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L'Italia degli Stati territoriali Secoli XIII-XV, Tesine universitarie di Storia Medievale

Riassunto molto ben strutturato da usare come tesina

Tipologia: Tesine universitarie

2017/2018
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Caricato il 11/12/2018

rosaria-mirenghi
rosaria-mirenghi 🇮🇹

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Scarica L'Italia degli Stati territoriali Secoli XIII-XV e più Tesine universitarie in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! 1 L’Italia degli Stati territoriali Secoli XIII-XV Isabella Lazzarini Parte prima. Gli strumenti I testi scritti, strumento principale del lavoro degli storici, si moltiplicano enormemente a partire dal XII secolo. La ripresa di una tradizione culturale laica pone fine al monopolio ecclesiastico sulla produzione e conservazione di scritture. Attraverso la documentazione pubblica si rileva la presenza di tre tradizioni documentarie: - Cancelleria pontificia - Cancellerie imperiali e dei regni del Mezzogiorno - Le cancellerie comunali dell’Italia settentrionale. Sono proprio le città comunali le sedi più feconde e dinamiche per la produzione di scritture dal XII secolo in poi. Questo fenomeno è dovuto - all’aumento del numero delle persone alfabetizzate al di fuori degli ecclesiastici - alla riscoperta del diritto romano e del sapere greco. - alla prima scrittura delle lingue neolatine. Se dal XII secolo la chiesa perde la tradizionale egemonia nel campo della scrittura, la documentazione di natura ecclesiastica si moltiplica in conseguenza della presenza di parrocchie e associazioni religiose e laiche nel territorio urbano e rurale. Le parrocchie elaborano documenti relativi sia al patrimonio (elenchi di possessi e di rendite) che all’amministrazione spirituale (bolle papali, manoscritti, ecc). La presenza di documenti prodotti da privati, quali lettere, memorie, ricordanze, libri di famiglia, libri di conti, dimostra che lo scritto non domina solo il campo politico, ma domina anche in altri numerosi ambiti. La documentazione privata viene estesa per regolare i rapporti economici o giuridici tra privati, grazie anche alla riscoperta e all'adozione del diritto romano, e al delineamento della figura professionale del notaio. Uno stesso notaio può agire per committenza sia di privati che di pubbliche autorità. Dalla metà del Duecento, le scritture storiografiche diventano più varie e complesse. Non essendo la storia né una disciplina scientifica né materia di insegnamento e di apprendimento, di conseguenza non esiste la figura dello storiografo. La storia viene ricostruita attraverso i documenti lasciati dai chierici e frati, dai notai e cancellieri, giuristi, medici, nobili, mercanti e artigiani. Fra questi, il gruppo più consistente è rappresentato, senza dubbio, dai notai. 2 Le narrazioni storiche da loro elaborate, vengono riconosciute come storie ufficiali delle città. Si ricorda l’esperienza di Rolandino di Padova, la cui opera viene riconosciuta dal comune di Padova come la storia ufficiale della città. Nel Trecento e Quattrocento si raggiunge una maturità nella scrittura storica dovuta a una riflessione umanistica sui testi classici. Questa trasformazione, convenzionalmente definita umanesimo, è caratterizzata dall'impulso a tramandare la memoria delle cose, l'ansia di testimoniare su fatti che altrimenti sarebbero ignorati dai posteri; un impegno dunque per ricostruire il passato e per garantire il ricordo del presente. Notai, giudici, cancellieri di repubbliche, regni e principati ritornano agli studi umanistici riscoprendo i classici. Nasce una nuova figura di intellettuale, consapevole della propria funzione culturale e sociale, e un nuovo modello di opera storiografica. Da un lato la cronachistica cittadina continua a produrre testi letti e tramandati nei secoli, e dall’altro si concentra sulle vicende a lei contemporanee. Le testimonianze scritte, di cui siamo in possesso, sono costituite da due grandi aspetti fondamentali: l’aspetto primario consiste nel documento materialmente parlando, mentre l’aspetto secondario riguarda la conservazione (contemporanea e successiva al periodo di riferimento delle scritture stesse) negli archivi e nelle biblioteche. Lo studio dei documenti medievali in Italia inizia tra Seicento e Settecento con Ludovico Antonio Muratori (1672 – 1750), storico e letterato ecclesiastico; la sua opera, Antiquitates Italicae Medii Aevi, è un lavoro di confronto di vari tipi di fonti. Nel XVII secolo, assistiamo a importanti trasformazioni della struttura degli archivi italiani; infatti la maggior parte dei documenti, prima conservati in sedi ecclesiastici, vengono raccolti negli Archivi di Stato, regolati da nuove norme sia in materia di deposito che di consultazione, in modo da renderli più accessibili agli studiosi. Le scritture meno pubblicate (le scritture correnti e gli atti privati) sono custodite a partire dal Duecento in una quantità così vasta e rappresentanti tipologie talmente varie che hanno scoraggiato lavori di edizione. Gli storici Gioacchino Volpe e Gaetano Salvemini esaminano le strutture sociali delle città comunali rilevando conflitti interni in termini di lotta di classe, che già preannunciano il lungo declino e la perdita dell’indipendenza. Il passaggio dal comune alla signoria rappresenta la prima fase di questo processo di decadenza. Accanto a questa visione del medioevo, se ne affianca un’altra opposta; l’opera di Jakob Burckhardt, Die Kultur der Renaissance in Italien, evidenzia lo splendore culturale dell’età del Rinascimento; l’arte, nel periodo contemporaneo alla decadenza e paralisi politica, raggiunge le sue vette più luminose. Questa divergenza tra la storia politica e la storia culturale dimostra la mancanza di una linea interpretativa unitaria della storia italiana dei secoli XIII-XVI. 5 Il processo di riorganizzazione interna e il ridimensionamento della forza espansiva di alcuni stati regionali, danno una spinta alla ricerca di un compromesso che garantisca il mantenimento degli equilibri raggiunti. La stabilità del papa in Italia, la caduta dell’Impero bizantino,che ridusse la fame di espansione di Venezia, porta ad un incontro tenutosi a Lodi nel 1454 (pace di Lodi) dove vengono fissati i confini di ogni stato. L’anno dopo la pace di Lodi, si stipula un accordo generale denominato Lega italica, alleanza conclusasi a Venezia nel 1455 a cui aderiscono la Serenissima, gli stati di Milano e di Firenze. Proclamata il 2 marzo 1455 con l’adesione di papa Nicolò V e di Alfonso V d’Aragona e di sovrani di altri stati minori, stabilisce il reciproco aiuto in caso di attacco alla integrità di uno degli stati membri e una tregua venticinquennale fra le potenze italiane. La Lega è considerata il coerente sviluppo della pace di Lodi, nata dalla constatazione che nessuno degli stati regionali italiani è in grado di assumere l’egemonia nel nord e nell’intera penisola. A differenza della Francia, Spagna e Inghilterra, l’Italia non riesce a svilupparsi in uno Stato nazionale, ed è pronta a divenire terra di conquista per le potenze europee. Questo fenomeno Machiavelli lo attribuisce alla decadenza morale e civile delle istituzioni e dei costumi, nonché nella politica pontificia da secoli volta ad evitare la formazione di uno stato unitario. Nel Quattrocento i tanti comuni dell’Italia centro settentrionale, divenuti governi signorili, vengono riconosciuti e dichiarati legittimi dagli organi cittadini per poi ricevere la vidimazione imperiale sotto forma di concessione del vicariato. Il titolo di vicario imperiale è limitato, poiché decade alla morte dell’imperatore che l’ha emanato, per cui viene sostituito da quello di duca o marchese, e il signore viene elevato al rango di principe dell’impero, con conseguente aumento di potere; infatti, rispetto alle città che domina, non riceve più una delega di poteri, ma un giuramento di fedeltà; rispetto all’imperatore deve un censo ricognitivo e un giuramento al momento della propria successione. Il papato, che durante tutto il medioevo ha una supremazia spirituale e temporale sulla intera cristianità, nel ‘400 esercita un potere sovrano sullo stato della chiesa ed una supremazia spirituale nei diversi poteri della cristianità occidentale. Accanto alle signorie e ai regni, tra la Lombardia e la Toscana fioriscono una serie di dominazioni signorili, autonome o legittimate da investiture imperiali, basate su una molteplicità di castelli e inserite fra territori controllati da città. I secoli Trecento e Quattrocento assistono a grandi mutamenti istituzionali e sociali, a nuove strutture di governo più robuste e ordinate. In uno scenario così eterogeneo socialmente e istituzionalmente come era la penisola italiana tra il ‘300 ed il ‘400, non è chiaro come sia stato possibile arrivare a risultati simili. Si può considerare come spazio politico comune in gran parte 6 della penisola la necessità del controllo di forze sociali e forme nuove di potere. L’impossibilità di creare un unico organismo unitario per questo spazio politico giustifica la nascita di un “sistema di stati”. In ogni stato, i singoli sovrani, prìncipi, città dominate, mirano a conservare il dominio sui propri territori. I mutamenti e i cambiamenti che portano alla riduzione del numero dei protagonisti della scena politica della penisola si realizzano attraverso innumerevoli guerre e anche queste cambiano connotazione: si dispone di milizie addestrate per lunghi periodi, tipo compagnie composte da mercenari professionisti, eserciti permanenti (nelle monarchie), sostituzione della cavalleria con corpi di fanteria. In Italia le compagnie di mercenari stranieri vengono sostituite da compagnie italiane che prestano servizio sotto forma di condotte; queste sono contratti tra un comandante militare, detto condottiero, con un principe o governo comunale. Il condottiero si impegna a reclutare un dato numero di cavalieri e fanti e di condurli in guerra per un periodo stabilito, in cambio di uno stipendio. Ai condottieri professionisti si affiancano anche i membri di alcune dinastie signorili, come i Gonzaga, gli Este, i Malatesta e i Montefeltro. Progressivamente si adotta la pratica di gestire i rapporti internazionali tramite ambascerie, gruppi di persone inviate presso un altro stato per compiere missioni diplomatiche. Le ambascerie si sviluppano nei principati dell’Italia settentrionale e nei regni meridionali dalla prima metà del ‘400, mentre negli stati repubblicani si diffusero solo alla fine del XV secolo. La conquista dei territori determina lo sviluppo delle funzioni militari, fiscali e giuridici. Le spese delle guerre e i costi dello stato aumentano nel periodo post comunale per cui cambiano i sistemi delle forme di prelievo monetario. Fino alla fine del Duecento il debito viene ammortizzato tramite imposte indirette ossia le gabelle o dazi . La gabella è prelevata sul grano, vino, carne, sale, tessuti, capi di bestiame. Ogni autorità, regni, principati o comuni, conduce la propria politica fiscale introducendo o abolendo le gabelle, ritoccandone l’entità del prelievo a seconda delle necessità finanziarie. Nei regni meridionali, nei principati dell’Italia settentrionale e in alcune parti dello stato pontificio le necessità finanziarie, dovute alle competizioni territoriali, aumentano la pressione fiscale per cui oltre alla imposta indiretta, che costituisce il gettito principale, si aggiunge un’imposta diretta includendo anche coloro che beneficiano di esenzioni ed esoneri. I poteri monarchici, principeschi o municipali danno vita a molteplici funzioni, dalla riscossione delle imposte alla difesa militare, dalla giustizia alla gestione di terre, acque, mulini e tutto ciò che risulta di proprietà pubblica. Queste funzioni prendono il nome di offici e coloro che sono preposti a questi uffici vengono designati col nome di officiali o ufficiali; molti di questi prestano denaro al principe per ottenere l’ufficio o addirittura lo acquistano in contanti diventandone proprietari. 7 L’aumentare degli uffici, e di conseguenza degli ufficiali, consente di tenere il territorio sotto controllo capillare, ma soprattutto serve a estorcere alla società una grande quantità di ricchezza a vantaggio di cortigiani, affaristi e uomini di legge destinati a costituire poi la nobiltà e la borghesia d’Antico Regime. A partire dall’XI secolo, in Europa si riorganizza tutto l’apparato politico territoriale: i poteri laici ed ecclesiastici si concretizzano attorno a castelli, comunità, signorie rurali, centri urbani; questi organismi poi sono coordinati dall’alto da principati e regni. Ciò porta alla costituzione di grandi monarchie statali, come in Francia e in Inghilterra, o a formazioni territoriali più limitate, come i principati tedeschi e i ducati francesi. La nostra penisola è caratterizzata da una bipartizione che distingue una parte costituita dalle città dove si afferma lo stato cittadino caratteristico dell’Italia centro–settentrionale e un’altra parte costituita da regni e principati non cittadini più coerenti al quadro europeo. Tra X e XIV secolo si assiste ad una crescita demografica ed economica che sfocia nello sviluppo della civiltà urbana. Il XIV secolo porta una battuta d’arresto provocata dalla pandemia del 1347 che durerà fino a tutto il 1348 causando mutamenti profondi nelle forme di società. Dopo una grande crisi, si sa, c’è sempre una risalita che porta a grandi cambiamenti; in Europa porta una grande espansione a livello urbano, commerciale ed economico. Nel campo agricolo, tra i secoli VIII e IX, nell’Europa occidentale il lavoro rurale è organizzato come sistema curtense, ossia basato su curtis. Caratteristica è la bipartizione dell’azienda agraria in due parti, una sotto la gestione diretta del padrone (pars dominica) e una assegnata a famiglie di coltivatori dipendenti (pars massaricia). Il fondo, affittato a ciascuna famiglia, prende il nome di manso e i coltivatori si chiamano coloni o massari o livellari poiché hanno un contratto scritto (libellum); se sono discendenti di antichi schiavi si chiamano schiavi, servi o casati. Il sistema curtense non si diffonde in tutta l’Italia, dove sopravvive ancora la libera proprietà contadina. La curtis nell’Alto Medioevo era in mano a re, nobili ed enti ecclesiastici, ognuno dei quali possedeva un gran numero di curtes. A causa del collasso dell’economia monetaria nell’Alto Medioevo i padroni non possono permettersi manodopera salariata, sicché si assicurano la forza lavoro necessaria durante i periodi di raccolto obbligando i coloni a prestare giornate di lavoro gratuito (corvées). Da qui nasce l’interdipendenza tra pars dominica e pars massaricia. Nei secoli XI e XIII, si assiste ad un’ evoluzione: da modello curtense si passa a un sistema di cessione in affitto delle terre comprese nella curtis e molti proprietari si trasformano in semplici percettori di canoni. Nel mondo urbano il secolo XI è il momento del decollo dell’economia medievale con lo sviluppo di centri urbani e l’accrescere di attività commerciali, finanziarie e manifatturiere. L’intensificarsi dei commerci, non solo peninsulari ma anche internazionali, incrementa la 10 diplomatiche hanno importanza, tutto ciò che riguarda la scelta di uomini e le loro missioni viene compiuto dal sovrano e dalla ristretta cerchia di suoi fedelissimi o Il coinvolgimento delle élites è più ampio nei reggimenti repubblicani che non nei principati, dove i protagonisti politici e diplomatici sono confidenti o familiari diretti del principe Per quanto riguarda la nomina degli officiali: o I re ed i principi hanno piena facoltà di scelta e alterano, se necessario, i criteri tradizionali di accesso agli offici. o Nelle repubbliche, Venezia sceglie cittadini delle città dominanti, Firenze definisce di volta in volta i criteri di accesso agli offici. o Nel caso di principi, re e Venezia, dove l’autorità politica è nelle mani di un protagonista, il procedimento di nomina avviene tramite rapporti clientelari. Là dove, come Firenze, è ancora in atto la costruzione di una egemonia e quindi il riconoscimento di una élite dirigente, i criteri delle nomine vengono modificati continuamente. Se analizziamo le logiche politiche che mettono in moto la pratica diplomatica, la nomina degli officiali e le forme documentarie utilizzate, notiamo delle analogie dovute alla necessità che tutti gli stati italiani avevano di difendere l’egemonia sui propri territori, rafforzare il proprio sistema interno e legittimare gli equilibri politici e sociali. Nel Quattrocento re, prìncipi e oligarchie repubblicane non detengono il monopolio del potere politico in un dato territorio ma ne condividono l’esercizio con altri soggetti; questi hanno accettato le forme che li vede subordinati e che consentono loro di conservare una certa identità e autonomia. Il potere politico è condiviso, non esprime una piena sovranità e governa attraverso numerosi strumenti come i corpi territoriali, le città, le comunità, i nobili, i feudatari, il clero. Gli storici non sono tanto disposti a parlare di stato nel significato che attribuiamo oggi a questo vocabolo quando si tratta di definire la forma del potere degli ultimi secoli del Medioevo. Con la parola stato si designa la maggiore organizzazione politica che l’umanità conosca, riferendosi tanto al complesso territoriale e demografico su cui si esercita un dato potere quanto al rapporto di coesistenza e di connessione di leggi e organi che governano su quel territorio. La nascita dello stato, come noi lo intendiamo, è collocata oltre i confini del Medioevo, nel XVI secolo. In questo caso si parla di stato moderno, una entità astratta non identificabile né con chi governa né con chi è governato. Esaminando in concreto quali strumenti utilizza il re per mantenere il suo potere assoluto, si vedrà che alcuni di questi strumenti, come ad esempio una fiscalità libera 11 dal controllo delle assemblee rappresentative, si impongono nel Cinquecento se non addirittura nel Seicento; ma altri, come una forza militare permanente e stipendiata, una diplomazia permanente e formata da professionisti, una corte numerosa e investita di funzioni simboliche ma anche pratiche, prendono forma già nel Trecento e nel Quattrocento. La storiografia ha cercato di evidenziare le caratteristiche di questo periodo di transizione in cui il potere monarchico presenta già alcuni caratteri che si ritroveranno poi nello stato moderno, mentre per altri caratteri si differenzia profondamente. In questi ultimi anni è venuta a prevalere la concezione dello stato tardo medievale come un luogo di mediazione e di organizzazione politica di forze diverse. La parola stato viene intesa come un modello di organizzazione della società politica in cui agiscono poteri diversi con interessi sia pubblici che privati. Nelle società del tardo Medioevo vi sono complessi organi e offici che gestiscono le funzioni di governo:  Offici che sono responsabili della conservazione dell’ordine interno e della pace sociale  Magistrature giudiziarie  Sistemi fiscali che impongono le tasse  Eserciti che garantiscono la difesa dello stato e la capacità offensiva  Offici che controllano la provvista dei benefici ecclesiastici e le proprietà della chiesa. Oltre a un’autorità superiore (un re, un principe, un’oligarchia) vi sono autorità e poteri diversi con privilegi riconosciuti e che operano all’interno delle istituzioni. Gruppi sociali organizzati informalmente operano nell’ordinamento pubblico. Sono strutture forti costituite dalle parentele, dai partiti che interagiscono con gli assetti istituzionali condizionandone il funzionamento. Influenzano in particolare sulla scelta degli uomini grazie a rapporti di clientela, di patronato, di parentela che si trasformano in nepotismo fino ad arrivare alla corruzione. In modi diversi i vari stati hanno queste caratteristiche in comune: a Venezia sono i nobili a decidere come ultimi la nomina degli offici; a Firenze il clientelismo si consolida intorno ai Medici; nei principati è la corte che congiunge le società locali al principe. Questo è il risultato di una debolezza dell’ordinamento pubblico. Uno stato del genere è la situazione in cui gli interessi e le pratiche mutano nel tempo e danno vita a istituzioni e ordinamenti che variano in maniera significativa. Questa interdipendenza rischia di creare un’ influenza reciproca. Le corti, gli offici centrali di governo e le cancellerie sono gli spazi dove avvengono le mediazioni e le relazioni clientelari. Gli officiali territoriali rappresentano il potere pubblico e sono contemporaneamente portavoce delle nobiltà locali. Gli strumenti e le forme a disposizione del potere tardomedievale sono: la mediazione, la legittimazione, la negoziazione e la comunicazione. Il potere centrale utilizza la comunicazione per 12 consolidare l’egemonia su una società così differenziata e costituita da forze diverse. La legittimazione reciproca consolida il dominio territoriale dell’autorità superiore e rafforza le caratteristiche delle sue controparti, garantendo la loro sopravvivenza. Ritornando al caso di Firenze, il riconoscimento reciproco tra Firenze e le comunità locali si concretizza mediante continui patteggiamenti (transazioni, negoziazioni) utilizzando due mezzi: uno, di natura normativa, costituito dalla legislazione locale e l’altro, di natura politica, rappresentato dagli offici territoriali. Gli officiali territoriali tutelano gli interessi del potere dominante e ne garantiscono la sua supremazia; da qui si intuisce l’importanza della mediazione politica. Infatti, gli officiali mediano fra le esigenze del dominante e le richieste dei poteri locali. I processi di mediazione operano anche su un altro piano, quello della comunicazione, della trasmissione dei dati per opera degli officiali che detengono questo monopolio. Per ciò che riguarda l’importanza della comunicazione prendiamo come esempio il caso estense: un ducato composto da una capitale, due città di grande tradizione comunale, i loro contadi e diverse aree rurali e montane, tradizionalmente autonome, tutte controllate dalla dinastia estense dopo le investiture imperiali (per Modena e Reggio Emilia) e pontefice (per Ferrara). Questo è un tipico esempio di pluralismo territoriale esistente in vari stati italiani nel tardo Medioevo.
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