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L'invenzione della virilità. Sandro Bellassai, Dispense di Storia

Power point fatto da me sui capitoli 5 e 6 del libro.

Tipologia: Dispense

2021/2022
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Caricato il 12/02/2023

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alessia-panico-2 🇮🇹

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Scarica L'invenzione della virilità. Sandro Bellassai e più Dispense in PDF di Storia solo su Docsity! AGONIE TERMINALI | Anni ’70: Crisi prospettiva virile La diserzione della virilità 1979 Carla Ravaioli sintetico bilancio mutamento genere maschile nel corso del decennio -> fenomeno che investì quasi esclusivamente, in un primo tempo, i giovani delle sinistre extraparlamentari, i quali si sono scontrati per primi contro il j’accuse delle compagne femministe. A partire dagli anni ‘70 in Italia emerge un femminismo molto più radicale, diffuso e variegato che in passato, che ebbe un effetto dirompente su una cultura virilista già gravemente colpita dalle trasformazioni epocali del decennio precedente. Movimento e pensiero femminista conseguenze particolarmente profonde ed evidenti sulle nuove generazioni di “compagni” maschi, per molti dei quali, tuttavia, l’esperienza della contestazione generalizzata nelle università, nelle scuole, nelle fabbriche e nei quartieri marcava già un netto distanziamento dalle pratiche della militanza di precedenti generazioni maschili. Contestazione ’68 apre all’istituzione di linguaggi e dinamiche di tipo nuovo tra i generi. Molto probabilmente, nella vita di tutti i giorni la grande maggioranza degli uomini non fu sfiorata da questo “scontro continuo” con le critiche femministe; tuttavia, il fatto stesso che esistesse una fascia ampia della popolazione maschile che nel lavoro, negli spazi del tempo libero era costretta a non ignorare le questioni poste dalle donne, costituiva già una novità epocale per il genere maschile. Di certe questioni scottanti (uguaglianza in famiglia, lavoro, sfera pubblica in generale; morale sessuale, senso del pudore) si parla correntemente ormai da vari anni; neofemminismo aggiunge critica globale e intransigente ai fondamenti patriarcali dei ruoli, relazioni e identità tradizionali. Sulla carta appoggio di alcuni uomini – militanti sinistra “extraparlamentare”, intellettuali laici e progressisti, cattolici dissidenti, studenti ecc. alcuni radicalmente critici verso la mascolinità tradizionale -> 1969 rivista laica e radicale un editoriale a firma maschile prende distanze dal virilismo tradizionale. ANNI OTTANTA Periodo non privo di ambivalenze e contraddizioni. Femminismo non riempie più le piazze e, pur conoscendo un notevole sviluppo a livello teorico e organizzativo, non esercita più la stessa influenza sul senso comune degli anni precedenti. Regole del gioco continuano ad essere dettate dagli uomini che occupano stanze del potere a tutti i livelli. I codici dominanti vogliono ispirarsi ai linguaggi virilisti della: gerarchia, competizione darwiniana, aggressività vincente. Tuttavia, dopo due decenni: configurazione più laica del rapporto tra i generi A chi ha attraversato stagione mobilitazione collettiva, anni ottanta: dal punto di vista dei linguaggi e dei valori diffusi -> sorta di ritorno all’ordine dopo la festa-rivoluzione dei 70s. Piano identità di genere; molti ex riv. adesso si scoprono più simili ai propri padri di quanto avessero mai potuto immaginare. • Tensioni mascolinità si trasferiscono a livello individuale -> in vari paesi, molti gruppi maschili o singoli uomini che riflettono sulla mascolinità si convertono a una prospettiva di auto-aiuto sempre più esplicita, che non parte più da una critica radicale all’ordine patriarcale, ma dall’esigenza diffusa di curare le ferite dell’individuo (ferite di cui sempre più spesso si indicavano le donne come colpevoli). In Italia, nuove generazioni conoscono inaudita espansione stili di vita consumistici, anche a causa della nuova pervasività della tv-> tanto negli ambiti: comunicazione pubblicitaria, programmazione televisiva, linguaggi e rappresentazioni sociali e di genere che in apparenza prescindono dalle grandi innovazioni dei 70s-> già alla fine del decennio settanta risalita quotazioni antifemminismo e misoginia. • Evoluzione “individualista” e terapeutica dell’autoriflessione maschile negli 80s favorita, dal disorientamento vissuto che portava con sé la stagione del “grande freddo” -> conclusa la stagione della contestazione teorico-politica della famiglia tradizionale in quanto istituzione autoritaria, chi non voleva rientrare nei vecchi binari identitari doveva rassegnarsi a trovare la propria strada in una terra di nessuno. Alla fine degli anni ottanta causa prima del mutamento della mascolinità è sempre il riequilibrio del potere tra uomini e donne nel pubblico e nel privato. •senso di impotenza e frustrazione diffuso in ampie fasce della popolazione maschile. Tuttavia, nella difficoltà o impossibilità di identificarsi entusiasticamente con modelli virilisti, a molti uomini non sembravano esserci molte altre strade se non negare la crisi virilista e continuare meccanicamente a recitare un vecchio copione. Distinzione in Hirnies e Bauchies -> i primi razionalisti e ragionano in termini politici e societari; i secondi fanno tutto secondo spinte ed emozioni, vogliono occuparsi di sé e non della società -> questa suddivisione riflette le due polarità entro cui si muovono gruppi maschili (Vaudagna, 1989). Turbamenti mediatici Nei decenni successivi agli anni settanta, anche le forme di misoginia che avevano dominato per buona parte del secolo perdevano di smalto retorico. Ciò non significava che si esaurisse ogni sforzo maschile per costruire discorsivamente le donne come inadatte al potere e all’autorità. Sul piano retorico, nell’ultima parte del secolo anche le rappresentazioni delle donne classicamente viriliste (cioè legate a una nozione di inferiorità esplicita) risultarono sempre meno efficaci nel difendere la supremazia maschile quale principio indiscutibile. Tuttavia, le stanze del potere erano sempre e comunque abitate dagli uomini e continuavano ad apparire come ambienti “naturalmente” marcati da un tratto maschile inconfondibile. In apparenza, supremazia maschile non ha più bisogno di alcuna retorica misogina per riprodursi -> in realtà sentimenti maschili di “impotenza” e una diffusa rabbia contro le donne hanno a che fare con questo scenario in cui classica paura nei loro confronti non dispone più delle tradizionali dimensioni linguistiche per esprimersi -> impraticabilità vecchie retoriche che denigrano le donne ha spinto a trovare forme di espressione meno frontali, per quel senso comune misogino che non è affatto scomparso, non essendo scomparse le angosce maschili al protagonismo femminile tanto nella sfera pubblica quanto in quella privata -> linguaggio mediatico ha spesso rappresentato le donne in modo riduttivo, ricorrendo alla grande potenza evocativa di stereotipi, immagini, tecniche e linguaggi tipici della comunicazione di massa. Stereotipo “donna in carriera”: suggerisce pericolosa deriva innaturale del femminile, che da un lato contamina ultimi spazi sfera pubblica come “cittadella maschile”, dall’altro era lei stessa contaminata dalla mascolinità di quest’ultima. Non sarebbe più stata sufficiente, questa senile misoginia, a impedire alle donne di accedere ad alcuni ambiti prestigiosi della sfera pubblica; l’obiettivo pareva quello – non potendo più fare leva su una legittimazione, si ricorreva ad una recriminazione patriarcale – di metterle in una luce piuttosto sinistra. Con elencazione tratti negativi “donna in carriera”, si tenta di incidere direttamente sull’autorappresentazione delle donne stesse – ormai evidentemente “troppo” libere per essere ricacciate indietro con la forza -, facendo leva sui pesanti sensi di colpa che molte donne venivano chiamate a provare nel momento in cui sceglievano, egoisticamente, di non rinunciare alle proprie aspirazioni personali né ai propri impegni familiari. “un ragazzo su due boccia la mamma che lavora: assente ed egocentrica” . Tuttavia, sempre dubbio che a donne moderne e snaturate facesse difetto la coscienza, e che quindi non fosse per nulla sufficiente far leva sulla loro colpevolizzazione in quanto madri o mogli -> si riteneva più utile, allora, convincere le ipotetiche lettrici che le proprie scelte professionali avrebbero distrutto non solo i propri affetti, ma loro stesse. “Donne in carriera, più infelici degli uomini” recitava un articolo su un periodico online nel 2009. Patologizzazione donna rampante, che nega la propria femminilità. Già nella titolazione si avvertiva che la cosidetta FESS (Female Executive Stress Syndrome) “nei casi più gravi può arrivare a un vero e proprio sdoppiamento della personalità o a una negazione della propria femminilità. E’ allora necessario l’aiuto dello psichiatra”. Tuttavia, come avrebbe chiarito nel nuovo millennio l’autorevole testata, le donne non sarebbero state le uniche vittime di questa catastrofe: “Uomini non sposate le donne in carriera”, scongiurava un art del 2006, poichè il matrimonio sarebbe sfociato in una catastrofe non solo perché la moglie così “virilizzata” avrebbe generato meno figli; neppure solo perché “la casa di una donna in carriera è in percentuale più sporca”. Ciò che molti uomini avrebbero rischiato di scoprire troppo tardi è che la donna in carriera “tradisce con più frequenza e divorzierà più facilmente” ‘80-’90 I media veicolano linguaggi che componevano modelli di femminilità e mascolinità molto più dinamici che in passato. Nei primi anni novanta, la nuova complessità dell’immagine mediatica dell’uomo era un fenomeno già molto evidente. Ad esempio, nel 1992 Ugo Volli notava una trasformazione nella visibilità, o meglio esponibilità del corpo maschile: il mondo pubblicitario aveva accettato di recente anche il nudo virile. Anche l’autore di un articolo del 1997, avrebbe registrato un crescente ricorso alla corporeizzazione – e perfino alla genitalizzazione – maschile nella comunicazione pubblicitaria. (Caligaris, 1997). Un’altra novità nella rappresentazione mediatica della mascolinità: un tratto di inquietudine, disagio, insicurezza identitaria di genere: “alcune figure caratteristicamente esotiche, come l’Esploratore, il Combattente, il Culturista, l’Adolescente perverso, il Giovane scontroso si ripresentano con una certa insistenza spiazzando le figure professionali e le rappresentazioni realistiche” -> questo ideale di fisico “primitivo e selvaggio” parlano di un’insoddisfazione, di un’inquietudine, di una tensione di fuga del genere maschile (Volli, 1992). fine Novecento, non solo lo sguardo maschile tornava su se stesso – vedendosi egli come uomo – sotto la spinta di confuso malessere, senso di frustrazione, ma rimane bloccato sull’evidenza impietosa della propria finitezza sessuata, in un equilibrio ormai impossibile fra nuove domande e risposte anacronistiche. Es. copertine settimanali molto diffusi dedicate all’impotenza maschile, fenomeno – si diceva – in preoccupante aumento: “Sesso debole. Uomini in crisi, un italiano su dieci soffre di impotenza”, copertina di “Venerdì di Repubblica”. altre narrazioni insistevano sul più classico degli attributi della virilità, sia per il generale denudamento in corso della mascolinità, sia perché forse questi sembravano essere rimasti gli unici caratteri sicuri di una virilità riconoscibile e quindi rappresentabile. 1997 film di Peter Cattaneo “Full Monty”, importante nella storia della rappresentazione degli uomini. Privati della propria identità professionale a dopo la deindustrializzazione, ex dipendenti di acciaieria britannica assistono impotenti alla propria disintegrazione virile anche nella vita personale. senso di frustrazione li indebolisce in quanto padri e mariti, mentre vedono con occhi nuovi la sicurezza e la forza mostrata dalle donne. Significativa la sequenza in cui Gaz, personaggio principale, racconta una scena intravista del buca di una serratura: tre donne in bagno che si divertivano molto parlando di uomini e usavano i gabinetti in piedi come i maschi. Più tardi con gli amici racconta amaro: “Siamo finiti, Dave. Estinti […] Insomma, non serviamo più a niente, capisci?”. Al tema della “crisi del maschio” fu dato spazio nei media a partire dai primi 90s-> sembrava di assistere riemersione di massa dalla clandestinità degli uomini in quanto uomini. Questo regime di visibilità maschile risultava particolarmente tormentoso perché era diventato pressoché impossibile mettere in atto strategie efficaci di riscossa virile che potessero restituire illusioni di potenza e dominio. L’idea che cambierà le loro vite è la decisione di diventare degli spogliarellisti del nudo integrale -> trasformati in oggetti del desiderio, sperimentano attenzione nuova per il proprio corpo, fanno esperienza di cosa voglia dire trovarsi dall’altra parte del circuito erotico, spogliandosi della tradizionale neutralità maschile. Sotto certi aspetti, questa storia può essere considerata un’efficace metafora di alcune essenziali vicende dell’identità maschile alla fine del secolo -> determinate dinamiche dell’evoluzione socio-economica delle società occidentali negli anni ottanta-novanta favoriscono il denudamento, la dissacrazione, la sconsacrazione della virilità. Epilogo Probabilmente il virilismo “classico” di cui abbiamo provato a seguire la parabola sin dall’ultimo Ottocento, è morto; però, se è morto, non è ancora stato sepolto. Certamente ancora genere maschile largamente avvantaggiato, a tutti o quasi i livelli che contano, quanto alle strutture concrete del potere -> potere e virilismo si sono profondamente identificati l’uno con l’altro, nell’ultimo secolo. piano simbolico: femminismi e quindi le cd controculture sono decisamente marginali -> essendo tali culture legate, nell’immaginario dei più, agli anni settanta, esse sembrano appartenere ad un passato sconfitto. Ma anche il virilismo stesso ha perso, è uscito di scena, appartiene ormai al passato. In apparenza, nell’Italia di oggi la messa in scena della virilità sul palcoscenico politico è più fiorente che mai. Importanti storici si sono esposti su questo argomento: Antonio Gibelli ha parlato di una “democrazia autoritaria”; Alberto Banti ha evocato invece “il rischio di rimettere in circuito valori pericolosi come sono quelli incorporati dal nazionalismo ottocentesco”. Vari motivi che hanno segnato la storia del virilismo paiono ancora vivi e vegeti, a cominciare dall’icona dell’erezione fallica che ha rappresentato un ingrediente fondamentale dell’autorappresentazione di un partito importantissimo di centro-destra, per finire con il festival quotidiano delle tradizioni “etniche”, a ogni scala, dal borgo alla civiltà europea. Misoginia: oggi le opinioni si dividono tra chi ritiene che oggi la “parità” sia del tutto raggiunta e chi invece si indigna per come le donne vengono trattate, rappresentate, umiliate nella politica, nella società, nei media italiani -> l’autore ritiene che non solo una misoginia aggressiva sia ben presente nella società italiana attuale, ma che essa costituisca uno dei segnali di apparente continuità del virilismo “classico”. Se guardiamo allo scenario storico otto e novecentesco, oggi la libertà delle donne è enormemente aumentata; altrettanto certo è che la paura maschile di questa libertà non sia affatto scomparsa. E’ forse soprattutto qui che il passato del virilismo sembra non passare; gran parte uomini riluttanti al cambiamento, quasi ne andasse del loro equilibrio identitario -> la paura degli uomini sembra non morire mai e sono utilizzate come importanti leve del consenso politico. ultimi decenni: necessità mediatica di rimarcare polarizzazione di genere (maschio/femmina), a fronte di una temuta indistinzione avanzante. Il corpo è spesso utilizzato in tal modo nella produzione di immagini a vari livelli. Sembra un modo per marcare distinzione drastica fra uomini e donne sul piano sociale un altro fenomeno collegato al primo, una specie di risessualizzazione dei linguaggi di genere -> ammiccamento erotico nella comunicazione pubblicitaria > donne come promessa, come proprietà desiderio maschile. Una simile operazione ha successo anche in quanto si rivolge alle donne stesse esaltandole in apparenza: “La pubblicità cerca di convincere le donne che battaglie femminismo sono state vinte, che uguaglianza sessi finalmente raggiunta, e propone l’immagine di una superwoman: una donna indipendente e seducente, capace di avere tutto sotto controllo” (Capecchi, 2006). Non è “soltanto” questione di erotizzazione immagine femminile, ma scenario complessivo in cui ruoli affidati alle donne molto meno autorevoli di quelli riservati agli uomini. documentario 2009 di Zanardo, Cantù e Malfi Chindemi, “Il corpo delle donne”, successo straordinario -> montaggio di spezzoni di tv “ordinaria” si è mostrato in una luce nuova fino a che punto i programmi odierni si siano spinti sulla via di una degradazione tecnicamente sofisticata dell’identità delle donne italiane. “molta tv che non rispetta la dignità delle donne non è percepita come offensiva; il problema viene trattato come fosse di natura morale, e dunque è solo la volgarità ad essere stigmatizzata […] Insomma, che si tratti della violazione di un diritto costituzionale non è ancora coscienza acquisita”. Loredana Lipperini ha indagato a fondo rappresentazioni normative dei generi veicolate dalla cultura di massa. Prime manifestazioni, sui canali televisivi, di una rappresentazione iconografica del “femminile” degradato a muto oggetto erotico erano visibili nella pioneristica trasmissione “Drive in”, iniziata nel 1983; “Non è la rai” (1991); nel 2000 sulla Rai apparve, nella trasmissione “Libero”, una modella rinchiusa in una struttura di plexiglas trasparente. “Striscia la notizia” le veline, paperette di “Paperissima”, meteorine del Tg4; le letterine di passaparola ecc. Anche l’esplosione reality show, in anni recenti, ha contribuito a questa potente pedagogia sessuata -> “Amici” e “Uomini e donne” di Maria de Filippi; quest’ultimo programma è basato su concezioni antiche: l’uomo è cacciatore, deve puzzare (concetto ribadito proprio in una storica puntata di “Uomini e donne”), la sua sposa deve essere una brava ragazza e ricevere l’approvazione della futura suocera. Sul piano storico degli assetti di potere tra uomini e donne, in particolare, una simile narrazione globale interviene a tracciare possibilità e limiti della libertà, del potere e del desiderio femminile, ma ovviamente anche maschile -> riconfigurazione del patriarcato consona ai tempi che corrono. Riconfigurazione molto più incerta e contestata (anche dagli uomini) di quella di mezzo secolo fa. Fin nel suo nucleo politico più profondo e delicato, quello del desiderio: la storia della virilità dell’ultimo ventennio è anche la storia di una riemersione maschile di una dissidenza esplicita nei suoi confronti, che mette in discussione la “naturalità” di quel desiderio sessuato su cui ruota un gigantesco apparato mediatico e politico. Mille voci di uomini e donne oggi proclamano nuovamente che il re è nudo; è un indicatore di mutamento importante, un segnale che va nella direzione di far intravedere, nella società italiana del nuovo millennio, una fine non solo del virilismo “classico”, ma anche della sua visione secolare, informale, apparentemente impolitica. E questo proprio nel passaggio storico in cui tale virilismo post-ideologico tende di fatto a costruirsi, grazie alle potenti pedagogie mediatiche e nel quadro di una strisciante rivincita della narrazione “naturalizzante” sui generi. Solo quando, e se, la volontà di lasciarsi alle spalle questa storia diverrà un sentimento diffuso si potrà dire l’ultima parola su di essa. Non pochi uomini, collocati soprattutto in posizioni influenti sull’opinione pubblica, mostrano però di voler continuare a rilanciare un ordine di virtualità in cui gli uomini, appaiano sempre “uomini”. Esempio perfetto di questa dimensione del virilismo è Silvio Berlusconi, il quale, indagato sulla base di numerose testimonianze dirette, conversazioni intercettate, riscontri investigativi per quanto riguarda un giro di prostituzione di ampie dimensioni che comprende anche minorenni, non sembra aver avuto effetti importanti sul consenso riscosso da Presidente del Consiglio. E’, anzi, ragionevole pensare che non pochi uomini, abbiamo provato invidia per quest’uomo che, grazie al potere, avrebbe potuto avere a sua disposizione tutte le donne che volesse. A propria disposizione: è in fondo questo il sogno incoraggiato negli spettatori maschi dalla rappresentazione femminile nei media. Assistiamo oggi, sul piano politico e mediatico, alla messa in scena di una virilità che paradossalmente ha perso del tutto la sua potenza trascendentale nel momento in cui ha acquisito la corporeità e visibilità. Naturalmente, in chi è disposto a fornire credito a questo virilismo fantasmatico spesso risiede la convinzione che altra scelta non ci sia; qui agisce non solo e non tanto, quindi, la nostalgia per quel mondo perduto, ma la percezione precisa che quello sia – vivo o morto, reale o virtuale – il mondo.
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