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L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL'ESSERE, Appunti di Letteratura

Riassunto del libro.

Tipologia: Appunti

2011/2012
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Caricato il 23/02/2012

sararocker
sararocker 🇮🇹

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Scarica L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL'ESSERE e più Appunti in PDF di Letteratura solo su Docsity! Sara Brigo Classe VB L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL’ESSERE – MILAN KUNDERA COMMENTO SULLO STILE DELL’OPERA Essa è caratterizzata da una grande analisi introspettiva e psicologica dei personaggi (Come esempio cito un passo in cui Kundera analizza il ragionamento inconscio di Marie-Claude, la moglie di Franz: “Brutto era ciò che lei voleva vedere brutto […]. I gioielli delle sue amiche erano belli a priori. E anche se li trovava brutti, lo teneva nascosto. […] Marie-Claude aveva dichiarato che il gioielli di Sabina era brutto per dimostrare che poteva permettersi di dire a Sabina che il suo gioiello era brutto”.) Vi è numerose volte, inoltre, l’intervento diretto dell’autore. Egli, ad esempio, spiega che i personaggi non nascono da un corpo materiale, come gli esseri umani, ma da una metafora, una frase, una situazione, nelle quali l’autore pensa di aver scoperto qualcosa di essenziale su cui nessun autore ha mai scritto. Inoltre, verso la fine del libro, egli svela una propria fonte di ispirazione e una sorta di ‘rivelazione’ legata al suo lavoro di scrittore: “tutte queste situazioni le ho conosciute e vissute io stesso e tuttavia da nessuna si esse è sorto un personaggio che sia me stesso col mio curriculum vitae. I personaggi del mio romanzo sono le mie proprie possibilità che non si sono realizzate”. COMMENTO SUL CONTENUTO DELL’OPERA L’opera di Kundera inizia subito esprimendo un concetto filosofico molto importante: l’idea dell’eterno ritorno di Nietzsche. Secondo questa concezione, infatti, ogni cosa si ripeterà (così come l’abbiamo vissuta) all’infinito, in un susseguirsi causale di eventi in cui la nostra vita perde di significato. Quest’idea spaventò non poco i contemporanei di Nietzsche. Dice, infatti, Kundera che “c’è un’enorme differenza tra un Robespierre che si è presentato una sola volta nella storia e un Robespierre che torna eternamente a tagliare la testa ai francesi”. Il libro, quindi, fin dalle prime pagine è impregnato di filosofia e di concezione auliche che ci proiettano in una lettura che va al di là di ciò che sta in superficie. Nel mondo dell’eterno ritorno, prosegue Kundera, su ogni gesto grava un’enorme responsabilità a cui l’uomo non può fare meno, perché è proprio essa a rendere la vita reale ed autentica. “Cosa dobbiamo scegliere, allora? La pesantezza o la leggerezza?”. È questo il nocciolo fondamentale attorno al quale il romanzo ruota. Il titolo stesso dell’opera sembra un ossimoro: come può la leggerezza dell’essere (e quindi della vita) essere insostenibile, se è lieve? Altro filosofo su cui l’autore punta l’attenzione è Parmenide, che vedeva l’intero universo diviso in coppie di opposizioni, in cui era sempre presente un elemento negativo e uno positivo. Per Parmenide, dunque, il leggero è positivo, mentre il pesante è ostile e su questa opposizione Kundera baserà alcuni rapporti tra i personaggi. Proseguendo, inoltre, nel suo ragionamento, l’autore arriva ad affermare che non si può mai sapere cosa sia realmente giusto in campo etico: viviamo una volta sola e non possiamo confrontare le nostre scelte con vite precedenti, né PAGE \* MERGEFORMAT1 correggerle. Noi non potremo mai appurare quale nostra scelta sia stata buona e quale cattiva, perché in una data situazione possiamo decidere una volta soltanto. L’uomo vive tutto subito, per la prima volta, senza preparazioni. Ma, secondo la teoria dell’eterno ritorno, ciò che avviene soltanto una volta è come se non fosse mai avvenuto: “se l’uomo può vivere solo una vita, è come se non vivesse affatto”. È questa l’insostenibile leggerezza dell’essere, l’impossibilità umana di vivere appieno la vita. La storia è leggera, come qualcosa che domani non ci sarà più. Proseguendo nella lettura, troviamo altri sviluppi del rapporto leggerezza- pesantezza. Kundera parla, ad esempio, dell’ “Es muss sein!” di Beethoven, secondo cui solo ciò che è necessario è pesante e solo ciò che pesa ha valore, in opposizione a Parmenide. Beethoven, quindi, trasforma una burlesca ispirazione iniziale in un quartetto serio, in una verità metafisica. Questo è un esempio del passaggio dal leggero al pesante: l’unico possibile, in quanto se avesse trasformato la serietà in scherzo tutti avrebbero gridato allo scandalo, anche se sarebbe passato dal pesante al leggero, dal negativo al positivo. “Non sappiamo più pensare come Parmenide”, la cui concezione è condivisa da Kundera. All’inizio dell’opera ci viene presentato il primo personaggio, Tomàš, che paragona la sua esperienza con Tereza a due miti antichi: quello di Edipo e quello della raccolta di Mosè dalle sponde del fiume. Tuttavia, l’uso di metafore è visto negativamente da Kundera, perché le vede come uno dei mezzi (illusori, forse) con il quale può nascere l’amore. L’autore, infatti, dà la definizione di quella che per lui è la ‘memoria poetica’. Essa è la parte di memoria che registra ciò che ci affascina, che ci commuove e rende bella la nostra vita. Da quando Tomàš, infatti, conosce Tereza, nessun’altra donna può lasciare in quella parte di cervello la sua impronta. L’amore, quindi, comincia con una metafora: comincia “nell’istante in cui la donna si iscrive con la sua prima parola nella nostra memoria poetica”. La felicità, per Tomàš, è data dalla cosiddetta “amicizia erotica”: soltanto un rapporto non sentimentale, senza pretese sulla vita e la libertà dell’altro, può portare entrambi alla gratificazione. Tuttavia, egli crede nell’amore, anche se ha una concezione inusuale di esso, diversa dalla concezione elevata o demistificatoria che di solito troviamo nella letteratura. Per Tomàš, infatti, “l’amore non si manifesta con il desiderio di fare l’amore (desiderio che si applica a una quantità infinita di donne), ma col desiderio di dormire insieme (desiderio che si applica a una sola donna)”. Egli, tuttavia, mostra un moto di dolcezza nella decisione di non firmare la petizione: “Esiste un unico criterio per tutte le sue decisioni: non fare nulla che possa nuocerle.”. Egli non può nemmeno renderla felice, se ne rende conto, ma, almeno, non vuole renderla ancora più triste e preoccupata. Tomàš, inoltre, spiega che solo nella sessualità il milionesimo di diversità si presenta come qualcosa di prezioso perché è pubblicamente inaccessibile e va quindi conquistato. Kundera, allora, distingue tra ossessione lirica ed epica: la prima è tipica degli uomini che stanno cercando nelle donne il proprio ideale. Essi sono destinati ad essere eternamente delusi, in quanto l’ideale è ciò che non è mai possibile trovare. I secondi, invece, non trovano nulla di commovente nelle donne, ogni cosa lo interessa e nulla può deluderlo: a questa tipologia appartiene Tomàš. Legato al tema dell’amore c’è anche quello della gelosia, fortissimo in Tereza, ma percettibile inizialmente anche in Tomàš: il chirurgo, infatti, soffre di una PAGE \* MERGEFORMAT1 libri stampati nei Paesi liberi e non occupati dalla sovrapproduzione. Questo rivela forse una delle concezioni diffuse tra gli intellettuali praghesi, che continuarono a scrivere nonostante il rigido controllo del regime. Legato al tema dell’intercettazione, appena accennato, c’è anche una condanna al falso senso di moralità insito nella natura umana (riconducibile alla concezione di ‘vivere nella verità’). Franz, infatti, sottolinea che “è strano come tutti dicano parolacce dalla mattina alla sera, ma quando sentono alla radio una persona conosciuta, che rispettano, dire ad ogni frase <<cazzo>>, ci rimangano un po’ male”. Queste intercettazioni, per Tereza, sono sinonimo del ‘campo di concentramento’ di cui abbiamo già fatto cenno. Esso è un mondo in cui le persone vivono accanto all’altra, giorno e notte, è l’eliminazione totale della vita privata (quella che per Tereza venne attuata dalla madre nei suoi confronti). Le violenze non sono altro che un aspetto secondario. E in questo la donna non sbaglia: scopo dei tedeschi nei campi, infatti, non era solo l’uccisione degli ebrei (facilmente attuabile in breve tempo), ma la totale spersonalizzazione dell’individuo, la riduzione dei prigionieri in belve pronte a lottare tra loro per un pezzo di pane (come ci ricorda Wiesel). Nella quinta parte del romanzo, inoltre, l’autore intavola una discussione sulla reale innocenza dei criminali di guerra che erano soliti difendersi dicendo di ‘non sapere’. “Si è innocenti solo per il fatto che non si sa? Un imbecille seduto sul trono è sollevato da ogni responsabilità solo per il fatto che è un imbecille?” Egli, infatti, si riferisce al mito di Edipo: il re, pur avendo agito malamente solo per ignoranza, non esita a punirsi e ad accecarsi. Così, per Tomàš, e quindi per Kundera, anche coloro che sono da considerarsi solo ‘responsabili’ e non ‘colpevoli’ sono da punire, in quanto comunque creatori di un danno all società e all’umanità stessa. Infine, nell’ultimo capitolo emerge un estremo riferimento politico: per Kundera, il regime comunista tendeva ad alimentare nella gente l’odio verso le bestie che venne successivamente incanalato verso il suo vero bersaglio, la gente. “Cominciarono i licenziamenti, gli arresti, i processi. Gli animali poterono tirare finalmente un sospiro di sollievo”. Struggente, e per me ancora pieno di mistero, il passaggio in cui Tomàš, per ‘aiutare Tereza’, la manda a morire. Essa desiderava da tempo liberarsi di quel corpo che non era diverso da quello delle innumerevoli amanti di Tomàš, ma uccidersi “non è suo desiderio”. Solo alla loro partenza da Praga, riflettendo sulla differenza tra la loro debolezza e la loro forza, essa desidera tornare sulla collina del Petřín e morire. Morte, per Tomàš, invece, è vedere Tereza soffrire a causa sua: ”[…] questa è la morte: Tereza dorme, fa sogni terribili e lui non può risvegliarla”. La penultima parte del libro è dedicata all’analisi di quell’ideale estetico che Kundera chiama Kitsch. Esso è l’ideale secondo cui è necessario eliminare dal proprio campo visivo ciò che nell’esistenza umana è essenzialmente inaccettabile. Esso, infatti, è basato sul sentimento, non sulla ragione e permetterà la fratellanza di tutti gli uomini sulla Terra. Tuttavia, laddove un unico movimento politico detiene tutto il potere, ci troviamo nel regno del Kitsch totalitario: tutto ciò che lo turba è bandito dalla vita (ogni individualismo, ogni dubbio, ogni ironia e ogni atto che va contro al precetto divino ‘crescete e moltiplicatevi’). Inoltre, per Franz e per Kundera, ciò che fa di un uomo di sinistra un uomo di sinistra, non è la sua adesione alle varie teorie, ma la sua capacità a rendere una qualsiasi di queste parte di quel Kitsch chiamato PAGE \* MERGEFORMAT1 Grande Marcia in avanti, quell’avanzata meravigliosa verso la fratellanza, l’uguaglianza, la giustizia e la felicità. Per Kundera, inoltre, abbiamo tutti bisogno di qualcuno che ci guardi e in base al tipo di sguardo richiesto, divide le persone e i suoi personaggi in quattro categorie: • La prima desidera lo sguardo infinito di sconosciuti, lo sguardo del pubblico (a questa categoria fanno parte il cantante e l’attrice presenti alla marcia in Cambogia); • La seconda ha bisogno dello sguardo di molti occhi conosciuti. Essi sono più felici delle persone della prima categoria che, quando perdono il pubblico, hanno l’impressione che la loro vita abbia perso di senso. Questi, invece, gli sguardi riescono a procurarseli sempre (è il caso di Marie-Claude, la moglie di Franz, e di sua figlia); • La terza abbisogna dello sguardo della persona amata ed è pericolosa quanto la prima (vi appartengono Tereza e Tomàš); • Infine, la quarta è quella di coloro che vivono sotto lo sguardo immaginario di persone assenti, sono sognatori (come Franz e Šimon, il figlio di Tomàš). Tuttavia, poco prima di morire, Franz capirà che l’unica vita reale non è rappresentata dai cortei, dal Kitsch, non da Sabina, ma dalla sua nuova amante, ‘la ragazza con gli occhiali’. Egli scopre, troppo tardi, che la realtà è molto più del sogno. Questo avviene, probabilmente, a causa di scelte errate che Franz non scoprirà tali se non un momento prima della sua morte: l’insensatezza delle azioni umani e il dominio dell’eterno ritorno hanno in Franz il loro esempio più elevato. Infine, nell’ultimo capitolo ‘il sorriso di Karenin’, viene analizzato un altro tipo d’amore: quello tra uomo e animale. Nel paese di campagna in cui Tomàš e Tereza si trasferiscono, infatti, la gente si scandalizza dell’amore per un cane. Tereza afferma che “se la vicina avesse saputo che lei era infedele a Tomàš, le avrebbe dato un’allegra pacca sulla spalla con aria di complicità”. Ma amare un animale, mai! Per i campagnoli, infatti, gli animali sono come li descriveva Cartesio (che Kundera chiama più correttamente Descartes): semplici macchine che non si lamentano, ma cigolano e necessitano solo di essere ben oliate. Secondo Kundera, non potremo mai stabilire con certezza fino a che punto i nostri rapporti con gli altri sono il risultato dei nostri sentimenti e fino a che punto sono condizionati dal rapporto di forza tra gli individui: “la vera bontà dell’uomo si può manifestare solo nei confronti di chi non rappresenta alcuna forza”, ovvero gli animali. Qui sta il fallimento dell’uomo, fallimento da cui derivano tutti gli altri. Tereza, verso la conclusione del romanzo, arriva a capire che l’uomo non è in grado di amare perché desidera essere amato: egli vuole qualcosa dall’altro, invece di avvicinarsi a lui senza pretese e volere la sua sola presenza. Tereza, invece, ha accettato Karenin così com’è, non ha voluto cambiarlo a propria somiglianza, ha accettato in partenza il suo universo di cane e verso questo prova un amore volontario e non obbligato (come può essere quello per un familiare). L’amore che lega Tereza e Karenin, quindi, è migliore di quello presente tra lei e Tomàš, anche se non più grande. La coppia umana, dunque, è stata creata in modo tale che l’amore dell’uomo e della donna è di natura inferiore a quello che vi può essere tra l’uomo e il cane, poiché quest’ultimo è disinteressato: Tereza non vuole nulla da Karenin, nemmeno l’amore. L’amore PAGE \* MERGEFORMAT1 tra uomo e cane è idilliaco, non vi sono scene di gelosie, conflitti o di dolore. Il cane è felice nella sua quotidianità. Se Karenin fosse stata un essere umano, infatti, avrebbe da tempo detto a Tereza: “Senti, non mi va più di portare in bocca ogni giorno un panino. Non puoi inventarti qualcosa di nuovo?”. Il tempo umano, quindi è la condanna dell’uomo: esso non ruota in cerchio, ma avanza veloce in linea retta. L’uomo, quindi, non può essere felice perché la felicità è data, per Kundera, dal desiderio di ripetizione. Qui, allora, l’autore si scontra con la concezione dell’eterno ritorno di Nietzsche, ribaltandola. PAGE \* MERGEFORMAT1
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