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L'invenzione della virilità. Politica e immaginario maschile nell'Italia contemporanea Sandro Bellassai, Sintesi del corso di Letteratura

La virilità ha avuto un ruolo particolarmente importante nell'immaginario politico dell'Italia contemporanea. "Inventato" per proteggere la mascolinità tradizionale in un'epoca di grandi trasformazioni, dall'ultimo Ottocento il virilismo è stato un pilastro retorico delle culture nazionaliste, imperialiste, autoritarie e razziste.

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 11/08/2019

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Scarica L'invenzione della virilità. Politica e immaginario maschile nell'Italia contemporanea Sandro Bellassai e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura solo su Docsity! L’invenzione della virilità 1. Virilità e storia politica Il virilismo è stato un’invenzione: sul piano storico, ha coinciso con una formazione culturale che si è affacciata alla storia politica delle società occidentali a metà del XIX sec. Nel corso dell’Ottocento questo concetto ha rivestito un significato simbolico maggiore, per poi diventare nel corso degli ultimi decenni un concetto ricorrente nei discorsi intorno al passato, presente e futuro di una nazione. In un’epoca in cui l’opinione pubblica aveva un’impronta prettamente maschile, il crescente protagonismo delle donne viene percepito come una minaccia pericolosa: buona parte delle voci maschili venne così costruendo una prospettiva politica il cui asse fondamentale fosse una mascolinità rafforzata. Alla fine del secolo, non solo l’avanzata delle donne, ma anche altri cambiamenti prefigurarono la decadenza dell’assoluta sicurezza maschile nel pubblico e nel privato. I vasti processi di modernizzazione mettevano in discussione il primato morale della tradizione, della stabilità patriarcale (legittimata dalla tradizione): la posizione gerarchicamente superiore dell’uomo dipendeva da una legge divina o naturale. Se la modernità significava indebolimento del dominio e dunque della virilità, la risposta maschile fu di rilanciare la virilità stessa conferendole un’enorme valenza ideologica e mitologica. Questa battaglia per virilizzare la società fu presentata come una prospettiva necessaria alla salvezza dell’umanità. Virilismo e società di massa Il virilismo fornì un contributo rilevante in termini di integrazione sociale di vasti strati sociali nella contemporaneità. Tale cultura virilista cerca di proporsi come importante via d’accesso a uno scenario moderno che avrebbe conservato i sacri principi della forza e dell’autorità. Il virilismo operò come un importante strumento della modernizzazione della società contemporanea. Virilismo: difende gli interessi della parte tradizionalista e traghetta gran parte della popolazione maschile verso una dimensione politica e sociale di massa, cioè moderna. La sostanza intrinsecamente illiberale del virilismo non deve essere sottovalutata. La misoginia ne costituì sempre un tratto fondamentale. Il virilismo misogino ha permesso che una politica della modernità, inizialmente basata sulla libertà e l’uguaglianza, convivesse come una politica della tradizione, fondata sulla gerarchia. Il suo contributo: il perpetuarsi di un’identificazione esclusiva del genere maschile con il potere in termini dispotici e con la superiorità in termini ontologici. La longevità del virilismo italiano è da riscontrare nell’Italia unita e all’importante ruolo attribuito alla via gerarchica nella modernità politica, cioè all’inclusione delle masse nell’arena politica. Il tema della folla, nella belle époque: dinamica culturale che coniugava esaltazione della virilità e rimodernamento sociale in senso gerarchico e autoritario. La negazione dei principi egualitari era rappresentato dalla qualificazione delle plebi urbane come orda selvaggia, portatrice di epidemie e incline alla violenza. La folla, pericolosa, una volta trovato il suo maschio domatore, avrebbe avuto un’importanza cruciale nella liturgia politica fascista. La folla da plasmare, per creare un armonico collettivo. L’uomo superiore che domina le folle per il desiderio di possesso (come il possesso della donna, farla propria) e a conquista della moltitudine. Con una conseguente persistenza del privilegio maschile e rinnovata e ritrovata integrità dell’identità di genere degli uomini. Il piano discorsivo del genere costituì dunque un territorio simbolico di mediazione sul quale costruire l’integrazione nella nuova realtà moderna di crescenti fasce di popolazione maschile. Fu logico in termini di virilismo la vasta e costante vocazione repressiva, violenta e cruenta contro le minoranze non integrabili. L’insicurezza maschile costituiva uno straordinario piano discorsivo su cui far leva per catturare l’adesione. Il virilismo rappresentò una garanzia di continuità del tradizionale ordine politico. La violenza imperialista Il nazionalismo è stato la più forte ed efficace ideologia dell’età contemporanea. La dinamica del nazionalismo moderno fu costruita sull’ideale di virilità. La nazione o l’impero diventano espressione della virilità collettiva. Il nazionalismo aggressivo, l’imperialismo, l’inclinazione alla violenza hanno avuto storicamente un legame importantissimo con il virilismo. Negli ambiti nazionalisti o imperialisti, virile divenne sinonimo di uomo disponibile a esercitare la forza, se non la violenza brutale, contro il nemico: imponendo un ordine dispotico, autoritario, gerarchico. Misoginia: funzione interna alla nazione. Nazionalismo aggressivo: funzione nei confronti di un soggetto altro, esterno alla società nazionale. Donne colonizzate: doppiamente altre, definite come inferiori sia per il genere che per la razza. Colonizzati maschi: trattamento interno al maschile, legato alle dinamiche virili. La violenza esercitata è ritenuta giusta. Novecento: retorica violentemente nazionalista, imperialista, esclusiva e gerarchica. Anche la violenza verbale invocava la maniera forte contro le persone considerate diverse. Il profilo politico del guerriero era un profilo virile, era una costante del pensiero nazional-patriottico europeo fin 1 dalle sue origini. Non tutti gli apostoli della virilità predicavano una simile mistica violenza, malgrado ciò quest’ultima costituiva un legittimo diritto dell’uomo ritenuto superiore nei confronti di ogni altro soggetto ritenuto inferiore. Alcune azioni terribili erano ritenute addirittura onorevoli. Tra uomini e violenza è esistito un nesso difficile da ignorare, e si tratta di un nesso sessuato. Questo nesso presenta un carattere sistemico. I regimi democratici non sono stati immuni dall’esercizio di spaventose violenze di massa (politiche imperialistiche), l’esaltazione della virilità non era stata fatta propria solo dal fascismo e nazismo. Colonialismo e razzismo italiano Dal secondo Ottocento il nazionalismo in Italia si configura in una cultura politica chiaramente aggressiva. Il fascismo ne costituì l’apoteosi. Dal 1870 c’è un campo nazionalista che ha una forte capacità di orientare le decisioni politiche che mira al protezionismo, all’industrialismo e a una società gerarchica di massa. Anche Giolitti, nonostante rappresenti una fase liberale della storia del Regno, ha avuto un ruolo in vicende belliciste e imperialiste. Già nell’Italia liberale troviamo casi significativi di una politica delle razze, accompagnata da un razzismo quotidiano generalizzato ed esteso ben oltre le autorità coloniali civili e militari. Il razzismo italiano non si mostra solo nelle politiche coloniali (Eritrea, Somalia…), ma anche nella società e cultura nazionale a più livelli. L’esposizione al pubblico di membri di popolazioni selvagge, erano chiamati zoo umani. Tali attrazioni ebbero un enorme successo nel pubblico. Contribuendo un immaginario sull’altro fondato su una visione razzista, confermata dalla scienza antropologica. A fine Ottocento, per mezzo della stampa, si andava a diffondere il razzismo e la violenza contro l’altro. Nel Ventennio, il razzismo diffuso poggiava su stereotipi e atteggiamenti che la propaganda fascista curò di generalizzare. L’esaltazione della dimensione di una massa biologica contro quella dell’individuo. 2. La soluzione virile Società occidentali degli ultimi decenni dell’Ottocento: ribalta della questione femminile che sfidava la logica dell’uguaglianza, tutti gli uomini sono uguali, ma non tutti gli esseri umani sono uomini. Anni sessanta dell’Ottocento nascono i primi movimenti femministi formalmente organizzati che propugnavano i diritti delle donne. Più tardi si formavano le prime associazioni femminili nazionali per il suffragio. Per gli uomini tutto ciò segna l’inizio del decadimento del potere patriarcale. Percepivano il protagonismo femminile con un acuto senso di minaccia. Si iniziava a parlare di femminilizzazione della società. Femminilizzazione e modernizzazione erano spesso accostati e percepiti come una minaccia. La prima rappresentava la prova tangibile e pervasiva del potenziale degenerativo della modernità. La seconda conferiva una latitudine epocale alla preoccupante avanzata delle donne. I sintomi della sindrome moderna erano riconoscibili come un complesso di fenomeni che indebolivano il corpo e il carattere maschile. Si cerca di rilanciare la virilità in ogni aspetto: materiale e simbolico. Misoginie di fine secolo La differenza tra gli uomini e il resto delle persone era fondata su un meccanismo di stigmatizzazione dell’alterità, come potente fattore di integrazione sociale. Nelle relazioni di genere, la prima e più potente incarnazione dell’alterità era da sempre la donna. La donna nuova che si andava ad emancipare era considerata un essere mostruoso, un’aberrazione della natura. Una delle più minacciose incarnazioni di questa figura era la femminista. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento l’esclusiva maschile nella sfera pubblica appariva minacciata su più fronti, mentre l’istruzione universitaria si apriva anche alle donne. I femministi (uomini) facevano apparire la misoginia maschile una questione di punti di vista, ridimensionandone il carattere di necessità nell’interesse supremo dell’umanità. La misoginia fu la reazione maschile alle conseguenze di genere di una modernizzazione che toglieva un’aura di sacralità agli equilibri di potere consolidati. Tutti condannavano la scelta delle donne a sottrarsi all’assoluto imperio dell’uomo all’interno della famiglia. Il tema della degenerazione iniziò a presentare in molti casi dirette connessioni con il mutamento dell’identità di genere. Un esempio: la perdita dei caratteri sessuali, si hanno uomini femminei e donne mascolinizzate. Virilità e modernizzazione A cavallo fra Ottocento e Novecento, le società occidentali videro trasformasi radicalmente il paesaggio quotidiano: le innumerevoli innovazioni tecniche davano l’impressione di una sorta di accelerazione del corso storico e di distanziamento da tutta la storia precedente dell’umanità. La rottura con il passato era percepibile anche da un pov estetico, della comunicazione mediatica e nel rapporto fra stato e popolo. La nuova civiltà capitalistica era nei fatti la civiltà moderna fino ad allora conosciuta. Tutte le conseguenze negative prodotte dalle macchine erano circoscritte all’ambito maschile, minaccia 2 Prevaricazione sessuale, virilismo e razzismo. Il razzismo stesso si mostrava un potente strumento di rafforzamento simultaneo delle gerarchie di genere e di razza. Il concetto di gerarchia in sé come architrave del paesaggio sociale e culturale. 4. Il declino Tra la seconda metà degli anni ’50 e i primi anni ’60 la società italiana fu investita da un complesso di mutamenti sociali che ne trasformarono radicalmente il passaggio culturale e morale, marginalizzando le culture contadine, decretando un declino irreversibile della tradizione quale fondamento del sistema di valori condivisi. Tutti quei mutamenti che investono la società italiana, la rendono più laica, liberale e civile. Ne risentì l’assetto delle relazioni di genere: cambiamenti nella rappresentazione dei ruoli femminili e anche nell’ambito domestico, riconoscimento di nuovi diritti civili e sociali delle donne. Malgrado ciò continuavano ad operare forze contrarie di resistenza conservatrice. Erano persistenti elementi culturali più tradizionali: la riproduzione di un assetto asimmetrico e gerarchico del potere. La sicurezza virile è garantita solo dalla disuguaglianza fra i generi, che negli anni '60 rimase presente sul piano giuridico, economico e sociale. Però risultò impossibile creare la giusta distanza gerarchica e rilanciare la retorica della superiorità maschile naturale. Negli anni ’70, con l’affermazione del neofemminismo, l’asimmetria fra i generi si ridusse ancora, facendo tramontare la possibilità di una prospettiva virilista. Anche sul piano globale, la diffusione di sentimenti pacifisti o antimilitaristi, i processi di decolonizzazione e il superamento della segregazione razziale, e infine l’emersione di culture giovanili, le protesta antiautoritaria, fra gli anni ’50 e ’60, contribuirono a erodere ovunque la legittimazione dei valori gerarchici, imperialistici e autoritari. Il periodo tra gli anni ’60 e ’50 chiuse definitivamente una pluridecennale fase storica in cui i modelli di mascolinità ispirati al virilismo, avevano detenuto una notevole egemonia nell’immaginario collettivo maschile. L’idea che gerarchia, forza e rudezza fossero indispensabili alla riproduzione della virilità collettiva, non scomparve. L’impossibilità di riaffermare il virilismo aumentava l’insicurezza di un’ampia fascia della popolazione maschile. Si mantenne attivo un virilismo informale le cui tracce si ritroveranno nella comunicazione pubblicitaria dei nuovi beni di consumo. Il nuovo scenario dei consumi, svolse per più aspetti quella funzione di integrazione sociale che era stata fatta propria dal virilismo. I consumi privati ebbero un ruolo fondamentale in questa grande trasformazione culturale. La modernità perse, agli occhi di molti, la sua connotazione negativa. Così anche l’antimodernismo iniziava a suonare anacronistico. Nella sfera dei consumi privati, uomini e donne, trovarono il senso dell’appartenenza collettiva. Il nuovo scenario culturale intaccava la potestà normativa e il potere di controllo maschile sui comportamenti delle donne. Il comfort pareva antitetico alla salutare rudezza maschile. Questo insieme di mutamenti aggravò le vecchie insicurezze maschili rispetto al declino storico della virilità. Però c’erano ampie fasce di popolazione maschile che poterono constatare gli effetti positivi dello sviluppo, dell’accesso di massa ai consumi privati e nella speranza di un futuro migliore per i figli. Consumi e scenari di genere Con la grande trasformazione del boom, il tempo perse per sempre il carattere ciclico che aveva avuto nelle culture popolari del passato. La speranza di uscire dalla miseria era possibile. Nel corso degli anni ’50 e ’60, moltissime famiglie iniziano a spostarsi per cercare prospettive di vita migliori. La cultura di massa ebbe un ruolo di primo piano nel mutamento culturale, investendo in modo diretto l’identità di genere. Ritorna il concetto di femminilizzazione della società: il paese si ingentilisce e si svirilisce. Netta evoluzione in corso dei modelli femminili. La spinta alla trasformazione nei modi di vivere e di pensare è assai forte, fra le nuove generazioni femminili. Le inchieste sulle ragazze d’oggi sembrano dilagare sui media italiani, il tono utilizzato era severamente moralistico. Nel nuovo contesto del boom, i mezzi di comunicazione di massa si spingevano fino a un’abile esaltazione dell’intelligenza quasi imprenditoriale delle donne di casa, diffondendo grazie alla pubblicità commerciale un’immagine femminile dotata di autonomia decisionale e competenze specifiche. Il mercato dei beni di consumo in espansione richiedeva sempre più interlocutrici, dotate di una certa autonomia. Lo sviluppo dei consumi di massa assestò un colpo durissimo al virilismo. Apocalisse e integrazione maschile La svirilizzazione iniziava ad essere vista bene dagli stessi uomini. Si tratta di un cambiamento epocale, che segna in maniera decisiva le vicende dell’identità maschile contemporanea. Si assiste al formarsi di una mascolinità declinata in senso laico, civile e progressista, con un distanziamento dalla famiglia patriarcale. Negli anni ’60, espressioni come, ingentilire il maschile, iniziavano a diffondersi. La prospettiva virilista come un copione gravoso da mettere in scena: superamento del trionfalismo 5 virilista. Anche in questo caso, come nei decenni precedenti, il protagonismo femminile e la conseguente decadenza dell’autorità e della dignità maschile, viene dipinta con toni apocalittici e catastrofici. Ancora una volta la donna-mantide viene descritta come un mostro. La rassicurazione modernista Le rappresentazioni della mascolinità degli anni ’60 vedono vari segnali di una strategia di rassicurazione virile. I linguaggi mediatici destinati ad un pubblico di uomini, erano orientati a ricostruire un’immagine del maschile autorevole, insistendo sull’associazione tra virilità tradizionale e caratteristiche moderne della mascolinità. Il termine successo serviva a ricostruire retoricamente un certo trionfalismo maschile. Il successo entrò a far parte delle virtù maschili. Valori individualistici, agnostici e materialistici segnarono un’epocale secolarizzazione della mascolinità. Il tradimento della tradizione ebbe conseguenze cruciali sulla mascolinità: venne a mancare il pilastro essenziale della legittimazione del dominio maschile sulle donne e l’identità maschile declinata in senso virilista. l’enfasi del successo rilanciava un concetto di gerarchia talvolta davvero aggressivo e prevaricatore, ringalluzzendo i maschi amareggiati dalla mollezza. Il cinismo diventava una sorta di qualità da esibire con orgoglio. 5. Agonie terminali La crisi della prospettiva virile toccò il suo apice negli anni ’70, per lasciare spazio, alla fine del millennio, al tentativo di rilanciare un ordine culturale ispirato alla subordinazione delle donne nel publico e nel privato, alla riproposta di una polarizzazione identitaria maschile e del femminile, pulsioni antiegualitarie, xenofobe, razziste o nazionaliste. Negli ultimi tre-quattro decenni il sistema di potere patriarcale si sia ormai pienamente secolarizzato: la sua sostanza gerarchica non ha smesso di costituire il cemento dell’ordine politico. Il virilismo ha continuato a riprodursi in mille forme molecolari di comportamenti, linguaggi, senso comune che evocano retoriche viriliste del passato. Peccato che la tesi su cui si fondava, difendere nella modernità una mascolinità legata con la tradizione e la forza, non sussiste più. Negli ultimi decenni del Novecento molti uomini hanno contribuito alla costituzione di un virilismo informale. Non si poteva più affermare ad alta voce l’inferiorità delle donne, ma pensare che lo fosse, data anche la loro posizione lavorativa marginale. Dagli anni ’70 con i movimenti neofemministi e la mobilitazione delle donne, appare possibile mutare i tradizionali termini delle relazioni e delle identità di genere. Alcuni uomini videro in questa prospettiva una liberazione anche per se stessi in quanto uomini. Tutto ciò non ha prodotto la cessazione delle disuguaglianze, né della vocazione maschile a perpetuarle, ha spinto gli uomini a definirsi in nuovi termini. Anni ’80: apparente ritorno all’ordine che non restituisce agli uomini la loro sicurezza identitaria. Anni ’90: i discorsi mediatici sulla crisi del maschio aumentano le inquietudini. Risorgeva a partire dagli anni ottanta un linguaggio maschile difensivo improntato alla misoginia: conferendo un sinistro profilo alla figura femminile, sessualizando il suo corpo e modellandolo sulle proiezioni del desiderio maschile più triviale. La diserzione della virilità In Italia negli anni ’70 emerge un femminismo molto più radicale, diffuso e variegato che nel passato ed ebbe un effetto dirompente sulla cultura virilista giù colpita dalle trasformazioni epocali dei decenni precedenti. Molti furono gli uomini che dovettero confrontarsi con le critiche femministe, ciò rivestiva già di per sé un cambiamento epocale. Di questioni scottanti si parlava correntemente, ma il neofemminismo vi aggiunse una critica globale e intransigente ai fondamenti patriarcali dei ruoli, delle relazioni e delle identità tradizionali di uomini e donne. Lo spazio domestico era un nuovo scenario nel quale nuovi equilibri, regole e comportamenti venivano spesso negoziati e ridiscussi. Pur nella consistenza di una concezione del privilegio maschile come diritto naturale, nel decennio ’70 aumentavano i segnali di un mutamento molto sensibile della mascolinità, anche nel privato. Per alcuni uomini il mutamento in senso più egualitario delle relazioni di genere e la denuncia della tradizionale mascolinità ispirata alla misoginia, onore virile e omofobia divennero parte della propria presa di coscienza politica. L’illusione della necessità assoluta della virilità politica veniva ormai denunciata dallo stesso genere maschile che avrebbe dovuto vedervi l’unica promessa possibile di benessere identitario. Emergono le prime riflessioni di autoriflessione maschile, soprattutto nell’ambito anglosassone, dove gli uomini appoggiavano le donne. In Italia c’era un’estrema riluttanza a sottolineare il prezzo che gli uomini pagavano per aderire ai modelli di identità tradizionali.veniva ridotto a un problema pratico. Sono poco credibili le credenziali rivoluzionarie di soggetti storicamente dominanti. I gruppi maschili italiani iniziarono a formarsi nel 2974 e nel biennio 76-77, conobbero una certa diffusione. Furono guardati con sospetto e poca simpatia dalle femministe che ritenevano l’autocoscienza maschile come strumentalizzazione della pratica delle donne. 6 Gli anni ’80 costituirono un periodo non privo di ambivalenze e contraddizioni. Il femminismo non riempiva più le piazze e non esercitava più la stessa influenza sul senso comune degli anni precedenti. Le regole del gioco continuavano ad essere dettate dagli uomini, erano loro ad occupare le stanze del potere a tutti i livelli. Però era possibile notare una configurazione più laica nel rapporto tra i due generi. Alla fine del decennio ’70 era possibile veder risalire le quotazioni correnti dell’antifemminismo e della misoginia. Le tensioni della mascolinità si trasferivano a livello individuale. Turbamenti mediatici Il dominio maschile si riproduceva anche prescindendo da retoriche misogine forti, un simile passaggio non appariva affatto irrilevante. La legittimazione della gerarchia fra i generi ha mutato dimensione discorsiva, affidata a canali pedagogici formalmente più discreti. L’impraticabilità delle vecchie retoriche che denigravano le donne ha spinto a trovare forme di espressioni meno frontali, per quel senso comune misogino che non è ancora scomparso, non essendo scomparsa l’inquietudine nei confronti del protagonismo femminile. Il linguaggio mediatico ha spesso creato occasioni per rappresentare le donne in modo riduttivo, ricorrendo alla potenza evocativa degli stereotipi. Lo stereotipo della donna in carriera: una pericolosa deriva innaturale del femminile. L’obiettivo era di mettere le donne sotto una luce sinistra. Inoltre ci fu il tentativo esplicito di incidere direttamente sull’autorappresentazione delle donne stesse, facendo leva sui sensi di colpa e sulle sue scelte egoistiche. Una subdola misoginia che prende luogo anche sui giornali e negli articoli che titolavano la deriva della famiglia e l’incapacità di una donna che lavora di essere madre o buona moglie, la possibilità di diventare anoressiche o di subire uno sdoppiamento della personalità. Si nota una trasformazione nella visibilità, o meglio espansibilità, del corpo maschile: il re nudo riceveva un’importante certificazione anche sul piano del marketing. Negli anni ’90 nasce una nuova mitologia del corpo maschile in campo pubblicitario, non vengono più rappresentati nelle loro professioni lavorative, ma in veste di: culturista, esploratore, combattente ecc. ritorno a un ideale fisico primitivo e selvaggio. Da queste pratiche scaturisce un forte disagio, si parla anche nei media di crisi del maschio. Il senso di impotenza degli uomini si traduceva in una dolorosa diagnosi, messa sotto i riflettori: sesso debole, uomini in crisi, impotenza, ciao maschi ecc. La virilità come merce La fine del fordismo colpì uno dei pilastri storici della supremazia maschile, ovvero il legame con il ruolo lavorativo. La disoccupazione o la precarietà avevano come effetto: l’uomo non era più colui che portava il pane a casa e indeboliva l’identità sociale legata alla posizione professionalizzante. Le dinamiche pedagogiche del mercato svolsero una funzione di primo piano nel sancire il superamento della tradizione + funzione egemonica nel mutamento di genere. Perché l’uomo diventasse un target era necessario che l’identità maschile venisse secolarizzata, ma anche e soprattutto rappresentata, osservata, interrogata. La comunicazione mediatica si orientò verso una moltiplicazione di immagini maschili in cui era l’identità di genere a interrogare e allo stesso ad essere interrogata dall’occhio di chi le guardava. Il potere di condizionamento esercitato dalle maggiori agenzie mediatiche investì in profondità il paesaggio culturale del paese nel suo complesso. Epilogo. Un virilismo virtuale? Il virilismo classico è morto, ma non sepolto. Lo vediamo dal fatto che il genere maschile è ancora e sempre largamente avvantaggiato, a tutti o quasi i livelli che contano. Nell’ultimo secolo, virilismo e potere si sono identificati l’uno con l’altro. Sul piano simbolico, le culture politiche storicamente avversarie del virilismo, le controculture, hanno assunto una connotazione negativa, creandosi una reputazione non sempre lusinghiera. Il virilismo stesso ha perso, è proprio lui che appartiene definitivamente al passato, non tanto il femminismo. Ad oggi, in Italia, la messa in scena della virilità sul palcoscenico politico è più fiorente che mai. Diversi motivi che hanno segnato la storia del virilismo paiono ancora vivi e vegeti. La misoginia aggressiva è ben presente nella società italiana attuale e costituisce uno dei segnali di apparente continuità con il virilismo classico. Oggi la libertà delle donne è aumentata, ma altrettanto certo pare che la paura maschile di questa libertà non si affatto scomparsa e determini le strutture di un immaginario collettivo prevalente . Gran parte degli uomini sono riluttanti al cambiamento, quasi ne andasse del loro equilibrio identitario. Le paure maschili sono usate come importanti leve del consenso politico. Negli ultimi decenni si è accentuata una necessità mediatica di rimarcare la polarizzazione di genere. Il corpo è utilizzato nella produzione di immagini. Ammiccamento erotico nella comunicazione pubblicitaria: donne paradiso di proprietà de desiderio maschile. La pubblicità cerca di convincere le donne che le battaglie del femminismo sono state vinte, che l’uguaglianza dei sessi è stata finalmente raggiunta. Programmi televisivi: degradazione tecnicamente sofisticata dell’identità delle donne italiane, una realtà tipicamente Italian in quanto a spudoratezza misogina, e 7
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