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L'intelligenza: cos'è e come si misura in psicologia, Sintesi del corso di Psicologia Generale

Sunto del capitolo in cui si definisce l'intelligenza, tratto dal manuale di psicologia generale di Schacter e Gilbert

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 18/09/2020

Erica.Cerami
Erica.Cerami 🇮🇹

3.8

(10)

9 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica L'intelligenza: cos'è e come si misura in psicologia e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! CAP X L’INTELLIGENZA L’intelligenza implica l’abilità di ragionare, programmare, risolvere problemi, pensare in modo astratto, comprendere idee complesse, apprendere rapidamente e imparare dall’esperienza. Non è puramente erudizione, né una ristretta abilità accademica e neppure bravura nel risolvere test. Piuttosto questa abilità riflette una più ampia e profonda capacità di comprendere ciò che ci circonda. In breve, l’intelligenza è la capacità di usare la propria mente per risolvere nuovi problemi e apprendere dall’esperienza. Come si misura l’intelligenza? I test d’intelligenza furono sviluppati in origine per il più nobile degli scopi: aiutare gli scolari delle classi meno privilegiate ad avere successo negli studi. Il quoziente d’intelligenza Nella Francia dell’Ottocento, dopo l’introduzione dell’istruzione scolastica obbligatoria per i bambini fra i 6 e i 13 anni, il governo diede vita a una ristretta commissione di esperti con il compito di individuare le modalità per dare attuazione pratica all’obbligatorietà scolastica (poiché non tutti i bambini della stessa età avevano la stessa predisposizione a imparare). Alcuni di questi esperti erano del parere che ogni singolo bambino francese avrebbe dovuto essere sottoposto a visita psichiatrica, e che il governo avrebbe dovuto istituire scuole speciali per i bambini “ritardati”. Lo psicologo Alfred Binet era di diversa opinione. Egli riteneva che il governo avrebbe dovuto avvalersi di un metodo oggettivo per valutare le capacità di apprendimento di ogni bambino, e quelli che avevano bisogno di un aiuto particolare dovevano essere inseriti in “classi di recupero”. Per mettere in pratica questa scelta, Binet e il suo collaboratore Théodore Simon raccolsero un insieme di compiti che i bambini “brillanti” potevano risolvere bene, e quelli “più tardi” non erano in grado di eseguire. Binet e Simon scelsero 30 di questi compiti e li accorparono in un test che – essi sostenevano – poteva misurare “l’intelligenza naturale” di un bambino. Binet e Simon concepirono il loro test in modo da misurare l’attitudine a imparare di un bambino, indipendentemente dai suoi precedenti risultati scolastici. Essi inoltre costruirono il loro test in modo che gli psicologi potessero utilizzarlo per valutare il “livello mentale” di un bambino. Circa un decennio più tardi, lo psicologo tedesco William Stern (1914) propose che questo livello mentale fosse da considerarsi l’età mentale del bambino, e che il modo migliore per stabilire se un bambino si stava sviluppando normalmente fosse esaminare il rapporto tra la sua età mentale e la sua età cronologica. Nacque così il quoziente di intelligenza, ovvero quello che oggi indichiamo semplicemente con QI. Inizialmente gli psicologi calcolavano il QI di rapporto, che è una grandezza statistica ottenuta dividendo l’età mentale di una persona per la sua età cronologica e dividendo il quoziente per 100. Questo calcolo sembra molto semplice, e in effetti lo è. Ma c’è un problema. Gli psicologi si resero conto che mettere a confronto l’età mentale con l’età cronologica può funzionare bene con i bambini, ma non funziona affatto con gli adulti, dato che fra adulti di età diverse non vi sono differenze notevoli rispetto alle capacità intellettive. Per ovviare a questa difficoltà, i ricercatori iniziarono a misurare l’intelligenza calcolando il QI di deviazione, una grandezza statistica ottenuta dividendo il punteggio conseguito nel test da una persona per il punteggio medio conseguito dalle persone della sua stessa età, e moltiplicando il quoziente per 100. Il test di intelligenza I più diffusi tra i moderni test d’intelligenza sono la Scala WAIS (Wechsler Adult Intelligence Scale) e la Scala WISC (Wechsler Intelligence Scale for Children). Entrambi questi test prendono il nome dal loro autore, lo psicologo David Wechsler, che durante la Seconda Guerra Mondiale lavorò per l’esercito americano mettendo a punto test con cui valutare le nuove reclute. Anche le scale WAIS e WISC misurano l’intelligenza sia tramite un’ampia gamma di domande a cui i soggetti devono rispondere, sia attraverso la risoluzione di svariati tipi di problemi. Le persone sottoposte ai test devono riconoscere somiglianze e differenze fra idee e oggetti, trarre inferenze dalle evidenze disponibili, identificare e applicare regole, ricordare e organizzare materiali, costruire forme, riferire il significato di parole, richiamare alla memoria conoscenze generali, spiegare azioni pratiche della vita quotidiana, usare i numeri, fare attenzione ai dettagli, etc. Decenni di ricerche hanno dimostrato che la prestazione in test come la WAIS ha reale potere predittivo su un numero impressionante di aspetti della vita: in effetti, il punteggio del QI è un fattore predittivo del livello di istruzione che una persona può raggiungere più potente della classe sociale di appartenenza. Ricerche che hanno seguito milioni di persone nell’arco di decenni hanno trovato che l’intelligenza è fortemente correlata con la salute che con la longevità. Che cos’è l’intelligenza? (Esempio a pag.347) Come abbiamo visto, i punteggi nei test di intelligenza permettono di prevedere esiti importanti nella vita delle persone, dal successo accademico alla longevità. Ma questo accade perché misurano un’abilità reale, oppure l’intelligenza è soltanto un’astrazione priva di significato? Una gerarchia di abilità Se davvero esiste un’unica abilità chiamata intelligenza che consente di produrre una grande varietà di comportamenti intelligenti, allora le persone che possiedono questa abilità dovrebbero cavarsela bene praticamente in qualsiasi cosa. Se l’intelligenza è un’unica abilità generale, allora si dovrebbe trovare una correlazione positiva molto forte fra le prestazioni date da una stessa persona in molti tipi diversi di test. Questa è l’ipotesi su cui lo psicologo Charles Spareman (1904) fondò il suo lavoro di ricerca, analizzando l’accuratezza con cui bambini in età scolare erano in grado di distinguere piccole differenze di colore, di tonalità e di peso, quindi calcolò la correlazione tra questi punteggi e i voti ottenuti dai bambini in varie materie scolastiche. Notò due cose: - Notò che le prestazioni nei diversi test erano correlate positivamente: i bambini che ottenevano un punteggio elevato in un test tendevano ad avere un punteggio elevato anche negli altri. - Noto che le prestazioni nei bambini non presentavano una correlazione perfetta: il bambino che aveva il punteggio in assoluto più alto in un test non aveva necessariamente il punteggio in assoluto più alto in ogni test. Spareman combinò questi due fatti nella cosiddetta teoria bifattoriale dell’intelligenza, secondo la quale la prestazione di una persona in un test richiede la combinazione di un’abilità generale e di abilità che sono specifiche per il test. Spareman indicò con “g” l’abilità generale e con “s” l’abilità specifica. Louis Thurtstone (1983) osservò che sebbene le prestazioni nei differenti test presentassero una correlazione positiva, tale correlazione era molto più forte tra i test che avevano un carattere comune. Secondo Thurtstone, questo “raggrupparsi delle correlazioni” significava che in realtà non esisteva alcuna abilità generale, e che esistevano invece più abilità mentali stabili e indipendenti, quali l’abilità percettiva, l’abilità verbale e l’abilità numerica. Thurstone chiamò queste capacità abilità mentali primarie, e sostenne che non erano né generali come g né specifiche come s. In sostanza, Thurstone sosteneva che abbiamo abilità come l’abilità verbale e l’abilità percettiva ma nessuna abilità generale detta intelligenza. Per oltre mezzo secolo gli psicologi continuarono a discutere animatamente intorno all’esistenza di g, finché negli anni Ottanta una nuova tecnica matematica, detta analisi fattoriale confermativa, portò alla conclusione pacifica del dibattito rivelando che sia Spareman che Thurstone avevano ragione. Questa nuova tecnica ha dimostrato che le correlazioni tra i punteggi in test di abilità mentali differenti trovano la migliore descrizione in una gerarchia a tre livelli: - Un fattore generale al vertice - Fattori specifici alla base - Un insieme di fattori di gruppo nel mezzo Il fatto che l’intelligenza presenti un’evidente familiarità non prova che risenta di influenze genetiche, poiché, se pure è vero che i membri di una stessa famiglia molto spesso condividono geni, è però anche vero che condividono esperienze. I membri di una stessa famiglia possono avere livelli d’intelligenza molto simili perché condividono gli stessi geni, o perché condividono gli stessi ambienti, o per entrambi i fattori. Se vogliamo studiare separatamente le influenze dei geni e dell’ambiente sull’intelligenza, dobbiamo studiare: 1) Persone che hanno in comune i geni, ma non l’ambiente (ad esempio: fratelli biologici separati alla nascita e allevati da famiglie diverse). 2) Persone che hanno in comune l’ambiente, ma non i geni (fratelli adottivi, che crescono insieme allevati dalla stessa famiglia). 3) Persone che condividono sia i geni che l’ambiente (fratelli biologici che crescono insieme nella stessa casa) Per poter capire i risultati di queste ricerche, dobbiamo innanzitutto sapere che tipi diversi di fratelli hanno gradi diversi di parentela genetica. Due fratelli nati dagli stessi genitori ma in giorni (e anni) diversi condividono, in media, il 50% dei loro geni. I gemelli sono fratelli nati da uno stesso parto e possono essere di due tipi diversi. I gemelli fraterni (detti anche gemelli dizigoti) si sviluppano a partire da due ovociti differenti, fecondati da due spermatozoi differenti. I gemelli identici (detti anche gemelli monozigoti) si sviluppano in seguito dalla divisione di un unico ovocita, che è stato fecondato da un unico spermatozoo. I gemelli fraterni sono semplicemente fratelli a cui è capitato di crescere insieme nel ventre della madre, quindi, come tutti i fratelli, condividono il 50% dei loro geni. Invece i gemelli identici sono il risultato della divisione in due di un unico uovo fecondato, per cui sono duplicati genetici l’uno dell’altro e condividono il 100% dei loro geni. Questi differenti gradi di parentela genetica consentono agli studiosi di valutare l’influenza dei geni sull’intelligenza, influenza che si rivela piuttosto forte. I QI di gemelli identici hanno una correlazione positiva – ovvero se uno dei gemelli ha un QI elevato (o basso) anche l’altro gemello ha molto probabilmente un QI alto (o basso). Tale correlazione si osserva persino nei gemelli identici separati alla nascita, adottati da genitori diversi e cresciuti in famiglie diverse. ciò significa che le persone che condividono tutti i loro geni hanno QI simili, indipendentemente dal fatto che condividano le esperienze. Questi pattern di correlazione indicano chiaramente che i geni hanno un ruolo importante nel determinare l’intelligenza. In fin dei conti, l’intelligenza è influenzata dalla struttura e dal funzionamento del cervello, e questi a loro volta sono influenzati dai geni che hanno progettato quel cervello. La cosa davvero notevole sarebbe che i geni non influenzassero l’intelligenza di una persona, anche alla luce del fatto che i geni influenzano praticamente qualsiasi altro carattere umano. E’ chiaro, dunque, che i geni influenzano l’intelligenza. Il coefficiente di ereditabilità: la misura dell’influenza dei geni sul QI Quanto, esattamente, è potente l’effetto dei geni sull’intelligenza? Il coefficiente di ereditabilità (ℎ2) è un parametro statistico che descrive in quale proporzione la differenza tra persone nei punteggi del QI può essere spiegata da differenze nel loro corredo genetico. Se si analizzano insieme i dati di numerosi studi su bambini e su adulti, si trova che l’ereditabilità dell’intelligenza può assumere un valore variabile tra 0,5 e 0,7; ciò significa che tra il 50 e il 70% circa della differenza nei punteggi dei test d’intelligenza è dovuto alle differenze genetiche tra gli individui. Poiché la maggioranza delle persone fraintende il significato del coefficiente di ereditabilità cerchiamo di chiarire alcuni punti: - Il coefficiente di ereditabilità (ℎ2) non è la stessa cosa del coefficiente di correlazione fra i punteggi nei test d’intelligenza (r) : sono entrambi molto efficienti, ma qui termina la loro somiglianza. - Nell’udire che “l’ereditabilità dell’intelligenza è circa 0.5”, molto pensano che il 50% della loro intelligenza sia dovuto ai loro geni e il 50% alle loro esperienze. Ciò è completamente errato (vedi esempio pag. 355). L’intelligenza di una singola persona è il prodotto congiunto degli effetti dei geni e dell’esperienza – per cui l’intelligenza non può essere dovuta più all’uno che all’altro fattore. Il coefficiente di ereditabilità ci dice quanto è grande l’influenza dei geni nel determinare le differenze d’intelligenza tra le persone di un particolare gruppo, perciò il suo valore può cambiare in funzione dello specifico gruppo di persone che misuriamo. Per esempio, l’ereditabilità dell’intelligenza per i bambini americani appartenenti a famiglie ad alto reddito è di circa lo 0,72, mentre per i bambini di famiglie a basso reddito è di circa lo 0,10. Com’è possibile? Negli Stati Uniti i bambini delle famiglie abbienti crescono in ambienti piuttosto simili, quindi le differenze nella loro intelligenza devono necessariamente essere dovute all’unico fattore che li distingue l’uno dall’altro, vale a dire il loro corredo genetico. Viceversa, negli Stati Uniti i bambini delle famiglie povere vivono in ambienti piuttosto diversi, quindi la differenza tra le loro intelligenze può essere dovuta a entrambi i fattori che li distinguono l’uno dall’altro, vale a dire i loro geni e i loro ambienti. Il coefficiente di ereditabilità può variare anche in base all’età delle persone che si misurano, ed è in genere più elevato tra gli adulti che tra i bambini e tra i bambini più grandi rispetto ai più piccoli. In conclusione, il coefficiente di ereditabilità è semplicemente la proporzione delle differenze osservate in un certo gruppo di persone che può essere attribuita all’influenza del loro corredo genetico. In un mondo fantascientifico, abitato da esseri umani geneticamente differenti, che però vivessero in case esattamente uguali e ricevessero esattamente lo stesso cibo, livello di istruzione e cure parentali etc. il coefficiente di ereditabilità sarebbe pari a 1? Probabilmente no, e questo perché due persone senza legami di parentela che vivono nello stesso nucleo familiare avranno alcune esperienze in comune, ma non tutte. Per ambiente condiviso si intendono tutti quei fattori ambientali che sono esperiti da tutti i membri di un nucleo famigliare – ad esempio, i fratelli che crescono nella stessa casa avranno all’incirca lo stesso tipo di nutrizione e grado di accesso ai libri etc. Per ambiente non condiviso si intendono tutti quei fattori ambientali che non sono esperiti da tutti i membri rilevanti di un nucleo famigliare – ad esempio fratelli allevati nella stessa casa possono avere amici e insegnanti molto differenti e contrarre malattie diverse. Ciò può spiegare perché la correlazione fra i punteggi dei QI di fratelli è più alta quando più sono vicini per età. Infatti fratelli più simili per età hanno maggiori probabilità di avere gli stessi insegnanti, andare in vacanza insieme, etc. Cultura: le influenze ambientali sull’intelligenza Gli americani credono fermamente che ogni individuo debba avere le stesse possibilità di successo nella vita, e una delle ragioni per cui alcuni si innervosiscono quando sentono parlare di influenze genetiche sull’intelligenza è perché credono erroneamente che i nostri geni siano il nostro destino, cioè che “genetico” sia sinonimo di “immutabile”. Questo è un altro caso di nozione completamente sbagliata, poiché i caratteri che risentono di forti influenze genetiche possono risentire anche di forti influenze ambientali. Oggi è provato che l’intelligenza cambia chiaramente nel tempo. Per la maggioranza delle persone, la direzione del cambiamento è verso l’alto tra l’adolescenza e la mezza età, in seguito è verso il basso. Il declino più netto avviene nella vecchiaia, forse dovuto a una generale diminuzione della velocità con cui il cervello elabora le informazioni. Il declino dell’intelligenza correlato all’età è più evidente in alcuni settori che in altri. Per esempio, nei test che misurano la ricchezza del vocabolario, l’informazione generale e il ragionamento verbale, le persone mostrano un cambiamento modesto dai 18 ai 70 anni d’età. Ma nei test che contengono materiale astratto, o comportano la formazione di nuovi ricordi o chiedono di ragionare su relazioni spaziali, la maggior parte delle persone manifesta un marcato declino della prestazione dopo la mezza età. L’intelligenza cambia non solo nel corso dell’esistenza, ma anche tra le diverse generazioni. Con il termine effetto Flynn ci si riferisce al fatto che oggi il punteggio medio del QI è di circa 30 punti superiore rispetto a un secolo fa. Vuole dire che la persona media oggi vivente è più intelligente del 95% delle persone che erano vive nel 1900! Perché ogni generazione ha un QI superiore a quello della generazione che la precede? Alcuni studiosi attribuiscono tale effetto ai miglioramenti avvenuti nel campo dell’alimentazione, delle cure parentali e dell’istruzione, mentre altri hanno avanzato l’ipotesi che le persone intellettivamente meno dotate siano rimaste escluse dalla gara per la riproduzione. Ma la maggioranza degli studiosi tende a ritenere che la rivoluzione industriale e tecnologica abbia a tal punto modificato la vita quotidiana delle persone da far sì che oggi si trascorra sempre più tempo nel risolvere esattamente quel tipo di problemi astratti che compongono i test di intelligenza e, come tutti sanno, con la pratica si migliora. Il fatto che l’intelligenza si modifichi nell’arco dell’esistenza e da una generazione all’altra dimostra che l’intelligenza non è affatto “una qualità fissa che non può essere aumentata”. I nostri geni possono determinare l’intervallo di variazione entro il quale il valore del nostro QI può ricadere, ma sono le nostre esperienze a determinare l’esatto punto all’interno di quell’intervallo in cui il nostro QI ricadrà. Due delle esperienze più importanti ai fini dell’intelligenza sono le condizioni economiche e l’istruzione. L’importanza dell’economia: la povertà è nemica dell’intelligenza Uno dei più precisi fattori predittivi dell’intelligenza di una persona è la ricchezza materiale della famiglia in cui è cresciuta, ovvero quello che gli studiosi chiamano status socioeconomico (SSE). Gli studi indicano che essere cresciuto in una famiglia con SSE elevato, anziché in una famiglia con SSE basso, porta ad avere un QI tra i 12 e i 18 punti più alto. In che modo, esattamente, lo status socioeconomico influenza l’intelligenza? Uno dei modi è tramite un’influenza diretta sul cervello. I bambini di famiglie con SSE basso usufruiscono di diete e cure mediche peggiori, sopportano quotidianamente uno stress maggiore, e hanno maggiori probabilità di essere esposti a tossine ambientali, tutti fattori che possono danneggiare lo sviluppo cerebrale. Lo status socioeconomico influenza il cervello e influenza l’ambiente in cui quel cervello vive e apprende. La stimolazione intellettiva accresce l’intelligenza e le ricerche dimostrano che le famiglie ad alto reddito hanno maggiori probabilità di fornirla ai loro figli. Il bambino che cresce in una famiglia con SSE elevato conosce un 50% di parole in più del bambino che cresce in una famiglia con SSE basso. Questa differenza nell’entità degli stimoli intellettivi offerti dall’ambiente domestico può spiegare perché i bambini delle famiglie a basso reddito mostrino una diminuzione nei punteggi d’intelligenza durante l’estate, quando le scuole sono chiuse. E’ chiaro, quindi, che la povertà è nemica dell’intelligenza. L’importanza dell’istruzione: la scuola è amica dell’intelligenza La correlazione tra il grado di istruzione formale che una persona riceve e la sua intelligenza è piuttosto alta, ricade infatti in un campo di variazione compreso tra r = 0,55 e r = 0,90. Una ragione per cui questa correlazione è così elevata è perché le persone intelligenti tendono a rimanere a scuola, ma un’altra ragione è che la scuola rende intelligenti. Anche se è vero che l’istruzione accresce l’intelligenza, i suoi effetti tendono a essere modesti e a svanire al termine del corso degli studi. Per esempio, i programmi educativi rivolti a bambini in età prescolare provenienti da famiglie a basso reddito tendono a far aumentare il loro QI, ma gli effetti scompaiono quando i bambini lasciano questo ambiente arricchito rispetto agli stimoli intellettivi per iniziare la scuola elementare. Fino a oggi, ben pochi interventi educativi paiono aver dato luogo a incrementi dell’intelligenza di entità significativa e di lunga durata. Ma ciò non significa che l’istruzione non sia importante. Anche quando non portano ad aumenti duraturi dell’intelligenza questi programmi producono incrementi duraturi di altre abilità importanti. La distinzione tra natura e cultura: Natura e cultura influenzano entrambe l’intelligenza. Ma ciò non dovrebbe indurvi a pensare ai geni e agli ambienti come a ingredienti separati che vanno in qualche modo mescolati insieme, in una sorta di ricetta per il QI. Il punto è che geni e ambienti interagiscono in maniere complesse, il che rende alquanto difficile distinguere con chiarezza i relativi effetti. Per esempio, immaginiamo che esista un gene capace di far sì che alle persone piaccia l’odore della polvere della biblioteca, o un gene che le renda insolitamente sensibili al bagliore degli schermi televisivi. Una persona che possedesse tali geni potrebbe senz’altro leggere più libri, guardare meno la televisione, e probabilmente finirebbe con l’essere più intelligente. Ma quell’aumento di intelligenza sarebbe dovuto ai suoi geni o all’ambiente in cui vive? Il punto è che i geni possono esercitare parte delle loro influenze più potenti non tanto determinando la struttura del cervello di una persona, quanto piuttosto determinando l’attrazione della persona per particolari ambienti. Si può evincere da queste domande, geni e ambienti – natura e cultura – non esercitano sull’intelligenza influenze indipendente, e una distinzione netta fra natura e cultura non è così semplice come a prima vista può apparire. meno, il che non è ciò che dovremmo aspettare se davvero i geni europei rendessero più intelligenti. Che cosa ci vorrebbe per provare che le differenze psicologiche e comportamentali fra gruppi hanno un’origine genetica? Probabilmente ci vorrebbe quel genere di prove che spesso gli scienziati trovano quando studiano le differenze fisiche tra gruppi. Per esempio, alle persone affette da epatite C spesso vengono prescritti farmaci antivirali, un trattamento che tipicamente dà maggiori benefici agli americani di origine europea che non agli afroamericani. Fu scoperto un gene che rende insensibili all’azione di questi farmaci antivirali e quel gene è molto più frequente tra gli afroamericani che tra gli americani europei. Questo tipo di prove molto chiare sull’esistenza di una differenza genetica tra gruppi è esattamente ciò che manca nella discussione intorno alle cause delle differenze tra gruppi rispetto all’intelligenza. L’intelligenza è influenzata da molti, piccolissimi effetti genetici, anziché da pochi, potenti “geni dell’intelligenza”, ma fino a quando gli scienziati non riusciranno a individuare tali geni, e fino a quando non dimostreranno che quei geni sono più frequenti in un certo gruppo umano che in altri, è molto improbabile che la maggioranza degli scienziati adotti una spiegazione genetica per le differenze d’intelligenza fra gruppi. Migliorare l’intelligenza L’intelligenza può essere migliorata, per esempio tramite il denaro e l’istruzione. Ma alla maggioranza delle persone non basta schioccare le dita per diventare più ricca, e l’istruzione richiede tempo. C’è nulla che un genitore medio possa fare per innalzare il QI dei suoi figli? Alcuni ricercatori hanno trovato che quattro tipi di interventi sono davvero in grado di migliorare l’intelligenza dei bambini. - Arricchire la dieta delle donne durante la gravidanza e l’allattamento con acidi grassi polinsaturi a lunga catena (composti di cui è ricco il latte materno) sembra far aumentare il QI dei bambini di 4 punti. - Far partecipare i bambini delle famiglie a basso reddito ai cosiddetti programmi di educazione precoce tende a far crescere il loro QI di circa 6 punti. - Leggere ai bambini in maniera interattiva fa crescere il loro QI di circa 6 punti. - Mandare i bambini all’asilo fa aumentare il loro QI di 6 punti. E ci sono cose che i genitori possono fare per rendere anche loro stessi più intelligenti? Le ricerche indicano che vari tipi di “esercizi mentali” sono in grado di migliorare l’intelligenza. Ma per migliorare l’intelligenza esistono anche i potenziatori cognitivi (o farmaci nootropici) sono sostanze che migliorano i processi psicologici sottostanti alle prestazioni intellettive. Stimolanti come il Ritalin (metilfenidato) e l’Adderall (un misto di sali dell’amfetamina), per esempio, possono migliorare le prestazioni cognitive. Recenti indagini dimostrano che il 7% degli studenti delle università americane ha fatto uso di farmaci stimolanti per migliorare le prestazioni cognitive. In alcuni campus, tale percentuale arriva addirittura al 25%. La prestazione cognitiva può essere migliorata anche da una classe di farmaci, detti ampachine. Il mondafinil appartiene a questa classe e migliora sia la memoria a breve termine sia la capacità di pianificazione. Tutti questi farmaci possono avere effetti collaterali nocivi e portare all’abuso, ma la loro azione sulle prestazioni cognitive è chiara. Nel prossimo futuro forse sarà possibile raggiungere il potenziamento cognitivo tramite tecniche che modificano in modo permanente la struttura del cervello. Attraverso la manipolazione dei geni che governano lo sviluppo dell’ippocampo, gli scienziati hanno creato un ceppo di “topi intelligenti” dotati di straordinarie abilità di memoria e di apprendimento. Anche se nessuno è ancora riuscito a produrre una “pillola dell’intelligenza” efficace e sicura, né a sviluppare una tecnica di editing del genoma capace di potenziare l’intelligenza nei mammiferi, molti esperti ritengono che ogni probabilità entrambe queste cose accadranno nei prossimi anni. Sia i farmaci sia i giochi per allenare la memoria fanno aumentare l’intelligenza fluida, ma i giochi richiedono impegno e duro lavoro, mentre i farmaci richiedono solo una ricetta medica. Vogliamo vivere in un mondo in cui una facoltà umana di alto valore come l’intelligenza può essere comprata, anziché essere guadagnata o ricevuta in dote dalla natura? Questa è una domanda che presto tutti dovremo porci, e avremo bisogno di un bel po’ d’intelligenza per darle una risposta.
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