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L'italia dei consumi, Sintesi del corso di Storia Sociale

Scarpellini

Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015

Caricato il 12/07/2015

vlrc911
vlrc911 🇮🇹

4.4

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Scarica L'italia dei consumi e più Sintesi del corso in PDF di Storia Sociale solo su Docsity! L’Italia dei consumi – Emanuela Scarpellini L’Italia LiberaleIl fascismoIl Miracolo EconomicoLa società affluente 1. L’Italia Liberale Il periodo fra il 1870 e il 1913 è stato definito quello della “grande trasformazione” in riferimento ai mutamenti indotti dalla rivoluzione industriale. Il XIX secolo vede la fine del regime demografico d’Ancien Règime, caratterizzato da: • Rivoluzione industriale; • Progressi nell’agricoltura, adozione di nuove pratiche; • Fattori socioculturali; • Avanzamento delle conoscenze tecniche scientifiche Fattori che generano un forte aumento della popolazione e cambiamenti nelle relative classi d’età. Il moderno regime demografico lascia maggiore autonomia e libertà all’individuo: egli può decidere per il proprio destino in una misura impensata anni addietro, grazie ad una vita più lunga e prospera, una maggiore mobilità e uno spazio mai visto prima per le scelte di consumo. Il consumo era cosi strutturato: • 60% alimentazione (frumento, riso, patate, legumi, pomodori, carne e pesce, formaggi, zucchero, caffè e vino); • Abitazione e energia; • Vestiario; • Trasporti; • Altri; Le differenze territoriali e di contesto storico rendono molto diversa la vita da regione a regione; le differenziazioni di classe sociale creano enormi disparità. ▲ I CONTADINI Gran parte della popolazione (62%), impiegata nei lavori agricoli. Condizioni di vi vita molto dure: entrate scarse e quasi completamente assorbite dai bisogni primari (alimentazione, casa, vestiario). Es. Nelle Langhe i contadini mangiavano di norma polenta di granoturco, legumi, patate e castagne, raramente pane di frumento e niente carne; In Sardegna vi era solo due pasti: pane e frumento di giorno, minestra di legumi di sera; In Puglia: 1Kg di pane per tutto il giorno ecc.. Le condizioni erano molto variabili da una zona all’altra e dipendevano dalla disponibilità di prodotti locali, da contratti di lavoro e dalle tradizioni culturali locali. Al cibo però veniva attribuito un elevato valore all’interno dell’organizzazione della vita sociale: il tempo della festa è scandito da una quantità e qualità dei cibi diversi da quelli del tempo de lavoro; allo stesso modo cibi diversi distinguono le fasi di normalità nel ciclo della vita da quelle di eccezionalità (tipo la malattia, cerimonie e ricorrenze religiose). Le varie tipologie di cibo assumono poi molti significati: un valore positivo è collegato a tutto ciò che è grasso, che rappresenta il privilegio negato ai contadini, e di qui passa alla grassezza come allegoria di una vita felice; oppure a tutto ciò che cresce o vive in alto, come gli uccelli o i frutti degli alberi, di contro a tutto ciò che è basso, come i tuberi sottoterra o i maiali che si rotolano nel fango. Anche la religione ha il suo peso: le norme alimentari legate al calendario liturgico impongono una separazione tra il mangiare di grasso e il mangiare di magro, che bandisce rigorosamente la carne e talvolta altri prodotti animali a favore di ortaggi e pesce. Le modalità di consumo del cibo non erano meno significative: si trattava di un atto collettivo, magari introdotto da una preghiera, che confermava le differenziazioni sociali e di genere nel distribuire le portate, dalla selezione delle porzioni migliori e dalla disposizione gerarchica dei posti a tavola: il capofamiglia al primo posto, a capotavola, i membri più importanti al suo fianco, e via via tutti gli altri. Nelle famiglie vige una forte gerarchia e divisione dei ruoli: agli uomini spettano i principali lavori agricoli, alle donne la cura della casa e i lavori accessori nei campi, mentre i fanciulli collaborano con mansioni più leggere. Le abitazioni erano unifamiliari poverissime, realizzate con materiali come pietra o legno e di dimensioni ridotte: la cucina rappresenta l’ambiente polifunzionale centrale della casa e l’unico riscaldato. ▲ Gli OPERAI Le condizioni di vita degli operai non erano in molti casi migliori. La principale differenza risiedeva nel fatto che il reddito derivava quasi esclusivamente dal salario, destinato per la maggior parte all’alimentazione (74%). Il consumo di carne è limitato. Gli operai del nord con un buon salario ottengono 23 grammi di proteine dalla carne fresca contro i 14 degli operai dei sud. Cibo: Granoturco in precedenza consumato quotidianamente 37%/50%, oggi 4% . “Il pranzo del vescovo” dà l’idea di come si strutturava un pranzo nobiliare: vescovo al centro, non a capotavola, ispirazione all’Ultima cena. La prima cosa importante quando si doveva dare onore era il rispetto di una precisa gerarchia sociale: ospite al centro, secondo ospite alla destra, terzo ospite a sinistra. Il mangiare è un aspetto fondamentale di questo cerimoniale dello spettacolo. Banchetto come genesi delle forme che si ripresenterà nella vita quotidiana. Dal nord Europa si diffonderà in seguito una nuova tradizione: il capo si sedeva a capotavola per avere una visione completa della cena. La tovaglia doveva essere rigorosamente bianca, come simbolo di ricchezza. L’ospite si serviva da un piatto comune per primo, riservandosi le parti migliori del cibo. La tavola rotonda rappresenterà un movimento di rivoluzione contro la gerarchia imposta. Gli operai mettono in atto comportamenti molti diversi in campo demografico (la natalità è inferiore del 30% alla media nazionale, i matrimoni sono meno frequenti e contratti in età più tarda, la natalità illegittima è elevata) e in merito alla mobilità spaziale (continui spostamenti sul lavoro, traslochi) pertanto è meno legato affettivamente ai luoghi o a oggetti specifici. L’abitazione costituisce un grave problema: molto povere situate in centri urbani degradati (case di ringhiera a Milano:case in affitto dotate di lunghi ballatoi continui orientati verso il cortile interno con la latrina in comune senza illuminazione, fognature e acqua corrente). La bicicletta rappresentava un vero e proprio mezzo di trasporto. Le donne erano impiegate nel lavoro manifatturiero (tessile e abbigliamento), venivano pagate di meno rispetto agli uomini e potevano lavorare fino al matrimonio o alla maternità. ▲ I BORGHESI Classe sociale, in origine identificata con gli artigiani e i mercanti della città, fu adoperata poi per riferirsi principalmente agli imprenditori e grandi finanzieri e poi anche impiegati e professionisti. I consumi si concentrano principalmente nell’alimentazione (50/60%), ma in particolare cibi costosi come la carne e il pesce, segue le spese per l’abitazione e l’abbigliamento (20%). Fondamentale è il ruolo degli abiti che servivano per differenziarsi da altre classi sociale, specialmente se inferiori: le classi medie venivano identificate come i “colletti bianchi”. Le abitazioni dei borghesi: ossessione per la pulizia e il decoro domestico, sono molto ampie e funzionali, moderne nello stile. Al loro interno vi è una netta separazione fra pubblico e privato: vi sono spazi pensati per la vita in società, dove ricevere gli ospiti, e spazi riservati all’intimità domestica fra i coniugi e i figli. La casa è vista come un riparo dal mondo esterno, sicurezza contro la libertà. I figli, che nella cultura contadina e operaia venivano precocemente impiegati nel lavoro, in ambito borghese invece dalla fine dell’Ottocento si affermò l’idea che i bambini costituiscano un mondo a parte con proprie esigenze e necessità alle volte contrapposti a quelli degli adulti: creatività, purezza, vulnerabilità. Pertanto gli educatori avevano il Nel periodo giolittiano l’attenzione fu concentrata sulla lotta contro malattie come la tubercolosi, il colera e soprattutto la malaria. L’impegno si sposta quindi sulla prevenzione e sull’igiene, complice la nascita della medicina sociale. L’impatto di queste riforme è importante: testimonia il crescente ruolo che la medicina assume nella società italiana da metà 800 e pone le premesse per una crescente domanda di consumi sanitari. Per quanto riguarda l’istruzione: le classi abbienti potevano permettersi maestri privati e la frequenza dopo le elementari di istituti educativi fino all’università. La legge Casati del 1859 aveva istituito due anni di istruzione elementare obbligatoria, portati a 4 dalla legge Coppino nel 1877. Nonostante ciò il Novecento fu caratterizzato dall’evoluzione dei consumi privati e dal progressivo allargamento dei consumi pubblici. È evidente come i provvedimenti adottati avessero uno scopo di controllo del territorio e del corpo sociale non meno che di potenziamento della nazione. Si potrebbe dire che in questo periodo inizia a crearsi uno “spazio nazionale” che orienta le scelte di consumo. Il rapporto che intercorre tra produzione e consumo è ovviamente di reciproca influenza. Gli economisti hanno però storicamente assegnato un peso maggiore ai produttori, il loro pensiero ha subito nel tempo un’evoluzione. 1. Gli economisti classici, come Adam Smith e Ricardo, si concentravano sulla produzione; Marx si pone sulla stessa linea, pur riconoscendo la distinzione fra il valore d’uso di una merce (legato al suo effettivo utilizzo nel tempo) e valore di scambio (legato al suo prezzo sul mercato), e soffermandosi sulla specificità dell’economia capitalista nel produrre una grande quantità di merci. 2. Gli economisti neoclassici (Marshall, Walras, Pareto) pongono al centro della scena il rapporto tra domanda dei consumatori e offerta dei produttori: entrambi volevano massimizzare la loro utilità (rispettivamente nella soddisfazione di un bisogno o nell’ottenimento di un profitto), e il loro ideale punto di incontro rappresenta l’equilibrio del mercato. In successive analisi si nota come il potere di controllo sui mercato da parte dei produttori aumenta in presenza di situazioni di monopolio e oligopolio. I consumatori prendono la loro rivincita a partire dalle teorie di Keynes, che attribuisce al consumo, oltre che allo Stato, un ruolo fondamentale nel garantire la crescita economica; e soprattutto nel secondo dopoguerra, con studiosi come Duesenberry e Katona. Il primo, noto per la teoria dell’effetto dimostrativo, spiega come il consumo diventi fondamentale in società moderne caratterizzate da un’elevata mobilità sociale per segnalare la propria condizione sociale; il secondo vede il consumo come la vera forza dietro la nuova società di massa, dove il consumatore è un soggetto guidato non solo da redditi e prezzi, ma da abitudini e aspettative per il futuro. Analisi più recenti: Friedman pensa al consumo come a una quota costante di reddito permanente. A partire dagli anni Sessanta-Settanta si sviluppa una forte corrente critica verso il “consumismo” che influenza gli economisti. È interessante notare come il ruolo dei consumatori sia cresciuto e divenuto più visibile con il passare del tempo: da soggetti passivi e manipolati, i consumatori acquisiscono via via un ruolo attivo e dinamico sulla scena economica, quasi alla pari dei produttori. Inoltre viene progressivamente in luce il ruolo dei mediatori, cioè dei commercianti. L’Italia, tipica economia di trasformazione con scarse materie prime, attraversa in questo periodo il primo effettivo slancio industriale. Nel quadro europeo appare come un paese a metà tra economia tradizionale ed economia industrializzata: esporta soprattutto prodotti agricoli, tessili e alimentari; importa frumento, materi prime, semilavorati e prodotti industriali finiti. A fine Ottocento un terzo dei prodotti consumati proveniva dall’agricoltura, un altro 30% dalle industrie alimentari; nel giro di sessant’anni la situazione di rovescia, con le industrie alimentari al primo posto e i prodotti agricoli primari ridotti al 16%. Questo significa che molte operazioni condotte in ambito familiare sono state trasferite all’industria alimentare, per motivi sociali (mutamenti verificatisi all’interno della famiglia e crescente lavoro extra- domestico delle donne), economici (maggiore disponibilità di reddito) e tecnologici (nuove tecniche di conservazione e lavorazione del cibo). Infine vi è la tendenza a passare da beni non durevoli a quelli durevoli (prevalenza di alimenti secchi, compresa frutta e verdura, rispetto a quelli freddi, conserve). Prende così forma un aspetto che si rivelerà decisivo nella storia dei consumi del Novecento: la marca Il suo significato conosce nel tempo una complessa evoluzione. Alle origini indicava semplicemente un “marchio proprietario”, ovvero il nome o il simbolo del prodotto commercializzato da un’impresa spesso protetto tramite un deposito legale. Con la formazione del mercato allargato che si crea grazie ai trasporti moderni e alla rivoluzione industriale, essa assume un significato del tutto differente, perché diventa un mezzo per caratterizzare una merce e, possibilmente, venderla. La marca ha due funzioni: • Informativa: indica le caratteristiche del prodotto, le sue funzioni, i suoi componenti, prima che venga comprato; • Valoriale: costituisce una specie di valore aggiuntivo rispetto al bene fisico, indica come quello specifico articolo si inserisce nel mercato, quale valore di status potrebbe fornire. La costruzione di una marca si basa essenzialmente sulla pubblicità, che non a caso muove allora i primi passi in Italia. Si tratta però di una pubblicità che punta soprattutto sul primo aspetto, cioè quello dell’informazione: nelle pagine delle riviste che ospitano un numero crescente di inserti pubblicitari appaiono riquadri con una piccola illustrazione del prodotto e una lunga scritta di spiegazione. In questa prima fase la cosa più importante era far conoscere il prodotto ai consumatori, chiarendo a cosa serviva, come e perché utilizzarlo. Importante era anche il packaging: altra parola sconosciuta, per quanto molti avessero già capito che la confezione esterna del prodotto (la forma, il colore, il logo impresso) era un elemento importante per la caratterizzazione e doveva perciò rimanere uguale nel tempo. La marca più presente nelle case era la Cirio Francesco Cirio, imprenditore di Nizza, fu un vero pioniere dell’industria alimentare italiana. Iniziò con l’esportazione di frutta, verdura, ma anche uova, pollame e formaggi da trasportare nel Nord Europa su speciali vagoni frigoriferi di sua ideazione. L’impero Cirio si espanse a dismisura e attraversò molte difficoltà e, a inizio secolo, passò ai fratelli Signorini. Per quanto riguarda l’arredamento, era possibile notare una prevalenza di produzioni artigiane di buona fattura e la disposizione dei primo mobili di serie per le classi sociali meno abbienti. Le produzioni britanniche erano all’epoca sinonimo di eleganza e modernità, basate per l’appunto sulla produzione di beni di consumo esportati in tutto il mondo(biscotti, liquori, salse, porcellane, biancheria, posate, abiti). La trasformazione della società è orientata verso la spettacolarizzazione. In passato i consumi si svolgevano in luoghi precisi (mercati, botteghe, fiere) immagine di bottega tipica nel periodo fascista: lusso ed eleganza, arredi raffinati che suggeriscono un’atmosfera da salotto, il bancone segnava il limite fisico al cliente che non aveva dunque libero accesso alla merce. Lo spazio limitato con precise gerarchie. Il commesso, in primo piano, mostra la merce al cliente come esperto consigliere non in mostra e senza il prezzo imposto. • Luogo funzionale; • Zero spettacolarizzazione. Il primo esempio di spettacolarizzazione sorse a Parigi, città simbolo della cultura e dell’eleganza. La città francese fu segnata da due elementi: la velocità, che esprime un ritmo frenetico e diventa la cifra di lettura della vita urbana, e la mercificazione, che informa ogni cosa e spinge gli uomini a sfinirsi di lavoro o a rubare e vendersi. La nascita della nuova Parigi metropoli venne descritta da Baudelaire: operai sempre in movimento, strade geometriche, luoghi da divertimento affollati. Nel 1789 una strada commerciale venne ricoperta con degli archi e un tetto in vetro che creava l’illusione di essere all’aperto, e l’asfalto fu sostituito con una pavimentazione particolare che giocava forti effetti di luce. Parigi era una città molto buia e questa scelta di decoro segnò un’importante passaggio culturale, un cambiamento netto: la realizzazione di questo luogo, definito dai francesi il passage, riuscì a creare un forte effetto di meraviglia ai suoi visitatori, infatti lo scopo era infatti quello di attirare il pubblico attraverso la tecnologia. I passage erano dunque luoghi di passaggio coperti tra una strada e l’altra, lussuosamente pavimentati e ben arredati; l’ingresso non implicava la volontà di fare acquisti, semmai essi invogliavano a passeggiare e soffermarsi accanto a sfavillanti vetrine che si allineavano una dopo l’altra al loro interno insieme a caffè, ristoranti e teatri. Si proponevano come luoghi di incontro e di ritrovo. Qui si veniva in contatto con una folla mutevole e sconosciuta; si era attratti dai rumori, suoni e luci di tutti i tipi; si era immersi in un’atmosfera scenografica; tutto poteva essere comprato e venduto. Il richiamo di questi luoghi era affidato alla tecnologia: costruiti con moderne coperture di vetri e ferro, lasciavano filtrare di giorno una luce bianca e di sera si illuminavano con l’abbagliante chiarore della luce a gas, che contrastava nella penombra del resto della città. Molti individuarono nel passage un tentativo di ricreare il format teatrale: spettatore – attore. Sembravo dei palcoscenici, dove si recitava senza soste un copione per il pubblico dei passanti, mentre l’intera strada si era trasformata in un teatro senza confini. Inoltre, in passato i rapporti interpersonali erano minori ma più approfonditi, il silenzio era una cosa normale. Nella città moderna, invece, non vi è mai silenzio, gli stimoli sono continui. L’uomo moderno si integra perfettamente a questo ambiente frenetico attraverso l’indifferenza, forma di difesa che si manifesta come attenzione ridotta e superficialità. I rapporti con le altre persone sono estremamente casuali. Il Passage ha suscitato l’attenzione di molti studiosi, tra cui: ▲ Habermas: teoria sull’opinione pubblica Opinione pubblicasentimento popolare che ha le sue radici nell’illuminismo, corrente che contiene due elementi fondamentali: • La nascita delle prime forme di stampa che danno spazio all’opinione pubblica; • Nascita di spazi pubblici borghesi (caffè) dove chiunque poteva entrare e consultare le gazzette. I caffè erano ritrovi di persone appassionate di politica e di letteratura (circoli letterati). Il caffè divenne la bevanda dell’illuminismo per il suo effetto stimolante, tipica della borghesia attiva e laboriosa, contrapposta alle bevande alcoliche, come il vino e la birra, che invece provocano l’effetto opposto e dunque in riferimento alle classi popolari. I passage hanno uno stretto legame con i caffè, essi infatti sono presenti in numerosi quantità. Ma l’elemento innovativo, rispetto ai caffè illuministi, era la forte presenza delle donne, prima escluse. ▲ Il sociologo Walter Benjamin, nel 1935 fu colpito dal fascino della città francese e la descrisse come la “capitale del XIX secolo”. Secondo il filosofo berlinese, gli shock esperiti di continuo nella vita urbana (luci, rumori, incontri, situazioni nuove) avrebbero forgiato la nascita di una figura umana sensibile più nervosa e instabile: il flaneur visitatore ideale del passage, personaggio ben curato e amante della bellezza. Egli vede la città come uno spettacolo e trova la sua più compita realizzazione nel grande magazzino. Benjamin parlò dell’inizio di un vero e proprio cambiamento antropologico, il passage era un archetipo della modernità, un evento che cambierà radicalmente la società. consumo di questo nuovo spazio dei consumi potrebbe essere definito mediterraneo, piuttosto che nazionale, poiché era evidente un tentativo di valorizzazione dell’immagine del Meridione. Ci fu poi anche il tentativo di creare uno spazio nazionale dei consumo allargato verso le colonie attraverso le merci esotiche, soprattutto caffè, banane. Queste pubblicità servivano anche per creare un’identità egemonica nazionale, rispetto alle popolazione coloniali, perché sottolineavano visivamente le differenziazioni di razza. Il consumo dei prodotti nazionali non si limita all’Italia e alle colonie, da fine 800, esso aveva di fatto seguito le ondate di immigrati italiani in Europa e nell’America, dove si era creata un’importante domanda di prodotti tipici. Era un modo per tenere legate le comunità italiane all’estero e rinforzare le identità. Ma il mercato dei beni di consumo era governato da meccanismi complicati, tutt’altro che naturali: esso non solo cercava di orientare i consumi privati, con l’autarchia e la promozione di prodotti nazionali, ma appariva sempre più protagonista nell’offerta di consumi pubblici. Il fascismo orienta rapidamente la spesa pubblica seguendo finalità politiche, lasciando nuovamente cadere le spese assistenziali e previdenziali che erano molto cresciute dopo la guerra e privilegiando altre spese, soprattutto quelle militare. Un esempio fu quello dell’istruzione usata come leva per trasformare la società, e in particolare i giovani, e creare un uomo nuovo plasmato. In campo assistenziale e previdenziale l’interesse era quello di salvaguardare la stirpe assicurando categorie di lavoratori e ampliando la provvidenza contro malattie con istituti centralizzati. Parallelamente cresce la previdenza con riforme per mitigare la grave crisi sociale: assicurazione obbligatoria contro gli infortuni a lavoro e tutele contro la disoccupazione, creazione di enti locali e pubblici, maternità e assegni familiari. Oltre ai consumi privati e pubblici, in questo periodo si allargano i consumi collettivi assicurati da enti parastatali, organismi privati e associazioni controllate dai partiti. Si tratta dei consumi collegati al tempo libero: educazione, sport, cultura e divertimento. Il fascismo per tenere uniti i suoi iscritti in un ambiente ostile, aveva organizzato una fitta rete di associazioni apolitiche, leghe sportive, organizzazioni culturali, giornali, spettacoli, enti di assistenza. Enti usati come strumenti per il consenso: ispirazione tedesca (controllo), ispirazione americana (elevazione personale del lavoratore). Studiosi come Kern e Corbin ci hanno mostrato come ogni epoca e ogni cultura abbiamo una specifica concezione del tempo. Dall’800 il tempo diventa più strutturato (separiamo rigidamente i tempi dedicati alle diverse attività, ad esempio di lavoro e riposo: ognuna ha il suo arco definito e non le sovrapponiamo l’una sull’altra); è più misurabile (utilizziamo strumenti più raffinati per la misurazione, come orologi meccanici); è accelerato (con trasporti moderni che hanno cambiato il rapporto tempo/ spazio); è interiorizzato (organizzato con segnali temporali: sveglie, sirene in fabbrica, agende). Se dunque il tempo contemporaneo è così prezioso e misurabile, non sorprende che una delle battaglie operaie e sindacali più lunghe sia stata quella per la riduzione dell’orario legale di lavoro, passato da 12-15 ore al giorno alle attuali 8 ore. In questo modo i lavoratori acquisivano più tempo per sé stessi. Otium, tempo libero individuale tipico dell’èlite; ri- creazione, tempo per le attività collettive, tipico della forza lavoro, tempo dedicato alle attività di svago e di cultura. I consumi culturali creativi hanno preso il loro posto accanto ai consumi di base tradizionali. Il fascismo non fa altro che concretare tutto questo, aggiungendovi di suo la connotazione politica. Ad esempio il regime porta il teatro, tipico consumo d’èlite, a fasce più ampie di popolazione di popolazione nell’ambito di un programma di integrazione nazionale. Allargare i consumi culturali per rafforzare il regime. Gli studiosi dei sistemi organizzati ci dicono che l’adesione a un’organizzazione volontaria dipende da due fattori: gli incentivi selettivi (incentivi materiali, ad esempio nel nostro caso la possibilità di usufruire di beni e servizi altrimenti fuori dalla portata economica delle classi medio-basse, e per qualcuno anche il raggiungimento di posizioni di potere e di status) e gli incentivi collettivi (che possono consistere nella solidarietà, nel sentirsi parte di un gruppo, nel riconoscersi in una specifica identità). La moglie di Mussolini, Edda Ciano, rappresentava il modello dell’aristocrazia inimitabile che si proponeva come guida: vestiti esclusivi, gioielli, pellicce, eventi mondani, macchine di lusso. Un ulteriore modello dell’epoca sono i personaggi della cinematografia americana hollywoodiana: la donna alta e magra, capelli biondi, vive in appartamenti lussuosi, va al cinema e al teatro; l’uomo elegante, dinamico e sicuro di sé, sorridente, fuma sigarette e guida auto scintillanti. Le abitazioni in epoca fascista erano provviste delle nuove tecnologie e servizi moderni, soprattutto in ambienti metropolitani, considerati i costi elevati. In particolare della radio, che rafforzò il consumo di musica e quindi trainò in parte la diffusione del grammofono. Per quanto riguarda i trasporti: Marinetti e i futuristi furono i primi in Italia a esaltare il fascino della velocità e quello dell’automobile. Esse condensano miracolosamente la conquista dello spazio e del tempo, permettendo viaggi lontani e riducendo i tempo di percorrenza; la libertà dell’individuo di scegliere tempi e modi degli spostamenti, liberandolo dalla schiavitù di orari e convivenze forzate. Negli anni ’20 ci sono ben 36 case automobilistiche (Fraschini, Maserati, Alfa Romeo e Fiat). In Italia nel 1938 girano complessivamente 289.000 autovetture, contro 1.818.000 in Francia e 1.272.000 in Germania. Il treno risulta però il mezzo più utilizzato per lavoro e per spostamenti, comprese le prime vacanze delle classi medie. La bicicletta è il vero mezzo di trasporto per tutti. Magazzini popolari sono ancora presenti una vasta rete di piccoli negozi e l’alimentare è di gran lunga preponderante. I negozi non alimentari sono in media i più ricchi: al vertice troviamo negozi di tessuti, valigerie, pelliccerie, ferramenta, mercerie ecc.. I grandi magazzini, che tanto aveva incuriosito la collettività, non avevano subito eccessive espansioni: nel 1938 essi rappresentavano solo lo 0,8 % delle vendite. La principale causa di questo ristagno risiede nel basso potere nel basso potere di acquisto dei consumatori, accentuato dalle crisi economiche ricorrenti e dalla politica di contenimento salariale attuata dal regime. Il primo magazzino, Upim, inaugurato nel 1928 a Verona, offriva ai suoi clienti 4000 articoli a prezzo fisso, ricalcando una formula inventata dall’americano Frank W. Woolworth nel 1879 e ampiamente diffusasi e ampiamente diffusasi in Europa tra le due guerre, complice la crisi economica. L’iniziativa è di Senatore Borletti, proprietario della Rinascente, che crea appunto una catena parallela (Unico Prezzo Italiano di Milano) per distinguere i due marchi: l’Upim si rivolge a una clientela popolare piccolo borghese, ha arredi interni funzionali, punta su articoli di ampio consumo, si sviluppa secondo una diversa geografia. Alla vigilia della guerra la società Borletti gestisce 5 filiali Rinascente e 57 magazzini Upim. La rispondenza del pubblico spinge i Fratelli Monzino, ex dirigenti della Rinascente imparentati con Borletti, a fondare nel 1931 un’impresa concorrente, la Standa. Si apre presto una guerra: da una parte la Rinascente, forte del suo sviluppo e della sua influenza politica di Borletti; dall’altra la Standa, abile e spregiudicata, che raggiunge in un decennio la metà della consistenza dell’Upim. Inoltre con la legge del 1938, che stabilisce l’apertura di un numero massimo di 177 filiali sul territorio, divise fra Upim, Standa e Ptb, si crea un vero e proprio oligopolio. La Ptb (Per tutte le borse) con sede a Milano, creata nel 1937, propone un’offerta differenziata a buon mercato ma di maggiore qualità rispetto alle altre. Sarà la guerra che di lì a poco peggiorerà drammaticamente le condizioni di vita materiali della popolazione: mancanza di generi di prima necessità, distruzioni e borsa nera. 3.Il Miracolo economico Se i decenni tra fine ‘800 e Prima guerra mondiale sono quelli della grande trasformazione, gli anni 1945/73 sono l’età d’oro del capitalismo. Il reddito procapite cresce in tutto il mondo del 2,9% e ancora di più crescono i redditi nazionali e le esportazioni. Dal 1950 al 1973 la distanza in termini di ricchezza tra il leader mondiale, gli Stati Uniti, e l’Europa occidentale si riduce notevolmente. Le cause: 1. Liberazione dei mercati e l’integrazione dei sistemi produttivi in un unico spazio economico sovrinteso da istituzioni internazionali che innescano un flusso di merci e capitali senza precedenti; 2. Politica economica: perseguita per promuovere lo sviluppo all’interno dei singoli paesi anche a livello internazionale. Lo sviluppo consiste essenzialmente in una crescita economica di tipo qualitativo, che porta a un più alto standard di consumi, migliora la qualità della vita, diminuisce la disoccupazione e la conflittualità sociale; pertanto gli obiettivi prioritari sono gli investimenti in capitale fisso e quelli in capitale umano (istruzione, formazione professionale); 3. Nuovi spazi di crescita economica nei paesi sconfitti come Giappone, Germania e Italia; 4. Aspetto demografico: baby boom, rapido aumento della popolazione e incremento della vita; 5. Ripresa dei flussi migratori, spostamenti da sud a nord, dall’Europa meridionale a quella settentrionale. Gli immigrati sperimentano importanti cambiamenti: la mobilità che li immette in una realtà diversa; 6. Cambiamento culturale: ridefinizione dei ruoli all’interno delle famiglie, utilizzo dei nuovi oggetti di consumo; 7. Diffusione di un modello di benessere individualistico, dove il consumo privato è il vero segno del successo e dell’integrazione sociale (come avveniva in America). Nell’Italia del miracolo economico era venuta l’ora di comprare la felicità All’interno di questa crescita di consumi, assistiamo a uno sconvolgimento degli schemi dominanti. Per la prima volta, le spese alimentari non assorbono più la gran parte delle risorse disponibili e scendono ben al di sotto della metà. La dieta cambia profondamente: scendono gli alimenti poveri, come il risone, i legumi secchi (a favore di quelli freschi), il lardo e lo strutto (a favore di burro e olio), la carne ovina e caprina; salgono i consumi di alimenti ricchi, troppo costosi prima e riservati alle èlite. Rispetto agli anni ’30 raddoppiano tutti i prodotti caseari (latte e formaggi) e le uova; cresce il consumo di vino e ancor più quello della birra, ma soprattutto salgono tre prodotti simbolo: la carne bovina, lo zucchero e il caffè. In crescita troviamo invece gli “altri”consumi: i trasporti e le comunicazioni (10%), i beni durevoli, come arredamento e elettrodomestici, (6%), le spese per igiene e salute (8%) e altri beni e servizi (11%). La cultura materiale costituisce una parte importante della costruzione di nuove identità, materializza valori e comportamenti, diventa il tramite per rapportarsi e in definitiva cercare un’integrazione nella società. Il simbolo del sogno italiano divenne l’automobile, o meglio l’utilitaria, a cominciare dalla Fiat 600 che appare nel 1955. Essa rappresentava la libertà di movimento senza limiti, di un concreto miglioramento della propria vita. L’automobile è l’icona del nuovo paesaggio urbano industriale della contemporaneità; esprime mobilità spaziale e sociale; afferma il valore dell’individualità; inaugura nuove modalità di lavoro e di consumo. Ma l’idea dell’automobile è vista anche in maniera negativa da molti, come mezzo per sfuggire al controllo sociale (donne, sottoufficiali, preti e monaci) e dunque immagine di peccato e luogo di illiceità sessuali; come strumento pericoloso in quanto materializza la velocità e provoca incidenti alle volte mortali. Nel 1960, visto l’elevato costo delle automobili, vi erano molti motocicli. La vespa al suo apparire, nel 1946, ebbe subito successo anche fra i giovani della classe media. Il suo successo è condiviso dall’altro scooter italiano, la Lambretta, più snella e meno costosa, prodotta in Lombardia ma reclamizzata con slogan americani; vespisti e lambrettisti diventano due fazioni irriducibili. Altra priorità divenne la casa di proprietà, simbolo del nuovo radicamento, garantisce stabilità e futuro. Ma farsi una vera casa non era facile e ci si adattava in alloggi di fortuna o degradati. valorizzazione de proprio corpo. Roberta Santarelli ha parlato di edonismo addomesticato riferendosi al fatto che certi consumi sono regolati socialmente e non possono essere usufruiti dai singoli a loro piacimento (es. le campagne contro l’alcolismo o il tabacco sono una costante di moralizzazione delle classi operaie, ma non si verifica una proibizione). Negli anni ’50 avviene inoltre un fatto nuovo nel dibattito pubblico e in quello politico: compare la parola consumi, essa assume una centralità e una visibilità diversa. Si diffonde il concetto di sviluppo come crescita, come lo ha definito Arndt, cioè la convinzione che il benessere del paese sia automaticamente dipendente dal tasso di crescita economica e che quindi gli investimenti abbiano un’assoluta priorità; i consumi da questo punto di vista, limitando il risparmio, bruciano preziose risorse. I partiti politici in Italia (Democrazia Cristiana e il partito Comunista) iniziano a mostrarsi dubbiosi sugli effetti dell’americanizzazione. I consumi sono un inganno, una fatale illusione propagandata dai nuovi media. Punti di rifermento in merito a questo dibattito furono le opere di Adorno e Horkheimer della Scuola di Francoforte, in particolare la Dialettica dell’illuminismo, dove si parla di consumismo, cioè di consumo sfrenato e coattivo indotto dall’industria culturale. Esso è diventato il nuovo oppio dei poveri, abbaglia i lavoratori e li induce a spendere i loro guadagni per acquistare sempre nuovi beni di consumo in un circolo senza fine. Ulteriore studioso, Marcuse, sottolinea i processi che portano alla manipolazione dei bisogni e creano un indistinto conformismo di massa, con il fine di assicurare un controllo autoritario dall’alto; mentre Debord ritiene che tutto sia tramutato in un gigantesco spettacolo e che il consumo- spettacolo dia il meccanismo basilare per l’esercizio del potere nelle società contemporanee; Baudrillard sostiene che le esperienze che ci derivano dal consumo sono ormai più efficaci di quelle reali, per cui questi simulacri soppiantano la realtà: la simulazioni delle merci ci fa smarrire la distinzione fra ciò che è vero e ciò che è falso. In Italia una voce controcorrente è quella di Pier Paolo Pasolini che in un famoso articolo sul Corriere della Sera, usa la metafora della scomparsa delle lucciole per dimostrare che qualcosa di drammatico sta succedendo nella società italiana: come le lucciole, sparite per l’inquinamento, così l’intero vecchio universo agricolo e paleocapitalistico cede il posto a una civiltà nuova totalmente “altra”: la civiltà dei consumi. Le vecchie periferie operaie sono scomparse, soppiantate da quartieri senza anima; i centri urbani non richiamano più la continuità della tradizione umanistica, ma solo il problema della loro preservazione fisica; le campagne non rimandano alle origini della civiltà, ma a weekend e secondo case. La televisione, secondo un’indagine condotta da Lidia De Rita nel 1959, non è vista come un consumo superfluo ma come un bene che consente una migliore conoscenza del mondo. I nuovi consumi culturali stimolano la comunicazione e nuove forme di socialità fra gli spettatori. Ad emergere è inoltre la centralità del divertimento. La costruzione di un welfare state divenne centrale negli equilibri della Repubblica. Il welfare è considerato un elemento costitutivo della Democrazia del dopoguerra. Non per nulla esso nasce ufficialmente con il famoso rapporto che William Beveridge pubblica nel 1942, in pieno conflitto, contrapponendo il contemporaneo stato di guerra (warfare state)a un futuro assetto di pace e benessere (welfare state)che garantisca libertà dalle cinque grandi schiavitù: bisogno, malattia, ignoranza, miseria e ozio. Pochi anni dopo il sociologo di Cambridge, Thomas Marshall sostiene inoltre che la costruzione della cittadinanza conosce tre fasi: la prima è quella del riconoscimento dei diritti civili (diritti individuali legati alle libertà personali, di espressione di fede, pensiero e parola, di associazione politica e sindacale) e vede la sua attuazione nel ‘700; la seconda è l’ottenimento dei diritti politici (diritto di eleggere e farsi eleggere), che avviene nell’800 con l’estensione del suffragio universale; infine, la terza è quella dei diritti sociali di cittadinanza (istruzione e servizi di base per tutti) che si verifica nel ‘900. Solo il godimento di tutti e tre i tipi di diritti garantisce l’effettiva appartenenza alla comunità. Il miracolo economico consegna ai governi ampie disponibilità finanziarie da investire nei settori in cui si avverte un ritardo rispetto al resto d’Europa (istruzione, assicurazioni sociali). Nel periodo 1950-73 viene edificato il welfare state italiano. I governi del dopoguerra investirono molto nell’istruzione, vista finalmente come un efficace strumento di mobilità sociale (l’obbligo scolastico viene allungato fino alle medie; 8 anni); sulla sanità (gli ospedali si trasformano in enti di diritto pubblico; nasce un servizio sanitario nazionale sul modello inglese: Usl); sulla previdenza (migliorano le pensioni dei dipendenti, viene introdotta la pensione di anzianità e quella sociale. La crescita dei consumi e il lancio di nuovi prodotti sul mercato spingono molte imprese a utilizzare forme pubblicitarie. Si avvia lo spostamento da una strategia industriale principalmente focalizzata sul prodotto (product oriented) a una più attenta al lato della vendita e al mercato (market oriented). Es. La mucca Carolina: gadget che premiava lunghe raccolte di punti che si trovavano nei formaggini Invernizzi. L’animale rappresenta, con le sue forme abbondanti e la sua sostanza gommosa, il passaggio da un passato rurale a un presente industriale. La concorrenza fra le imprese è spietata e i media e la pubblicità giocano un ruolo di enorme rilievo: non basta saper produrre, bisogna sempre più saper vendere. La contemporanea moltiplicazione dei media a disposizione contribuisce a dare alla pubblicità una visibilità sociale che prima non aveva. In precedenza la teoria pubblicitaria faceva riferimento soprattutto alla psicologia: si riteneva che il manifesto dovesse colpire il consumatore grazie a un forte messaggio ripetuto continuamente, in modo da essere di grande impatto persuasivo. Negli Stati Uniti le ricerche di psicologia applicata portarono presto a un maggiore interesse sulla sperimentazione, poiché i pubblicitari si resero contro che i consumatori opponeva resistenza alle loro offerte. Si cominciò così a sospettare che il consumatore filtrasse il messaggio non solo attraverso le sue preferenze individuali di gusto, ma attraverso la sua posizione nella società, il reddito, il genere, l’età, l’istruzione: non esiste un consumatore tipo, ma tanti gruppo diversi con modi di vita differenti. Slogan e immagini evolvono per adattarsi a stili di comunicazione correnti, a un pubblico di massa, a mezzi di comunicazione diversi, per cui una stessa campagna deve saper parlare attraverso la carta stampata, la televisione, la radio e in misura minore, ai manifesti stradali e gli spazi del cinema. Il settore di maggior crescita spettacolare fu quello dei detersivi, si scatenò una guerra internazionale tra i principali gruppi mondiali per accaparrarsi le quote di mercato (Dixan, Henkel, Ava, Sole). Ulteriori marchi: Star, Barilla, Cirio, Ferrero ecc.. In merito al desing e all’arredamento, in questo periodo spicca il volo il made in Italy: le cucine monoblocco con gli elettrodomestici incassati della Merloni. È interessante notare come le strategie commerciali prestino molta attenzione al genere e all’età. I prodotti per cucinare sono decisamente indirizzati alla casalinga. I prodotti dolciari sono invece dedicati ai bambini, lo mostrano le promozioni pubblicitarie spesso con pupazzi e cartoni animati, le confezioni vivaci e colorate. Vi sono poi i prodotti alimentari dedicati ai giovani, come i gelati Algida e le gomme da masticare. I supermercati: • Nel 1959 a Mosca gli americani allestirono un’esposizione nella capitale che comprende una casa perfetta funzionante (la casa americana standard). Nixon e Chruscev la visitarono ed entrarono in cucina. Qui il vicepresidente statunitense indica con orgoglio una lavastoviglie e vari elettrodomestici e spiega che tutto lì è pensato per rendere la vita quotidiana più piacevole con le tecnologie più avanzata e che tutto questo in America era a portata di mano di un operaio. • Nel 1956 a Roma Il Dipartimento dell’agricoltura Usa e la National Association of Food Chains allestiscono un’esposizione all’Eur di un intero supermercato di mille metri quadrati, con tutte le più moderne attrezzature, scaffali, banconi, casse automatiche e venti commessi e 2500 articoli esposti per mostrare il funzionamento del metodo self service. In tredici giorni la Supermarket Usa è visitata da 450.000 persone e vari gruppi di operatori commerciali, suscitando grande interesse anche nei media. La discussione di Mosca (passata alla storia come Kitchen debate) e il supermercato romano sono solo due esempi della strategia americana che negli anni ’50 e ’60 punta alla discussione internazionale dell’American way of life. Il supermercato consisteva nell’esposizione spettacolare di un’innumerevole quantità di merce, l’incarnazione dell’idea di un benessere e un’abbondanza senza limiti. Costituisce un nuovo importante spazio e di consumo che trasforma abitudini e routine quotidiane. Il primo supermercato moderno si indica nel King kullen di Long Island, aperto nel 1930; la diffusione di queste forme commerciali negli Stati Uniti conosce una prima forte ondata nel periodo della Grande Depressine, grazie ai loro prezzi molto concorrenziali, e una seconda a partire dagli anni ’50, per via dell’innalzamento del tenore di vita e del baby boom. In Italia il mondo del commercio è ancora decisamente caratterizzato dalla rete di piccoli negozi che, anzi, hanno conosciuto una nuova espansione con le migrazioni interne e con l’accresciuto potere di acquisto della popolazione. Dopo l’esposizione a Roma e dopo isolati tentativi di applicare il nuovo sistema del self service, senza grandi risultati, la prima importante società di supermercati che si afferma in Italia è ancora opera degli americani: Nelson A. Rockefeller, uomo ricco magnate del petrolio della Standard Oil e potenziale candidato alla Casa Bianca. È una delle società di New York, la Ibec (International Basic Economy Corporation), già ramificata nel Sud America, ad aprire a Milano nel 1957: la Supermarkets Italiani Spa. L’impresa apre tra mille difficoltà: lunghe trafile burocratiche per ottenere le licenze di esercizio, fortissime resistenze dei piccoli commercianti, preoccupazioni di carattere politico. Ma le competenze gestionali del management statunitense e la buona accoglienza del pubblico ne determinano un rapido successo, anzi le continue polemiche non fanno che aumentare l’impatto sociale. Uno dei reparti che suscita più meraviglia è quello della carne: già tagliata e confezionata su vassoi avvolti da una pellicola trasparente, si può guardare e toccare senza comprometterne l’igiene. Come per i surgelati, altra assoluta novità per i tempi. Vantaggi: • Prodotti confezionati (sicurezza); • L’uso di frigoriferi aperti, mai visti prima; • Prodotti nuovi ed esotici • Trovare la merce tutta nello stesso luogo, grande assortimento; • Prezzi bassi ma prodotti di qualità; • Aria condizionata e ambiente piacevole; • Presenza di molti uomini (la scelta del cibo non è più un’attività esclusivamente femminile); • Le donne sono grandi protagoniste come clienti, ma anche come lavoratrici però non sposate (ambiente piacevole e salario alto); Il mercato giocherà sempre maggiormente sulla pubblicità poiché la figura del commesso consigliere tenderà a ridursi. Nel giro di pochi anni compaiono molte altre imprese di supermercati. Alcuni importanti gruppi sono concentrati in realtà regionali, come la Romana Supermarkets che si espande nella capitale e dal 1966 prende il nome di GS, o i supermercati piemontesi e liguri della famiglia Garosci, il gruppo Bennet degli imprenditori comaschi, la Pam dei Bastianello e Gioel di Venezia. Ma si assiste anche a un’espansione a livello nazionale, grazie alle due principali catene di grandi magazzini, la Rinascente e la Standa. La prima dà vita a una società autonoma di supermercati, la Sma, che si diffonde in tutto il paese grazie a una politica di acquisizioni di ditte minori e di apertura di nuovi punti vendita (23 sedi). La Standa invece punta sull’integrazione alimentare presso i propri magazzini. Si assiste all’apertura un po’ Nuovi prodotti in questo periodo emergono i distretti industriali: conglomerati locali di imprese dello stesso settore, dove l’attività produttiva si innesca su un tessuto sociale e comunitario vivo da tempo, famiglia e impresa, divengono un continuo. Saranno censiti quasi 200 distretti che si ramificano lungo la costa adriatica fino al mezzogiorno, tanto che cambia la nostra immagine del paesaggio produttivo: non più solo il triangolo industriale o una netta contrapposizione Nord-Sud, ma un’articolata geografia che vede nuovi protagonisti anche nelle regioni meridionali. I distretti sono grandi protagonisti del made in Italy, vista la loro capacità di coniugare qualità artigianale e produzione in serie unitamente a prezzi contenuti (tessile, abbigliamento, meccanica, prodotti per la casa, alimentari, pelli e calzature, carta e plastica, gomma e oreficeria. I due settori che hanno avuto un impatto significativo furono i beni tecnologici, in particolare quelli relativi all’informazione e alla comunicazione (telefono cellulare e computer 40% mettono in pericolo la separazione fra spazio pubblico e privato). Per i consumi alimentari aumenta il consumo dei prodotti industriali (yogurt, bevande energetiche, barrette, piatti pronti), prodotti biologici (di nicchia) e conserve. Nel ‘900 si accelerano i processi di manipolazione della natura in grado di influenzare le caratteristiche genetiche e i tempi naturali della crescita (es. uova sempre belle e fresche, carne sempre bella e fresca), questo vale anche per glia animali che devono essere standardizzati per adattarsi alle esigenze dell’uomo (belli e sani). Verso la fine del ‘900, numerose sono le campagne che lottano contro questa manipolazioni legati ai timori di cibi non sani non naturali, malattie e avvelenamenti. I produttori cercano di reagire con campagne pubblicitarie che evocano mulini bianchi, contadini che trasportano formaggi su carretti trainati da cavalli, mucche felici al pascolo con fiori alle orecchie. Ma qualcosa sta cambiando, saranno comunque i consumatori alla fine ad operare una loro personale mix di scelte rispondente alle loro esigenze e fra i piccoli produttori si è diffusa l’attenzione alla naturalità degli alimenti e dell’ambiente (miglioramento della qualità della merce, efficienza dei sistemi produttivi, risparmio di energia). La questione ambientale è una delle maggiori sfide del XXI secolo. L’adozione di comportamenti per limitare l’impatto ambientale delle nostre attività quotidiane cominciano a notarsi nel paesaggio urbano (limitazione degli sprechi di energia, biciclette e riciclo differenziato); ad esse vanno aggiunte quelle organizzate da associazioni amministrative, come blocchi della circolazione. L’arte contemporanea si ispira sempre più al rimosso e allo scarto per presentare uno specchio della nostra vita o come protesta (trash art). Il corpo nelle società contemporanee si ha una diversa concezione del corpo, non più inteso come sacro, ma un mezzo attraverso cui comunicare un’identità: tatuaggi, piercing, incisioni, mutilazioni, lifting, liposuzioni schiarimenti, abbronzature chirurgia plastica. Una vera e propria pratica del consumo del corpo: Marshall facciamo del corpo la nostra opera d’arte. Si manifesta una forte contrapposizione: abbondanza di cibo e consumi magrezza del corpo. Il corpo deve essere sano ed efficiente. Anche l’abbigliamento ha la capacità di essere icona di movimenti sociali e politici. Roland Barthes la moda è un linguaggio: in ogni merce che acquistiamo si nascondono si nascondono universi di senso che ci rimandano a miti più vasti; le merci sono segni di un linguaggio attraverso cui comunichiamo la nostra identità, entriamo in relazione con gli altri, ci confrontiamo con i significati culturali profondi, i miti appunto racchiusi in un oggetto. Seguire la moda vuol dire comunicare, ma per comprendere il messaggio bisogna guardare non ai singoli capi (lessico) ma alla loro combinazione (sintassi). La cultura diventa consumo e la società diventa spettacolo. I nuovi luoghi del commercio Disneyland e Las Vegas sono inclinazioni diverse dei binomi di consumo/divertimento e consumo/spettacolo, ben presenti fin dai primi grandi magazzini ottocenteschi e giunti qui a effetti estremi. Secondo Ritzer, questa è una direzione inevitabile se si vuole reincantare un consumatore ormai assuefatto a consumi iperrazionalizzati, cioè omogenei, calcolabili, prevedibili, efficienti, il cui simbolo perfetto sono gli hamburger di McDonald’s: uguali in ogni negozio, preparati con lo stesso identico ed efficiente metodo, gli stessi ingredienti, serviti nello stesso modo in locali simili. Ecco perché si devono inventare sempre nuove modalità per affascinare i clienti. Ad esempio i centri commerciali: è il Southdale Center di Edina nel 1956 il primo mall che diventerà un esempio per tutti gli altri: una struttura unica coperta in grado di contenere tutti i negozi con aria condizionata e molto verde una vera e propria atmosfera da città: sembrano riprodurre un centro urbano con vie pedonali, piazze, ristoranti, bar, fontane, aiole fiorite. Una città perfetta, mai sporca, sorvegliata, non piove e non fa freddo o caldo. La presenza dei centri commerciali incide profondamente sul paesaggio urbano, ne cambia la geografia e i riferimenti gerarchici, poiché, come ci ricorda Zukin, il paesaggio è uno spazio fisico, un insieme di pratiche materiali e sociali e allo stesso tempo la loro rappresentazione simbolica. Molti dei nuovi spazi commerciali si caratterizzano per due aspetti: • In primo piano è il richiamo alla natura: fiori e piante, fontane e laghetti, luce naturale che filtra da ricoperture trasparenti, uso di elementi naturali come il legno; • Il secondo aspetto è l’esasperazione del momento spettacolare ludico, connesso ora in maniera strutturale allo shopping. Jon Jerde, costruttore del Mall of America, il più grande centro commerciale degli Stati Uniti che contiene al suo interno un parco giochi; L’Universal Citywalk, una specie di corridoio pieno di attrazioni e negozi che collega gli studios di Los Angeles; Canal City Hakata, uno spettacolare centro commerciale centrato sul tema dell0acqua in Giappone. In Italia la grande distribuzione organizzata assume dimensioni di rilievo solo a partire da metà anni ’80, in concomitanza con la ripresa economica e la diffusione dei consumi fra tutte le classi sociali. I nuovi luoghi del consumo sono insieme causa e effetto delle trasformazioni: causa perché stimolano gli acquisti suscitando curiosità e interesse, effetto perché dipendono dai mutamenti economici e culturali che provengono dalla società. L’ultimo passo di questo sviluppo sono i factory outlet, altra formula statunitense, negozi controllati direttamente dai produttori che offrono al pubblico le rimanenze delle merci di marca, quelle che una volta finivano sulle bancarelle o nei canali di vendita secondari. Il primo outlet italiano ha aperto nel 2000 a Serravalle Scrivia presso Alessandria, ed è il più grande d’Europa. Il consumo è anche teatro. Tutti questi luoghi hanno una logica inclusiva, sono pensati per accogliere sempre più clienti e allargare a tutte le classi sociali i consumi anche più elitari; ma è presente anche una logica esclusiva, che punta sulla differenziazione e la valorizzazione di certi stili di vita. Ogni negozio è ben distinguibile dall’altro, in certi casi si arriva al concept store, il negozio tematico: per comunicare la marca e la filosofia aziendale creano spazi che concretizzano una certa atmosfera, uno stile di vita; il trionfo del visual merchandising, della comunicazione figurativa (Niketown, Disney Store, Diesel, Feltrinelli, Mondadori). In tutti questi spazi sono presenti elementi non strettamente commerciali, ma che servono a rafforzare la sensazione di vivere secondo un certo tipo; inoltre l’attenzione è centrata più sulla marca che non sui singoli prodotti. La stessa tendenza alla differenziazione è presente negli show room degli stilisti di moda: 1.separazione fisica, la tendenza cioè a collocarsi in spazi ben precisi all’interno della città (come nel “quadrilatero della moda” a Milano; 2. Interno è lussuoso e le merci sono esposte con parsimonia, scarse ma preziose, tanto da sconfinare con l’arte (gli spazi hanno alcuni tratti in comune con i musei). Forse vedremo presto in Italia anche i Guerrilla Store, negozi che offrono merci di moda in ambienti d’avanguardia ma semplicissimi, dato che chiudono entro dei mesi o un anno, per garantire un’esperienza di acquisto unica, come una performance artistica. Il cliente di questi luoghi non è il consumatore kitsch dei grandi centri di vendita, ma il consumatore Camp, attento allo stile e all’estetica, postmoderno e ironico, sofisticato e capace di utilizzare anche oggetti banali. Lo spazio del consumo cresce sempre di più: nelle periferie urbane, negli spazi degradati delle grandi città, negli aeroporti, nelle stazioni ferroviarie, nelle metropolitane, nei musei, scuole e ospedali. Inoltre la rete ha aperto spazi non solo per l’acquisto, ma anche per nuove forme di comunicazione e marketing.
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