I che conquistò persino Baghdad. Lo stato ottomano condivideva con il giovane sovrano, che aveva ampie mire espansionistiche, un confine in comune, situato nei pressi della città di Erzincan nell’Anatolia orientale. Nel 1511 i seguaci dello scià Ismail si ribellarono contro la dominazione ottomana nelle regioni remote dell’Anatolia sudoccidentale, registrando un successo iniziale. La crisi dell’impero fu acuita ulteriormente dalla lotta per il trono tra i figli di Bayezid II: il principe Selim costrinse il padre ad abdicare nel 1512, uccise i fratelli e salì al trono ottomano con il nome di Selim I. Gli otto anni di regno di Selim I rappresentarono una nuova fase di rapida espansione nel Medio Oriente. Dopo la disfatta dei seguaci dello scià Ismail in Antatolia Selim lo sconfisse a Caldiran nel 1514 e penetrò fino all?Iran occidentale, ma i giannizzeri si rifiutarono di seguire oltre il sultano verso l’Oriente. Nel 1515 la conquista della città di Diyarbakir nell’Anatolia sudorientale segnò l’inizio della campagna militare e nello stesso anno il sovrano dei Mamelucchi Kansuh al-Ghuri cadde in battaglia. Il suo successore Tumanbay tentò ancora di impedire l’accesso verso il Cairo a Selim I ma l’ultimo sultano mamelucco fu impiccato. Il governatore della Mecca dichiarò la propria sottomissione e Selim I lo ricompensò con l’assegnazione di importanti risorse egiziane per il sostegno della popolazione dell’Hijaz e quindi del pellegrinaggio. Il potere del sultano ottomano raggiunge quindi la costa meridionale del Mar Rosso. Le conquiste di Selim I determinarono una situazione nuova: l’impero ottomano non era più uno stato comprendente solo i Balcani e l’Anatolia occidentale ma circondava l’antico cuore dell’Islam con le città del Cairo, Aleppo e Damasco. In Siria la conquista ottomana provocò una cesura nella prassi del potere; le province siriane infatti, non erano più amministrate dal Cairo ma da Istanbul, senza tuttavia che ne fosse esclusa la collaborazione delle famiglie locali che spesso risiedevano in palazzi fortificati ai margini del deserto. In Egitto, invece, i Mamelucchi continuavano ad avere un ruolo nell’amministrazione provinciale. Il sistema di reclutamento dei mamelucchi funzionò per secoli, vi fù tuttavia una differenza significativa tra l’epoca preottomana e quella ottomana: dopo il 1517 il governatore non appartenne più alla dinastia dei Mamelucchi, e questi ultimi dovettero agire all’interno dell’organizzazione ottomana, determinata da un governo centrale. Dopo il 1517 il Cairo fu declassata a città di provincia. Da un alto il commercio con le indie fioriva e l’importazione di spezie, colori e stoffe di cotone stampato permise ad alcuni commercianti di accumulare ricchezze; dall’altro, dalla metà del XVI secolo il caffè divenne popolare prima in Egitto e poi a Istanbul e in Anatolia. Anche il commercio di caffè era molto redditizio, i mercanti di caffè e spezie ebbero infatti modo di arricchirsi poiché commerciavano i beni non di prima necessità o essenziali nel tempo di guerra. Nelle regioni dell’impero tali possibilità erano più limitate e le informazioni relative all’Egitto non devono portare a facili generalizzazioni sullo sviluppo economico nelle altre province. Nel XVI secolo il sultano ottomano estese il proprio potere anche alle coste nordafricane a Ovest del Cairo ( conflitti con Spagna e Portogallo); Barbarossa, un corsaro stabilendosi in Algeria si sottomise al successore di Selim I, Suleyman I e fu riconosciuto come governatore. Egli conquistò Tunisi che divenne un importante centro commerciale e dell’artigianato. Una lunga campagna militare di Suleyman tra il 1533 e 1536 portò l’annessione nell’impero ottomano dell’Iraq. L’espansione in Europa nel XVI secolo L’ascesa al trono di Suleyman I Kanuni (il Legislatore) nel 1520 condusse a una nuova espansione verso l’Occidente. Gli Ottomani nel 1521 presero la città di Belgrado; nel 1526 la battaglia di Mohacs si concluse con la sconfitta dell’esercito ungherese e la morte del sovrano Luigi II. Suleyman designò re un pretendente locale di nome Giovanni Zapolya. Questo morì e il re asburgico Ferdinando I giunse a una lunga guerra ottomano- asburgica. Dopo la conquista ottomana di importanti fortezze, tra il 1541 e il 1547, la parte più estese dell’Ungheria divenne provincia ottomana, la cui amministrazione fu stabilita a Buda. La Transilvania restò tra i principati dipendenti dagli Ottomani e una sottile striscia di terra a Ovest restò sotto il dominio asburgico. La sfera di influenza ottomana raggiunse a metà del XVI secolo la sua massima espansione verso Ovest e l’Ungheria si ritrovò a essere per un secolo e mezzo zona di confine. Nella regione mediterranea l’impero ottomano conobbe una crescita significativa grazie alla conquista dell’isola di Cipro (1571). L’amministrazione ottomana iniziò subito a trasferire sull’isola coloni provenienti dall’Anatolia, coinvolgendo oltre ai contadini anche i seguaci del gruppo religioso delle Teste rosse. L’ampliamento dei rapporti diplomatici Tra l’Iran e l’Impero ottomano nel corso del XVI secolo prevalse spesso la guerra anche dopo la morte di Selim I e dello scià Ismail. Al centro dei colloqui vi erano sempre gli interessi dei pellegrini sciiti che volevano visitare non solo la Mecca e Medina ma anche le tombe dei discendenti di Maometto. Le autorità ottomane credevano che tali iniziative fossero un pretesto per compiere attività di spionaggio. Suleyman il Magnifico trovò un alleato in Francesco I, re di Francia, che dopo la sconfitta subita nella battaglia di Pavia era potuto ritornare al trono solo dietro pagamento di un riscatto. Nel 1543 una flotta franco-ottomana espugnò la città di Nizza. Fino alla fine del XVIII secolo i patti di alleanza tra la Francia e l’impero ottomano furono rinnovati di volta in volta in base alle sigenze dei diversi conflitti contro il comune nemico, gli Asburgo. Sul finire del XVI secolo i mercanti inglesi iniziarono a commerciare nella regione ottomana, tentando di cacciare i concorrenti veneziani da quelle che erano le loro acque tradizionali ricorrendo anche alla pirateria. Fin dal 1580 Murad III e la Corona inglese strinsero delle relazioni, che da parte ottomana erano motivate soprattutto dall’interesse per lo stagno inglese, utile per gli armamenti. Alla base della relazione vi Spesso conflitti politici impedirono ai pellegrini di intraprendere il percorso più breve attraverso l’Iran, costringendoli a compiere il pellegrinaggio passando per Istanbul e impiegando cosi molti anni. Di maggiore importanza furono le modifiche apportate nella formazione e nell’operato degli ulema. Nel corso del XVI secolo il Magnifico continuò a promuovere la formazione di queste figure, centrali in ogni società islamica, a cui era stata già attribuita notevole importanza da Mehmed II. Le discipline rilevanti erano insegnate e praticate in arabo e per questo una persona che aveva viaggiato molto come il marocchino Ibn Battuta poteva esercitare la funzione di cadì nell’india settentrionale. A partire dalla seconda metà del secolo la formazione degli ulema che aspiravano a una carriera nelle altre regioni dell’impero avveniva sempre più nelle città di Istanbul, Bursa e Adrianopoli. Per essere qualificato per una posizione di cadì, dal XVI secolo in poi il candidato doveva aver ricoperto una serie precisa di incarichi, mentre per aver accesso alle cariche più elevate occorreva aver svolto attività di insegnamento nelle alte scuole di Soleymaniye. A partire dal XVI secolo il numero dei candidati che rispondevano ai requisiti superò di gran lunga i posti a disposizione: brevi periodi di incarico furono, quindi sostituiti da lunghi tempi di attesa. Le relazioni familiari e il sostegno del sultano risultavano spesso determinanti, soprattutto per le più alte posizioni di giudice dell’esercito e giudice supremo. i giudici ottomani applicavano due ordini di diritto, uno religioso, la cosiddetta sharia, e l’altro fondato sulle ordinanze del sultano. Ad esempio, il diritto ottomano partiva dall’assunto che le terre utilizzate come boschi, pascoli e campi coltivati appartenessero al sultano e solo le case e i giardini fossero proprietà privata dei sudditi. I contadini erano solamente enfiteuti e i detentori di timar erano solo amministratori ed esattori delle tasse ma non proprietari dei villaggi loro assegnati. L’influenza del diritto religioso aumentò via via nel tempo anche perché i giudici ottomani per formazione lo conoscevano approfonditamente e la seriat aveva un significato religioso centrale. Sudditi musulmani e non musulmani Le conquiste di Selim I trasformarono lo stato ottomano in un impero a grande maggioranza musulmana e, quindi, a partire dall’inizio del XVI secolo, è possibile parlare a giusto titolo di <<minoranze non musulmane>>. Tra queste, i greco-ortodossi rappresentavano la minoranza più consistente. La loro presenza non si registrava solo nei Balcani occidentali e a Cipro, ma anche nelle province siriane. L’Egitto era la patria della minoranza copta, mentre nelle montagne dell’Anatolia centrale, in alcune città dell’Asia minore e nella capitale Istanbul vi erano gruppi numericamente diversi di armeni gregoriani. I sudditi cattolici erano presenti in numero molto limitato nell’impero ottomano, sulle isole egee, in Dalmazia, Bosnia e Ungheria. Tra gli ebrei i locali romanioti occupavano un ruolo poco significativo rispetto agli immigrati che provenivano da Spagna e Portogallo, e talvolta dall’Italia. Vi fu inoltre un immigrazione ashkenziana proveniente dall’Europa centrale e orientale. Di conseguenza anche le differenze linguistiche e culturali erano molto significative. Gli immigrati spagnoli utilizzavano oltre alla lingua di culto dell’ebraico anche lo spagnolo, scritto con caratteri ebraici. I sudditi non musulmani, a prescindere dalla loro confessione, pagavano un testatico, la cizye. Fino alla fine del XVII secolo questa tassa era talvolta riscossa per un intero villaggio come pagamento collettivo, calcolata in base ai beni posseduti. Dal punto di vista giuridico i non musulmani erano in una condizione di svantaggio: non potevano testimoniare ad esempio in sede di processo contro i musulmani. Poteva anche accadere che una chiesa, anche dopo tanti anni dalla conquista ottomana, fosse sottratta alla comunità e convertita in moschea. Al contrario negli stati europei le conversioni forzate all’Islam si verificarono solo in rari casi. La maggioranza delle conversioni deve essere però avvenuta su base volontaria e per ragioni diverse. Le fonti di sostentamento: agricoltura e artigianato I contadini costituivano la spina dorsale della massa di sudditi che pagava le tasse. Per lasciare il proprio villaggio un contadino aveva bisogno dell’autorizzazione del timariota. L’emigrazione verso la città su cui gravavano meno tasse e l’arruolamento in una truppa di soldati erano certamente valide alternative. I soldati che si erano distinti al confine potevano vedersi assegnato un timar. Alla base dell’organizzazione rurale vi era il podere che era amministrato in modo autonomo da una famiglia e che veniva tramandato di padre in figlio. Motivo di conflitto risiedeva nei servizi e nelle forniture che i contadini dovevano al rappresentante locale dello stato. Erano rare le zone con un’alta produttività agricola. Sia nei Balcani sia in Anatolia un’ampia fetta di territorio era composta da zone montagnose, per cui la possibilità d utilizzare l’aratro era limitata. Le regione costiere erano piuttosto paludosi e poco utilizzate per il rischio di malaria. Nell’altopiano anatolico la scarsità idrica minacciava i raccolti già non ottimi. L’assenza di vie fluviali navigabili deve aver reso particolarmente difficile il sostentamento persino nel caso di cattivi raccolti localizzati in alcune aree. Nelle regioni ben situate dal punto di vista delle comunicazioni, l’incremento della popolazione incentivò coltivazioni che richiedevano manodopera. Non pochi nomadi divennero sedentari. Nei villaggi la maggior parte dei beni prodotti serviva per il fabbisogno locale, per lo scambio informale tra vicini, per la semina e per pagare le tasse. Si svilupparono allora anche scambi commerciali che avvenivano nei pascoli estivi dove ogni anno confluivano nomadi e contadini. Un commercio non di poca valenza avveniva nelle fiere che nei Balcani avevano luogo talvolta in occasione delle feste patronali delle chiese locali. L’artigianato urbano era organizzato per lo più in corporazioni. I maestri si impegnavano nella definizione dei parametri per accedere alla propria arte, sostenendo di farlo per salvaguardare l’interesse dei consumatori verso merci di alto valore. Il commercio, la fonte occasionale di ricchezza Diversi studi affermano che nell’impero ottomano ci fosse una sorta di <<divisione del lavoro su base religiosa>>. I musulmani si concentravano negli ambiti del lavoro statale e dell’agricoltura, mentre nel commercio si registrava una partecipazione musulmana per quanto riguardava l’approvvigionamento di Istanbul, rigidamente controllato da parte statale. Un libro di dogana della fine del XV secolo riguardante il commercio del mar Nero prova che i mercanti musulmani rappresentavano il gruppo più consistente tra coloro che dovevano pagare i dazi. Nella regione dell’impero ottomano non vigeva un’unione doganale e i dazi interni costituivano un’importante fonte di guadagno dello stato ma il loro numero restò limitato. La trasformazione di singole città con il sostegno di importanti fondazioni, come nel caso di Istanbul, si estese, nel XVI secolo, anche alla provincia. l divieto islamico di accumulare interessi non ha ostacolato le operazioni finanziarie più in quanto non abbia fatto il divieto analogo che la chiesa cattolica aveva sostenuto durante tutto il medioevo. Per camuffare l’accumulazione di interessi spesso si <<vendeva>> un’abitazione dove però il venditore continuava a vivere pagando un fitto che corrispondeva a un determinato tasso percentuale del prezzo di acquisto e conservando il diritto a <<riacquistarla>> in seguito. Anche nella città di provincia dell’Anatolia molti piccoli investitori prestavano denaro e le donne in particolare potevano garantirsi in questo modo un guadagno extra. Un’altra ragione <<ideologica>> che spiegherebbe perché i mercanti musulmani evitassero il commercio con l’estero si fonda su diverse false supposizioni. Si deve tener presente che le prescrizioni religiose che richiedevano una separazione dai non musulmani erano seguite solo da coloro che potevano permetterselo economicamente. I mercanti ottomani di ogni confessione operavano tuttavia in un ambiente politico che limitava la formazione di capitale. L’amministrazione ottomana considerava prioritaria la protezione degli artigiani locali principalmente quando i prodotti occorrevano all’esercito, alla flotta o alla corte. L’esportazione di pelle o cotone veniva quindi controllata e del tutto impedita in tempo di guerra. la prospettiva dei consumatori non fu modificata neanche per gli interessi si alcuni componenti dei ranghi elevati dell’impero ottomano che in alcuni casi erano molto attivi nel commercio e nella speculazione edilizia. Per certi aspetti il pensiero economico del ceto elevato ottomano può essere pienamente paragonato alle rappresentazioni dei potentati europei del XVI secolo, in particolare rispetto al valore che veniva attribuito all’oro e all’argento in quanto metalli per forgiare monete. Si riteneva positiva l’importazione dei metalli nobili, mentre si valutava negativamente l’esportazione. Nella regione ottomana vi erano alcuni giacimenti di argento ma pochi di oro che invece provenivano dall’Africa oppure dai pagamenti dei tributi da parte europea. A partire dal XVI secolo l’argento <<spagnolo>> dell’America raggiunse i centri del commercio di Smirne, Salonicco e Aleppo. L’afflusso di argento contribuì a determinare un incremento dei prezzi. 3. FATICOSE CONQUISTE E PRIMI CONTRACCOLPI (1600- 1774) Mercenari, <<fanatici>> e alti dignitari Tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo il controllo del sultano dell’Anatolia fu messo seriamente in pericolo. Nutrite bande di uomini armati che si proclamavano più o meno a ragione al servizio del sovrano attraversavano il territorio compiendo saccheggi. II sultani permisero agli abitanti dei villaggi di formare delle milizie e in caso di necessità di interdire ai forestieri l’accesso ai villaggi. Si ritiene che solo alcuni dei capi dei mercenari che si ribellavano allora intendessero proclamarsi governatori. In genere i capi delle truppe in rivolta erano sempre pronti ad accettare una missione ai confini e quindi ad entrare a far parte dell’apparato militare ottomano. E’ chiaro che volevano barattare il loro status precario con l’esenzione fiscale e gli altri privilegi dei giannizzeri. Le grandi scorrerie di questi avventurieri, che in alcuni periodi occuparono persino importanti città dell’Anatolia come Bursa o Urfa, portarono all’interruzione delle vie commerciali e spesso anche al nell’anno 1726, quando la dinastia safavide piegava verso la fine e una spedizione bellica dello zar Pietro I nel Caucaso aveva mostrato apertamente la debolezza della difesa iraniana. Nelle trattative di pace del 1730 fu concordato un confine sulla base del vecchio trattato del 1639. L’ultima guerra contro Venezia e il conflitto con gli Asburgo Dopo la perdita di Cipro (1571-73) restò a Venezia accanto ad alcuni porti sulla costa dalmata e a poche isole nel mar Ionio, solo l’isola di Creta, che controllava la rotta tra Istanbul e l’Egitto. Come già in epoca tardo antica questa provincia rivestiva un ruolo chiave nell’approvvigionamento di Istanbul e, per tale motivo, fu probabilmente la posizione geografica di Creta e l’indebolimento di Venezia nel XVI secolo a costituire il motivo per la campagna ottomana di conquiste, che si protrasse dal 1645 fino al 1669, fino a quando i Koprulu ne assunsero il controllo. I veneziani, tuttavia, quando cominciò a profilarsi la perdita di Creta, tentarono di stabilire una base alternativa nell’attuale Grecia (Peloponneso). Nel 1715, Venezia fu respinta al suo ruolo di porto regionale del’Italia settentrionale, centro di cultura e meta di viaggio per i gentiluomini della nobiltà europea. Certamente anche lo spostamento dei traffici del commercio a lunga distanza verso l’Atlantico e l’oceano Indiano, e la crisi della regione meridionale dell’impero germanico a ridosso di Venezia, causata dalla guerra dei Trent’anni (1618-1648), determinarono il declino della repubblica commerciale. La cosiddetta lunga guerra contro gli Asburgo per il dominio dell’Ungheria fu condotta tra il 1593 e il 1606. Nonostante una significativa vittoria ottomana le conquiste da parte del sultano di alcune fortezze ungheresi furono piuttosto modeste. Fino al 1663 sul confine ottomano-asburgico regnò una pace la cui scadenza era regolarmente rinnovata. I sultani ottomani si tennero fuori dalla guerra dei Trent’anni così come dalle guerre civili inglesi, che nel 1649 si conclusero con l’esecuzione di Carlo I. Nuove offensive ottomane in territorio asburgico seguirono solo negli anni Sessanta, quando una sconfitta delle truppe ottomane a San Gottardo sulla Raab inaugurò un nuovo periodo di pace di circa vent’anni. Nel 1683 una nuova spedizione militare portò al famoso secondo assedio di Vienna. Il fallimento dell’assedio del 1683 fu per gli Ottomani una sconfitta molto più seria di quanto non lo fosse stata nel 1529. In questo caso, infatti, gli Asburgo furono del tutto in condizione di seguire le truppe ottomane in ritirata sin oltre il confine, fino in Ungheria. Nel 1686 cadde la fortezza di Buda, per circa centocinquant’anni capitale dell’Ungheria ottomana. Le truppe asburgiche insieme agli alleati occuparono a grandi linee il territorio del regno tardo medievale dell’Ungheria, compresa la fortezza di Belgrado. Anche la Transilvania divenne infine territorio degli Asburgo. La Polonia, l’impero russo, tatari e cosacchi Già nella seconda metà del XVI secolo i sultani ottomani mostrarono un particolare interesse per l’assegnazione del trono polacco; il motivo principale era che nessun Asburgo né un principe vicino alla dinastia doveva divenire re. Tra la Polonia-Lituania e lo stato ottomano vi era una zona di confine scarsamente popolata nella quale i principi tatari della Crimea si sfidarono in una guerriglia permanente contro i cosacchi legati alla Polonia-Lituania o agli zar Russi. I cosacchi erano composti da gruppi molto diversi: i un primo tempo tra coloro che riconoscevano la sovranità degli zar non raramente vi erano i principi tatari che erano usciti perdenti nella contesa per il trono nella propria comunità. Gran parte dei cosacchi era però formata da contadini che volevano liberarsi della schiavitù dalla servitù della gleba, diffusa in Polonia e Russia. Agli occhi della nobiltà polacca i cosacchi rappresentavano un pericolo politico poiché si sottraevano al principio della servitù della gleba. All’inizio del XVII secolo per molti cosacchi la pirateria nel mar Nero divenne una fonte di guadagno e uno stile di vita. Le difficoltà della lotta ai pirati furono senza dubbio uno dei fattori che indussero i sultani ad aumentare il controllo sulle zone di confine battute dai cosacchi che erano attraversate dai grandi fiumi. Dopo le lunghe battaglie tra i tre sovrani che proseguirono lungo il XVII secolo, l’area di confine si spopolò ulteriormente e, nel 1681, il trattato di Radzin sancì la terra di nessuno come zona di separazione tra gli stati. I tatari rappresentavano un principato assoggettato al sultano, l’ultimo residuo dell’orda d’oro, che nel XIII e XIV secolo aveva dominato l’intera Russia. Come accadeva per i principati dipendenti il khan era nominato dal sultano ma doveva appartenere alla famiglia dominante, che si riteneva discendesse da Gengis khan. Secondo gli Ottomani questa famiglia era la più illustre del regno dopo quella del sultano, anche se fra i tartari vi furono, almeno nel XVIII secolo, anche altri aspiranti al ruolo di principe. In tempo di guerra i tatari costituirono una parte delle forze militari ottomane, ma spessoa girono ache indipendentemente dalle strategie di guerra del sultano. Le rapide spedizioni militari permisero loro di dare più volte alle fiamme Mosca o almeno le zone circostanti. Le spedizioni belliche dello zar Pietro I contro gli Ottomani non si conclusero con conquiste permanenti russe ma mostrarono come il principe di Moldavia, Demetrius Cantemir, anch’egli vassallo del sultano, venisse facilmente convinto a passare dalla parte degli zar. Conseguenze ancora più serie di quelle derivate dal conflitto contro Pietro I le ebbe però la guerra russo-ottomana del 1768-74, nella quale il sultano era entrato per arginare l’influenza degli zar in Polonia e per riconquistare la Podolia, persa nel 1699. Una flotta russa salpò dal mar Baltico verso il teatro di guerra nel Mediterraneo orientale dove annientò le navi ottomane. I comandanti della zarina Caterina II provocarono una rivolta nel Peloponneso. Le truppe irregolari albanesi, che erano state impiegate nella spedizione militare, instaurarono presto nella penisola un regime di terrore tale da rendere necessario un nuovo intervento dell’esercito che li allontanasse dalle proprie posizioni. Il trattato di Kucuk Kaynarca, che pose fine alla guerra dopo inutili tentativi (1774), comportò gravi perdite per l’impero ottomano. Con la Crimea, annessa definitivamente nel 1783, si perdeva per la prima volta un territorio musulmano. Successioni al trono e auto rappresentazioni della dinastia Con l’espressione <<supremazia delle donne>> fino a pochissimo tempo fa gli storici definivano il periodo tra la fine del XVI e la prima metà del VII secolo, nel corso del quale le madri dei sultani svolsero un significativo ruolo politico. Anche testimoni nell’epoca reagirono spesso in modo molto negativo all’eccesso di potere di queste donne. La madre del sultano svolgeva un’intensa attività soprattutto quando il sovrano era ancora minorenne, come nei casi di Murad IV e Mehmed IV che salirono ancora bambini. Ricerche più recenti hanno dimostrato che l’importanza delle madri dei sultani mutò all’interno della vita dinastica nel momento in cui cambiò la prassi di successione al trono. Fino alla metà del XVI secolo circa, era uso per una dama dell’harem che avesse dato un figlio al sultano partire in provincia con quest’ultimo per restarvi fin quando il principe non avesse raggiunto l’età giusta per assumere un governatorato. Quando Suleyman il Magnifico prese come consorte Hurrem Sultan successe però che, a causa dello stretto legame tra i coniugi, la maggior parte dei figli che concorrevano per il trono avessero la stessa madre. Così nelle lotte tra i figli Hurrem Sultan ebbe le mani legate, ma quando si trattò di procedere contro i figliastri, i figli del Magnifico nati da legami precedenti, ella agì <<in base alle regole>> per favorire in tutti i modi i propri. Tali manovre non avvennero più nell’isolamento di un palazzo di provincia ma in modo <<ampiamente visibile>> nella stessa Istanbul, il che spiega bene perché Hurrem Sultan fu vista, in particolare da coloro che volevano vedere come successore al trono un principe nato da un precedente legame di Syleyman, come una donna che ordiva intrighi e oltrepassava i limiti. Il successore di Selim II, Murad III, fu l’ultimo a ricevere ancora una formazione nin provincia. Successivamente i principi restarono a palazzo, sotto l’occhio vigile del sovrano e quasi senza alcun legame con il mondo esterno. Durante il XVII secolo la regola secondo cui il sultano al momento dell’ascesa al trono faceva uccidere i propri fratelli fu applicata sempre più raramente, fino a scomparire del tutto. Si stabili invece una successione al trono istituzionalizzata in base alla quale ogni volta saliva al trono il membro più anziano della casata degli Osman. Con la permanenza a Istanbul si aprirono per queste donne possibilità di influenza politica direttamente nel centro del potere. Oltre alla partecipazione agli intrighi del palazzo vanno menzionati i particolari legami con i giannizzeri che stazionavano nella capitale. Gli strumenti di potere delle madri dei sultani aumentarono ulteriormente quando, dalla seconda metà del XVI secolo, il sultano stabilì la propria residenza nell’harem. A dirigere l’harem vi era la madre e il sovrano trascorreva una buona parte del suo tempo nell’area controllata dalla Valide Sultan (madre). Attorno alla metà del XVII secolo, sotto la pressione delle guerre esterne e delle crisi di politica estera, fu compiuta una riforma delle strutture statali che accordava al gran visir un potere significativo e riduceva sensibilmente quello dei componenti femminili della dinastia. Ma nel corso del XVIII secolo le donne della famiglia del sultano tornarono ad avere un ruolo di rilievo. Non più le madri, bensìle figlie e le sorelle dei sultani regnanti, che dopo il matrimonio con alti dignitari si vedevano assegnati apalazzi sul Bosforo. Dotti, viaggiatori e scrittori politici Nel XVII secolo, nonostante la crisi di politica interna es estera, capitale ottomana conobbe una vita intellettuale molto diversificata. Katip Celebi produsse una vasta bibliografia dell’opera islamica, ancor’oggi adoperata, una cronaca e scritti riguardanti la riforma dello stato. Tra le sue numerose opere la più importante fu però il trattato geografico <<visione del mondo>>, con il quale egli voleva non solo riassumere le conoscenze geografiche sulle province ottomane ma anche organizzarle in categorie che aveva appreso nelle traduzioni degli atlanti olandesi, in particolare dell’Atlas Minor. Nel 1732 essa fu anche una delle prime opere ottomane date alla stampa. Evliya Celebi aveva viaggiato in tutto l’impero ottomano anche nelle regioni confinanti, come ad esempio in Sudan, in Iran occidentale e a Vienna. Evliya conosceva la produzione geografica della tradizione medievale araba e ottomana ma esportate quantità consistenti di olio d’oliva verso Marsiglia, dove fu impiegato in modo analogo per la fabbricazione di saponi. Nella regione costiera tunisina l’esportazione di olive portò sin dal XVIII secolo a uno stretto legame con l’economia della Francia meridionale. Si verificò però un cambiamento di tendenza attorno al 1600 e nel XVIII secolo: il cotone, grezzo o gia filato e tinto, diventò uno dei più importanti prodotti di esportazione e il motivo per cui i mercanti marsigliesi giunsero a Smirne e a Sayda nella Siria meridionale. L’economia ottomana ed europea Tra il 1720 e il 1765 il commercio e l’artigianato conobbero in molti centri dell’impero ottomano un periodo di espansione. Nei Balcani alcuni mulattieri si trasformarono in spedizionieri o commercianti di lunga distanza, tanto che arrivarono a visitare anche la fiera di Lipsia. Tale evoluzione si ebbe perché spesso i prodotti del lavoro domestico invernale venivano trasportati dai mulattieri in primavera per essere venduti solitamente su mercati molto lontani. Anche in altre zone dell’impero ottomano si manifestarono segnali di espansione economica. Anche a Tokat, città interna anatolica, venivano fabbricate stoffe di cotone stampato e oggetti di rame, mentre a Bursa venivano lavorate stoffe di cotone o delicati di tessuti di seta. Copie dei tessuti indiani erano talvolta esportate dai centri del mediterraneo orientale persino verso la Francia. appare rilevante che, dopo la pace di Passarowitz nel 1718, sul fronte occidentale e settentrionale, per alcuni decenni, furono condotte solo guerre di breve durata e lo stato ottomano si impegnò seriamente per rendere sicure nuovamente le vie del commercio. Furono costruiti han che divennero in alcuni casi il centro di nuove cittadine. In tal modo si intendeva riparare i danni della guerra del 1683-99, quando la concentrazione di tutte le forze nei Balcani aveva provocato un aumento di briganti sulle strade Anatolia e della Siria. L’esportazione di prodotti artigianali fu moderatamente importante per i mercanti ottomani e stranieri nel corso del Settecento; e il lavoro degli artigiani locali fu in genere destinato al mercato interno ottomano. Dal 1750 circa sembra quindi che l’integrazione nell’economia mondiale di regioni vicine alla costa, come ad esempio l’area egea, sia proceduta rapidamente. Ciò dev’essere avvenuto spesso, ma non per sempre, di pare passo con la deindustrializzazione. Ad esempio, i mercanti e le filatrici della cittadina tessalica di Ambelakia rifornirono prima le fabbriche inglesi e poi quelle austriache con pregiato filato di cotone, ma in ogni caso sia i produttori sia i commercianti erano ora esposti alle oscillazioni della domanda che avevano origine in centri economici ben più remoti e sulle quali non avevano la benché minima incidenza. oggetto di discussione restano anche le ragioni per cui l’unica conseguenza delle guerre alla fine del XVIII secolo fu semplicemente una crisi dei produttori di armi e di alimenti che non erano più nella condizione di rifornire in modo soddisfacente l’esercito ottomano. Le donne ottomane Dato che a partire dal 1600 circa vi è una maggiore disponibilità di fonti locali rispetto alle epoche precedenti, è possibile fare alcune affermazioni riguardo alle donne che abitavano in città e non appartenevano all’ambiente del palazzo. Una grossa parte delle fonti riguarda questioni patrimoniali, poiché il diritto religioso islamico accordava alle donne un diritto di successione, sebbene solo nella misura della metà della quota che spettava a un uomo di un pari grado di parentela. Rilevanti erano invece la possibilità che aveva una donna sposata di amministrare autonomamente il proprio patrimonio e il diritto ad avere una capacità giuridica. Molte donne si lamentarono dei tentativi dei parenti maschi di togliere loro l’eredità. Nei registri dell’ufficio del cadì sono spesso documentati anche debiti non pagati, dato chenon poche donne di città, grazie ai prestiti concessi, entravano in possesso di un piccolo reddito. Vi compaiono inoltre proprietarie di case e giardini. Vi sono anche notizie su filatrici che lavoravano per i mercanti, in particolare pare che centri tessili come Bursa o Ankara offrissero maggiori possibilità alle donne per guadagnare con il lavoro a domicilio. Le donne più agiate compaiono nei documenti soprattutto dopo aver istituito una fondazione. Solitamente si trattava di fondazioni a favore di moschee, ma a Bursa nel XVIII secolo, si incontrarono anche donne che si preoccupavano delle riparazioni di una strada o di un ponte. Un ulteriore tema di ricerca è rappresentato dall’attività religiosa, artistica e letteraria delle donne. Generalmente le ragazze prima della pubertà potevano frequentare una scuola coranica, anche se la maggior parte delle donne aveva probabilmente imparato a leggere e scrivere a casa. Fu soprattutto nelle famiglie degli alti dignitari giuridico religiosi e sei dervisci che comparvero sempre più donne in grado di leggere e scrivere. Anche nella poesia ottomana vi fu occasionalmente una presenza femminile: nel XVIII secolo divenne famosa Fitnet Hatun, originaria di Istanbul. Nell’ambito delle arti figurative vi erano ricamatrici e filatrici di tappeti anche se prima del XIX secolo era molto raro che queste firmassero per i propri lavori. 4. IL SECOLO PIU’ LUNGO DELL’IMPERO (1774-1923) Crisi politica e militare al volgere del XIX secolo I gravi successi nella guerra del 1768-74 indussero la guida dello stato ottomano, in particolare dopo l’ascesa al trono del sultano Selim III, a puntare maggiormente verso l’acquisizione delle tecniche militari europee. Gli ottomani uscirono vittoriosi solo da poche guerre. Le ragioni sono più di ordine economico e politico che di tipo militare in senso stretto. Fino alla fine del XVIII secolo infatti la maggior parte dei sudditi ottomani, compresi i cristiani dei Balcani, non era stata disposta a partecipare alle cospirazioni contro il dominio ottomano, che invece nel XVI secolo non erano state affatto rare. Attorno al 1800 la situazione degli oppositori all’impero ottomano si mostrava diversa rispetto a due secoli prima: l’Inghilterra aveva fatto grandi progressi sulla via dell’industrializzazione ed era entrata in possesso di ampi possedimenti coloniali in India, la cui difesa sembrava presupporre una politica attiva nel Mediterraneo. Napoleone non era riuscito nell’acquisizione dell’Egitto, ma nel 1830 la Francia conquistò l’Algeria mentre la Tunisia divenne colonia francese nel 1881. La monarchia degli Asburgo nel corso del tardo XVII e del primo XVIII secolo si era spinta profondamente nei Balcani. Per lo stato ottomano tuttavia il nemico più pericoloso era senza dubbio l’impero zarista. Da un lato gli zar rivendicavano una sorta di protettorato sui cristiani ortodossi dei Balcani, dall’altro gli autocrati russi avevano costituito dai primi anni del XVIII secolo un significativo potere militare. Se a questi fattori politici si aggiunge anche <<l’incorporazione>> nell’economia mondo determinata a livello europeo, che alla fine del XVIII secolo procedeva speditamente, appare chiaro come lo stato ottomano si trovasse a partire dal 1815 circa, in una situazione pericolosa. Nonostante l’interesse dei sultani del primo XIX secolo per un cambiamenti nella struttura militare, almeno fino al 1826, le possibilità di un’innovazione in questo campo furono molto limitate. Le nuove tecniche richiedevano soprattutto soldati addestrati in modo particolare, ma questi sarebbero presto entrati in piena concorrenza con i giannizzeri che erano strettamente legati alla popolazione artigiana delle grandi città. La misera esistenza di questi ultimi dipendeva però dai privilegi fiscali da cui godevano per la loro partecipazione alle milizie divenute corpo militare. Le milizie di artigiani si rafforzarono nella propria posizione grazie al sostegno delle componenti più povere degli ulema. In questo ambito coloro che non appartenevano a famiglie affermate e che avevano ricevuto la propria formazione in provincia, si videro sempre più allontanati verso incarichi meno redditizi. Gli ulema, anche quelli nelle posizioni più modeste, si legittimarono in tal modo come custodi della comunità musulmana. Se i musulmani avessero vissuto seguendo le prescrizioni dell’Islam non sarebbero stati esclusi, grazie all’aiuto di Dio, dalle spedizioni militari vittoriose. Era possibile, di conseguenza, rinunciare fiduciosamente all’imitazione delle abitudini degli <<infedeli>>. Al contrario, i componenti dell’elite ottomana pensavano in modo più pragmatico: per poter tornare a vincere, occorreva innanzitutto trarre le conseguenze degli errori politici e militari commessi precedentemente. Erano necessarie, quindi, riforme nella strategia e nella tattica. Anche la diplomazia andava tuttavia rivalutata perché solo in tal modo si poteva sperare di prevedere in tempo gli improvvisi mutamenti di alleanze che erano tipici della politica europea. Sarebbe stato un grave errore credere che Dio avrebbe determinato la vittoria dei musulmani contro gli infedeli. Ahmed Resmi, ad esempio, sottolineava che vi erano piuttosto regole della politica e della guerra che valevano per tutti gli stati e chi non le seguiva avrebbe soltanto determinato la propria sconfitta. Ne risultò un conflitto a cui si assiste in diverse forme fino al 1918 e anche successivamente. Tale conflitto si sviluppò tra un elite pronta a sperimentare importazioni tecniche moderne e istituzionali provenienti dall’Europa per salvare l’impero, e un ceto inferiore convinto che questo fosse un percorso sostanzialmente sbagliato. Le differenze socioculturali tra il ceto alto e il ceto inferiore vi erano state anche in epoche precedenti ma non avrebbero mai toccato aspetti fondamentali come il rapporto tra religione e politica. Nemmeno il ceto elevato ottomano riuscì a tenere sempre insieme l’impero ottomano e per tale motivo i nemici del <<pragmatismo ottomano>> ebbero sempre nuovi argomenti a disposizione. Il sultano Selim III tentò di riformare l’esercito attraverso l’istituzione di un particolare corpo militare denominato <<Nuovo ordine>>. L’addestramento fu affidato a istruttori europei e i soldati ricevettero un migliore equipaggiamento. Il sultano fu però deposto e infine ucciso. Di fronte a questa minaccia il nipote di Selim, Mahmud II impiegò oltre un decennio dalla sua ascesa al trono a stabilizzare il potere. Egli si creò una base in provincia, dove ridusse con misure drastiche l’influenza dei notabili e magnati che nel corso del XIX secolo erano giunti al potere. Questa politica condusse a diversi successi nelle province centrali, dopo che il sultano ebbe ricostituito un’unità militare modernizzata. A seguito di una rivolta i importanti. Inoltre in Grecia, Serbia e Bulgaria il panorama politico era dominato da gruppi politici intenzionati ad annettere altri territori alla propria <<madrepatria>>. Furono mantenuti in piedi eserciti abbastanza grandi, che contribuirono in modo non irrilevante a gravi indebitamenti e in alcuni casi persino alla bancarotta dello stato. Fino al 1870 circa, questi progetti di espansione per lo più fallirono perché configgevano con gli interessi inglesi. Fino agli ultimi decenni del XIX secolo i principati balcanici avevano interessi in comune, nel senso che i territori di cui tentavano di entrare in possesso erano tutti ottomani, ed essi agivano senza entrare in contrasto tra di loro. La situazione mutò a partire dal 1870 circa, quando i diversi stati nazione che erano in rivalità fra loro reclamarono l’annessione di regioni a etnia mista o che non possedevano comunque una composizione omogenea della popolazione. I seguaci della cosiddetta Megali Idea (la grande idea) in Grecia, ad esempio, speravano includere l’ampio territorio dell’antico impero bizantino e il governo greco sotto Venizelos tentò di realizzare questo piano dopo la fine della prima guerra mondiale con una spedizione bellica nell’Anatolia occidentale. Solo il fallimento totale di questa azione militare nel 1922 gettò discredito su tale progetto. La Macedonia, che si trovava ancora in mani ottomane, rappresentava il pomo della discordia tra Bulgaria, Grecia e Serbia. Dato che si supponeva che la futura appartenenza del territorio sarebbe stata determinata in modo decisivo dal senso di identificazione nazionale degli abitanti, i tre paesi confinanti vi istituirono ognuno un proprio sistema scolastico grazie al quale gli studenti avrebbero ricevuto un’educazione in linea con quella impartita nei singoli stati. Altra fonte di tensione fu la situazione degli albanesi, che nel corso del XIX secolo erano per lo più diventati musulmani. Qui l’opposizione agli Ottomani fu scatenata dalle riforme militari dell’epoca, che comportarono il disarmo delle popolazioni locali, la tassazione universale e la leva. Tuttavia questi signori, membri del clan che avevano fornito i soldati si opponevano categoricamente alla leva e alla nuova disciplina militare. Inoltre, quando l’impero ottomano cominciò a perdere ampi territori nei Balcani, gli albanesi più istruiti cominciarono a chiedere l’autonomia per evitare di diventare parte degli stati nazionali ortodossi che spesso espellevano i cittadini musulmani. Racchiuse in un documento divenuto noto come i <<quattordici punti>>, le richieste concrete includevano la concentrazione di tutti i territori abitati da albanesi in una sola provincia, che doveva essere amministrata da funzionari di origine locale. Gli albanesi dovevano prestare servizio soltanto nel proprio territorio: si trattava di un compromesso tra la domanda di coscritti dello stato centrale e l’insistenza da parte dei clan locali di costruire un esercito volontario. Oltre a ciò, le scuole nella provincia dovevano adottare la lingua albanese. Un ruolo centrale ebbero invece gli sforzi compiuti dalle grandi potente impegnate nei Balcani e nel Mediterraneo affinché nessun rivale nella regione, che era strategicamente importante, divenisse troppo potente. Per questo i trattati di pace contemplavano alcune disposizioni che misero d’accordo le potenze coinvolte. Oltre alle offensive egiziane nel 1831 e nel 1833, e ancora nel 1839 e nel 1841, l’insurrezione greca si protrasse per tutti gli anni Venti. Nel 1828-29 si giunse a una guerra contro l’impero zarista. Nel 1878 le forze militari dello zar avanzarono fino ai sobborghi della capitale ottomana. Il trattato firmato a San Stefano, sanciva la creazione di un grande principato bulgaro, che avrebbe rappresentato uno stato vassallo degli zar nelle immediate vicinanze della capitale ottomana. Ciò era inaccettabile da parte delle altre potenze e nello stesso anno, al congresso di Berlino, una revisione del trattato vide assegnare alla Bulgaria un territorio di gran lunga più piccolo. Sul finire del secolo, mentre era un corso una guerra tra la Grecia e l’impero ottomano, il governo inglese smise di opporsi allo smembramento dell’impero. Tuttavia nel 1908 scoppiò una nuova serie di conflitti quando l’Austro-Ungheria promulgò l’annessione delle province di Bosnia ed Erzegovina che occupava dal 1878. Questo evento suscitò un’ostilità permanente a Istanbul, perché questi territori, a larga maggioranza musulmani, erano stati possedimenti ottomani sin dal 1400, ma anche a Belgrado, dove il governo sperava di annettere una larga popolazione che parlava una lingua molto simile al serbo. Inoltre, il regno di Serbia potè contare sull’appoggio della Russia. In moltissimi casi le perdite territoriali ottomane si accompagnarono a espulsioni di massa ed emigrazioni. Molto più frequente fu però la fuga delle operazioni di guerra e dai massacri della popolazione musulmana che costituirono una parte consistente delle guerre di indipendenza nei Balcani. Intere popolazioni furono costrette all’emigrazione, come i circassi dopo l’annessione da parte dell’impero zarista della regione da loro abitata. I profughi spesso persero tutti i propri beni e vissero a Istanbul, per lo più in pessime condizioni e decimati dalle malattie, fino a quando l’amministrazione ottomana potè assegnare loro una nuova residenza. Tale situazione rappresentò lo sfondo dei cosiddetti orrori bulgari: nel 1876 in Bulgaria scoppiò la rivolta, durante la quale furono massacrati i musulmani che vivevano in gran numero nella regione. Per reprimere la rivolta il governo ottomano stanziò truppe irregolari. La ristrutturazione dello stato e dell’esercito (1839-78) Nel 1839 fu promulgata una legge passata alla storia con il nome di Tanzimat (<<riorganizzazione>>). Con essa si garantiva a tutti i sudditi la sicurezza della vita, della proprietà e dell’onore e si regolava il rapporto tra il sovrano e le classi dirigenti. Fu abolita la condizione nella quale si trovavano, sin dal XV secolo, i notabili ottomani, ad eccezione degli ulema. Nel 1856 il rescritto fu ampliato ulteriormente da un’altra ordinanza che, pur confermando l’Islam come religione di stato, stabiliva l’uguaglianza di tutti i sudditi maschi davanti alla legge. Nel 1858 seguì la riorganizzazione della proprietà terriera. I terreni e i pascoli rimanevano proprietà dello stato, e i proprietari che non utilizzavano la terra potevano perderla per confisca. Ma per il resto la proprietà dello stato era eguagliata alla libera proprietà. Obiettivo della riforma era ridurre la pluralità di diritti che prima potevano essere esercitati da diverse persone su un unico pezzo di terra, e di conseguenza, movimentare il mercato dei terreni agricoli. La commerciabilità delle proprietà terriere, al contrario, avrebbe contribuito a un loro migliore utilizzo. Il significato delle riforme era anche di vincolare i sudditi non musulmani al potere del sultano, in quanto si offrivano ai loro notabili nuove opportunità di partecipazione politica. Tra i cristiani dei Balcani riscosse al contrario poco successo e quando la congiuntura politica diede loro una possibilità di scelta, la maggior parte optò per la formazione di nuovi stati nazionali. I sovrani e la burocrazia fino al 1908 Dopo la morte del sultano Mahmud II il potere della politica interna passò nelle mani del gran visir e dei suoi sottoposti, sempre più numerosi. Questo cambiamento venne ulteriormente facilitato attraverso la graduale introduzione di ministeri specifici e dalla codificazione delle regole sulla formazione e la carriera dei funzionari. Il gran visir ebbe quindi a disposizione una burocrazia in corso di modernizzazione anche se la conoscenza del francese, che rivestiva un ruolo chiave nella nuova formazione non era ugualmente ripartita nei singoli ministeri. Contro il potere degli alti funzionari, che erano responsabili solo di fronte a un sovrano piuttosto passivo, si sollevò in maniera forte ed efficace la voce dell’opposizione da parte ei cosiddetti Giovani ottomani. Nel corso della crisi che seguì le sconfitte del 1878, si giunse comunque all’approvazione di una costituzione e alla definizione di un parlamento. La costituzione sanciva ancora una vlta l’uguaglianza dei sudditi e in ciò è possibile cogliere i tentativi delle potenze europee di ottenere costantemente nuovi privilegi per i progetti cristiani. La nuova costituzione, appoggiata da Murad V, ebbe vita breve. Il nuovo sultano, che regnò per soli tre mesi nel 1876, non ebbe nervi abbastanza saldi per sostenere il ruolo che la sua funzione richiedeva in politica interna ed estera. Egli fu deposto e salì al trono Abdulhamid II, una delle personalità più discusse ad aver ricoperto la carica del sultano. In politica estera si deve a questo sovrano l’aver ritardato, ancora per alcuni decenni, la dissoluzione dell’impero ottomano. In politica interna regnò in modo assolutistico, abolì la costituzione e il Palazzo tornò a essere il centro del potere. L’ampio uso che fece Abdulhamid di argomenti islamici per la legittimazione dello stato gli valse grandi simpatie tra la popolazione musulmana. Anche in politica estera ne derivarono alcuni vantaggi: i musulmani indiani videro ad esempio nel califfo (abdulhamid) una fonte di sostegno almeno morale nei confronti del potere coloniale inglese e della maggioranza rappresentata dalla popolazione indù. Abdulhamid si adattò alla nuova situazione anche tentando di integrare nello stato ottomano i sudditi arabi che costituivano una parte molto più consistente della popolazione di quanto non lo fossero prima delle perdite nei Balcani. I figli dei notabili arabi furono incoraggiati a terminare la scuola dell’amministrazione dei sultani e a intraprendere la nuova carriera burocratica. Nell’Anatolia orientale il sultano applicò il principio del divide et impera tentando di trarre profitto dalle contrapposizioni tra armeni e curdi. La guerra italo-turca e le guerre balcaniche (1911-13) Il lasso di tempo che seguì alla reintroduzione della costituzione nel 1908 vide un rapido susseguirsi di crisi in politica estera, e svanirono molto velocemente anche le speranze di una liberalizzazione e di pace interna che nutrivano tanti musulmani e non musulmani. Anche la censura, abolita per un breve periodo nel 1908, fu introdotta di nuovo. oltre all’annessione austro-ungarica della Bosnia, nel 1911 l’Italia attaccò e occupò Tripoli, l’ultimo possedimento ottomano in Nordafrica. Gli eserciti alleati conquistarono il Kosovo e molti degli albanesi che si erano precedentemente ribellati entrarono nell’esercito ottomano in un ultimo disperato tentativo. Le forze ottomane erano però disorganizzate e in sovrannumero e furono presto costrette alla resa. Le forze alleate presero Adrianopoli e si fermarono solo a pochi chilometri dalla capitale. Inoltre, la Grecia annetté l’isola di Creta e l’esercito greco entrò a Salonicco, una nell’opposizione contro il regime neoassolutistico che apparve per la prima volta il tema del nazionalismo turco. La borghesia mercantile nelle province centrali ottomani era composta in buona parte da greci e armeni, le cui aspirazioni nazionalistiche erano dirette contro l’integrità territoriale dell’impero ottomano. Una delle idee discusse fu che lo stato dovesse contribuire alla nascita di una borghesia <<straniera>>: in questo periodo andò affermandosi l’attitudine per cui ogni tanto appoggiava gli interessi del gruppo o dei gruppi etnici dominanti che venivano nel suo territorio mentre si disinteressava completamente delle minoranze. L’obiettivo fu raggiunto durante la prima guerra mondiale, anche se la creazione di una borghesia musulmana con l’aiuto dello stato divenne effettiva solo dopo il 1923 nel periodo repubblicano. L’opposizione contro Abdulhamid si organizzò nel già citato Comitato e Progresso, una libera unione di diversi gruppi. Ciò che univa i seguaci dell’opposizione nota anche con il nome di Giovani turchi, era una visione del mondo fondamentalmente secolare. Leggevano inoltre gli scritti di Leon Cahun sui turchi e, in seguito, molti sostenitori del movimento abbracciarono le idee razziste, allora diffuse in Europa. Il colpo di Stato che nel 1908 costrinse il sovrano a reintrodurre la costituzione significò il passaggio a una monarchia costituzionale. Il nuovo sultano Mehmed V Resat, che nel 1909 prese il posto del sultano deposto Abdulhamid, non potè fare nient’altro che firmare i disegni di legge del consiglio dei ministri. Il nazionalismo dichiarato dei Giovani turchi favorì la nascita di movimenti nazionali anche tra quei gruppi che fino ad allora ne erano rimasti estranei, come accadde ad esempio per molti arabi siriani. Stampa, teatro e fotografia Nella capitale, e in misura minore anche nelle grandi città di provincia come Smirne e Salonicco, la seconda metà del XIX secolo portò innovazioni nel campo della letteratura e delle arti figurative. Prima e dopo il volgere del secolo si affermò in breve tempo una produzione di carta stampata con la crescente specializzazione di alcune riviste su argomenti specifici. Una rivista si concentrò sempre di più sulla critica musicale. Ciò fu naturalmente possibile soltanto perché i concerti pubblici e le rappresentazioni d’opera costituivano a quell’epoca parte integrante della vita culturale di Istanbul. la diffusione di giornali e riviste fu ostacolata non solo dalla censura ma anche dall’alto tasso di analfabetismo e dal cattivo sistema di trasporti. Molte persone leggevano i quotidiani nel caffè: ciò permise anche ai ceti meno abbienti la lettura dei giornali, pur limitando il numero dei potenziali acquirenti. Tuttavia, la pubblicazione di quotidiani consentì ad alcune imprese di Istanbul di affermarsi come editori, considerando che, fatta eccezione per i libri scolastici, il mercato librario era molto ristretto. Nell’editoria di Istanbul ebbero un ruolo considerevole gli armeni, che parlavano correttamente l’ottomano come seconda lingua e talvolta anche come prima. Gente di teatro di origine armena ebbe anche una parte importante nello sviluppo del dramma ottomano che nella seconda metà del secolo attirò sempre più estimatori. Anche nella fotografia degli inizi la partecipazione di stranieri, come gli appartenenti alle minoranze cristiane, in una prima fase fu altrettanto ampia. Le opere di Ali Sami, che insegnò fotografia nella scuola militare, mostrano non solo scene di vita di strada ad Istanbul ma anche, in modo enfatico, la famiglia <<moderna>>: componenti femminili e maschili, tutti vestiti alla moda, erano mostrati con libri e giornali. I membri dei ceti elevati si entusiasmarono per i biglietti da visita corredati di ritratti, che alla fine del XIX secolo divennero alla moda e che oggi rappresentano una fonte di grande valore per gli storici sociali. L’istruzione ed educazione <<in nuovo stile>> L’università ottomana cominciò a funzionare con continuità solo nel Novecento. Alcuni tentativi iniziali erano falliti non solo per l’assenza di docenti e di libri ma anche per la diffidenza di alcuni membri del ceto dirigente nei confronti degli studenti, che avrebbero potuto essere ostili al governo, com’era accaduto in alcuni paesi europei. Sin dalla fine del XVIII secolo furono istituite scuole destinate alla formazione dei militari e, in seguito in modo sempre maggiore, anche dei funzionari civili. Particolarmente nota era la scuola per gli ingegneri dell’esercito. Tra le istituzioni civili ebbe una certa importanza la scuola dell’amministrazione, che infondeva nei suoi allievi un profondo spirito di gruppo. Inoltre, sin dal periodo delle Tanzimat, si mandavano i giovani a studiare in Francia e in Belgio, per quanto le autorità ottomane fossero sempre preoccupate dei possibili contatti che questi potevano avere con idee politiche radicali. Il francese si affermò come lingua per l’educazione letteraria, in aggiunta alla triade tradizionale rappresentata da arabo, persiano e turco ottomano. Fino alla seconda metà del XIX secolo, tuttavia, gli studenti ottomani non erano preparati a sufficienza per questi istituti di alta formazione. Le scuole secondarie statali avevano difficoltà ad affermarsi. Dal 1867 entrò in funzione una scuola d’elite, in un antico palazzo di Istanbul, esistente ancora oggi. La scuola seguiva i programmi didattici del liceo francese, le lezioni si svolgevano in francese e facevano parte del corpo insegnanti noti personaggi della vita letteraria dell’epoca. La scuola era aperta a persone di tutte le religioni. La grande maggioranza di coloro che aspiravano a una formazione di base, però, si indirizzava verso l’istruzione provata: scuole locali in cui oltre a leggere, scrivere e far di conto si insegnava anche il Corano a un livello di base, oppure scuole parrocchiali, di più facile accesso per i cristiani. All’epoca di Abdulhamid furono promosse anche scuole elementari e medie statali musulmane. Le lezioni di religione nelle prime classi occupavano un posto di primo piano, poiché si riteneva bisognasse educare gli studenti ad essere pii e devoti nei confronti dello stato. Nelle province a larga maggioranza sciita come l’Iraq, il sostegno statale all’istruzione aveva come scopo la diffusione dell’Islam sunnita. L’offerta scolastica era, infine integrata con seminari di formazione per gli insegnanti. Il mondo delle donne Per molto tempo ha fatto parte degli assiomi degli storici della Turchia moderna l’idea che i diritti politici e l’ampio accesso all’istruzione di cui le donne turche godettero a partire dal 1930 non fossero il risultato di battaglie delle stesse donne né tanto meno la risposta a richieste da loro avanzate. A Istanbul e in alcune grandi città, alcune situate oggi in Siria e Libano, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo si costituirono molti gruppi di donne che chiesero una migliore istruzione femminile. Tra i periodici in lingua araba, ci sono pubblicazioni rivolte alle donne dal 1890. In genere gli editori erano donne cristiane. Le giornaliste ricevettero anche l’appoggio di uomini che, almeno per quanto concerne la stampa in lingua turca, scrissero numerosi contributi sulle riviste femminili, soprattutto in senso nazionalistico. Inoltre, sempre più uomnii colti volevano che le proprie mogli possedessero almeno un certo grado di istruzione. Del resto, l’igiene e l’alimentazione nella vita quotidiana di una famiglia dipendevano dall’educazione femminile, oltre al fatto che gli uomini letterati avevano familiarità con la letteratura dell’epoca in cui l’amore e i piaceri delle conversazioni colte costituivano un tema importante. Un ambito nel quale alcune donne istruite poterono impegnarsi fu la pubblicistica. Molte donne armene ottomane divennero famose come attrici. Le donne musulmane, infatti, non furono autorizzate a calcare le scene che dopo il 1923 mentre a Istanbul il teatro prosperava dal 1850. Altre donne del ceto elevato ottomano, musulmane, greche, fecero le prime esperienze di partecipazione alla sfera pubblica attraverso le attività di organizzazione caritatevoli. Le donne musulmane operarono per la Mezzaluna Rossa, soprattutto nel corso della prima guerra mondiale. Alcune poterono svolgere l’attività di insegnanti, visto che nelle scuole femminili le lezioni dovevano essere impartite solo da donne. 5. L’ESERCITO OTTOMANO. LA PRIMA GUERRA MONDIALE E LA FINE DELL’IMPERO Il governo militare Un’intensa politicizzazione dei corpi ufficiali ottomani si era gia verificata durante il regno di Abdulhamid. A quell’epoca diversi comandanti capaci, stimati dai propri subordinati, erano stati assegnati a posti non di comando, oppure spediti all’estero in missioni diplomatiche perché il sultano temeva che potessero utilizzare il loro prestigio per future ribellioni militari. Infatti, il colpo di stato o la rivoluzione del 1908 furono in parte causati dall’insoddisfazione degli ufficiali impegnati nei combattimenti contro gli insorti in Macedonia che sentivano di non ricevere l’appoggio necessario. Nel corso degli anni successivi i comandanti di alto grado furono fortemente coinvolti in politica: così, una ribellione nel 1909 che mirava alla restaurazione di Abdulhamid come sovrano assoluto fu sedata grazie all’intervento di un corpo militare che non era di base a Istanbul. Quando l’Italia occupò Tripoli nel 1911, molti ufficiali accusarono il governo di lasciare troppo rapidamente al nemico l’ultima provincia del Nordafrica. Nel 1912 il Comitato Unione e Progresso subì una breve battuta d’arresto quando Nazim Pascià, comandante della Prima armata che stazionava a Istanbul, si oppose da parte sua a qualsiasi attività nell’ambito dell’esercito e, nello stesso anno, l’esperto generale Gazi Ahmed Muhrar Pascià formò un governo nel quale il Comitato non era rappresentato. Nel gennaio 1913, tuttavia, dopo soltanto pochi mesi d’attività, il governo fu rovesciato quando la sede del primo ministro fu attaccata da un distaccamento militare. Il ministro della Guerra fu ucciso e la cosiddetta <<ala militare>> del Comitato prese il potere. Questo colpo di stato fu la diretta conseguenza della minaccia alla città di Adrianopoli. Il governo militare non si concluse dopo che Adrianopoli venne ripresa nel luglio 1913 e in realtà continuò fino alla fine della prima guerra mondiale. Nella cruciale estate del 1914 il governo ottomano si trovava nelle mani dei militari. Enver Pascià, che guidava l’esercito divenne la figura chiave del governo. Le importanti divisioni interne al corpo ufficiale tuttavia continuarono e soldati politicamente attivi potevano essere tra gli unionisti ma anche tra i loro oppositori. Un altro genere di tensione, strutturale e di lunga durata, riguardava lo scontro tra gli campagna d’inverno contro i russi nel Caucaso, il cui piano di battaglia, prevedendo di attaccare su un ampio fronte nell’Anatolia orientale, attirava i russi all’interno del territorio ottomano, per isolarli quindi dalle loro basi di rifornimento grazie a un attacco da dietro. In questa regione, però, quasi non c’erano ferrovie e rigidi inverni. Inoltre, le truppe non erano state rifornite di uniformi ed equipaggiamento adeguato. L’invasione russa incoraggiò gli attacchi da parte degli armeni della regione contro la popolazione musulmana. Particolarmente seria fu una ribellione di nazionalisti armeni nella città di Van, che fu occupata dall’esercito russo con una grave perdita di vite musulmane. Fu in questo scenario che il governo ottomano diede l’ordine di trasferire gli armeni da molte aree dell’Anatolia per collocarli nell’Iraq settentrionale. L’insediamento doveva essere situato almeno a 40 km dalla ferrovia di Baghdad, una decisione che limitava gli insediamenti ad aree aride e infertili, dov’era quasi impossibile condurre una qualsiasi esistenza. Concepita in origine come una misura di guerra, il governo presto ritrattò la sua posizione e ordinò la vendita delle proprietà dei deportati ai rifugiati musulmani. Lungo la strada i deportati non ricevettero quasi provviste o protezione; talvolta i soldati che avevano l’incarico di proteggerli si accordarono con i briganti e altri aggressori. Gli omicidi di massa ne furono la conseguenza. La quantità di persone che morirono a causa della fame, del freddo, delle malattie, degli attacchi di vendetta e del brigantaggio no si conosce con precisione. E’ importante ricordare che nel 1915 alcune zone dell’Anatolia orientale vivevano uno stato di guerra civile che in parte aveva preceduto il conflitto del 1914-15 ma che fu aggravato dall’avanzata russa e che anche le perdite tra la popolazione musulmana a causa dei massacri compiuti da bande armene furono terribili. Un ‘altra importante ribellione riguardò la famiglia hascemita che governava l’Hijaz, la regione dove si trovano le città sante (la Mecca e Medina). In questo caso l’appoggio esterno alla rivolta arrivò dai britannici, interessati all’influenza che il califfo, che per secoli era stato il sultano ottomano, avrebbe potuto esercitare sui propriì sudditi musulmani in India e altrove. Infatti, Abdulhamid II aveva compiuto sforzi considerevoli e spesso fruttuosi per promuovere il prestigio del califfato tra i sudditi coloniali musulmani in India e negli altri paesi. Infatti, Abdulhamid II aveva compiuto sforzi considerevoli e spesso fruttuosi per promuovere il prestigio del califfato tra i sudditi coloniali musulmani di Regno Unito e Olanda. Nei primi giorni della guerra, il sultano ottomano aveva lanciato un appello alla guerra santa che tuttavia aveva sortito pochi effetti pratici in India e negli altri paesi. Fu allora che gli strateghi politici britannici previdero che Istanbul e quindi il sultano-califfo sarebbero presto finiti sotto il controllo russo. Questa valutazione era dietro la proposta avanzata allo Sharif HHusayn, governatore della Mecca sotto il dominio ottomano. Di trasferire il califfato nella città santa se si fosse potuta provocare una ribellione araba contro gli Ottomani. In tal caso, Sharif Husayn sarebbe diventato il nuovo califfo. La rivolta araba nel deserto causò seri problemi all’esercito ottomano, anche soltanto per l’interruzione delle linee ferroviarie e il disturbo arrecato alle truppe che si spostavano nell’area. Fino al crollo della Russia nel 1917, le armate ottomane non riportarono un gran numero di successi sulle armate dello zar. Invece, contro i britannici e i loro domini, gli Ottomani conseguirono un’importante vittoria strategica nell’estate del 1915, quando la marina britannica, con un forte appoggio all’esercito, tentò uno sbarco. Il vero obiettivo della campagna militare era rifornire le armate dello zar per il mar Nero. Nella mente di alcuni strateghi militari, però, questa impresa doveva servire anche a scopi più ambiziosi: miravano a occupare Istanbul e forse anche a vincere la guerra contro la Germania con la graduale confitta dell’impero ottomano e austro- ungarico. Dato che il comando britannico non voleva trasferire molte truppe da occidente, si tentò lo sbarco con un numero limitato di soldati, molti dei quali australiani e neozelandesi. Le truppe ottomane furono i grado di cacciare gli invasori e costringerli al ritiro. le armate ottomane riuscirono anche a contenere un’invasione britannica nell’Iraq meridionale. Gli invasorìi raggiunsero i pressi di Baghdad ma furono decimati dai combattimenti lungo il percorso. I sopravvissuti invece ripararono nel forte di Kutal- Amara dove si ritrovarono però isolati dalle rive del Tigriì e dopo un lungo assedio furono costretti ad arrendersi agli oppositori ottomani nell’aprile 1916. I britannici, tuttavia, presero Baghdad nel 1917, e poi nel 1918, dopo che era stato già firmato l’armistizio, occuparono Mosul, una preda desiderata perché la regione era note per i suoi possedimenti di petrolio. Più lontano a Ovest, il tentativo di Cemal Pascià di impadronirsi del canale di Suez nel febbraio 1915 non ebbe l’appoggio della rivolta locale che egli aveva evidentemente previsto. Il fallimento dello sforzo bellico russo nel 1917 provocò anche la secessione dei possedimenti caucasici dell’impero. Per ìun breve periodo, fu costituito uno stato transcaucasico che presto si divise nelle tre piccole repubbliche di Georgia, Armenia e Azerbaigian. Mentre l’Azerbaigian era uno stato musulmano con un’ampia popolazione sciita, gli altri due erano cristiani. I tedeschi appoggiarono la Georgia nel tentativo di guadagnarsi l’accesso ai campi petroliferi di Bakìu. Si sperava inoltre che in questo modo si potesse stabilire un contatto con i musulmani turco foni dell’Asia centrale. A tale scopo venne costituita un’armata che riuscì a ottenere qualche successo. A causa della rivalità sui campi petroliferi di Baku, l’alleanza ottomano tedesca nel 1918 si deteriorò fino ad arrivare alla rottura. La rivolta araba fu meno importante dell’avanzata delle truppe regolari britanniche in Palestina. Il generale Allenby prese Gerusalemme alla fine del 1917 e nel corso degli anni seguenti avanzò costantemente verso Nord. La ritirata ottomana avvenne però in modo regolare e gli stessi britannici non previdero la fine della guerra prima del 1919-20. Per prima la Bulgara invocò un armistizio, compromettendo quindi il rifornimento del materiale militare tedesco. Poco dopo i tedeschi furono sconfitti in Francia e nel novembre 1918 una rivoluzione travolse il Kaiser e il suo governo. In queste condizioni gli Ottomani non avevano molta scelta e il 31 ottobre 1918 venne siglato l’armistizio di Mudros. I più importanti unionisti lasciarono il paese. Enver Pascià dopo essersi trasferito nella neonata Unione Sovietica, in un rimo momento sembrò sostenere i bolscevichi, ma presto passò tra le file degli antibolscevichi e nel 1922 fu ucciso in battaglia, nella regione che oggi si chiama Tagikistan. Il finanziamento della guerra e la vita della <<gente comune>> La serie di guerre iniziate con la battaglia di Tripoli nel 1911 e proseguite fino al 1923 dissestarono completamente le finanze ottomane e il sostentamento della gente comune. Il governo ottomano intraprese un azione simile solo nel 1918, dietro pressioni del governo tedesco. Il finanziamento tramite le tasse, al contrario, coprì solo una piccola parte delle spese. I prestiti tedeschi ammontarono a circa 235 milioni di lire turche; ma le spese di guerra ottomane furono in larga parte finanziate con l’emissione di valuta. Per questo motivo il costo della vita dell’impero ottomano aumentò più rapidamente che nei paesi alleati o avversari. La produzione di cartamoneta e la conseguente inflazione causarono uno sconvolgimento sociale. Coloro anche ricevevano redditi fissi e pensioni ne soffrirono pesantemente; e visto che la gente si aspettava un’ulteriore svalutazione della valuta, ci fu una generale fuga dalla moneta e un aumento della domanda di beni nel mercato civile, al di là degli enormi acquisti di guerra del governo. I clienti non solo subivano la scarsezza di beni essenziali ma si immaginavano peggiori ristrettezze per il futuro: questa previsione spinse non soltanto i commercianti ma anche i consumatori comuni ad accumulare scorte di qualsiasi bene a disposizione. Di conseguenza, gli aumenti dei prezzi andarono ben oltre i livelli che si sarebbe potuti attendere di fronte alla crescente domanda militare e all’inflazione da moneta. I commercianti si ritrovarono nella condizione migliore per trarre profitti dall’accumulo di scorte e coloro che avevano una posizione forte a livello locale costrinsero i propriì dipendenti a vendere loro le piccole proprietà in cambio di cartamoneta. Questi processi portarono alla nascita di una classe di nuovi ricchi e al conseguente impoverimento delle persone con pochi mezzi. Mentre a Istanbul prima della guerra in genere le persone possedevano le proprie case, la vendita di queste proprietà e l’arrivo di un grande numero di rifugiati creò un mercato di affitti, accompagnato da numerosi conflitti tra proprietari e affittuari. un’altra causa di miseria fu la difficoltà nella distribuzione di cibo e altri beni necessari alla popolazione civile. Se il governo entrò in guerra con scorte consistenti, l’interruzione del commercio con molti paesi che si allinearono con l’Intesa in breve tempo provocò una carenza di beni. La speculazione in tempo di guerra includeva la rapida rivendita di beni che non venivano consumati ma acquistavano valore ad ogni cambio di proprietario. I tentativi del governo di combattere gli speculatori ordinando loro di rivendere le merce ai precedenti proprietari allo stesso prezzo ebbero nel migliore dei casi un’efficacia limitata. I commercianti che furono puniti per affarismo erano spesso non musulmani o persone che per qualche ragione erano entrati in conflitto con il Comitato Unione e Progresso. I collegamenti tra i mercati di Istanbul e delle province, già problematici prima della guerra a causa della scarsità di trasporti, furono il più delle volte interrotti. Di conseguenza, nei villaggi dell’Anatolia i prezzi erano di frequente molto più alti di quelli della capitale. Tuttavia, gli agricoltori furono incoraggiati ad aumentare la produzione dalla politica del governo che pagava i produttori cifre piuttosto elevate. I piani per la dismissione dell’impero ottomano L’esistenza di piani per la spartizione dei territori ottomani dopo l’eventuale caduta della dinastia regnante non erano certo una novità nei primi del Novecento, dato che piani simili erano stati concepiti da diversi avversari del sultano a partire dalla fine del Seicento, e in modo particolarmente frequente nel corso dell’Ottocento. Da parte russa più volte era stata formulata la richiesta di controllare Istanbul e i Dardanelli ma nell’Ottocento altre potenze europee, specialmente il Regno Unito, avevano sempre respinto proposte di questo tipo. Ma essendo la Russia un alleato nella grande guerra, cioè fino al 1917, i politici britannici erano ora intenzionati ad accogliere questa richiesta, probabilmente in cambio di concessioni russe altrove. Da parte loro, gli ambienti colonialisti francesi chiedevano un controllo sulle province ottomane che formavano la Grande Siria. L’Italia, neutrale fino al 1915, fu indotta a entrare in guerra dalla parte dell’Intesa non solo dalle promesse di territorio austro ungarico, ma anche dalle conquiste nel Mediterraneo orientale. Con le dovute differenze nei dettagli, le tre potenze, attraverso questi accordi, avevano tracciato i
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