Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

L'innesto, realtà e finzioni, Sintesi del corso di Storia Del Cinema

Libro che tratta dei diversi tipi ed usi di metalessi nel cinema attraverso gli esempi di film come Inception e The Matrix

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 22/12/2019

Utente sconosciuto
Utente sconosciuto 🇮🇹

3.8

(4)

2 documenti

1 / 16

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica L'innesto, realtà e finzioni e più Sintesi del corso in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! L’INNESTO-REALTA’ E FINZIONI DA MATRIX A 1Q81 Valentina Re e Alessandro Cinquegrani Da pagina 7 a pagina 136 CAPITOLO 1 DOMINANTE EPISTEMOLOGICA E DOMINANTE ONTOLOGICA Tutto del termine postmodernista è problematico. Comincia così il volume di Brian McHale “Postmodernist Fiction”. Vorremmo chiarire il senso che assume la ripresa, a distanza di quasi trent’anni dall’uscita di quel volume, delle categorie di McHale per cercare di leggere le relazioni tra una produzione fantascientifica di ormai quindici anni fa e la produzione fantascientifica di dieci anni successiva. La proposta teorica di McHale muove dalla constatazione della frammentarietà degli inventari, elaborati con il proposito di identificare le principali caratteristiche della poetica postmodernista, caratteristiche che vengono in genere individuate in opposizione a quelle che sarebbero le caratteristiche della poetica postmodernista. Il problema è che riusciamo a vedere come una particolare componente postmodernista si oppone alla sua controparte modernista ma non riusciamo a vedere come la poetica postmodernista nella sua interezza si oppone a quella modernista. McHale introduce il concetto di dominante ripreso dagli studi del semiologo e linguista Roman Jackobson. La dominante può essere definita come la componente centrale di un’opera d’arte: essa governa e trasforma le restanti componenti. E’ la dominante che garantisce l’integrità della struttura. L’applicazione di questo concetto non si limita all’organizzazione strutturale di un’opera ma riguarda anche l’organizzazione sincronica e diacronica del sistema letterario. Su quest’ultimo assunto si basa anche la tesi di McHale: gli slittamenti tra una poetica modernista e una poetica postmodernista sono caratterizzati da un cambio di dominante, da un cambiamento nelle relazioni gerarchiche tra gli elementi piuttosto che dall’emersione o scomparsa, di nuovi elementi. Quindi considerando che il concetto di dominante può essere applicato a grandezze diverse, non possiamo escludere di rinvenire film che presentino sia tratti riconducibili al moderno che al postmoderno. DOMINANTE Nella logica della dominane, moderno e postmoderno non sono fasi chiaramente identificabili e temporalmente ordinabili ma poetiche, ossia sistemi organizzati secondo una gerarchia retta da una dominante. Dunque un film più recente potrà presentare una dominante riconducibili alla poetica modernista o viceversa, un film meno recente rivelare una dominante riconducibile alla poetica postmodernista. Da un lato le narrazioni moderne sembrano incentrarsi sul problema della conoscenza del mondo e della realtà. In altri termini una dominante di tipo epistemologico le caratterizza. Come possono interpretare questo mondo di cui faccio parte? Cosa può essere conosciuto? In quali modi il soggetto conosce?Quali sono i limiti del conoscibile? Dunque l’inchiesta, l’indagine. Per le finzioni postmoderne il problema non risiede nelle conoscibilità del mondo ma nello statuto stesso del mondo e della realtà, nei concetti stessi di mondo e realtà e la dominante dunque è di tipo ontologico. Che mondo è questo? Che cos’è un mondo? Cosa succede quando diversi tipi di mondo sono messi a confronto? Forme narrative tipiche delle finzioni postmoderne a dominante ontologica sarebbero allora quelle legate ai generi del fantastico e fantascienza. La sua funzione è quella di condurre la mente di chi scrive e chi legge in una varietà di possibili mondi alternativi che vengono creati dalle domande e non dalle risposte sul proprio mondo di partenza e che continuano a generare altre domande. Il nostro interesse si concentra sul concetto di dominante ontologica, dominante di cui ci pare di poter rilevare due fenomeni alla fine degli anni novanta e poi alla fine degli anni duemila. BLOW-UP-ANTONIONI Va sottolineato che nella logica della dominante niente impedisce che una finzione a dominante epistemologica presenti anche elementi di dominante ontologica, e viceversa. Questa possibile compresenza non compromette il ruolo e il valore della dominante. A suggerire queste possibilità di slittamento è un film di Antonioni del 1966, Blow-up, il cui protagonista Thomas, è un fotografo alla moda a Londra negli anni sessanta, brillante e desiderato. In una delle prime sequenza lo vediamo a caccia di immagini rubate in un parco fino a che individua una coppia in una radura isolata. Comincia a ritrarla e già qui si delineano alcune modalità che meritano attenzione. Il nostro punto di vista coincide con quello del fotografo e vediamo quello che Thomas vede. Tuttavia la soggettiva dell’atto fotografico ci viene negata, non vediamo quello che thomas fotografa. Rientrato nel suo studio comincia a lavorare sulle foto ed è qui che si sviluppa una sequenza di detection basata su un processo di animazione delle fotografie. Attraverso operazioni alternate di ingrandimento e messa in serie, le fotografie divntano fotogrammi di una sequenza che sembra rivelare da dietro i cespugli una pistola puntata. Per due volte all’interno di un’unica inquadratura senza stacchi, quello che sembra inizialmente un punto di vista soggettivo coincidente con lo sguardo di Thomas, si rivela essere semisoggettivo, che ingloba nello stesso spazio visivo sia l’oggetto guardato che il soggetto che guarda. Non è possibile che in una sola inquadratura senza stacchi convivano due diversi regimi scopici, se viene data la visione di qualcuno, quel qualcuno non può stare dentro la sua visione. Questa falsa soggettiva serve a marcare dei momenti in cui la capacità di un personaggio di cogliere la situazione sul piano percettivo e cognitivo sembra rompersi. Quella che si va a delineare è una problematica di tipo epistemologico. Un ulteriore ingrandimento sembra rivelare un cadavere e tuttavia l’ingrandimento successivo compromette questa evidenza perché la sagoma di un cadavere si riduce a campiture di nero e bianco. Il film di Antonioni pur incentrato su problematiche epistemologiche che riguardano le possibilità di conoscere la realtà, si ritrova a deviare verso la fine su questioni di ordine ontologico. Alla fine del film Thomas non è più sicuro né del suo sguardo né della realtà. In un primo momento egli è un soggetto convinto della possibilità di far coincidere visione e conoscenza, nonché della valenza ontologica, ossia documentaria, della fotografia, ma il film incrina queste convinzioni. E’ allora opportuno cercare di definire con maggior chiarezza il senso che ontologia assume nel volume di McHale. CHINESE-BOX WORLDS Le finzioni a dominante ontologica avrebbero la particolarità di presentarci mondi costruiti come scatole cinesi. A dispetto dell’esempio cinematografico è alla teoria letteraria che l’idea di scatole cinesi fa riferimento, il racconto nel racconto, ossia quel racconto che ha per narratore il personaggio di un racconto più ampio che lo ingloba. Nell’elaborazione di Genette il mondo costruito attraverso il racconto principale corrisponde al livello diegetico, primo livello, sul quale possono innestarsi delle metanarrazioni, che vanno a costituire il livello metadiegetico(secondo livello) e così via. Al livello diegetico e metadiegetico si aggiunge un terzo livello. Il livello diegetico non poggia dunque su un ipotetico livello zero che coinciderebbe con la realtà ma presuppone logicamente un altro livello e un’istanza narrativa, il narratore extradiegetico, che ne è responsabile e che non coincide con l’istanza di scrittura(l’autore). Il prefisso extra serve solo ad identificare la posizione logicamente inferiore rispetto alla diegesi. Il metaracconto si presenta dunque nella forma tipica della rievocazione, da parte di un personaggio, di eventi che gli sono accaduti in un momento della storia antecedente a quello in cui si situa l’atto narrativo e che il lettore/spettatore ancora non conosce. Ma quella della rievocazione non è l’unica forma e forme diverse possono intersecarsi. APRI GLI OCCHI-ALEJANDRO AMENABAR In questo film del 1997 sullo schermo ancora nero, una voce suadente sussurra più volte apri gli occhi, fino a che una mano si abbatte su una radiosveglia interrompendo la cantilena. Cesar si sveglia in un appartamento elegante e nello specchio vediamo il volto di un 25enne attraente e sicuro di sé. Esce per strada e la trova deserta, guida per le strade di madrid, la città è deserta. Cesar abbandona l’auto e comincia a correre, di nuovo schermo nero e la cantilena e la stessa mano che mette a tecere. Ma questa volta su Cesar ancora a letto si innesta una voce: Perché mi racconti questo sogno? Parla di sé come di un ragazzo norma e felic, riconosciamo il ragazzo che nelle immagini si sveglia per la seconda volta e la sequenza si sviluppa identica con un’unica differenza: nel letto c’è una donna, Nuria. Era la sua voce dell’incastonatura, ma in orizzontale, tra mondi narrativi distinti. Occorre considerare che il narratore cinematografico ha uno statuto più complesso di quello letterario. Il narratore filmico non è riducibile alla sola voce narrante, al solo linguaggio verbale, perché il film è un testo sincretico che si sviluppa attraverso molteplici materie espressive, e comprende oltre alla parola, immagini, rumori e musica. E tutte queste componenti possono essere coinvolte in fenomeni di metalessi, come l’incipit di Alta tensione di Brooks del 1977. Durante il tragitto verso l’istituto, l’autista che è venuto a prendere il professore gli confida di non credere alla versione dell’arresto cardiaco del direttore che dovrà sostituire, direttore di un istituto per individui molto nervosi, e di ritenere il tutto un complotto. Non appena dice complotto una musica minacciosa irrompe e l’attribuiamo al livello extradiegetico, finchè non vediamo che i personaggi stessi possono sentirla perché proviene da un pullman che trasporta un’orchestra. E’ possibile cominciare a riflettere sugli effetti che le varie forme di metalessi sono in grado di produrre. Si potrebbe ipotizzare che la metalessi retorica tende a comportare una crisi dell’effetto di illusione(attraverso una compromissione del patto di finzione), mentre la metalessi ontologica sia in grado di rafforzare l’effetto di illusione e turbare il nostro senso della realtà, se il personaggio di un racconto è capace di uscirne per assassinare il suo lettore. METALESSI RETORICA Basta osservare più da vicino la metalessi retorica per accorgersi che le cose non sono così semplici. Se è vero che la metalessi retorica ascendente sembra produrre un effetto di crisi dell’illusione, la metalessi retorica discendente(un personaggio che guarda in macchina pretendendo di rivolgersi a noi), può assumere valenze diverse, come dimostra lo sguardo carico di minaccia che chiude Funny games. Possiamo affermare che alla metalessi siano riconducibili due effetti che non si escludono l’un l’altro. Da una parte la rottura(o svelamento) del patto di finzione o rappresentazionale, spesso di carattere ironico, dove alla sospensione dell’incredulità si va a sostituire una sorta di complicità ed un senso di vertigine che sembra riguardare più un problema di contaminazione o meglio di con-fusione, tra i livelli, che fenomeni di trasgressione di livelli chiaramente distinti. Il mondo raccontato e il mondo in cui si racconta si confondono, non è più certo cosa sia realtà e cosa rappresentazione. E’ proprio qui che ritorniamo alla dominante onologica di McHale, ed è in relazione a questo effetto della metalessi che possiamo definire meglio il concetto di ontologia che utilizzeremo successivamente. Il plurale è fondamentale. Per fornire una definizione operativa che orienti la riflessione McHale fa riferimento a Thomas Pavel, esponente dell’apllicazione dei mondo possibili al campo letterario. Un’ontologia scrive Pavel, è una descrizione teorica di un universo, non dell’universo, può scrivere qualsiasi universo, una pluralità di essi. Fare ontologia in questa prospettiva non significa cercare il fondamento al nostro universo ma la descrizione di altri, inclusi gli impossibili. Ciò ci permette di comprendere due aspetti importanti dell’approccio di Mchale. Il primo è che a McHale interessano più le modalità attraverso cui viene elaborata la dominante ontologica, anche con esiti tematici diversi tra loro, che gli esiti tematici stessi. L’interesse di Mchale muove dalle strategie narrative per poi comprendere gli effetti di senso che le strategie stesse producono. Dobbiamo spostarci da una critica tematica filosofica alla poetica, alle teorie dell’ontologia letteraria. ETEROCOSMO Chiarito l’ambito di riferimento, ossia la poetica e le teorie dell’ontologia letteraria, possiamo introdurre il concetto di eterocosmo. Tra le più classiche delle questioni ontologiche della poetica c’è quella dell’alterità del mondo finzionale, della sua separazione dal mondo reale. L’unica differenza ontologica che la teoria dell’eterocosmo ammtte è l’opposizione tra finzione e realtà. Parafrasando Metz “attraverso il discorso cinematografico, l’ontologia secondaria si innesta sull’ontologia primaria, la realtà narrativa si correla alla realtà fisica e sociale”. Ma non è difficile evincere il quadro filosofico più ampio all’interno del quale questa doppia ontologia si sviluppa. Ogni film ci propone un mondo possibile e al tempo stesso ci dice qualcosa sul mondo reale. In questo suo rappresentare mondi, il cinema si approssima al dominio dell’ontologia, intesa come tentativo di rispondere alla domanda “Che cosa esiste” Cosa è reale?”. Domande lontane da quelle da cui eravamo partiti con Mchale “Che mondo è questo?” “Cos’è un mondo?” ecc. Una via d’uscita è data ancora da Mchale partendo da pavel. E’ utile stabilire un’ontologia complessa, che coinvola differenti domini. Pavel chiama questa ontologia complessa il paesaggio ontologico di una cultura. Quest’ultimo può essere naturalmente plurale, ossia composto da un’ontologia centrale e da svariate ontologie periferiche, come le finzioni. In determinati contesti si possono dare casi di stress ontologico, di disequilibrio del paesaggio plurale, e uno dei sintomi di questo stress sarebbe l’anarchismo, la resistenza sia ad accettare che a rifiutare qualsiasi ordine ontologico disponibile. Ritengo che questa sia la condizione postmodernista, un paesaggio anarchico di mondi al plurale. Mchale spinge ancora più in la il discorso mettendo in relazione l’idea di complessità del paesaggio ontologico di Pavel con gli approcci di matrice sociologica e in particolare di Berger e Luckmann. INTERESSE SOCIOLOGICO L’interesse socioogico per il problema della realtà viene giustificato dalla loro relatività social. Ciò che è reale per un monaco buddhista può non esserlo per un uomo d’affari americano. Una sociologia della conoscenza dovrà occuparsi non solo dell’empirica verità di varie conoscenze nelle società umane ma anche dei processi per cui qualsiasi complesso di conoscenze viene socialmente stabilito come realtà La sociologia della conoscenze deve interessarsi di tutto ciò che passa per conoscenze in una società, senza riguardo alla fondamentale validità o non validità. E’ in questa crisi del nostro senso comune della realtà che leggiamo la problematica ontologicca elaborata attraverso le strategie della ricorsività infinita, del trompe l’oeil, della mise en abyme e della metalessi. Per completare il quadro è necessario aggiungere un ulteriore tassello. Finora abbiamo parlato di mondi. Che tipi di mondi ci sono, che cosa succede quando diversi tipi di mondo sono messi a confronto. Crediamo che la messa in opera delle quattro strategie e della metalessi, possano sollecitare una sostituzione terminologica: non mondi, ma mondo-versioni, secondo la formulazione di Nelson Goodman. La distanza che separa l’approccio costruttivista di goodman da quello dicotomico, è inequivocabile: non abbiamo a che fare con molteplici alternative possibili a un unico mondo reale ma con molteplici mondi reali. In che modo interpretare espressioni quali reale e irreale, è un problema. Nella versione di goodman il nostro orizzonte è costituito dai modi di descrivere tutto ciò che viene descritto. Non c’è un mondo o dei mondi, al di fuori di ciò che viene descritto. Un mondo è tale in quanto descritto e percepito: dunque la conoscenza non può coincidere con la determinazine di ciò che è vero. I modi di descrivere ciò che viene descritto sono diversificati: i modi delle scienze, i modi delle arti, i modi che si legano alle nostre percezioni. QUALI SONO I MONDI CHE DEVO RICONOSCERE COME REALI Va ricollocato questo problema. Accade, dice goodman che si prenda per reale il mondo di qualcuna delle versioni corrette che si fronteggiano e si considerino tutte le altre versioni dello stesso mondo che si differenziano per qualche motivo da quella standard. Il fisico considera il suo mondo come quello reale e attribuisce le irregolarità a imperfezioni di percezione. Per l’uomo della strada, la maggior parte delle versioni proprie della scienza, dell’arte, si distaccano dal servizievole mondo di tutti i giorni. Quest’ultimo mondo è quello preso più spesso per reale; infatti la realtà in un mondo, come il realismo in pittura, è largamente una questione di abitudine. Ed è principalmente in questa direzione che vorremo intendere la porblematica ontologica: come costruzione di mondo-versioni, a partire da frammenti della tradizione scientifica e artistica, che vengono prese per reali. Che cosa accade quando alcuni di questi frammenti non si accordano più al mondo fabbricato come tale quando la nostra abitudine della realtà si incrina? Si è detto che la teoria dei livelli elaborata da Genette non riguarda di per sé il problema del rapporto tra realtà e finzione e nella maggioranza dei casi, si ritrova ad implicare tale problematica perché nella maggioranza dei casi, al livello diegetico è attribuito uno statuto di realtà e a quello metadiegetico uno statuto di finzione. Questa idea appartiene al servizievole mondo di tutti i giorni che ci fabbrichiamo. Strategie come la ricorsività infinita, il trempe l’oeil, la mis en abyme e soprattutto la metalessi, hanno il merito di incrinare il nostro servizievole mondo e al contempo di incorporare incrinature che si producono in altre versioni. Il lavoro di queste strategie avrebbe il merito di evidenziare attraverso la manomissione dell’ordine che siamo abituati a dare alla realtà, la natura sempre fabbricata dei mondi, anche di quelli presi per reali. MIND-GAME FILMS Recentemente le strategie narrative che McHale associa all’elaborazione della dominante ontologica, sono state oggetto di una lettura diversa che ha implicato anche una rilettura di alcuni film. Film ha sostenuto Thomas Elsaesser, che giocano e si prendono gioco secondo tre modalità, In primo luogo ci sono alcuni film come The truman show in cui ad essere vittima inconsapevole del gioco è un personaggio che non sa che qualcuno sta giocando con lui. Ma ad occupare il ruolo di vittima inconsapevole di un gioco non dichiarato può essere anche lo spettatore con in Fight club o Memento. Infine le due modalità possono combinarsi: a non essere in grado di interpretare correttamente il gioco possono essere sia lo spettatore che i personaggio coinvolti, si pensi a Il sesto senso. All’interno di questo corpus che cominciamo a poter identificare attraverso la categoria di mind-game film, alcuni elementi possono essere individuati. Per Elsaessere ce né uno in paricolare. In molti casi un personaggio si ritrova ad essere protagonista di una serie di eventi il cui significato gli sfugge “che cosa sta succedendo qui?”. Il protagonista sembra confondersi in merito alla differenza tra realtà e la sua immaginazine ma questo mondo interiore, a differenza di quanto accade nel cinema d’autore europeo, non rappresenta il punto di vista di un personaggio soggettivo; piuttosto non c’è alcuna differenza percepibile tra reale e immaginato. Sul piano del registro visivo non c’è differenza tra reale e simulato e per quando elsaessere non nomini mai la riflessione di McHale sulla dominante ontologica, tali riferimenti sembrano implicati in diversi passaggi. Film come Matrix o Fight cluv presentano i loro mondi paralleli senza marcarli come diversi attraverso dissolvenze o qualsiasi altra straegie con cui un film segnala cambi di registro. La questione diventa allo i film mentono, oppure è la stessa opposizone tra verità e menzogna, tra soggettivo e oggettivo ad essere in gioco? Il mind game film non comporta un problema di percezione oculare, non è una questione di insiffucienza della visione umana come in Blow-up in cui il corpo è rivelato dall’occhio meccanico della camera. ELSAESSER Quello che elsaessere descrive è il fenomeno che abbiamo definito pseudodiegetico(forma di metalessi debole) e trmpe l’oeil, e le implicazioni che ne mette in evidenza sono quelle che abbiamo attribuito all’elaborazione della problematica ontologica. Elsaesser di discosta da quanto individuato fin ora. Stretegie come trompe l’oeil non vengono lette come modi di elaborazione della dominante ontologica. Di conseguenza film come matrix o the truman show, non hanno a che fare con la percezione del fatto che il funzionamento della realtà sociale non è più evidente. I mind game film ci parlano secondo elsaessere, piuttosto di una crisi che investe la tradizionale relazione tra film e soettatore, la classica posizione spettatoriale del voyeur o testimone non è più considerata sufficientemente adeguata. La natura di questa crisi può essere articolata come crisi del modello narrativo e come emersione di una nuova forma di relazione film-spettatore basata sulla nozione di fandom. Fuori dal modello narrativo gli spettatori o ignorano il patto finzionale e trattato il film come estensione della realtà, o tendono ad usare il film come una sorta di database a cui qualsiasi altro tipo di dato può essere integrato. Quello in cui davvero gli spettatori non sembrano essere coinvolti è un’attività di interpretazione. Qui sta il punto cruciale che regola il gioco contemporaneo tra film e spettatore, il gioco del fandom: il mondo rappresentato è preso per vero. I mind-game film si prestano all’individuazione di molteplici entry point per l’accesso ai loro universi La società americana ha fornito a baudrillard gran parte degli oggetti per le sue analisi ed egli ha potuto descrivere quella società come una grande disneyland, uno spazio iperreale come una società spettacolo, del simulacro. La letteratura di dick è stata letta come anticipazioni delle tesi postmoderniste. Questa vocazione postmoderna della narrativa di dick ricade inevitabilmente sui film dickiani di fine anni novanta. Per dick la realtà non si percepisce, si crea, e l’ordine diventa l’unico universo di cui disponiamo dal momento che il nostro orizzonte è costituito dai modi di descrivere tutto ciò che viene descritto e non c’è un mondo al di fuori di ciò che viene descritto. La realtà nella società è già scomparsa e sostituita dalle innumerevoli pseudorealtà prodotte, da gruppi di potere ma anche da singoli individui che lavorano per imporre sugli altri esseri umani la propria simulazione di realtà forzandoli a percepirla come oggettiva. Una conferma del fatto che il problema della realtà nella letteratura di dick non si risolva nella semplice dicotomia tra vero e falso. Il saggio di peter fitting “Il mondo che sta dietro tutto questo: l’eredità di philip k. Dick” dimostra come il mondo che starebbe dietro o sotto, le pseudorealtà, difficilmente lo si trovi alla fine dei tormentati percorsi che i personaggi compiono nelle storie di dick. Molti hanno trovano un’analogia tra il film The truman show e un romanzo di dick del 1958 “Tempo fuor di sesto”. Nel film l’enorme simulazione ai danni di truman non ha le implicazioni belliche e politiche presenti nel romanzo, ma più evidenti finalità commerciali. In questo senso ricorda fitting, il film è stato interpretato innanzitutto come una critica alla tv. La differenza tra i due riguarda il finale. Siamo lontani dall’ambiguità che caratterizza i finali di dick. L’ambiguità del finale del film non indica una resistenza alla chiusura ma precisamene ciò che non si può mostrare. A differenza del finale del romanzo in cui Gumm si unisce alla resistenza di coloni lunari, Truman offre una figura di fuga a un pubblico che desidera liberarsi della propria esistenza ottundente, mentre le cause delle inadeguatezze di quell’esistenza vengono nascoste. In matrix il percorso di Neo, la ricerca dell’eroe che cerca di trovare la realtà vera si sposta dal desiderio di una fuga individuale a una lotta collettiva per liberare la razza umana dall’oppressione. PLEASANTIVILLE L’ultimo film considerato da fitting è Pleasantville, il quale mostra un livello di introspezione che sembra mancare quasi completamente in the truman show. Due sono gli aspetti che nteressano a fitting. Il primo coincide con il percorso di crescita di Bud e comprende più a fondo il proprio presente e impara ad accettarlo. Il secondo riguarda il progressivo inserimento del colore nel bianco e nero degli anni cinquanta di Pleasantville, che richiama al contempo le lotte per i diritti civili e per l’emancipazione femminile. Tuttavia fitting resta critico rispetto a quella che potremmo definire una eccessiva chiarezza ontologica dei film. In tutti questi film c’è una sola alternativa reale al mondo artificiale. Nei romanzi di dick la scoperta da parte di un personaggio che la realtà è contraffatta non viene sempre seguita dal ritorno alla realtà vera. Questi film possono incrinare il nostro senso della realtà o suggerire una riflessione proprio sui processi di costruzione che lo sottendono. Essi offrono la spiegazione che la realtà non è quella che sembra, che siamo vittime di forze sinistre che ci controllano e per le quali l’unica soluzione sta nella fuga individuale, riassunta nel biglietto della lotteria. Nella narrativa di dick non c’è una fuga del genere. TRILOGIA MATRIX Verificare la presenza delle strategie che secondo mchale elaborano la dominante ontologica può aiutare a confermare o correggere le conclusioni di fitting. Una soluzione semplicistica al problema della realtà sembra associarsi all’uso di quella strategia che Mchale definisce trompe l’oeil(metalessi debole per genette, pseudodiegetico). La ritroviamo in matrix poiché ci viene inizialmente presentato come reale un mondo che si rivela essere una simulazione ai danni degli umani. Se non viene complicato attraverso la combinazione con altre strategie come accade in Apri gli occhi, il trompe l’oeil tende a rafforzare l’univocità della realtà rivelata come tale piuttosto che produrre un senso di incertezza rispetto allo statuto della realtà. In matrix a partire dal secondo episodio della trilogia, la contaminazione tra realtà virtuale e matrice che la produce si svincola dalle abilità dell’eletto e viene disseminata un po' dappertutto, a volte con funzione connettiva tra sequenze diverse. La trilogia dal primo al terzo episodio perde di progressivamente coerenza. Nel primo episodio è attraverso un travelling dentro la matrice che accediamo alla presunta realtà, proprio perché tale realtà non è che il risultato di istruzioni contenute nella matrice stessa. Nel secondo è di nuovo dopo un viaggio dentro la matrice che i simboli disegnano il profilo del numero 12 che poi muta nel suo corrispettivo fintamente analogico sul quadrante di un orologio, che ormai sappiamo fare parte della simulazione. Nel terzo permane il viaggio dentro la matrice ma si rompe il gioco di rivelazione del rapporto tra matrice e simulazione perché il viaggio dentro la matrice termina nella realtà, quella che matrix identifica come vera, la realtà della guerra e della resistenza: un cambiamento nella grana dell’immagine rivela che la cascata numerica sta ora scorrendo sul monitor diegetico(e non più metadiegetico presentato come diegetico) quindi reale, di una delle navi dei sopravvissuti di Zion. PLEASANTVILLE E EXISTENZ In pleasantville troviamo una forma pura di metalessi, quella ontologica e ascendente: due personaggi dati come reali entrano nel mondo fittizio di una sitcom negli anni cinquanta. Anche questa metalessi è lontana dal produrre un effetto di destabilizzazione del nostro senso della realtà: piuttosto, sembra limitarsi a guidare un percorso di assunzione di consapevolezza, maturazione da parte di uno dei protagonisti che attraverso il metaracconto apprende qualcosa e lo mette in pratica nel suo mondo. L’uso della metalessi qui conferma le osservazioni di Fitting sulla valenza pedagogica del film. Fitting non prende in considerazione existenz. Nel film di simulacro in simulacro, i protagonisti non sono più in grado di distinguere tra realtà vera e realtà ricreata. Questo film ci dice forse che questa distinzione non ha senso perché non esiste una sola realtà vera. Il film, come molti romanzi di dick, si rifiuta di fornire una risposta definitiva e di sancire un ritorno alla realtà vera. Notiamo che nel mondo del gioco si trovano come riflessi elementi del mondo reale(come gli ipod). Questa scelta rende uniformi i due livelli: sembra non avere più senso distinguere tra mondo reale e virtuale e questo perché non ci sarebbe più un mondo reale a cui altri mondi sarebbero subordinati. Nel finale del film socpriamo che quello che pensavamo essere il livello diegetico era in realtà metadiegetico, un altro gioco, traScendenZ, che prevedeva al suo interno l’atto di giocare ad existenz. Questo film fa uso di tutte le strategie di McHale: la ricorsività infinita, la mise en abyme, il trompe l’oeil e la metalessi, seppur più come confusione dei livelli che come loro trasgressione. E starebbe nella confusione tra i livelli che il film è in grado di produrre la differenza fondamentale che distingue exisenz dagli altri film citati, come matrix e truman show, in cui la realtà è ancora un punto di riferimento e una certezza. In existenz sembrano esistere tanti livelli di realtà, senza che uno sia più reale degli altri. E senza che l’ultima battuta possa trovare risposta: “Ehi ditemi la verità, siamo ancora nel gioco?”. CAPITOLO 3-INCEPTION E ALTRI RACCONTI-2010 Fitting nota una cultura del complotto che ritiene l’intera realtà una simulazione ai danni di cittadini inconsapevoli. Egli lega il fenomeno ad altre tecnologie e altri media. Molti dei film qui considerati esprimono l’idea della paura che un mondo virtuale possa sostituirsi al mondo che abitiamo, o che la tecnologia assuma il controllo sui suoi creatori. Da questo approccio vogliamo in questa sede distaccarci, seguendo Keith Booker, discutiamo come molti dei film qui analizzati contribuiscano a fornire nuovi punti di vista da cui gli spettatori possono guardare al mondo in cui vivono. SOURCE CODE Anche Source code si caratterizza per un trompe l’oeil inaugurale. Vedue di una grande città si alternano alle immagini di un treno in corsa e sul treno un uomo si sveglia disorientato, mentre una donna di fronte a lui gli parla e lo chiama Sean. L’uomo continua a non capire e le confessa di non conoscerla, di chiamarsi Colter stevens. L’uomo intravede qualcosa di strano nel riflesso del finestrino e corre in bagno dove un movimento di macchina rileva che la sua immagina riflessa non corrisponde all’uomo che noi vediamo sul treno, quando un’esplosione squarcia il treno. Lo schermo, improvvisamento nero, è attraversato da immagini indistinguibili per poi tornare a mostrare il volto di Sean che sembra svegliarsi in un luogo buio, un mondo non reale visto che lui è vivo. L’uomo è ancora disorientato e una donna che comunica con lui attraverso un monitor ne ignora lo stato confusionario e chiede rapporto su quanto accaduto sul treno, ed è solo attraverso una procedura di reset memoriale che l’uomo riesce a ricordare il nome della donna che gli parla col monitor, Goodwin. Egli viene rimandato dentro e si sveglia di nuovo sul treno diretto a chigago destinato ad esplodere. L’incipit di questo film mostra prima la rappresentazione di un mondo che appare reale e poi vi è lo svelamento dell’inganno. Dall’altro canto la stessa realtà rivelata non appare convincente. Anche in questa realtà il capitano stevens appare confuso. In tutti e due i casi il nostro sapere sui mondi è strettamente vincolato al sapere del personaggio: tutto ciò che sappiamo coincide con quanto lui vede o riesce a sapere. Il primo chiarimento arriva dopo il secondo viaggio da cui apprendiamo che non si tratta di una simulazione perché un treno è esploso per davvero, e che per gli ultimi 8 minuti della catastrofe colter ha la facoltà di interpretare una delle vittime, sean. Colter deve sfruttare quegli 8 minuti per individuare il colpevole. Quindi il film procede da un lato con l’intreccio a dominante epistemologica in cui i capitano è chiamato a scoprire la verità dei fatti e dall’altro su dominante ontologica in cui il capitano cerca di definire i due mondi attraverso cui si muove. Al terzo viaggio egli scopre che la temperatura nella capsula si è abbassata e le comunicazioni con goodwin sono interrotte. Prossimo al congelamento egli riesce a riattivare il contatto e sente lì per la prima volta nominare Source code dallo scienziato che lo ha creato, il dottor Rutledge. Il source code si baserebbe su due fenomeni: il fatto che il campo magnetico generato dal cervello umano rimanga carico anche dopo la morte e la capacità del cervello di trattenere una traccia di memoria a breve termine, della durata di circa 8 minuti. Combinando i due fattori, attraverso i circuiti aperti del cervello abbiamo accesso a una banca di memoria: il source code sfrutta questa combinazione e connette il capitano agli utili 8 minuti della vita di sean. FINALE SOURCE CODE Stevens nel frattempo si innamora di christina sul treno, la quale gli rivelerà che colter è morto in un combattimento in afghanistan due mesi prima. Dopo la rivelazione, il ritorno alla capsula ci obbliga a riformulare la lettura del mondo dato come reale. Com’è possibile che siano reali il dottore e goodwin, il monitor, ecc, ma anche stevens e la capsula? La capsula è immaginaria, quello che stevens vede è soltanto un modo per dare un senso a tutto questo, quindi tutto ciò che abbiamo percepito come oggettivo altro non era che percezione soggettiva. Scoperta la propria condizione egli affianca nuovi interrogativi come “Il source code da accesso a un mondo preesisente oppure lo crea?”. Il dottor Rutledge quando stevens gli rinfaccia di averlo chiamato dalla realtà del source code, rutledge ribadisce che c’è un solo continuum da questa parte e non può essere disconnesso. Per il capitano stevens la possibilità che il source code crei delle realtà parallele diventa una speranza per iniziare una vita con christina. Una volta scoperta l’ideantità dell’attentatore, egli chiedere di entrare un’ultima volta per avere la possibilità di salvare quelle persone. Una sorta di doppio tecnologico di una bara collegata a molteplici dispositivi ci mostra quello che resta del corpo di stevens. Entrato nel source code stevens arresta l’attentatore, e goodwin spegne la macchina e concede pace a stevens, ma egli continua a vivere nei panni di sean nella nuova realtà creata dal source code. Arrivati a chigago colter e christina passeggiano. Starebbe dunque qui l’infrazione, la possibilità di metalessi in source code. Non tanto nell’inganno iniziale ma la metalessi si manifesta come possibilità di comunicazione in orizzontale e ritenuta inammisibile tra diverse realtà: in quale altro modo leggere la rilevante di metalessi. La condivisione così caratterizzangte rispetto alla nostra esperienza mediale contemporaneam che si può misurare in inception rispetto ai film precedenti. Attraverso la condivisione tra attori diversi il sogno lucido diventa una realtà parallela e alternativa. Quello che soprattutto può configurarsi è un problema di privacy: dati e informazioni sensibili attraverso il sogno condiviso possono essere rubati. Questi ultimi riferimenti ci consentono di ritornare alla questione del mind film game perché il rompicapo proposto da inception ha certamente funzionato. CAPITOLO 4-THE END IS BUILT INTO THE BEGINNING Non abbiamo considerato i molti film che pure punteggiano il passaggio tra i due momenti di addensamento. La science fiction è stata qui prilivegiata per due motivi: il primo è riconducibile al quadro di cui ci siamo dotati e che ci riporta a mchale: la fantascienza sta al postmodernismo come la detective story sta al modernismo, è il genere ontologico per eccellenza così come la detective story è il genere epistemologico per eccellenza. La seconda ragione si lega ai due principali interventi che hanno orientato la lettura dei film di fine anni novanta verso una discussione dell’eredità della fantascienza d dick, con particolare riferimento ai modi di mettere in forma la realtà come problema. Vorremo concludere con due film che hanno scandito il primo decennio del nuovo millennio. SE MI LASCI TI CANCELLO E’ un testo fantascientifico trattando la resistenza dell’umano alla macchina. Oltre a definire il film un puzzle cinematografico, esso è anche un melodramma, un film che comincia dalla fine. I feomeni di metalessi che caratterizzano il film si danno a partire da un malfunzinamento nel processo di rimozione dei ricordi, su cui si va a innestare la possibilità di una scelta consapevole da parte di Joel: aveva deciso di far cancellare per sempre la presenza di clementine dalla sua memoria ma ritrovandosi cosciente durane il proesso di cancellazione cambia idea. E’ dunque un errore della tecnologia che permette la metalessi. Egli è vigile e attivo nella sua testa, e tale vigilanza produce una contaminazione tra livelli(nel metamondo memoriale, joel sente le voci dei tecnici che lavorano nella realtà diegetica) e conferice al metamondo del ricordo lo statuto di una realtà parallela. All’inizio joel reintrepreta la messa in scena del proprio passato e urla a clementine di volerla cancellare ma poi capisce di aver sbagliato ed è la stessa clementine che gli suggerisce di provare a nasconderla in qualche ricordo che non la riguardi. Da lì il film diventa una fuga precipitosa dentro mondi che collassano l’uno sull’altro e cominciano a sgretolarsi fino a che non resta più nulla. Perché alla fine la procedura riesce e clementine svanisce. Uno degli elementi che più caratterizza questo film è la sua capacità di mascherare da inizio quella che è la fine. Cominciare dalla fine lo abbiamo già visto in inception, è abitudine del melodramma. Rispetto a questa pratca, Se mi lasci ti cancello fa qualosa di più: comincia da una fine che è anche un disperato inizio. All’inizio lo spettatore non può riconoscere questa replica e segue l’incontro tra joel e clementine come se fosse davvero l’incontro di due sconosciuti. Poi un flashback ci riporta alla notte precedente in cui si svolge la cancellazione dei ricordi. Nel finale essi sono convinti di essersi incontrati quel giorno ma poi scoprono di essersi già incontrati e di essersi cancellati uno dalla mente dell’altro. SYNECDOCHE, NEW YORK Questo film segna l’esordio di Kaufman alla regia e lui ha fatto della metalessi l’autentico motore creativo di molte sue storie. Come la sineddoche è la parte per il tutto, figura retorica è anche la metalessi, e i fenomeni che abbiamo fin qui analizzato possono essere visti cme una sorta di letteralizzazione finzionale dei procedimenti implicati dalla figura retorica. La metalessi costituisce una specie di metonimia in cui di dà l’antecedente per il conseguente, ossia la causa per l’effetto. Un caso particolare è dato dalla metalessi dell’autore in cui l’autore finge di operare quegli effetti che può solamente raccontare. Il mondo diegetico di synecdoche apparentemente è la vita di un drammaturgo talentuoso e ipocondrianco, caden, che viene abbandonato dalla moglie e dalla figlia proprio quando un importante riconoscimento finanziario gli permette di dedicarsi a una sua grande opera originale senza compromessi commercial. Ma la verosomigianza del contesto è da subito incrinata da deformazioni grotteesche, per esempio l’ipocondria di caden, i dottori che lo visitano continuamente, una casa sottoposta a inspiegabili processi di autocombustione in cui i personaggi si incontrano circondati dal fumo e al bagliore di fiamme che sputano qua e la. Caden vuole uno spettacolo che sia vero, che sia la vita, la realtà, ma è destinato al fallimento per due ragioni. La prima è che la realtà non esiste ed è in questo senso che la strategia del trompe l’oeil si presenta in una forma anomala e produce effetti diversi da quelli visti finora. Caden rientra al mattino nella casa dove ora vive con la seconda moglie, o meglio crediamo sia così ma in realtà l’appartamento è ricostruito nel magazzino dove lui sta costruendo lo spettacolo. Diventa dunque difficile individuale un livello diegetico rispeto ad un livello pseudodiegetico visto che vi è anche confusione tra persone e personaggi. La seconda ragione è il rifiuto della sineddoche. Caden vuole rappresentare il vero e rappresentare il vero vuol dire dover rappresentare tutto. Rappresentare tutto in senso temporale, la vita mentre accade, cosa che obbliga a una rincorsa a non finire mai, e rappresentare tutto significa anche rinunciare a selezionare. Le vicende di caden traducono da un lato il fallimento che deriva dalla rinuncia al principio(quello della sineddoche), artificioso ma necessario, che regola la finzione, e dall’altro l’incapacità di definire un mondo che possa essere preso come reale. Nessuno dei due temi preso di per sé è nuovo, la novità sta nel loro intrecciarsi e gli effetti(l’aporia) che questo intreccio produce: ci dice il film, se è vero che i nostri mondi reali sono fabbricati, se è vero che vi sono solo mondo visioni, non ci può essere conflitto perché non c’è artificio, non c’è una realtà illimitata che preesiste alla finzione e sulla quale la finzione opererebbe, appunto, per sineddoche. Infine, a differenza di Inception e Se mi lasci ti cancello, questo film non è un film ch comincia dalla fine, piuttosto è un film permeato fin dalle prime immagini, dall’idea della fine. La fine inevitabile dei rapporti, quella irraggiungibile che coincide con la compiutezza dell’opera d’arte, la fine della vita, la morte.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved