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L'Italia degli anni 30: come si è sviluppato il fascismo?, Appunti di Storia

Riassunto: l'Italia degli anni 30

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 10/05/2022

alessia.massara
alessia.massara 🇮🇹

4.5

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Scarica L'Italia degli anni 30: come si è sviluppato il fascismo? e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! Capitolo 8 L’Italia negli anni Trenta: l’impero e l’alleanza con Hitler Il fascismo fu il primo esempio di un nuovo modello politico di destra che mescolava nazionalismo, populismo, autoritarismo e conservatorismo. → Fu una forza di governo che riuscì a trasformare uno Stato liberale in un …………………………………….…….regime totalitario. ↴ Il fascismo soppresse molti dei tratti demoliberali dell’impianto istituzionale del Paese, dando allo Stato un’identità fascista, fatta di nuove generazioni indottrinate alla cultura del regime, di miti che esaltavano il Duce, il glorioso passato imperiale, la grandezza della nazione e la virilità dei fascisti. ↓ A questi scopi concorrevano sia i corpi dello Stato, sia varie organizzazioni appositamente costituite: ● L’attenzione all’educazione delle nuove generazioni fu preponderante, con strutture destinate ai giovani a seconda della fascia di età: Figli della lupa (bambini con meno di 9 anni), Opera nazionale Balilla (i ragazzi fra i 9 e i 18 anni) e i Fasci giovanili di combattimento (fra i 18 e i 21 anni). ○ Queste organizzazioni promuovevano un’educazione paramilitare, fatta di educazione fisica, indottrinamento nazionalista e canti camerateschi, con forti accenni al passato imperiale dell’Italia. ● Le ragazze erano inquadrate in strutture simmetriche che assunsero il nome di Figlie della lupa, Piccole italiane e Giovani italiane: i cardini erano l’educazione fisica e l’indottrinamento ai principi del fascismo. ○ La cultura militare veniva sostituita da corsi pratici di economia domestica e puericultura, a sostegno delle campagne demografiche del regime realizzate per incrementare l’importanza della popolazione italiana a livello internazionale e offrire giovani leve alla politica di potenza di Mussolini. ↳ L’adesione a queste organizzazioni non era obbligatoria, ma era incentivata: le famiglie che non vi ………………....iscrivevano i propri figli venivano additate come scarsamente patriottiche. ● La penetrazione della cultura fascista interessò anche gli adulti attraverso organizzazioni come l’Opera nazionale dopolavoro, creata per gestire le attività ricreative delle fasce popolari. ● Radio e cinema vennero molto usati dal regime a scopi propagandistici: “cinegiornali Luce”, brevi filmati che riprendevano i principali eventi dell’organizzazione fascista, esaltando il regime. ↓ [Attraverso le varie organizzazioni, le modifiche normative e l’uso della propaganda, Mussolini fu in grado di imporre il modello culturale fascista, di allargare i consensi e di diventare un riferimento in Europa.] Il principale limite del progetto totalitario fascista era la diarchia tra il re Vittorio Emanuele III e il capo del governo Benito Mussolini. ● La monarchia continuava ad avere un peso istituzionale e ciò rappresentava un elemento di disturbo per il regime. ● Anche se era stato il sovrano a offrire l’incarico a Mussolini era evidente che la monarchia non aveva adottato nulla del modello fascista e, anzi, aveva mantenuto un certo distacco. ● Era chiaro che, mentre il fascismo era fortemente imperniato sul carisma e sulla leadership di Mussolini, il casato dei Savoia obbediva da secoli alle regole della successione al trono, quindi offriva migliori garanzie di continuità istituzionale sul lungo periodo. Nel corso degli anni 20, la politica economica fascista aveva lasciato spazio all’intervento dello Stato; negli anni 30, la crisi internazionale accentuò questo aspetto al punto che l’economia italiana poteva considerarsi quella maggiormente caratterizzata da imprese partecipate dallo Stato o pubbliche. ↴ [La crisi del 1929 ebbe ripercussioni anche in Italia: il calo dei prezzi e dei salari fece da sfondo a una contrazione dei consumi, che mise in difficoltà le imprese.] L’intervento dello Stato in materia economica consistette in un vasto piano di lavori pubblici in tre ambiti: ● La realizzazione di infrastrutture di comunicazione. ● Il rinnovo del tessuto urbano delle principali città italiane, la realizzazione di impianti sportivi, con lo sventramento di parte dei vecchi quartieri di origine medievale per fare spazio a edifici monumentali, destinati a ospitare costole della pubblica amministrazione o del Partito. ● Il progetto della bonifica integrale: gli interventi comprendevano il tradizionale sforzo di prosciugamento delle aree paludose e il miglioramento dell'efficienza dell’agricoltura nazionale. ○ Il progetto più grande fu la bonifica dell’Agro pontino, fascia costiera meridionale del Lazio: circa 70.000 ettari di terreno furono resi coltivabili, frazionati in poderi e assegnati a coloni provenienti dalle zone più depresse del Centro-Nord, vennero anche inserite alcune città create ex novo dal regime. ○ Altri progetti di bonifica interessarono la Romagna settentrionale, la zona di Orbetello, la costa metapontina e la Sardegna nord-occidentale. [Ovunque la progressione e il completamento del progetto furono accompagnati da manifestazioni propagandistiche] ↓ ● Nella sostanza la bonifica mancò il principale obiettivo: il coinvolgimento dei proprietari privati, che non si prestarono ad alcun tipo di collaborazione né di sostegno economico. ○ Quando si palesò l’ipotesi di una legge che consentisse l’esproprio delle aree in caso di mancata collaborazione dei grandi proprietari, questi fecero pressioni sul governo perchè tale linea non passasse. Il varo di queste iniziative fu solo una delle linee di intervento dello Stato fascista sull’economia. → Un aspetto riguardò il rapporto tra i poteri pubblici e l’apparato industriale del Paese: nei decenni precedenti, nell’ambito degli istituti di credito, si era avuto un significativo consolidamento delle banche miste. ● Le sfavorevoli condizioni economiche degli anni successivi al raggiungimento della quota 90 avevano fortemente immobilizzato i crediti delle banche miste alle imprese. ● Per rivalersi delle mancate restituzioni dei capitali prestati le banche avevano commutato quei crediti in quote azionarie delle imprese, venendo coinvolte nella proprietà e nel controllo delle principali aziende italiane. ● La crisi internazionale finì col mettere in forte difficoltà anche il settore del credito: nel 1931, i direttori delle tre principali banche miste del Paese andarono da Mussolini comunicandogli il rischio di fallimento. ↓ ● Mussolini allora incaricò il finanziere Alberto Beneduce di organizzare un piano di salvataggio, diviso in 2 fasi: ○ Creazione dell’Istituto mobiliare italiano (Imi) = ente a capitale pubblico di credito industriale a lungo termine, che avrebbe assunto il ruolo di finanziatore del settore manifatturiero al posto delle banche. ○ Nel 1933 le banche vennero esonerate dal peso del finanziamento pregresso: tutte le azioni di imprese la loro possedute passarono a un altro ente a capitale pubblicato, l’Istituto per la ricostruzione industriale (Iri), che doveva gestire le partecipazioni azionarie ereditate come una grande holding. ● A seguito di queste manovre, lo Stato Italiano si ritrovò proprietario del 21,5% di tutto il capitale delle società per azioni italiane, ma dal momento che di alcune era socio di maggioranza, di fatto controllava il 42%. ● A suggello di questo cambiamento di rotta dell’assetto istituzionale dell’economia, nel 1936 venne abolita la prassi di banca mista e gli istituti di credito furono trasformati in banche commerciali possedute dall’Iri. [A tale data, circa l’80% del settore bancario era riconducibile allo Stato.] ↲ Nelle intenzioni di Mussolini e Beneduce, questa operazione prevedeva una ri-privatizzazione almeno parziale: ci si rese però conto che ciò non era semplice, anche perchè nel frattempo l’Iri si era strutturata. ● Nel 1937 l’Iri fu trasformato in un istituto permanente, diventando l’emblema del nuovo Stato-imprenditore italiano. → Nonostante ciò l’iniziativa privata continuò ad essere incoraggiata. ● Si stavano ponendo le basi per una divisione di compiti tra Stato e imprenditoria privata, secondo cui il primo si incaricava di sviluppare grandi settori strategici e la seconda beneficiava di tali investimenti. ● Il controllo di buona parte dell’industria spinse il fascismo a cercare l’autarchia hitleriana, partendo da una dotazione di materie prime molto inferiore alla Germania e un’industria chimica non paragonabile.→ Il risultato fu fallimentare, anche se si ebbe un grande sviluppo dell’industria chimica. L’economia italiana sperimentò una terza novità = l’istituzione del Consiglio nazionale delle corporazioni. ● Il suo compito sarebbe dovuto essere quello di mediare le divergenze tra capitale e lavoro, nei fatti fu uno strumento burocratico inutile che finiva per ratificare decisioni maturate altrove o esprimersi su questioni di poco conto. ● Nonostante l’inutilità di questo strumento, Mussolini non volendo rinunciare al corporativismo, istituì la Camera dei fasci e delle corporazioni, al posto della Camera dei deputati: questo organo venne abolito perchè i membri non venivano eletti, ma erano scelti in virtù delle cariche ricoperte negli organi di regime. I risultati di questi interventi non furono eclatanti: fu evitato il collasso dell’economia, ma non si ebbe la capacità di innescare un vero e proprio rilancio del tessuto produttivo italiano che rimase stagnante. ↴ [Il Paese non riusciva a sviluppare quella rincorsa nei confronti delle nazioni più sviluppate che stava tanto a cuore a Mussolini.]
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