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L'ITALIA DEI CONSUMI, Sintesi del corso di Storia

Riassunto completo e dettagliato del libro di E. Scarpellini, l'Italia dei consumi

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 08/04/2020

fefferica31
fefferica31 🇮🇹

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Scarica L'ITALIA DEI CONSUMI e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! L’ITALIA DEI CONSUMI Dalla Belle Époque al nuovo millennio Il libro tratta del consumo come di un elem. centrale nelle vicende dell’Italia, facendo riferimento al periodo compreso tra l’Unione del Regno nel 1861 e l’età contemporanea. Ts centrale è che il consumo abbia sempre giocato un ruolo importante e che la sua centralità sia cresciuta nel tempo, fino ad emergere apertamente nel discorso pubblico. La storia della cultura materiale legata ai consumi ci permette di osservare l’evoluzione dell’Italia da un’angolazione molto particolare. Ci si concentrerà sopr. sui beni materiali, cercando di ricostruire il ciclo completo del consumo (che inizia molto prima del momento dell’acquisto e della distribuzione del bene): inizia nella sfera sociale e culturale, si concretizza nel campo della produzione economica e infine giunge al mondo commerciale. Tutto ciò ha una fondamentale ricaduta sul piano politico: il consumo è sempre ben presente nelle politiche governative. Occorre poi considerare l’importanza della dim. geografica: l’Italia è da sempre nel ristretto gruppo dei paesi ricchi di reddito e di beni …e, se anche il liv. di sviluppo e di reddito non si riflette automaticamente nel liv. dei consumi, esso resta un importante indicatore. Questo libro parla dei grandi mutamenti avvenuti nei consumi degli italiani in più di un sec., ma non si deve dimenticare che le trasformazioni avvengono in un’area geografica e culturale ben precisa, che conosce proprie dinamiche di sviluppo, non per forza condivise dal resto del mondo. Nello specifico l’esperienza italiana non può essere compresa al di fuori del contesto europeo ed euro-americano, il che rimanda al carattere transnazionale connaturato al mondo del consumo: le merci, così come le persone, si muovono. Infine ci si chiede: possiamo parlare di una vera e propria rivoluzione dei consumi? Si, ma le ipotesi sono molte. A nostro avviso, nel caso dell’Italia si può parlare una vera e propria «rivoluzione dei consumi» se si torna al Rinascimento: la nascita di nuove pratiche di consumo e una nuova valorizzazione culturale dei lussi materiali iniziano proprio nelle corti rinascimentali. Se però si abbandona questa prospettiva di lunga durata e, come si è scelto di fare, si sceglie una prospettiva più breve, allora emergono tutta una serie di tappe significative tra la fine dell’800'- inizio 900' (quando si notano gli effetti della Riv. industriale) e l’inizio del XXI sec. Emerge perciò che quello dei consumi è un filo rosso che corre lungo tutte le vicende d’Italia, contribuendo a creare un’identità e a dare un linguaggio comune agli italiani. 1. L’ITALIA LIBERALE 1. LA SOCIETÀ ITALIANA DALL’UNIFICAZIONE ALLA BELLE EPOQUE dal 1861 alla Belle Époque (1871-1914) 1.1 UN PESE DAI MILLE VOLTI 1870-1913 (XIX sec) periodo della grande trasformazione in rif. sopr. ai mutamenti introdotti dalla riv. Industriale L’Italia è un paese sì in fase di trasformazione, ma molto lenta Lo dim. per es. i valori del reddito pro-capite: rispetto ad inizio sec. si registra una discreta progressione, ma i valori rimangono molto al di sotto di quelli nord-europei (es. un inglese poteva disporre di un reddito più che doppio!) ! si noti che al di sotto di una certa soglia di reddito – stimata all’incirca 1000 dollari – le scelte di consumo sono molto ridotte, perché quasi l’intero ammontare è impegnato nelle spese basilari per la sopravvivenza. Ciò non toglie, tuttavia, che in queste scelte di consumo vi possano essere grandi disparità, dovute per es. a fattori territoriali (molto importanti nel caso italiano), che rendono molto diversa la vita da regione a regione / o a fratture come quella tra campagna e città ecc. Va inoltre sottolineato un altro fattore di grande rilievo a proposito dei consumi: l’aspetto demografico. Il XIX sec. vede la fine del regime demografico d’Ancien Regime, caratterizzato da alti tassi di natalità e di mortalità, e l’inizio di un nuovo equilibrio (tipico dei più odierni paesi avanzati): bassi tassi di natalità e una lunga aspettativa di vita In Italia l’indice di mortalità cade rapidamente e lentamente scende anche quello relativo alla natalità. La vita passa da 35 anni nel 1880  a 47 nel 1910 La conseguenza è un forte aumento della popolazione e un cambiamento nelle relative classi di età Le ragioni di questo mutamento sono molteplici e interdipendenti: non si legano solo alla Riv. industriale o ai progressi in agricoltura, ma anche all’avanzamento delle conoscenze tecnico- scientifiche e a fattori socio-culturali …il risultato è che la crescente e insostenibile pressione demografica rompe def. i tradizionali legami abituali e spinge verso i nuovi centri industriali o all’emigrazione. Nascono nuove pratiche di consumo, legate anche al fatto che il moderno regime demografico lascia maggiore libertà di scelta al soggetto: grazie ad una vita più lunga e prospera, ad una maggiore mobilità, alla pox di scegliere riguardo alla riproduzione e alla quota sempre minore di tempo da dedicare ai figli (unica occupazione a cui erano prima legate le donne) si apre uno spazio mai visto prima per le scelte di consumo. …cosa si consumava in quegli anni? A liv. generale sappiamo che nei consumi privati - al primo posto ci sono le SPESE PER L’ALIMENTAZIONE (assorbivano circa il 60% della spesa ed erano in lieve ascesa) - seguivano le SPESE PER ABITAZIONE ED ENERGIA - per il vestiario - per i trasporti - e, a seguire, tutte le altre voci Questa grande varietà rende difficile il cfr fra le condizioni di vita materiale dei contadini d’Italia e quelle dei vicini paesi europei, dove cmq i redditi medi erano più elevati. La seconda voce di spesa dei contadini era la casa: COME ERANO LE ABITAZIONI? Grande varietà di situazioni esistenti, ma 2 elem. comuni: 1. il RIF. ALL’AMBIENTE CIRCOSTANTE: i contadini usano materiali da costruzione locali 2. il LEGAME CON IL SISTEMA DI ORGANIZZAZIONE PRODUTTIVA Es. le «corti» padane sono edifici quadrangolari in mattone cotto e tegole, organizzati intorno ad un’aia centrale; ospitano una dimora padronale (affittata di solito al conducente del fondo) e molte case per i contadini; e poi stalle con annessi fienili e locali adibiti per attrezzi e depositi Si tratta di una struttura nella quale abitano 7-8 famiglie che lavorano la stessa terra, che riflette una produzione già altamente differenziata e specializzata Simili, ma più piccole e diversificate sono le «massarie» del Mezzogiorno e i «casali» nel Lazio Le abitazioni dei mezzadri dell’Italia centrale sono molto più grandi: si notano un num. maggiore di stanze ad uso della famiglia contadina e ampi spazi comuni (pozzi, orti ecc.) Qui le famiglie vivono isolate sui fondi che coltivano, formanti un’unica grande azienda che integra diversi tipi di raccolti: la fattoria In altri casi prevalgono invece abitazioni unifamiliari poverissime, realizzate con pietra e legno e di dim. molto ridotte (spesso solo la stalla e una stanza per tutta la famiglia), addossate le une alle altre in piccoli villaggi montane o sparse sui nei borghi dei latifondi a dim. di un’agricoltura arretrata e poco redditizia La STALLA era uno spazio importante non solo per il lavoro artigianale e la cura delle bestie, ma anche perché – sopr. in inverno – era uno spazio sociale, luogo di incontri e di attività comuni (tratto comune della vita contadina è la promiscuità con gli animali) La CUCINA era l’ambiente centrale della casa, anche perché era l’unico riscaldato dal focolare. Non vi si trovano solo ogg. da cucina, ma anche ogg. di uso quotidiano. La cucina era infatti uno spazio pluri-funzionale: le donne tessevano, accudivano i bimbi, gli uomini riparavano o fabbricavano attrezzi ecc. Insomma, la cucina era uno spazio adatto alle molteplici esigenze della famiglia. La STANZA DA LETTO era così composta: uno o più grandi letti dove dormivano più persone, accanto bauli o armadi per biancheria e vestiario L’abbigliamento, come il cibo, era un elem. di distinzione sociale (come ricordano le leggi suntuarie, che per sec. imposero un certo tipo di abbigliamento a seconda della classe sociale), anche perché i contadini ci tenevano ad apparire bene nelle feste Indumenti e lenzuola, come molti degli ogg. presenti nella casa contadina, erano REALIZZATI IN CASA, RICICLATI o acquistati a basso prezzo da venditori ambulanti o nelle fiere Si tratta quindi di ogg. comprati ma, il più delle volte, frutto dell’autoconsumo. I CONSUMI MATERIALI DEL MONDO CONTADINO ERANO perciò MOLTO SCARSI, e questo era drammaticamente vero nel caso dell’alimentazione: una fame atavica, infinita – come testimoniano canti e proverbi popolari. Gli echi non mancavano anche il letteratura: la fame dei contadini ricorda la fame di Pinocchio e il gesto di Geppetto, che sacrifica la sua colazione (3 pere) per l’affamato burattino, convincendolo a mangiare non solo la polpa, ma anche le bucce e i torsoli. Nella realtà rurale italiana coesistevano famiglie estese e famiglie nucleari (la media dei componenti ad inizio 900' è di 4,5 membri) La presenza precoce della famiglia nucleare, come pure il matrimonio in età avanzata (in media tra i 25-30 anni) sono tratti tipici dell’Europa, con tutte le conseguenze che questo ha sui percorsi di vita In queste famiglie vigeva una forte gerarchia e una netta divisione dei compiti: - agli uomini spettavano i prnc lavori agricoli - alle donne la cura della casa e lavori accessori dei campi - i fanciulli collaboravano con mansioni più leggere …ma la responsabilità gestionale ed economica era in mano al capofamiglia o al massaro. 1.3 GLI OPERAI La popolazione operaia rappresentava una percentuale molto ridotta rispetto alla tot. della popolazione e si raggruppava densamente in zone –es. molti operai a Milano In molti casi le condizioni di vita degli operai non erano migliori, precarie anche le condizioni igienico-sanitarie La prnc differenza stava nel fatto che il reddito derivava quasi del tutto dal salario: era quindi monetizzato e l’autoconsumo era molto più basso Il bilancio familiare di un operaio di Torino a fine 800' ci mostra che, nonostante un introito complessivo più discreto, la quota destinata all’alimentazione portava via ancora il 70% del reddito Saliva il costo percentuale dell’ABITAZIONE (20%), mentre le spese varie e l’abbigliamento restavano marginali. Spunta un piccolo risparmio. COSA MANGIAVA un operaio di fine 800? Anche per gli operai la dieta era insufficiente e monotona Un’inchiesta sugli operai milanesi alla vigilia della Prima guerra mondiale indica che erano poche le famiglie che acquisivano l’apporto giornaliero di calorie (circa 3000) stimate necessarie per una giornata di lavoro pesante di 10 ore Altre fonti attestano che a Milano gli operai consumavano poca carne, poco pesce, latte in abbondanza e derivati di bassa qualità. Alimento prnc era il MAIS Più a sud le cose non migliorano: a Napoli (e, in generale, al sud) si nota solo una maggior varietà di verdure e cereali Il che conferma che la situazione ambientale (disponibilità / prezzi / tradizioni) incide molto sugli stili di vita locali Nel bilancio famigliare dell’operaio torinese la seconda voce alimentare, dopo i cereali, erano le bevande fermentate (birra) ! nella vita degli operai il VINO era quasi assente Esiste una specifica CULTURA OPERAIA DEL CONSUMO? Si! Se anche gli standard di vita sono spesso simili a quelli dei contadini, gli operai mettono in atto comportamenti molto diversi: 1. in primo luogo in CAMPO DEMOGRAFICO: nelle città industrializzate si nota una natalità inferiore anche del 30% rispetto alla media nazionale (pur in presenza di una mortalità più alta, sia in età infantile che adulta), i matrimoni sono meno frequenti e contratti in età più tarda, la natalità illegittima è molto elevata Il tutto ci suggerisce che IL PESO DELLA FAMIGLIA E DEI FIGLI, COME SOGG. DI CONSUMO, È INFERIORE e vi è uno SPAZIO MAGGIORE PER I CONSUMI INDIVIDUALI 2. un’altra differenza risiede nella MOBILITÀ SPAZIALE: essere operai significa condurre una vita di continui spostamenti sul lavoro, dovuti alla forte instabilità occupazionale (senza contare la quota di «precari» che si riversano stagionalmente nelle città) e di continui traslochi da un posto all’altro, sempre alla ricerca di un alloggio adeguato alla fluttuante situazione economica e alle variabili dimensioni della famiglia. In questa situazione il rapp. con la cultura materiale e lo spazio domestico è più flessibile e meno attaccato a luoghi ed oggetti, meno investito affettivamente (spesso i mobili sono in affitto e nella nuova casa si trasportano solo pochi ogg.) Vi è un CONCETTO PIÙ «FUNZIONALISTA» DEI BENI DI CONSUMO 3. si aggiungono un maggiore contatto con altre classi e gruppi e la MOBILITÀ SOCIALE: la città offre più occasioni di rapporto e di conoscenza di altri usi e culture materiali (nei luoghi pubblici, sul lavoro, durante le festività ecc.) La stessa condizione di lavoro dell’operaio era molto più flessibile: l’operaio spesso proveniva da un ambiente contadino o aveva alle spalle una tradizione familiare di lavoro artigianale. Poi la vita lavorativa in fabbrica era molto breve: la vita produttiva andava dai 19 ai 40-45 anni, dopodiché si era spesso licenziati perché il rendimento si abbassava. Occorreva dunque trovare nuove occupazioni: nelle portinerie, in lavori di trasporto o facchinaggio ecc.. / per le donne nei servizi domestici. Quindi nell’arco della propria vita un operaio veniva direttamente a contatto con ambienti e consumi molto diversi Questo comportava da un lato una MAGGIORE FLUIDITÀ NEI CONSUMI / dall’altro una scarsa specializzazione, instabilità e precarietà dell’operaio (poco sollecitato a qualificarsi e a specializzarsi) ! la mobilità sociale degli operai europei è cmq di molto più bassa di quella dei loro colleghi americani, colpa il ritardo con cui arriva la produzione di massa LE CASE OPERAIE La casa, per le classi operaie, è da sempre un grosso problema: GLI ALLOGGI DISPONIBILI ERANO SCARSI E I PREZZI TROPPO ALTI La sistemazione più comune era nei quartieri più poveri, nelle costruzioni a blocco tipiche delle periferie popolari, nei centri urbani degradati La famiglia operaia, in genere nucleare, si adattava a spazi stretti e sovraffollati –in media 3/4 occupanti per stanza. Fra le tipologie urbane più caratteristiche troviamo le «case di ringhiera» a Milano: case d’affitto periferiche a più piani, NO ILLUMINAZIONE / NO FOGNATURE / ACQUA CORRENTE DISPONIBILE SPESSO SOLO IN CORTILE (da qui si evince il perché le condizioni igienico-sanitarie erano spesso precarie). Condizioni di vita e consumi appena descritti fanno rif. ad una fascia ben delimitata di lavoratori: a quella di quanti potevano permettersi di pagare un affitto regolare e disponevano di una certa liquidità, cioè all’ARISTOCRAZIA OPERAIA. Si trattava di operai specializzati nei settori di punta (es. metalmeccanico e tipografico), o che svolgevano mansioni professionali ancora legate a saperi artigianali Erano coloro che più di tutti potevano permettersi di differenziare i loro consumi: potevano permettersi una discreta sistemazione abitativa, sufficienti consumi alimentari e anche altri tipi di consumo, compresi gli svaghi e i consumi culturali Sul bollettino dei tipografi si legge: l’operaio moderno non è più quello di un tempo, ora ama le proprie comodità, veste più pulito, ha la bicicletta e compra il giornale. Sono loro che inventano il TEMPO LIBERO, ben distinto dal tempo del lavoro (separazione nuova, dato che in precedenza i tue “tempi” erano connessi e sovrapposti) Importanti studi hanno dim. la progressiva percezione del tempo in termini economici (es. con la comparsa di orologi nelle piazze pubbliche) culminata con la riv. industriale, che aveva imposto una rigida disciplina di fabbrica e l’orario fisso. Di conseguenza il tempo del lavoro (ben distinto dal tempo del non-lavoro) acquisisce una posizione sempre più centrale nella vita quotidiana degli operai. Il tempo libero NON è il tempo dell’ozio: la diffusa mentalità produttivistica vuole che sia un TEMPO IMPIEGATO DIVERSAMENTE, MA UTILMENTE (es. immergendosi nello sport, nella cultura, in divertimenti sempre più commercializzati) Dall’800 infatti si assiste alla nascita di una vera e propria industria del tempo libero, che propone spettacoli teatrali e musicali/ feste organizzate / attività sportive da praticare ma anche da fruire come spettatori (es. calcio e ciclismo) / gite e scampagnate (dato che il turismo vero e proprio è ancora fuori dalla portata del budget operaio) ecc.. A cosa si devono questi nuovi consumi operai? Si tratta di una progressiva estensione dei consumi tipici delle alte classi sociali (effetto trickle down) che si verifica a seguito dell’innalzamento del tenore di vita, o è meglio parlare di un effetto bubble up? Entrambi, nel considerare questi fenomeni non ci vuole rigidità ma flessibilità. Le differenze culturali non vanno intese rigidamente e una volta per tutte, ma in maniera elastica, più come un insieme di usi e di «schemi d’azione» che si legano alle pratiche quotidiane, in grado di strutturare i comportamenti secondo l’estrazione sociale. Sono l’habitus di una società – dice il sociologo Bourdieu Nella società operano sia meccanismi di trasmissione culturale dall’alto verso il basso, che meccanismi al contrario: sicuramente l’innalzamento del tenore di vita delle classi più alte (borghesi) favorisce, come una goccia che cade, l’intera società, per cui i benefici (anche economici) si ripercuotono anche sulle fasce di popolazione più basse Es. la (parziale) condivisione degli stessi spazi pubblici frequentati dalle classi borghesi ha sicuramente favorito la diffusione di comportamenti simili + le ASSOCIAZIONI POPOLARI E SOCIALISTE, favorevoli alla diffusione dell’istruzione e di comportamenti socialmente apprezzati come il decoro, la cura della famiglia, la sobrietà ecc. hanno finito per diffondersi e per migliorare l’intera classe operaia Tuttavia la tradizione dei cultural studies ha dim. che la ricezione dei contenuti culturali e di intrattenimento «alti» da parte della classe operaia era sempre parziale: gli operai integravano infatti solo ciò che riconoscevano esser parte del loro orizzonte culturale e lavorativo, e solo nel modo che ritenevano loro famigliare Es. nel caso italiano la bicicletta – mezzo sportivo per il borghese (che usa treni, navi e automobili per spostarsi) – diviene per l’operaio un mezzo di spostamento E la musica classica, espressione massima di cultura «alta», è compresa e apprezzata da un uditorio operaio solo in rapporto a immagini consuete dell’orizzonte lavorativo. Non mancano meccanismi che compiono il cammino inverso (bubble up) es. in campo alimentare succede che alcuni piatti poveri dei contadini passino sulle tavole borghesi Questo tipo di allargamento dei consumi riguarda solo una fascia relativamente ristretta di lavoratori. Per molti altri operai la prnc preoccupazione restava ancora la soddisfazione dei bisogni primari: la disoccupazione sempre in agguato e una malattia o un grave problema familiare potevano far precipitare la situazione GERARCHIE ENTRO IL MONDO OPERAIO: Fra gli occupati esistevano precise gerarchie legate alla professionalità, alle dimensioni dell’impresa, al settore produttivo. Il mondo operaio non era quindi scevro da conflitti interni. Non tutte le gerarchie erano però legate ad aspetti produttivi: la prnc gerarchia era quella basata sulla differenziazione di genere In una linea di continuità con la situazione contadina e pre-industriale, le donne erano massicciamente impiegate nel lavoro manifatturiero (prnc nei settori tessile e dell’abbigliamento), ma il loro lavoro era considerato accessorio e qualitativamente inferiore. I lavoratori uomini, per paura della concorrenza a basso costo, osteggiavano il lavoro delle donne, che era infatti pagato di meno, durava per un tempo più limitato (in genere solo fino al matrimonio o fino alla maternità, dopodiché le donne venivano licenziate e, in generale, non oltre i 30-35 anni d’età + lavoravano un num. inferiore di giorni all’anno) Non mancarono scioperi contro l’assunzione di donne. Tra fine 800' ed inizio 900' il num. di operaie scende rapidamente, perché? - maggiore sviluppo dei settori metalmeccanici (dove si creano fasce di operai sempre più specializzati) - introduzione della legislazione sul lavoro a tutela della maternità (che ebbe però l’effetto di rafforzare la tendenza ad assumere solo donne nubili) - diffusione di esigenze di decoro e di costruzione di una sociabilità domestica in realtà le donne espulse dal mercato del lavoro NON si dedicavano interamente alla cura della casa, ma continuavano a lavorare a domicilio / si adattavano ad occupazioni saltuarie ecc. (NO maschio che si identifica nel lavoro extra-domestico / donna che si rif. unicamente alla famiglia e alla casa) Tutto ciò è importante perché bisogna evitare di contrapporre troppo rigidamente le sfere di consumo e sociabilità maschile e femminile È interessante notare che nella vita lavorativa della donna della classe operaia ci siano maggiore discontinuità e varietà, legate alle diverse fasi della vita. Questo ha una ricaduta anche in termini di SCELTE DI CONSUMO: maggiore attenzione ai CONSUMI INDIVIDUALI (abbigliamento, cura della persona) legati alla necessità di apparire socialmente, sopr. nei periodi di vita lavorativa fuori dalla casa. Non abbiamo dati riguardo ai consumi alimentari specifici delle donne. Alcune inchieste mostrano però che i problemi relativi alla sottoalimentazione erano evidenti sopr. nelle donne lavoratrici, che spesso avevano un peso corporeo molto inferiore a quello medio della “donna di casa”. Un’altra gerarchia riguardava le classi d’età: penalizzava l’età matura e discriminava il lavoro minorile, ampiamente utilizzato. Le cronache sono piene di denunce per abusi e maltrattamenti di minori da parte dei datori di lavoro e dei compagni adulti Dati i bassi costi era alto l’impiego dei minori nel lavoro Delle leggi limitative furono introdotte solo nel 1886 (età minima per essere ammessi al lavoro 9 anni) e nel 1902 (limite min. di 12 anni per l’ingresso in fabbrica) Anche l’impiego di tutti i membri della famiglia nell’attività lavorativa ha importanti conseguenze sulle modalità di consumo: I BAMBINI, introdotti precocemente in ambienti lavorativi, abbandonano presto la sfera di consumo famigliare e SI ABITUANO RAPIDAMENTE A CONSUMI ADULTI (la vita infantile è breve ed è vista in famiglia solo come preparazione all’età adulta) La famiglia stessa ritiene che anche I PIÙ PICCOLI siano necessari per aiutare la famiglia “a tirare avanti”e che perciò DEBBANO FORNIRE UN APPORTO IN PROPORZIONE ALLE LORO POSSIBILITÀ non a caso la pubblicistica del tempo condanna gli abusi del lavoro minorile, ma nessuno pensa di vietarlo Le pratiche di consumo sono quindi centrali per leggere i comportamenti anche degli operai. 1.4 I BORGHESI Dare una def. unitaria della borghesia è quasi impossibile. Meglio parlare di «borghesie» o «classi medie», cioè di varie fasce sociali con ruoli e comportamenti differenziati. W. Sombart esalta l’imprenditore come motore dell’innovazione e del progresso sociale. Max Weber vede nella borghesia un elem. di dinamismo ed evoluzione, per via di una mentalità «acquisitiva» ben diversa da quella dei possidenti; K. Marx giudica la borghesia come classe rivoluzionaria ecc. Il problema è che questa classe media, che rappr. il 18% della popolazione attiva, in origine era composta da mercanti e artigiani della città (borgo), poi è passata ad indicare imprenditori e grandi finanzieri (cioè, dice Marx, chi possedeva gli strumenti di produzione), per poi dilatarsi a dismisura nel XX sec., comprendendo fasce crescenti di impiegati e professionisti dalle caratteristiche ben diverse. Si è tentato quindi di rimediare con l’uso di aggettivi quali alta, media e piccola borghesia, ma il termine resta impreciso. Del resto la borghesia ottocentesca si autorappresentava nella pubblicistica, riconoscendosi cioè nello spirito patriottico. Anche in questo caso quindi il rif. all’habitus è ciò che meglio identifica questa classe, più che il rif. esclusivo al ruolo nel processo produttivo, o al reddito (anche perché alcune fasce operaie guadagnano più di molti borghesi). Ed anche il rif. alle pratiche di consumo che strutturano i comportamenti dei borghesi diviene centrale. La CASA BORGHESE L’abitazione borghese cambia nel corso del tempo e il lavoro di due importanti autori aiuta a comprendere le caratteristiche generali delle abitazioni borghesi dell’Italia liberale: - Simon Shama, “Il disagio dell’abbondanza” Nel tentativo di rintracciare le origini dell’identità nazionale e culturale degli olandesi dal 600 in poi, lo studioso rileva che ricchi mercanti e banchieri olandesi vivono un conflitto tra ricerca e godimento della ricchezza/ vergogna per il suo possesso e consumo. Essi, infatti, si lanciavano in rischiosi affari che consentivano loro di guadagnare molto e perciò accumulare grandi fortune, ma ne erano al tempo stesso turbati: non avrebbero perduto così le loro anime? In questo scenario la casa assume il valore simbolico di contrapposizione al mondo esterno: la casa è il luogo incontaminato dalle brame di ricchezza e dagli affari mondani, il rifugio lontano dalla sporcizia del mondo. Ecco perché doveva essere sempre pulita, sobria e decorosa. La casa sarebbe stato il regno della donna, che avrebbe incarnato quelle stesse virtù. A partire da questo lavoro (che ha assunto la forma di un romanzo, ricco di documentazione iconografica) alcuni studiosi hanno suggerito che nel nord Europa si sia sviluppato un nuovo concetto di domesticità, di spazio privato, visto come un valore centrale intorno a cui costruire un’identità distinta sia dagli aristocratici che dalle classi inferiori. Questa nuova concezione si sarebbe via via diffusa fino a raggiungere, nell’800, anche l’Italia (dove già si tendeva a render sempre più privato lo spazio domestico) - Pierre Bourdieu, che si è occupato delle abitazioni della Cabilia, regione dell’Algeria Ts. gli spazi abitativi sono la riproduzione nella struttura spaziale delle divisioni sociali, di genere e di età presenti fra i cabili Le dicotomie luce/ombra, interno/esterno, alto/basso, maschile/femminile rimandano ad altrettante divisioni presenti nel nucleo sociale della famiglia. Per quel che riguarda l’Italia è bene sottolineare che le case borghesi sono molto diverse da quelle contadine e operaie: - appaiono come luoghi molto più centrali nella vita quotidiana (sia in termini di tempo che vi si trascorre, che in termini di consumi) - si tratta di abitazioni «funzionali», dalla maggior ampiezza e ricchezza. In esse gli spazi sono divisi, specializzati e persino gerarchizzati (il che incarna la struttura sociale e culturale della famiglia) - sono moderne nello stile e sono le prime ad accogliere mobili ed arredi industriali di serie Le case borghesi possono dirci moltissimo sui loro abitanti: innanzitutto si nota la contrapposizione tra INTERNO/ESTERNO: le case borghesi creano uno spazio interno ed intimo, protetto da porte chiuse, finestre, tende. Gli spazi di comunicazione tra i due mondi (es. balconi e porticati) divengono sempre meno importanti per evitare «contaminazioni» con il mondo esterno. La separazione tra sfera intima / sfera politico-affaristica è completa All’interno della casa vi è poi la separazione netta tra PUBBLICO/PRIVATO: vi sono spazi pensati per la vita in società (dove ricevere gli ospiti) e spazi riservati per questa nuova intimità domestica fra coniugi e figli. L’anticamera introduce gli estranei nella casa, mostrando subito con i suoi arredi il gusto e il liv. sociale dei padroni di casa; i corridoi separano le stanze pubbliche (salotto) da quelle private (camera coniugale / camere da letto dei figli) Nonostante la media borghesia preferisca socializzare all’esterno, molti studi dim. che a fine 800' anche la piccola e media borghesia investe molto sugli spazi sociali: le stanze migliori erano le sale e i salotti, ed è lì che si trovavano gli arredi migliori (divani, poltrone e sedie del salotto spesso valgono la metà dell’intero arredamento!) / le stanze private sono misere e mal tenute. Si nota perciò lo sforzo d’imitazione di stili di vita nobiliari e l’importanza dell’apparire sociale. Cosa si trova in questi SALOTTI? oltre a divani, poltrone, sedie, specchi ecc., si trovano anche ogg. che racchiudono una valenza simbolica: - l’OROLOGIO, spesso a pendolo (che combina il gusto decorativo con il richiamo al progresso meccanico) - il PIANOFORTE (espressione del ruolo della musica nella cultura borghese 800 e nell’educazione delle fanciulle) - i MOBILI CONTENENTI CRISTALLERIA E ARGENTERIA A VISTA (simbolo dello status sociale della famiglia) - i QUADRI, di vario tipo e valore I salotti, e in realtà l’intera casa, sono pieni di oggetti, NON LASCIANO SPAZI VUOTI. La SALA DA PRANZO, con il suo tavolo centrale e gli armadi addossati al muro per il corredo da tavola, è molto semplice. Se attraversiamo i corridoi per entrare nelle STANZE PRIVATE, osserviamo nuove gerarchie e divisioni: Nella camera coniugale troviamo spesso arredi di pregio (un grande letto matrimoniale, comodini, comò, armadi, specchi, quadri raffiguranti sogg. religiosi – anche la devozione sembra diventata un fatto privato) ecc. Se la famiglia appartiene all’alta borghesia possiamo anche trovare alcune stanzette riservate alla servitù (ben separate dai locali padronali, secondo una precisa gerarchia sociale) Per gli altri ambienti la divisione MASCHILE/FEMMINILE è netta: lo studio del padrone di casa è uno spazio SOLO maschile Vi troviamo scrivanie, poltrone da lettura, mobili chiusi per carte e taccuini, librerie, calamai, orologi ecc. il tutto ci rimanda ad un’attività intellettuale e ad un’attitudine di serietà e rigore (sottolineata dalla scelta di legni e cuoi di colore scuro che contrastano con il resto della casa). Infine troviamo le camere da letto dei figli, rigorosamente distinte tra maschi e femmine e di solito arredate con pochi mobili essenziali. Gli arredi, e più in generale le spese, sono diversi per i vari figli: le famiglie spendono di più per i maschi, più ancora per il primogenito a dim. di una precisa strategia famigliare riguardo alla futura posizione sociale dei figli. Nella cultura contadina e operaia tradizionale i figli piccoli venivano precocemente impiegati nel lavoro con mansioni leggere non si trattava di maltrattamento, ma di una cultura che non riconosceva all’infanzia uno statuto speciale Verso la fine dell’800, in ambito borghese, si afferma invece l’idea che i bambini non sono adulti immaturi ma costituiscono un mondo a parte, con proprie esigenze e valori, a volte persino contrapposti a quelli adulti: creatività, purezza e vulnerabilità. Il compito degli educatori è perciò quello di far loro emergere liberamente tali valori, senza forzare i bambini con una disciplina ferrea e tantomeno obbligandoli a svolgere lavori inadatti. In Italia la prnc fautrice di tali posizioni è Maria Montessori che, con l’ob. di esaltare le capacità positive dei più piccoli, fonda numerose scuole (la prima è la «Casa dei bambini», a Roma 1907) I bambini sono esseri puri e senza colpe, per loro non vale il dogma del peccato originale. Il bambino è «padre dell’umanità» Questa nuova VALORIZZAZIONE DELL’INFANZIA ha varie conseguenze: i bambini non sono più visti come esseri in transizione verso l’unica fase significativa della vita (la maturità), ma sono portatori di valori propri e pertanto necessitano di spazi specifici (anche nelle case). Vanno ripensati anche i consumi: ora si richiedono educazione, svaghi, giochi (non più solo la bambola di pezza fatta in casa o il carretto di legno da tirare) e anche abiti e pettinatura adeguate (non più il vestito da adulti in piccolo) In questo periodo, infatti, in Europa e negli Stati Uniti nasce una vera e propria industria di prodotti rivolti ai bambini Genitori ed educatori cominciano a pensare che sia giusto comprare ogg. per i più piccoli e che l’attaccamento emozionale a bamboli, ai giochi e ai pupazzi sviluppi attitudini positive, compensi paure e problemi affettivi, faccia compagnia ai bambini Sono gettate le basi del CONSUMISMO PER L’INFANZIA, che porterà in pochi decenni ad una vera e propria corsa agli acquisti (ritenuti proporzionali all’investimento affettivo) In questo modo i figli delle classi alte hanno consumi propri (adulti) e, più in generale, sono socializzati al mondo adulto molto più tardi rispetto ai coetanei proletari Quella borghese è una FAMIGLIA ristretta, nucleare, dove la donna assolve molteplici funzioni e lascia al marito la completa cura degli affari mondani La donna borghese era per lo più esclusa dai lavori esterni, anche se è in questo periodo che nascono le prime maestre e impiegate (ritenute da molti trasgressive) Nella famiglia borghese regna una grande preoccupazione per il decoro e la morale, basata su uno stretto controllo dei consumi sessuali e sulla netta distinzione delle immagini di uomo/donna. Addirittura lo storico Mosse in “Sessualità e nazionalismo. Mentalità borghese e rispettabilità” (1985) ha sostenuto che tale morale abbia fornito la base per la diffusione del nazionalismo politico di inizio sec. nel momento in cui alcuni la mettevano in dubbio (es. nei movimenti giovanili legati alle avanguardie) questo sentimento seppe offrire in alternativa una passione pura, incontaminata e asettica in cui tutti potevano riconoscersi. La rispettabilità è uno standard fondamentale Nel quadro della borghesia qui delineato ci sono importanti differenze legate al contesto geografico, al reddito, e al ruolo socio-professionale: al vertice ci sono AVVOCATI e NOTAI / alla base vi sono gli IMPIEGATI PRIVATI e dal CLERO SECOLARE Altre professioni (es. domestici, parrucchieri, lavandai ecc.) sono più assimilabili alla classe operaia e guadagnano meno di 500 lire annue. Più in generale, se le famiglie più agiate (dei professionisti e del nuovo ceto imprenditoriale) tendono ad amalgamarsi in un’élite dirigente (comprensiva della nobiltà) e mostrano spesso consumi ostentativi / altri gruppi professionali sono mossi da culture diverse. Es. i commercianti sono un gruppo più chiuso, incline alla parsimonia, ad evitare lo spreco e il consumo vistoso …forse perché per es. siccome i figli dei piccoli commercianti crescono in una casa che si prolunga nella bottega, vien meno la distinzione netta tra spazio domestico e del lavoro e quindi si crea una mentalità che, nella gestione dei due ambiti, è più incline al risparmio A proposito dei consumi legati alla sociabilità extra-domestica, bisogna dire che una delle strategie messe in atto dalle classi borghesi per distinguersi è proprio quella legata ai consumi ricreativi e culturali (attraverso circoli, gabinetti letterali, società scientifiche ecc.) Nei club e nei caffè Habermas colloca la nascita di una «sfera pubblica borghese», l’origine dell’opinione pubblica moderna. (con una prospettiva dall’effetto spettacolare) Ogni camera era di per sé uno spettacolo di colori: sulle pareti erano appesi grandi quadri dalle cornici dorate, i mobili avevano legni dai mille colori, e tende, i tappeti e i divani anche ecc. Spesso ogni camera aveva un tema o un colore predominante, suggeriva un’ora del giorno, una stagione… persino uno stato d’animo! Gli ogg. non sono disposti casualmente ma, dietro ai consigli di diffusi manuali, seguono uno stile unitario. Anzi, in molti casi ad adattarsi alla funzionalità della stanza era lo stile: - l’ANTICAMERA è ricca di antichi e preziosi soprammobili per suggerire lo status sociale della casa - il SALOTTO E le prnc SALE DA RICEVIMENTO sono ammobiliate in stile Impero (con legni pregiati chiari e scuri, motivi geometrici, ricche decorazioni dorate con motivi mitologici – inconfondibile segno di ricchezza e prestigio) - per lo STUDIO dell’aristocratico si preferisce invece lo stile gotico (più severo e monumentale, colori scuri e poltrone/sedie in cuoio in stile Rinascimento – il tutto rimandava all’idea di serietà e posatezza; il boudoir (il SALOTTINO DELLA SIGNORA) è invece arredato in stile Luigi XV o XVI (con decorazioni eleganti, gioiose e luminose in stile rococò) – con un preciso richiamo alla socialità del 700' - le STANZE DA LETTO PRIVATE sfoggiano monumentali letti a baldacchino e arredi antichi; altri, invece, preferiscono il più borghese stile Biedermeyer (alle dimensioni più contenute e dall’aspetto più semplice e curvilineo) - le STANZE RISERVATE ALLA numerosa SERVITÙ sono molto semplici, lontane dagli spazi padronali e spesso – nei palazzi più grandi – relegate all’ultimo piano dell’edificio Le dimore nobiliari erano fornite di numerosi BAGNI, alcuni dei quali con molti comfort (dall’acqua calda alla novità del bidet – importato dalla Francia)  dopo molti sec. di pulizia a secco, per paura che l’acqua penetrasse nei pori del corpo portando malattie (meglio strofinare la pelle, cambiare spesso gli indumenti e usare profumi), dall’800 i progressi della medicina portano ad una nuova concezione del proprio corpo e ad una nuova attenzione per l’igiene: fare il bagno non è più una questione di piacere o una cura, ma è legato alla salute… IGIENE E PULIZIA divengono sinonimo di ordine e disciplina, e sono associati alle classi superiori – in contrapposizione alla sporcizia materiale e morale delle classi inferiori. Un altro ambiente importante era la CUCINA: grande (in quanto doveva soddisfare le necessità di molti e spesso esigenti) e ricca di utensili, pentole e arredi. In cucina si incontrano sopr. donne, cuoche e inservienti (al contrario di quanto era accaduto in età moderna, quando l’arte culinaria nelle grandi famiglie era stata appannaggio quasi esclusivo degli uomini / mentre le donne cucinavano nelle famiglie di estrazione più bassa) Cosa e come mangiavano i nobili? Il sociologo Norbert Elias situa il diffondersi delle «buone maniere» a tavola e nella vita quotidiana all’interno di un più ampio processo di civilizzazione Ts. in età moderna, a partire dagli aristocratici (es. corte di Versailles di Luigi XIV), si assiste ad un progressivo auto-controllo di impulsi ed emozioni (sopr. crudeltà, aggressività e sessualità) Questo auto-controllo, che si estende man mano agli altri strati sociali, avviene in parallelo con la formazione degli Stati moderni costituendone l’indispensabile premessa culturale e sociale … e, a tavola, si risolve nelle REGOLE DI VITA QUOTIDIANA, nelle ETICHETTE e nel GALATEO (che non vanno perciò intesi come semplici consuetudini o curiosità del passato, perché di fatto modellano il processo di civilizzazione dell’Occidente e creano regole di condotta adeguate alla vita negli Stati moderni). Es. abitudine degli aristocratici di usare le posate per mangiare la posata più antica (già nota presso i greci e i romani) era il cucchiaio, l’unica inizialmente presente sulle tavole perché si mangiava prnc con le mani; poi fu la volta del coltello, prima usato dagli uomini come arma di difesa, ora diventa una posata normalmente disposta sulla tavola (si cerca di limitare l’uso del coltello per via della sua pericolosità, suggerendo per es. di usarlo con attenzione/di porgerlo sempre e solo dalla parte del manico, di impiegare lame arrotondate ecc.) La violenza è proibita, anche a tavola! La forchetta è invece molto più moderna. La sua prima apparizione pubblica è nelle mani della principessa greca Argillo per le sue nozze a Venezia, nel 955 Questo strano strumento dorato a due denti provocò così tanto stupore e disgusto che, quando la principessa si ammalò, si pensò ad una giusta punizione di Dio per aver usato quell’aggeggio La forchetta ricomparirà molto tempo dopo – nelle corti rinascimentali italiane del 1500 – per poi diffondersi in Europa nel 700', ma con molta lentezza Parallelamente tra gli aristocratici decade l’uso di mangiare insieme dallo stesso piatto o di passarsi bicchieri di vino si moltiplicano così piatti e bicchieri molto preziosi Come possiamo leggere, secondo N. Elias, questi mutamenti? Essi rimarcano la distanza e costruiscono un «muro emozionale» tra il nostro corpo e quello degli altri (la forchetta crea distacco tra il cibo e il corpo, impedisce che il cibo venga «toccato» e quindi contaminato), e anche nei cfr della nostra stessa corporalità. Il corpo è ora sempre più circondato da costrizioni e tabù (es. si pensi ai rapporti sessuali o ai bisogni corporali, un tempo espletati in pubblico senza problemi. O alla nudità, che ora crea vergogna e imbarazzo) Gli Stati moderni si basano proprio su questa nuova disciplina del corpo, che diviene una caratt. essenziale per essere integrati nella società. Il punto NON è contrapporre una nuova civilizzazione al vecchio “stato naturale”, ma è vedere come pian piano si sia costruito un reticolo di regole e divieti capace di prevenire gli eccessi e di creare una disciplina di comportamento L’etichetta, a tavola e fuori, era quindi un elem. tutt’altro che secondario nella vita nobiliare. …così, entrando nella SALA DA PRANZO di una famiglia aristocratica italiana di fine 800' avremmo notato - gli alti mobili con preziosi bicchieri «da parata» e stoviglie (il tutto a vista) - una lunga tavola di legno ricoperta da una tovaglia candida (per sottolineare la pulizia) (non era certo la tavola dei contadini, degli operai o dei piccoli borghesi!) - un corredo per ogni individuo, formato da:  tovagliolo da mettere sulle gambe per riparare il vestito  numerose posate d’argento  piatti di metallo prezioso, ceramica o porcellana bianca o dipinta  bicchieri in cristallo o vetro, a calice o a coppa (a volte pure decorati)  saliere e altri preziosi ornamenti da centrotavola Fra le novità ottocentesche vi sono: - un senso di uniformità, dovuto all’impiego di piatti e bicchieri uguali per tutti facenti parte di un unico servizio - l’apparecchiatura pronta prima dell’arrivo dei commensali, per via del diminuito num. di domestici disponibili per servire (siccome le famiglie aristocratiche non pagavano un num. eccessivo di domestici, anche quelli addetti al servizio erano meno) Ci sembra una tavola dei giorni nostri (a parte per i materiali preziosi e per la sontuosità coreografica) a dim. del suo progressivo estendersi all’intera società (pian piano questa sarà la tavola che si imporrà a tutta la società!) IL MENU ERA RICCO E ABBONDANTE Un aristocratico inizia la giornata con una prima colazione a base di caffe/ caffe-latte con crostini imburrati o cioccolata il caffè era molto diffuso perché era considerato simbolo di sobrietà e lucidità (e perciò era contrapposto all’alcol) la cioccolata fu invece indicata come la bevanda «cattolica» (perché lecita in tempo di digiuno), contrapposta al caffè «protestante» il tè non era molto diffuso in Italia …segue verso le 11/12 una seconda colazione (pasto leggero: minestra asciutta o antipasto,seguiti da un piatto di carne con contorno e caffè) …pranzo intorno alle 18 (era molto più abbondante): i servitori portano una minestra in brodo o asciutta (pasta, riso o gnocchi); poi gli antipasti (salumi, ostriche, crostini ecc.); a seguire una prima importante portata (un fritto, lesso o umido es. pesce o pollo), un «intermezzo» (un piattino appetitoso, più sfizioso, con sformati, soufflé e, d’estate, pasticci freddi o piatti in gelatina). I commensali sono finalmente pronti per la portata prnc: un ricco arrosto di carne con contorno di verdure (raramente un piatto di pesce) … infine il dolce, e talvolta anche frutta e formaggio Il tutto sempre accompagnato con del buon vino italiano (francese per i pranzi importanti!) ! lontano dai nobili i servitori mangiano molto meno e in semplici stoviglie gli aristocratici sono attenti all’ESTETICA DEI CIBI (tanto quanto lo erano al corredo del tavolo) Molti dei piatti serviti avevano nomi francesi (omelette, mousse, paté ecc.) anche se a volte venivano italianizzati… segno dell’indiscusso dominio della cucina francese. Del resto gli aristocratici, italiani e di tutta Europa, parlavano correntemente e leggevano il francese, assistevano a commedie boulevardière e anche nel galateo la Francia era un modello di comportamento molto appropriato Il plurilinguismo è proprio un segno distintivo di questa classe cosmopolita, che trova i suoi riferimenti nelle grandi capitali europee più che nelle città contigue …e non solo galoppo (promosso sopr. dai ricchi aristocratici, che erano anche titolari di importanti scuderie) e trotto (incontrava maggiormente il gusto dell’alta borghesia), anche gare come il SALTO AD OSTACOLI divengono molto popolari …trovando protagonisti come «il cavaliere dei cavalieri» Federico Caprilli , che stabilisce il record di salto in alto con oltre 2 mt a Torino nel 1902. Come si spiega lo scoppio di questa passione proprio nel momento in cui compaiono le AUTOMOBILI? Si tratta di una forma di conservatorismo? Di rigetto di nuove tecnologie sentite come socialmente omologanti? No. Gli aristocratici adotteranno subito le novità tecnologiche Andare a cavallo e organizzare gare ippiche nel momento in cui si diffondono le automobili significa sottolineare la propria diversità rispetto agli altri ceti sociali, riaffermare la continuità con il passato e ostentare un cerimoniale d’altri tempi tipicamente nobiliare: l’anacronismo diventa segno di distinzione. Si tratta perciò di una forma di spettacolarizzazione basata sull’esibizione di arcaismi. Una cosa è certa: ancor più che per altri gruppi, LO SPAZIO DEI CONSUMI ARISTOCRATICI è DECISAMENTE TRANSNAZIONALE 2. LO STATO E I CONSUMI PUBBLICI NELL’ITALIA LIBERALE Un secolo fa la società del tempo non era descritta come un sistema complesso, ricco di interrelazioni verticali e orizzontali in continuo movimento, con le varie parti organizzate al proprio interno e in rapp. con l’esterno, dove ogni parte interagisce; né si usavano i termini consumo e pratiche di consumo, con i quali si vuole suggerire come in questo quadro i singoli attori (i consumatori) non siano elem. passivi, ma agenti attivi che consumano in modo consapevole MA appariva come una piramide in cui gli elem. significativi erano la base e il vertice. Da qui derivava che la descrizione migliore che si potesse dare non era legata alle pratiche di consumo, ma preferiva parlare di miseria contro abbondanza …perciò un’eventuale azione riformista per il miglioramento della società avrebbe per forza di cose preso la forma di una lotta alla miseria NB non tutti i CONSUMI esistenti sono privati (= acquistati o autoprodotti dai singoli), ci sono consumi che vengono fruiti collettivamente. Quello che è prodotto dai vari settori economici del paese (agricoltura, industria, servizi, pubblica amministrazione) viene infatti impiegato nei consumi interni, che possono essere privati o pubblici, e negli investimenti (tutte le voci che costituiscono la domanda interna) Se a fine 800' i consumi finali delle famiglie erano oltre l’80% delle spese totali, negli anni 90 del 900' scendono al di sotto del 60% in tutto l’Occidente (Italia compresa!) LA STORIA DEL 900 è TUTTA QUI: NELL’EVOLUZIONE DEI CONSUMI PRIVATI E NEL PROGRESSIVO ALLARGAMENTO DEI CONSUMI PUBBLICI (E DEGLI INVESTIMENTI) Questo ci permette di affermare che i consumi hanno sempre avuto un ruolo di primo piano nelle politiche governative i governi infatti non sono attenti solo alla produzione (i governi si attivano per lo sviluppo di diversi settori produttivi – agricoltura, industria e servizi), ma anche alla DOMANDA. Infatti, tramite gli investimenti hanno migliorato il capitale fisso per sostenere la crescita, tramite i consumi pubblici hanno inciso sul «capitale umano», hanno influenzato i consumi privati e perciò l’intera economia. I consumi sono molto indicativi per comprendere gli indirizzi della politica economica nei governi dell’Italia liberale, nel regime fascista e nell’Italia repubblicana. Nulla a che vedere con quanto avvenne nell’Italia post-unitaria, che vide lo scontro tra liberisti e protezionisti circa la legittimità o meno dell’intervento dello Stato nella produzione industriale e che si risolse nella legittimazione dell’intervento pubblico Del resto perché lo stato sarebbe dovuto intervenire nel campo dei consumi? Lo scopo non era quello di garantire lo sviluppo affinché gli individui potessero consumare liberamente le risorse a loro disposizione, intervenendo solo nei casi più drammatici di povertà o emarginazione? Le differenze nei consumi non erano un motivo sufficiente. In fondo le disparità sociali, la povertà di larghe fasce di popolazione esistevano da sempre e non era il caso che lo stato intervenisse. (anche perché per molti si trattava di una situazione che non era possibile, né desiderabile, mutare) Il vero motivo risiedeva nel SINGOLO. Era lui che – o perché colpito da una disgrazia (es. malattia / incidente) o perché nullafacente, ubriacone, pigro ecc. – avrebbe dovuto essere assistito dalle organizzazioni di carità Il dibattito sul pauperismo, molto vivo in Italia anche ad inizio 800', rifletteva tutte queste posizioni. In realtà con il procedere dell’industrializzazione i contorni del problema mutarono: la situazione dei lavoratori nelle città e nelle campagne andava sempre peggiorando. Il fenomeno era ampio e si legava alle MODALITÀ DI LAVORO IN FABBRICA, alle PESSIME CONDIZIONI DI VITA IN CITTÀ SEMPRE PIÙ AFFOLLATE, alla CRISI ECONOMICA NELLE CAMPAGNE Pian piano si fece strada l’idea che queste forme di povertà avessero una spiegazione sociale, cioè fossero connesse non tanto alle sorti o alla volontà del singolo, ma a problemi strutturali dell’economia e della società NON ERA PIÙ SUFFICIENTE L’INTERVENTO CARITATEVOLE DI ASSOCIAZIONI PRIVATE E RELIGIOSE, occorreva l’intervento dello Stato. Già subito dopo la costituzione del Regno d’Italia studi e inchieste denunciavano la grave situazione di contadini e operai e richiedevano un intervento pubblico riguardo a quella che era chiamata la «questione sociale» Nell’indagine più famosa – l’inchiesta agraria del 1884 – il conte Stefano Jacini affermava che con questa questione sociale, che interessava l’Europa (e quindi anche l’Italia), si doveva intendere la volontà delle classi meno abbienti di tare meglio. Tale questione, sottolineava, non riguardava solo la campagna, ma tutte le classi che lavoravano nelle città e nelle campagne. Perché l’intervento dello stato? - Argomentazioni filantropiche e umanitarie - Dall’800 si afferma l’idea di MASSA (dim. in grado di spiegare e def. la società moderna) non più l’amorfe e disordinata plebe,ora c’è una sorta di corpo organico, dal profilo riconoscibile: è la massa di lavoratori che vogliono affermarsi sulla scena politica e lavorativa, vogliono affermare i loro diritti nella società… Il passaggio dal piano sociale al piano politico è breve: la massa dei lavoratori diviene massa dei proletari che, infiammati dalla propaganda socialista, vogliono uscire dalla loro condizione (anche dal pdv iconografico la folla diviene protagonista nei quadri, nelle vignette di satira, nei manifesti politici. Non più confusa sullo sfondo ma in primo piano, non più agglomerato indistinto ma unità spirituale intorno ad un simbolo) ! la questione sociale si nutre della paura che queste nuove masse rappresentino per lo stato un elem. problematico, di conflitto e di destabilizzazione sociale… Come? concentrandosi nelle città, facendo crescere la criminalità (così sembrava agli occhi delle élite) e trasformando i modi di associarsi e di divertirsi in occasioni di protesta Come contenere l’esplosivo conflitto sociale che queste nuove masse avrebbero appiccato? 1. La Germania di Bismarck, con l’ob. di intensificare lo sviluppo industriale, impone un rigido controllo statale (es. dell’istruzione, del credo religioso ecc.) e prevede tutta una serie di legislazioni sociali per contenere l’influenza del movimento socialista e per legare le masse operaie allo Stato 2. In Inghilterra invece la protezione sociale non era decisa dall’alto, ma era il frutto della cooperazione tra le forze liberali e quelle ispirate al Labour (o Partito Laburista – partito del politico britannico che ha origine nei vari gruppi di operai e di socialisti del XIX sec.) Si trattava di una politica che mirava all’integrazione degli strati operai nella nazione - l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni per gli operai d’industria - la Cassa per l’invalidità e per la vecchiaia (facoltativa e di scarso successo) e con Giolitti: - nacque l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni - vennne emanata una legislazione a tutela del lavoro dei minori e per limitare quello delle donne Nel complesso si trattava però di disposizioni limitate e molto tardive se cfr con quelle dei paesi europei  ISTRUZIONECosa poteva aspettarsi un bambino del tempo? Le classi abbienti potevano permettersi maestri privati e la frequenza dopo le elementari di istituti educativi (ginnasio o scuole tecniche), e su su fino all’università (preferite le facoltà di medicina e giurisprudenza) L’istruzione (il «capitale umano») era da sempre un punto di forza dei ceti medio-alti. 1859 Legge Casati2 anni di istruzione elementare obbligatoria 1877 Legge Coppinoli porta a 4 anni MA nelle campagne e nel Mezzogiorno i risultati non furono molto positivi sopr. perché la responsabilità finanziaria era affidata ai comuni, che non potevano/volevano spendere tanto per l’istruzione …fino al 1911 Legge Daneo-Credarolo stato si assume tali spese e quindi la situazione migliora anche se i liv. restano molto di sotto di quelli europei Ad inizio 900 il tasso di analfabetismo in Italia è ancora molto alto (38%), la situazione migliore è nel Piemonte/peggiore in Calabria La scuola primaria è frequentata dal 76% della popolazione in età scolare la scuola secondaria dal 12% e solo l’1% accede all’università LE COSE ANDAVANO PEGGIO SE SI TRATTAVA DI UNA BAMBINA (sopr. ai liv. educativi più alti) In ogni caso le cifre erano molto basse se cfr con i dati circa l’istruzione dei bambini europei e questo, se si considera che ad ogni liv. di scolarizzazione corrisponde l’acquisto di libri, di materiali per la scuola ecc., va di pari passo con una minore propensione ai consumi culturali Lo stato in realtà fece qualche sforzo in questa direzione, ma da una parte dava e dall’altra prendeva…e non a tutti in misura uguale! es. la questione tributaria (si fa rif. alle norme che regolano le entrate dello Stato e degli altri enti pubblici, prelevate ai privati cittadini contribuenti) investe in pieno la sfera dei consumi: fino alla Prima guerra mondiale il grosso delle entrate, statali e locali, proveniva - per metà dalle imposte dirette (= quelle che colpiscono reddito e patrimonio) quindi dalle imposte fondiarie e immobiliari - e per metà da quelle indirette (=prnc imposte sui consumi) Queste ultime colpivano vari prodotti sottoforma di IMPOSTA DI FABBRICAZIONE SU GENERI DI LARGO CONSUMO come tabacchi, sale, zucchero ecc. + vi erano dazi-consumo prelevati a liv. locale + dal 1878, con la politica protezionistica, nuovi dazi doganali + per alcuni prodotti vi era un vero e proprio monopolio fiscale statale: tabacchi, sali, chinino, il lotto (gioco centrale sopr. in zone come Napoli) Le imposte gravavano dunque su generi di largo consumo che costituivano una parte importante del bilancio delle classi popolari. ! non è un caso che alcuni gravi episodi di violenza e rivolta contro le tasse, o fenomeni come il brigantaggio post-unitario abbiano un nesso proprio con la politica tributaria È stato calcolato che le imposte regressive (cioè gravanti sui redditi più bassi) incidessero per quasi la metà sul tot. delle entrate E va aggiunto che la pressione fiscale dell’Italia liberale fu molto alta, maggiore di quella dei periodi successivi. Se si osserva la politica dal pdv dei consumi, quale quadro generale emerge? Nonostante tutte le incertezze e le oscillazioni dell’Italia liberale, sin dal periodo post-unitario siamo di fronte ad uno Stato che comincia a comprendere l’importanza di una politica pubblica dei consumi Al di là delle spese effettive, si pongono le basi culturali per consumi nuovi: i consumi sanitari ed educativi (i consumi dallo spazio sociale si affacciano allo spazio politico!) I provvedimenti adottati, oltre a voler potenziare la nazione, avevano l’ob. di controllare il territorio e il corpo sociale (la massa) CRESCITA E PATRIOTTISMO si intrecciano e rafforzano a vicenda, per diventare elem. di potenziamento della nazione ecco perché l’attenzione fu indirizzata prnc al settore educativo. Era l’unico settore in grado di assicurare un’istruzione diffusa e standardizzata, necessaria per il progresso agricolo e per migliorare l’industria (…cioè per un progresso generale della nazione!) (è proprio agli operai dell’industria che lo stato rivolge i suoi primi interventi previdenziali, complice anche la pressione del movimento socialista) La spesa pubblico det. il formidabile sviluppo di infrastrutture e nuovi investimenti Il grande problema fu che il peso di questa spinta allo sviluppo fu scaricato sulle classi popolari: i consumi più diffusi furono anche quelli su cui gravarono le imposte regressive. I beni di lusso furono esentati, permettendo alla ristretta èlite di continuare a guidare l’economia del paese (l’effetto fu il «povero» dovette per forza ri-orientare i propri consumi privati in questo periodo inizia a crearsi uno spazio nazionale che orienta le scelte di consumo) Dal pdv dei consumatori, sopr. delle classe popolari, questa politica ebbe infatti pesanti costi (differenti a seconda della classe sociale e del genere) Costi non solo economici… Agli occhi dell’operario e del contadino il peso dello Stato si materializzava ogni volta che doveva comprare i beni di cui aveva bisogno (i più tassati!) – sale, zucchero, tabacco e vino e ciò alimentò diffidenza e risentimento nei cfr di uno stato che tanto chiedeva e poco dava in termini di istruzione, assistenza e previdenza La strada per un’effettiva integrazione era ancora molto lunga. 3. IL MONDO DELLA PRODUZIONE Nell’Italia tra fine 800 – inizio 900 quanto contano i produttori rispetto ai processi di consumo? La domanda è d’obbligo nel momento in cui si constata che le pratiche di consumo sono sì informate da processi culturali, ma fanno anche i conti con i fattori materiali che le condizionano …e tra questi, oltre alle condizioni storico-geografiche di una data società, si possono mettere tutti quegli elem. che vanno sotto il termine «produzione» Il rapp. che intercorre tra la produzione e il consumo è di reciproca influenza, anche se gli economisti hanno assegnato un peso maggiore ai PRODUTTORI O meglio, è possibile riconoscere un’evoluzione storica nel loro pensiero: nelle prime fasi della riv. industriale (inizio 800) gli economisti classici – Adam Smith e Ricardo – si sono concentrati sulla produzione Marx si pone sulla stessa linea, pur soffermandosi prnc sulla specificità dell’economia capitalista nel produrre una grande quantità di merci e distinguendo - il valore d’uso di una merce (legato al suo effettivo utilizzo nel tempo) - il valore di scambio di una merce (legato al suo prezzo sul mercato) A seguito dello sviluppo economico – a cavallo tra fine 800 e inizio 900 – fiorisce l’indirizzo neoclassico (Marshall, Pareto ecc..) e gli economisti si mostrano più attenti alle DINAMICHE DEL MERCATO: al centro pongono il rapp. tra la domanda dei consumatori, che vogliono essere pienamente soddisfatti, e l’offerta dei produttori, che vogliono ottenere il giusto profitto entrambi vogliono dunque massimizzare la loro utilità Il loro ideale punto d’incontro è l’EQUILIBRIO DI MERCATO I consumatori sono ben presenti, anche se ancora raffigurati in una forma ideale e razionalizzata Successive analisi notano come il potere di controllo dei produttori sui mercati aumenti in presenza di situazioni di monopolio (al max oligopolio) Posizione criticata da Max Weber che sostiene che nel considerare questi meccanismi non si possa tralasciare il peso degli elem. storici e sociali …e dall’economista statunitense Veblen, convinto che in una società con élite economiche ben consolidate, occorra considerare il ruolo della ricchezza nel conferire status e il peso del consumo/spreco vistoso nel testimoniare lo status acquisito I CONSUMATORI prendono la loro rivincita a partire dalle teorie dell’economista britannico Keynes che attribuisce al consumo (oltre che allo Stato) un ruolo fondamentale nel garantire la crescita economica E sopr. nel secondo dopoguerra con studiosi come: - l’economista statunitense Duesenberry, noto per la teoria dell’effetto dimostrativo ts. in società moderne caratterizzate da un’elevata mobilità sociale, il consumo è fondamentale per segnalare la propria condizione sociale - lo psicologo Katona (1901-1981) ts. il consumo è la vera forza che sta dietro la nuova società di massa, dove il consumatore è guidato non solo da prezzi/reddito, ma da abitudini e aspettative per il futuro Il fattore temporale è centrale anche in analisi più recenti: - Friedman pensa al consumo come ad una quota costante di reddito permanente - Modigliani prende come rif. per il consumo il reddito percepito nell’intero ciclo vitale in generale dagli ANNI 60-70' Il settore alimentare, pur essendo il più importante come produzione totale e pur assorbendo il grosso della manodopera, rispetto ai settori più avanzati ha dimensioni medie molto piccole (5 addetti per esercizio) ed è di solito arretrato da un pdv tecnico (ponendosi spesso a metà tra industria e artigianato, o tra industria e agricoltura) I piccoli produttori servono la loro zona e non sono interessati, né hanno la capacità produttiva per espandersi ! le eccezioni sono poche e riguardano sopr. I PRODOTTI DI LUSSO O DESTINATI ALL’ESPORTAZIONE Tuttavia questi erano anni di trasformazione e la RIVOLUZIONE INDUSTRIALE – che inizialmente aveva interessato le industrie tessili e meccaniche – COMINCIAVA A FARSI SENTIRE ANCHE NEL SETTORE ALIMENTARE, imponendo alle imprese alimentari nuove tecniche di lavorazione, nuove macchine, nuovi prodotti industriali (ad es. chimici) da impiegare nella produzione Il risultato fu che un gran num. di imprese compì il salto! Si inizia a produrre meccanicamente quantità di gran lunga superiori di alimenti, che risultano standardizzate e costano molto meno (grazie alle economie di scala) Tutto semplice? Assolutamente no! Vendere piccole quantità di prodotti artigianali alla clientela locale, che si conosce per abitudine e per il passaparola, implica meccanismi del tutto diversi rispetto a vendere grandi quantità di merci industriali ad una clientela sconosciuta e distante su un mercato nazionale e internazionale. Per i grandi produttori non era facile affacciarsi a questo “nuovo mercato”… essi dovevano fare i conti con i problemi legati alla distribuzione e, sopr., al marketing (anche non avevano mai sentito questa parola) Prende così forma un aspetto che si rivelerà decisivo nella storia dei consumi del 900: la MARCA. Che cos’è la marca? in origine indicava solo un «marchio proprietario»: il nome o il simbolo del prodotto commercializzato da un’impresa …poi nel mercato allargato che si crea grazie ai trasporti più moderni e alla Riv. industriale, essa assume un significato diverso: la marca diviene il mezzo per caratterizzare la merce, ma sopr. per venderla La marca ha 2 funzioni: 1. INFORMATIVA ci dice quali sono le caratteristiche del prodotto, le sue funzione e le sue componenti prima ancora che lo compriamo 2. VALORIALE la marca diventa una specie di valore aggiunto rispetto al bene fisico e ci dice se quell’articolo è “alla moda” o meno (cioè ci dice se è inserito nel mercato o meno, quale valore di status può fornirci ecc.) Come si costruisce una marca? La costruzione di una marca si basa sulla PUBBLICITÀ – che non a caso muove i primi passi anche in Italia !!! in origine si tratta di una pubblicità che punta prnc sull’informazione Ob. FAR CONOSCERE IL PRODOTTO AI CONSUMATORI, chiarendo a cosa serviva, come e perché utilizzarlo (es. gli inserti pubblicitari nelle riviste sono di fatto riquadri con una piccola illustrazione del prodotto e una lunga scritta di spiegazione) E ciò spiega anche la prevalenza della scrittura sull’immagine (di questo periodo sono anche i primi POSTER, anche se le industrie alimentari se ne servono in misura molto contenuta) Importante era anche il packaging: parola allora sconosciuta, con essa s’intende la confezione esterna del prodotto (la forma, il colore e il logo impresso) Era un elem. molto importante perché caratterizzava il prodotto e perciò era fondamentale che rimanesse la stessa, uguale nel tempo …se tutto il meccanismo funzionava e si riusciva a distribuire la merce capillarmente, si poteva sperare che fossero i consumatori stessi a richiedere un det. prodotto e che, a lungo andare, si affezionassero alla marca Quindi, tornando alla nostra dispensa, possiamo osservare varie confezioni industriali, prodotti di marca! Un intero ripiano è occupato da PASTA E DOLCI: - accanto ai prodotti artigianali notiamo della pasta Buitoni (azienda famigliare fondata ad Arezzo nel 1827, precocemente meccanizzata e produttrice di novità quali la pasta al glutine e vari tipi di paste dietetiche), De Cecco, Barilla e Agnesi - fra i dolci spiccano i biscotti, tipica specialità INGLESE e, tra questi, notiamo alcune scatole di amaretti Lazzaroni (una delle prime industrie italiane del settore, grazie alle macchine inglesi che Luigi Lazzaroni aveva introdotto nella fabbrica paterna, e una delle prime ad aver attribuito grande importanza al richiamo della confezione esterna) - c’è molto cioccolato, quasi tutto di provenienza torinese (la più grande fabbrica italiana di cioccolato e cacao fu la fabbrica Talmone, nata nel 1850) …e non mancano la cioccolata Venchi e i prodotti Perugina, una piccola fabbrica di Perugia comprata da un ramo dei Buitoni e dalla famiglia Spagnoli Fu proprio Luisa Spagnoli ad inventare il Bacio Perugina! Un altro settore di grande importanza è quello delle CONSERVE (data la necessità di preservare gli alimenti deperibili, sopr. frutta e verdura) Sugli scaffali delle dispense si trovano molte conserve …non più fatte in casa, ma di marca! Ne notiamo alcune (tra queste Arrigoni), ma la marca più presente è la Cirio: la troviamo su scatole di pomodori pelati, conserve vegetali e persino su cassette di frutta fresca! L’imprenditore piemontese Francesco Cirio, figlio di un modesto negoziante, ha un sogno: conservare le verdure per rivenderle durante la stagione invernale. In possesso di un piccolo capitale, incomincia con i piselli L’enorme successo che incontra, gli consente di trovarsi, nel giro di pochi anni, alla testa di un’impresa fiorente che inscatola già nel 1876 ben 4400 quintali all’anno (portati a 10'000 nel 1880) di una vasta gamma di prodotti gastronomici (piselli, funghi, asparagi, carciofi, pesche, pere e tartufi neri) e dà lavoro a più di 200 persone. A tutto ciò si aggiunge nel 1856 la nascita di un’azienda conserviera a Torino, prima tappa di un’espansione culturale anche all’estero, che ingloba numerose attività collaterali: vagoni ferroviari, mulini, caseifici, aziende agricole ecc. Seguono infatti accordi con la “Società delle Ferrovie dell’Alta Italia”, che per i suoi prodotti garantiscono trasporti a prezzi vantaggiosi e a velocità, per l’epoca, sostenute, e la costruzione dei primi vagoni frigoriferi. Su di essi l’azienda Cirio esporta nel Nord Europa anche pollame, uova, formaggi e vini L’impero di Cirio (fondato sull’import-export, perché il solo mercato interno non era in grado di assorbire la sua offerta) si espande a dismisura La sua azienda di conserve, specializzata nelle conserve alimentari (in particolare nel settore del pomodoro), raggiungerà presto un posto di grande rilevanza a livello europeo e non solo …attraversò alcune difficoltà solo ad inizio sec. quando passò ai fratelli Signorini E i FORMAGGI? Scrutati da vicino molti rilevano un’origine locale e quindi non sono classificabili. Ma ci sono già alcuni tipi di formaggi che conosciamo bene: il grana parmigiano e il pecorino romano (prodotti da imprese di medie dimensioni che li commercializzavano a liv. nazionale rendendoli riconoscibili); poi ci sono i formaggi lombardi marcati Invernizzi, Galbani ecc. burro e latte delle Latterie Soresinesi ecc. !!! pian piano compaiono i primi grandi produttori di OLIO (es. i Bertolli di Lucca), ma ora l’olio NON è ancora di marca (prodotto ancora artigianalmente e spesso di bassa qualità veniva infatti usato anche per la produzione di sapone, o come lubrificante per le auto ecc.) Lo stesso vale per il RISO: coltivato da sec. nella pianura padana, solo da poco è prodotto industrialmente e sottoposto alla brillatura che permette una maggior durata Abbiamo anche i VINI, contenuti in una cassetta vicino alla damigiana Circolano bottiglie di vino provenienti da molte parti d’Italia, con marche ad oggi quasi sconosciute (molte marche di vino portano nomi di famiglie aristocratiche) Ci colpiscono i vini aromatizzati come i vermut Compaiono le prime etichette famose anche di SPUMANTI, MARSALA e BIRRA (Peroni, Pedavena, Poretti ecc.) Ci sono anche prodotti – es. CAFFÈ – la cui etichetta è straniera …e alcuni di questi sono persino prodotti nuovi – es. brodo concentrato e latte condensato o in polvere (Knorr, Nestlé) !!! le uniche merci della nostra dispensa veramente industriali sono la FARINA e lo ZUCCHERO (in Italia molto caro – cfr. questione delle tariffe doganali) Questa dispensa ci ha fatto conoscere molte informazioni sui gusti, sulla posizione sociale ed economica dei nostri ospiti, sul loro luogo di residenza (in base alle produzioni locali), sul liv. tecnologico dell’industria alimentare del periodo e sulla posizione delle produzioni italiane nel mercato internazionale. Ci allontaniamo anche perché quella cantina era molto (troppo) ricca di odori forti, provenienti da merluzzi salati, salumi stagionati, formaggi ammuffiti ecc. Attraversando le altre stanze della casa e osservando L’ARREDAMENTO notiamo in prevalenza produzioni artigianali di buona fattura. Questo non ci sorprende: l’Italia è da sempre un paese con una fortissima e diffusa tradizione di lavorazione artigianale. Pochi potevano permettersi i mobili creati da artisti famosi (il designer Vittorio Ducrot e l’architetto Luigi Coppedè sono tra i più noti. I loro servigi erano molto richiesti tra le famiglie regnanti o per alberghi e simili), ma tutti potevano chiamare il VICINO FALEGNAME PER REALIZZARE L’ARREDAMENTO DI CASA si trattava quasi sempre di produzioni artigianali di buona fattura, erano tutti dei bravi artigiani Ecco perché, nonostante fossero già disponibili I PRIMI MOBILI DI SERIE, questi erano usati solo dalle classi sociali meno abbienti: poco curati nell’estetica, in genere erano composti da semplici pezzi assemblati con finiture scadenti. Il primo caso di attenzione all’estetica in un mobile industriale (cioè di design industriale) è quello della «sedia viennese», disegnata dall’austriaco Michael Thonet nel 1859: attraverso la curvatura le grandi vetrate lasciavano filtrare di giorno la luce del sole/ di sera erano illuminate con dei lampadari di luce a gas …le grandi vetrine di caffè e negozi erano inondate di luce e il tutto contrastava con la penombra del resto della città Ora, se si considera che Parigi era una città molto buia, questa scelta segna un importante passaggio culturale la tecnologia (oltre ad aver reso possibile l’effetto magico della luce – fino ad allora era stato tecnicamente difficile produrre lastre di vetro di grandi dimensioni) aveva trasformato questi passages in veri e propri palcoscenici dove si recitava senza sosta un copione scritto apposta per i passanti, e l’intera strada si era trasformata in un teatro senza confini. Anzi! furono le scene teatrali ad adeguarsi alle nuove tecnologie, utilizzate per illuminare il palco mantenendo la platea al buio (il tutto per marcare il contrasto e accentuare l’illusione scenica) (l’illuminazione, prima a gas e poi elettrica, all’inizio fu introdotta per scopi di controllo poliziesco sulla vita urbana (sollevando anche forti opposizioni negli strati popolari) …poi per scopi commerciali. La sua diffusione è un tipico caso di commistione fra elem. tecnologici e culturali La classe borghese restò a lungo legata all’intimità della fioca luce tradizionale, mentre gli spazi commerciali la adottarono subito) ! l’ingresso non obbligava a fare acquisti, ma invogliava a passeggiare e a soffermarsi accanto a sfavillanti vetrine che si allineavano una dopo l’altra insieme a caffè, ristoranti e teatri I passages erano quindi LUOGHI D’INCONTRO E DI RITROVO: si veniva a contatto con una grande folla, mutevole e sconosciuta Da pochi ma intensi rapporti a l’uomo moderno che non conosce il silenzio, che impara l’indifferenza quale arma per far fronte a rapporti sempre più casuali e superficiali … si era attratti da rumori, luci e suoni l’atmosfera era scenografica! In questi luoghi, nei quali la funzione commerciale era inscritta nell’architettura stessa, tutto poteva essere comprato e venduto; tutto era diretto ad un CONSUMO SPETTACOLARIZZATO (compreso il sesso, dato che con il tempo alcuni di questi luoghi finirono per essere frequentati da prostitute in cerca di clienti) Le GALLERIE COMMERCIALI si diffusero rapidamente nelle prnc città europee, divenendo un polo d’attrazione e di vanto nell’800 la sola Parigi ne conta più di cento ed esse si moltiplicano anche a Londra e in Italia – negli ultimi decenni dell’800 in Italia si costruiscono varie gallerie di grandi dimensioni es. la galleria Mazzini a Genova o la galleria Umberto I a Napoli A differenza dei primi passages, queste costruzioni sono molto più grandi e monumentali, tanto che l’iniziale finalità commerciale, con il suo carattere di raffinato salotto, si abbina a quella di rappresentanza. Prendiamo la più grande galleria di questo tipo al mondo: la neoclassica galleria Vittorio Emanuele II a Milano, progettata da Giuseppe Mengoni e costruita tra il 1865-77  la sua enorme cupola centrale di vetro, le 4 braccia laterali e i due archi di trionfo intitolati al re che si trovano alle entrate prnc è chiaro che si voleva creare un monumento rappresentativo delle ambizioni di una città in crescita …al punto che quando la società che aveva iniziato i lavori fallì, fu il Comune ad acquisirne la proprietà e ad accollarsi le ingenti spese di realizzazione. Resta cmq significativo il fatto che l’architettura più maestosa, creata per dare decoro e prestigio alla Milano borghese non sia stata un monumento civile (questi erano già dedicati agli eroi del Risorgimento) o unpalazzo del governo, un museo o una tradizionale opera artistica, ma una galleria commerciale dove si trovavano i negozi più prestigiosi della città e i bar più alla moda PRESTIGIO SOCIALE E PROGRESSO ECONOMICO SI MANIFESTAVANO COSÌ IN FORME COMMERCIALI Dopo le gallerie fecero la loro comparsa i GRANDI MAGAZZINI Diversamente dalla galleria commerciale, che era formata da un insieme eterogeneo di imprese, il magazzino costituisce una singola unità (deriva, infatti, dai «magazzini di novità» e dai grandi bazar che presentavano le merci più disparate) ! il primo grande magazzino, nonché il più conosciuto e imitato, fu il Bon Marché realizzato a Parigi nel 1852 da Aristide Boucicault  edificio imponente, allestito in un grandioso edificio all’insegna della modernità, con il tetto in vetro (passage) e all’interno una grande scala per dare un effetto spettacolare e per attrarre i clienti …esso spalanca davanti agli occhi dei clienti abbondanti merci lussuose, esotiche e ordinarie; un coreografico arredamento di stoffe multicolori, tendaggi e tappeti; vetrine e luci, bar ecc. Era un ambiente molto ospitale grazie alla musica sempre in sottofondo, ai palloncini regalati ai bambini, agli omaggi per i clienti, ai fiori per le signore ecc. Questo universo magico, in grado di abbagliare chiunque, divenne in pochi anni la maggiore società di vendita diretta ai clienti La formula è subito ripresa in tutta Europa, con luoghi famosi come Harrods a Londra, e approda anche in Italia! È anche il tempo in cui aprono i primi department stores (grandi magazzini) negli Stati Uniti. I contemporanei non hanno dubbi: il grande magazzino fu una svolta nella storia dei consumi e del commercio. Anche intellettuali e scrittori ne sono colpiti ed Emile Zola vi si ispira per il suo famoso romanzo Al paradiso delle signore (1883) Stessa reazione si registrò anche in Italia, dove i fratelli Bocconi guardano all’esempio francese (al Le Bon Marché di Parigi) per aprire a Milano, nel 1877, il primo grande magazzino, Aux Villes d’Italie (nome francese come voleva la cultura francofona del tempo, forse come indiretto tributo al modello originale). Nel 1917 il gruppo finanziario guidato da Senatore Borletti rileverà l’attività dei fratelli Bocconi e, dopo l’incendio del 1918, affiderà l’ideazione del nuovo nome al poeta G. D’Annunzio. Così nasce la Rinascente, nome suggerito dal poeta per simboleggiare la rinascita del negozio (ricostruito dopo l’incendio). Ma la vera domanda è: se questa nuova tipologia di vendita deriva sia dai passages sia da preesistenti formule commerciali, come mai ebbe un tale impatto nell’immaginario collettivo dell’epoca? E come mai tutti concordano nel def. una vera e propria rottura con il passato? Per rispondere bisogna tornare a considerare quelli che erano stati fino ad allora gli standard dell’attività commerciale: fiere e botteghe, mercati e negozi. 4.1 FIERE E BOTTEGHE, MERCATI E NEGOZI Il commercio è un elem. fondamentale nel ciclo dei consumi, perché è il mediatore per eccellenza tra il mondo dei produttori/ consumatori In realtà esso fa molto di più: con le sue originali formule (es. gallerie commerciali e grandi magazzini) esercita un influsso sull’intero mondo dei consumi. È molto sensibili alle esigenze e alle reazioni dei consumatori, e spesso instaura con loro un rapp. di «negoziazione» Può agire da stimolo o da freno nei riguardi delle industrie produttrici e, a volte, entra persino in concorrenza con esse (cfr. prodotti di marca commerciale) La pubblicità è il prnc tramite fra produttori e consumatori ed è uno stimolo fondamentale all’acquisto. Anche gli spazi commerciali (tutt’altro che contenitori neutri!) influiscono sul comportamento di consumo, perché det. le modalità pratiche dell’atto di acquisto e creano una cornice di significato e di valore per la merce. La storia dei consumi è anche la storia del commercio. Quali erano gli antichi spazi commerciali? Quali sono le forme più antiche di commercio?  FIERE E BOTTEGHE hanno caratterizzato la vita economica e sociale per secoli interi (es. fiera di Bergamo), anche se la loro frequenza era forse indice dell’insufficiente strutturazione del commercio interno, più che della sua floridezza – tant’è vero che zone come Venezia, molto più sviluppate dal pdv mercantile, non avevano importanti fiere …fino all’800 le fiere furono cmq grandi occasioni di commercio, d’incontro e di festa poi, con lo sviluppo dei trasporti marittimi e ferroviari, la loro importanza diminuì a favore dei più stabili mercati locali  MERCATInelle piazze o nelle prnc vie di città e paesi, erano grandi spazi di commercio Ora conoscono un processo di specializzazione e di gerarchizzazione, suddividendosi per generi, aree e persino per tipo di clientela Lo sviluppo urbano investe anche queste strutture: le esigenze di approvvigionamento delle città crescono rapidamente, perciò nascono i primi MERCATI COPERTI (sull’esempio delle grandi Halles Centrales di Parigi) Il più importante è il Mercato Centrale di Firenze: è uno degli edifici realizzati per «modernizzare» il volto di Firenze. Le antiche casette medievali furono abbattute per creare un grande capannone in ghisa, ferro e vetro… per il quale fu chiamato nel 1870 l’architetto Giuseppe Mengoni. Il risultato fu positivo perché il nuovo edificio si armonizzò bene con l’ambiente circostante, grazie ad una base di arcate di tipo classico, una copertura che assicurava molta luce all’interno e un ampio spazio senza troppi ingombranti sostegni. Nelle città italiane comparvero ben presto molti edifici simili, spesso vicino agli scali ferroviari, a dim. del processo di industrializzazione e di razionalizzazione che stava subendo il commercio (sopr. all’ingrosso) Questo non comportò la scomparsa dei tradizionali mercati all’aperto, ma una loro evoluzione Uscendo si vedono manifesti pubblicitari appesi alle pareti: non c’è dubbio, quelle figure che stanno al mondo con tanto stile e sicurezza siamo proprio noi! Ad offrire tale spettacolo non era solo la sede centrale del magazzino dei fratelli Bocconi. Non meno prestigiose erano le sedi aperte in altre città d’Italia e la modernissima filiale di Roma, inaugurata nel 1877 in piazza Colonna: edificio commerciale nel cuore mercantile della capitale, vicino a Palazzo Chigi (per rivendicare anche qui la centralità e la visibilità dei grandi magazzini) A Napoli sorgevano poi i prnc concorrenti dei Bocconi: i Grandi Magazzini Mele, che Emidio Mele aveva aperto nel 1889. Anche in questo caso, si puntava ad acquisire una clientela borghese, sensibile al richiamo del gusto e della moda Inoltre in tutte le grandi città d’Italia sorgono molti empori più piccoli ma ben organizzati, a volte si tratta di magazzini cooperativi (es. gli spacci dell’Alleanza cooperativa torinese, dell’Unione cooperativa di Milano e dell’Unione militare di Roma erano fra i più fiorenti magazzini del tempo) !!! certo, la splendida facciata delle vetrine (il simbolo della modernità urbana) nascondeva IL LATO AMBIGUO e OSCURO, come scrive Baudelaire, di questi enormi spazi commerciali La formula si basava: su alti volumi di vendita e una veloce rotazione del magazzino sul prezzo fisso sull’eliminazione dell’obbligo d’acquisto Tutto ciò comportava un’enorme macchina amministrativa: nel 1900 i magazzini Bocconi avevano ben 3000 dipendenti per svolgere tutte le funzioni di vendita / spedizione / immagazzinamento / contabilità. Tuttavia per chi lavorava la realtà di questi grandi magazzini spesso celava la realtà di una dura disciplina, stipendi a cottimo, precarietà e limitate possibilità di carriera per la maggior parte dei dipendenti (sopr. uomini). E quindi perché il grande magazzino ha avuto un così forte impatto nell’immaginario collettivo? 1. perché incarna il mito del progresso e la passione per le novità (diffusi tra fine 800 e inizio 900', almeno fino a quando la bufera del primo conflitto mondiale farà liquefare la fiducia nelle magnifiche e progressive sorti) In effetti i grandi magazzini erano stati i primi edifici  ad adottare l’illuminazione elettrica  a dotarsi di ascensori, del riscaldamento centralizzato e, infine, di scale mobili (piazzate ben in vista, al centro dell’edificio)  a installare specchi e vetri di grandi dimensioni (spesso ordinati all’estero) LA TECNOLOGIA SI FA PARTE INTEGRANTE DEL FASCINO DEI GRANDI MAGAZZINI e va messa in primo piano! Il senso di novità non riguardava solo la tecnologia, ma le stesse merci: esse venivano spesso cambiate, trasformate e migliorate secondo i dettami dell’ultima moda! In questo processo di innovazione perenne, il grande magazzino rappresenta la modernità urbana 2. perché è qui che si realizza il processo di spettacolarizzazione della merce la presenza in un unico luogo di una grande quantità di merce, accessibile e visibile in un sol colpo d’occhio, induce un forte senso di meraviglia per la sua unicità. Il magazzino (il «contenitore») è costruito per affascinare il visitatore: la sua grandezza, la ricchezza, la comodità e piacevolezza del suo ambiente sono tutte caratteristiche che si riverberano anche sui prodotti esposti. Essi acquisiscono maggior valore proprio in virtù della magnifica cornice in cui appaiono consumo e divertimento vanno ora di pari passo! Mi diverto nei luoghi di consumo, MI DIVERTO A CONSUMARE 3. il rilievo che acquistano questi nuovi luoghi di consumo porta ad una ridefinizione degli spazi urbani si crea un circuito legato al consumo e al divertimento che diviene centrale nella def. degli spazi della metropoli moderna: sorgono empori, gallerie, vie commerciali + luoghi di divertimento commercializzato come teatri, caffè e impianti sportivi Ciò contribuisce a def. una nuova gerarchia degli spazi urbani: si valorizzano gli spazi legati al consumo (divenuti ormai luoghi d’incontro, di passaggio e meta per turisti) Questo fenomeno interessa le prnc capitali europee (Parigi, Londra) a dim. delle influenze transnazionali delle forme del consumo 4. perché questi nuovi spazi sono socialmente connotati non sono gli spazi dell’aristocrazia e non sono gli spazi della classe operaia Sono gli spazi della BORGHESIA e riflettono i suoi valori e le sue pratiche di consumo L’ampia crescita della borghesia, per effetto dello sviluppo industriale, porta ad una stratificazione della clientela e ad un allargamento verso il basso (piccola borghesia impiegatizia) Ha così il luogo il fenomeno della democratizzazione del lusso, che non è la semplice riproposizione dei consumi aristocratici in chiave povera, ma è l’abbinamento della ricerca di distinzione con valori come l’efficienza e il risparmio 5. perché i clienti, in un certo senso, conoscevano già questi nuovi spazi di consumo; sapevano che avrebbero assaporato un grande spettacolo ed erano consapevoli in anticipo degli effetti di meraviglia e fascino che li attendevano li avevano già incontrati: a TEATRO! Il teatro rappresentava lo schema originale sui cui modellare altre esperienze, a cui ricondurre nuove situazioni. Ed ecco che lo spettacolo dei grandi magazzini diventa come quello inscenato a teatro. - luci, costumi, colori, musiche e arredi: tutto è come sulle scene! - i consumatori sono come gli spettatori - gli spazi del grande magazzino sono delimitati, protetti e organizzati come quelli teatrali - le artistiche e scintillanti vetrine non fanno apparire il duro lavoro che c’è dietro, proprio come accade a teatro! (tutto ciò che accade sul palcoscenico non lascia trasparire il duro lavoro dietro le quinte!) - l’aspettativa di un’esperienza piacevole e divertente, e non troppo impegnativa, è identica Il grande magazzino viene capito e accettato subito perché ricalca il modello del teatro. …e come a teatro, anche qui un elem. fondamentale sono le DONNE: assidue frequentatrici della vita scenica e prnc lettrici delle riviste teatrali, erano tanto protagoniste come spettatrici quanto lo sono come consumatrici E se sul palcoscenico le artiste sono simbolo di fascino ma anche di dubbia moralità, allo stesso modo le commesse, attrici sulla scena del grande magazzino, sono desiderate e ammirate, ma insieme criticate per esser lontane dai loro “spazi domestici”, dalle virtù tradizionali che da sempre contraddistinguono le donne. La massiccia presenza di donne in questi nuovi spazi di consumo, in un’epoca in cui continua a prevalere l’idea di un confinamento negli spazi privati domestici, non può essere spiegate solo con l’atmosfera sicura e decorosa di questi luoghi. …essa si spiega perché i grandi magazzini appaiono, proprio in virtù della loro consonanza con il teatro, culturalmente appropriati per le donne. L’irruzione delle donne sulla scena pubblica (da sempre prerogativa esclusiva degli uomini) dà però luogo a pregiudizi e stereotipi negativi: l’attrice è spesso ritratta come una prostituta (donna pubblica, appunto); la consumatore diviene nell’immaginario del tempo una cleptomane. Entrambe infrangono la morale, prima ancora che la legge. Ciononostante le donne, attraverso il consumo, conquistano uno spazio pubblico che diviene importante per def. la loro identità. Il mondo dei consumi diviene così uno spazio «genderizzato». ! i grandi magazzini sono stati spesso equiparati alle Esposizioni Universali (come quella di Londra del 1851 con il suo Crystal Palace, quella di Parigi del 1889 con la Tour Eiffel e anche quelle italiane come quella di Milano del 1906 per celebrare il Parco Sempione ecc.) …e anche qui l’accostamento non è casuale: anche le esposizioni sarebbero state create sulla base del medesimo modello teatrale (spettacolari, creative, ricche di merci ecc.) Lo spettacolo si confonde con la vita e la vita con lo spettacolo. Tuttavia la cifra impiega nei consumi si distribuisce in maniera diversa: - SCENDONO di molto le spese per i consumi alimentari (scende di ben 10 punti! …si attesta infatti intorno al 50%) - in leggero calo anche le spese per il vestiario e le calzature - AUMENTANO LE SPESE per la casa, per l’igiene e la bellezza e soprattutto PER I BENI DUREVOLI E PER I TRASPORTI (dal 4 all’11%) Siamo quindi in presenza di una maggiore diversificazione delle scelte di consumo. Nonostante la forte compressione della spesa per gli alimentari, il paniere dei cibi non conosce drastiche variazioni: - si conferma il primato del frumento, accanto a granoturco, patate e legumi secchi - ortaggi e frutta diminuiscono - resta scarsa la presenza di alimenti ricchi come la carne, lo zucchero e il caffè - il consumo di vino vede grandi oscillazioni Che la DIETA diventi MENO RICCA è confermato dal conteggio delle calorie del pasto medio giornaliero: inferiori a quelle dei decenni precedenti. Le analisi dei bilanci familiari di quel periodo mostrano anche la persistenza di differenze dovute a fratture geografiche (regionali, città/campagna), di classe e anche di genere. a tal proposito è molto interessante (anche perché è una delle pochissime indagini di questo tipo) un’inchiesta sui consumi alimentari delle mondariso del 1942 Essa esamina l’alimentazione di 5 squadre di lavoro in diverse tenute, tutte femminili Risultano differenze notevoli: nelle tenute, a fronte dello stesso lavoro, si consumano pasti che variano anche di 3000 calorie giornaliere! tuttavia la dieta degli uomini resta decisamente più ricca. Il cfr internazionale conferma le distanze: l’Italia si presenta ancora come un paese relativamente povero es. nel 1930 il reddito italiano pro capite, misurato in dollari, è 2'900 contro i 4'000 della Germania, i 4'500 della Francia e i ben 5'400 della Gran Bretagna! Nel 1938 sale, ma salgono anche i redditi medi di tutti gli altri paesi europei (che si aggirano intorno a 4'800 dollari!) In campo economico, a dare ascolto alle campagne del regime, si direbbe che si è attuata una vera e propria rivoluzione, che aveva le sue basi nell’organizzazione corporativa e i suoi vertici nelle molte «battaglie» combattute per la nazione (la battaglia per il grano, per la difesa della lira, per la bonifica integrale: ogni misura economica si prestava a diventare uno slogan propagandistico) In realtà la politica del regime fascista fu molto cauta in un periodo storico caratterizzato dall’instabilità e da molte crisi (la più grave fu la crisi del 29'), il fascismo compì una scelta a favore delle industrie italiane, che aiutò con vari «salvagenti»: - nuovi istituti come l’Iri (Istituto per la Ricostruzione Industriale) - una politica di concentrazione industriale - un RIGIDO PROTEZIONISMO, che incoraggiava la sostituzione delle importazioni con i prodotti nazionali Così, quando nel 1936 fu annunciata una nuova «battaglia», la battaglia per l’autarchia, in risposta alle sanzioni economiche proclamate dalla Società delle Nazioni per l’invasione dell’Etiopia (1935- 36), non si fece altro che dare una veste politica ad una linea protezionistica in atto ormai da anni per via di dazi e tariffe doganali. Il giudizio degli storici sull’autarchia è negativo essa ha danneggiato un’economia di trasformazione come quella italiana ha favorito alcuni settori a scapito di altri ha imposto ai consumatori prodotti italiani più costosi rispetto ai prodotti importati (più accessibili) oppure surrogati di scarsa qualità (l’uso di surrogati provocò molte proteste, registrate dalle autorità di polizia. Esse prendono la forma di barzellette e su di esse si fa dell’ironia Era diffuso l’utilizzo di sottolineare ironicamente l’originalità del prodotto raddoppiandone il nome - es. nelle occasioni importanti si offre il caffè-caffè, non un surrogato!) Tuttavia, se la si guarda dal pdv dei consumi, l’autarchia acquista un diverso significato e mostra un impatto anche più significativo e duraturo. È evidente che il fascismo non vedesse di buon occhio lo sviluppo dei consumi; le sue priorità erano altre. Tuttavia, per sostenere l’industria italiana e per controbattere le sanzioni venne attivata una campagna di sostegno ai prodotti italiani che assegnava alle merci un valore aggiunto: l’italianità! Comprare italiano era adempire ad un compito patriottico. Sfogliando riviste e manifesti dell’epoca (non si dimentichi che negli anni 20' inizia a trasmettere la radio!) si nota facilmente questo fenomeno di «italianizzazione». Sulle riviste degli anni 30' («L’illustrazione italiana» e «La Domenica del Corriere»)si moltiplicano i richiami patriottici. In una pubblicità l’Italia offre al mondo il suo miglior prodotto: Fernet-Branca; in altre si esaltano le virtù dei «tessili dell’indipendenza»: Sniafiocco («il cotone nazionale») e Lanital (lana sintetica ideata da Antonio Ferretti); Si proclama «Italiani preferite i prodotti d’Italia» Espressioni come “prodotto italiano” o “produzione nazionale” compaiono nelle pubblicità di quasi tutte le grandi imprese, a partire dalla Fiat! …in quella delle linee navali e aeree e persino nelle «italianissime sigarette Principe di Piemonte». Un altro accorgimento è quello di richiamare la «romanità»: così troviamo eleganti abiti maschili Caesar di grande stile, eleganza e distinzione; acqua di colonia Etrusca o quella Impero («l’italinissima! la migliore!») L’uso della leva patriottica per promuovere le produzioni non è nuovo, né limitato all’Italia. Nel contesto del fascismo, però, questa politica ha l’effetto di elevare il consumo al rango di attività che concorre pienamente allo sviluppo della nazione e di creare uno spazio per il CONSUMO «NAZIONALE» In precedenza il consumo aveva caratteristiche insieme localistiche e transazionali; il fascismo compie uno sforzo per creare un PROFILO TIPICO DEL CONSUMATORE ITALIANO… 2 fattori giocano un importante ruolo: 1. In questa politica riveste un ruolo importante il GENERE l’autarchia, che investe il lato dei consumi ed entra nella sfera della famiglia, si rivolge di fatto alle DONNE, che ora GESTISCONO LA FAMIGLIA COME UNA PICCOLA SOCIETÀ ECONOMICA Sono le donne ad essere incaricate di risparmiare sulla spesa (a loro viene chiesto di evitare gli sprechi), di fare acquisti “italiani”, di ingegnarsi per trovare surrogati per tutto… e sono le donne a leggere le riviste e manuali per la casa che insegnano loro praticamente tutto! (insegnano le ricette, il modo per conservare i cibi, i precetti per l’igiene, la cura dei giardini, il restauro dei mobili, il primo soccorso, il trattamento degli animali, piccole riparazioni, la meteorologia (con osservazioni di insetti, uccelli e ragni!) ecc.. La battaglia autarchica è combattuta dalla trincea della casa e vede le donne in prima linea. Victoria de Grazia ha sostenuto che è stato il regime fascista a «nazionalizzare» per la prima volta le italiane, poiché le politiche dei precedenti regimi liberali erano state dirette esclusivamente agli uomini. Lo stato fascista si preoccupa invece di assegnare alle donne un preciso ruolo all’interno della famiglia e dell’economia Stessa sorte tocca anche alle prostitute: il consumo «deviante» come quello della prostituzione non viene messo fuori legge, ma è cmq sempre controllato dall’alto mediante l’istituzione di «case chiuse» (anche in questo caso il regime fascista mostra un vivo interesse per il controllo sociale, poliziesco e sanitario – lotta contro la sifilide) Ob. migliorare e sviluppare la “razza italiana”, anche e sopr. grazie al ruolo della donna! es. lo Stato fascista crea sia incentivi positivi (assistenza sociale, sostegno alla maternità) sia strumenti repressivi (allontanamento delle donne da vari mestieri, scoraggiamento dell’istruzione superiore, esclusione dalla politica) In questo quadro LA POLITICA DEI CONSUMI DIVIENE UN IMPORTANTE ASPETTO DELLA POLITICA FASCISTA. Essa è rivota soprattutto alle DONNE DELLE CLASSI MEDIE (dato che la maggior parte delle famiglie operaie e contadine erano ancora escluse dal mercato dei consumi non di base) Va però ricordato che nell’iconografia ufficiale la sfera della produzione (maschile) e quella del consumo (femminile) restano nettamente separate. Es. nella vasta iconografia su Mussolini che possediamo, egli è presentato come politico e guerriero (in divisa, a cavallo, in motocicletta, in aereo ecc.) o nei panni del produttore (agricoltore a torso nudo, minatore ecc.) ma MAI COME CONSUMATORE 2. Questo nuovo spazio dei consumi, oltre ad essere nazionale, è anche “mediterraneo o imperiale” È evidente lo sforzo di creare uno spazio integrato comprendente l’Italia e il Mediterraneo, e questo vale per tutti i tipi di consumo. es. nel 1931 esce la prima guida gastronomica dell’intera Italia, edita dal Touring Club, che presenta il paese come una sintesi di meraviglie gastronomiche e turistiche, dove ogni regione e paese possono offrire un contributo specifico. (siamo ben lontani dal dominio centro-settentrionale dell’Artusi) Gli storici Capatti e Montanari hanno anzi osservato che lo spostamento del baricentro politico verso il Mediterraneo ha portato ad una valorizzazione dell’immagine del Meridione: con le sue spiagge, il sole, la pasta, il pesce e l’olio IL SUD DIVIENE Inoltre si fa sentire la tensione tra il desiderio di integrarsi nella nuova comunità ospite / e di mantenere cmq la propria identità etnica. Tensione che porta ad una divaricazione di comportamenti: tradizionali nella sfera privata e domestica / americanizzati nella sfera pubblica. Questo discorso sull’emigrazione è molto più lungo e complesso, ma sottolinea bene il RUOLO CULTURALE DEI CONSUMI. 1.3 POLITICA FASCISTA DEI CONSUMI Townsend, con il suo teorema delle capre e dei cani, vuol dim. l’analogia tra leggi naturali e leggi che governano la società umana Ts. nel XVI sec. su un’isola sperduta al largo del Cile, degli spagnoli lasciarono alcune capre perché fossero la loro riserva di cibo per eventuali viaggi futuri. Senza ostacoli ne predatori le capre si moltiplicarono, fin troppo! …al punto da diventare un comodo rifornimento per i corsari locali. Indispettiti, gli spagnoli vi sbarcarono alcuni cani. Anche questi si moltiplicarono in fretta e mangiarono molte capre, le più deboli.. Il risultato fu che il numero delle capre si stabilizzò (i cani non potevano cacciare indiscriminatamente perché le capre più giovani e veloci si rifugiavano su picchi irraggiungibili) Insomma, la natura aveva provveduto ad equilibrare le cose! In realtà pare che questa storia non sia del tutto vera e Polanyi adduce questo episodio proprio per dim. che il mercato auto-regolamentato non esiste, è solo un’invenzione sociale …e che l’esistenza di un naturale equilibrio tra domanda e offerta è solo un’astrazione (Polanyi, La grande trasformazione, 1944) Un consumatore vissuto nel ventennio fascista avrebbe dovuto per forza dar ragione a Polanyi! Il mercato dei beni di consumo era governato da meccanismi tutt’altro che naturali e lo Stato faceva sentire la sua presenza in misura sempre più crescente: - cercava di orientare i consumi privati con l’autarchia e la promozione di prodotti nazionali - appariva sempre più protagonista nell’offerta di consumi pubblici (…e non si trattava solo di un effetto propagandistico! Dal 1911 al 1938 i consumi pubblici raddoppiarono!) È vero che già i governi liberali avevano prestato attenzione ai consumi pubblici, ma è solo con il fascismo che tali spese assumono una nuova centralità Ci si chiede perciò: questo andamento era tipico del regime fascista o era comune un po' a tutti i paesi occidentali? Era il credo statalista di Mussolini a creare una simile «politica fascista dei consumi» o la propaganda gonfiava dando lo stesso colorito anche ai consumi dei regimi liberali e democratici? Non è possibile dare una risposta stando sul solo piano nazionale: bisogna porre l’azione del fascismo nel più ampio contesto transnazionale. Ad uno sguardo di lungo periodo appare evidente che la tendenza verso una crescita della spesa pubblica (di cui i consumi pubblici sono una quota significativa) non era cosa tipica solo del fascismo Molti attribuiscono il fatto alla maggiore complessità delle società moderne, che comporta un crescente intervento regolatore dello Stato, uno sforzo nella dotazione di infrastrutture ecc. L’analisi di Adolf Wagner correla la crescita della spesa con la crescita del reddito: lo Stato spende sempre di più perché è chiamato a correggere gli squilibri dello sviluppo industriale (es. riguardo all’urbanizzazione e all’ambiente) e a rispondere alla crescente domanda di servizi sociali (il limite è il liv. dell’imposizione fiscale che i cittadini sopportano) Questa crescita non è però costante nel tempo, ma avviene a sbalzi: Peacock e Wiseman hanno osservato che in occasione di una grave crisi (es. una guerra) la spesa sale rapidamente e poi, passata la bufera, scende …MA non torna ai liv. precedenti, forse perché i cittadini preferiscono mantenere alcuni dei servizi e delle protezioni sociali ormai introdotti. Questo è l’effetto di spiazzamento: dopo ogni crisi il liv. della spesa si innalza stabilmente di un po' La politica del fascismo si inserisce perciò in una condotta molto più generale, legata allo sviluppo industriale del paese. All’interno di questo quadro esso attua però scelte ben specifiche:  In Italia, al contrario di quanto accade in altri paesi europei, NON si verifica l’effetto di spiazzamento (o cmq avviene con ritardo), perché? 1. L’Italia è un paese arretrato 2. Il fascismo riorienta rapidamente la spesa pubblica seguendo finalità politiche, lasciando di nuovo cadere le spese assistenziali e previdenziali, che invece erano molto cresciute dopo la guerra (sopr. nel triennio 2020-22), per privilegiare altre spese sopr. militari Un es. significativo di questa politica è rappr. dall’istruzione: in % si spende meno nel fascismo che nei precedenti governi liberali! MA ci sono importanti differenze: l’istruzione è ora gestita dallo Stato (NO enti locali) che, tramite l’educazione, segue precise finalità politiche – ob. creare uomini e donne «fascisti»!  1923 riforma Gentileob. costruire un sistema educativo gerarchico ed elitario (al vertice liceo classico e materie umanistiche)  Negli anni 30' viene creato un complesso sistema educativo «fascista», dove la scuola è affiancata da organizzazioni giovanili (es. Opera nazionale Balilla) che si occupano della preparazione sportiva e paramilitare, della ricreazione e di competizioni culturali  …la riforma Gentile viene superata pian piano dal governo Bottai – ministro dell’educazione dal 1936-43, che s’impegna per valorizzare gli insegnamenti tecnici e per creare uno strato intermedio più specializzato (a causa dei pochi mezzi economici a disposizione e della guerra, questo progetto non si realizzò mai a pieno) A proposito di ISTRUZIONE i dati ci dicono che l’educazione elementare è ormai assicurata per tutti …tuttavia il proseguimento degli studi è ancora influenzato dal liv. sociale della famiglia: nella maggior parte dei casi il nostro piccolo scolaro si limita a pochi anni di studio e si avvia al lavoro, partecipando però alle numerose organizzazioni parascolastiche fasciste a seconda dell’età (es. Figli della lupa, Balilla, Avanguardisti o Gruppi universitari fascisti) Infatti, solo chi appartiene all’élite può permettersi di frequentare il Liceo classico e poi l’università Altrimenti dovrà scegliere una scuola di liv. inferiore, es. liceo scientifico o l’istituto magistrale Fatto sta che gli iscritti alla scuola secondaria raddoppiano in pochi anni, raggiungendo nel 1936 l’8% della popolazione d’età corrispondente Se invece è una scolaretta, la pox di procedere a lungo negli studi è molto minore (anche per le pressioni sociali e familiari) Inoltre ha spesso di fronte un percorso diverso: può ambire a frequentare il «liceo femminile», più raramente le università …e anche le sue organizzazioni di appartenenza sono differenti (Piccole italiane, Giovani italiane, Giovani fasciste) Tuttavia nel lungo periodo la scolarizzazione femminile cresce rapidamente (come richiesto dall’industria e dal crescente settore terziario) – anche se il regime pone restrizioni a varie professioni dirigenziali e all’impiego di manodopera femminile In generale le scuole offrono una preparazione più diffusa e completa, ma propongono un’educazione politicizzata («fascista»!) che sottolinea le divisioni di classe e di genere. Ce lo aspettavamo! In fondo l’uso dell’istruzione come leva per trasformare la società (in part. i giovani) e per creare un «uomo nuovo», plasmato completamente dal regime, è tipica dei totalitarismi. È vero che il regime fascista stimolò prnc la spesa militare, ma LE SPESE PER L’ASSISTENZA E PER LA PREVIDENZA SUPERARONO QUELLE PER L’ISTRUZIONE! …pare che dietro ci sia una scelta politica: l’ob. di indirizzare in primis alle donne, ai lavoratori dell’industria e i dipendenti pubblici. Il tutto all’interno di una politica di allargamento del ventaglio salariale a favore dei dirigenti, per integrarli nel regime!  ASSISTENZA Durante il fascismo all’interno della struttura sanitaria agiscono casse mutue private, aziendali, di categoria (es. Cassa edile dei muratori) Risultato? un’assistenza disomogenea e parcellizzata, che copre i 2/3 dei cittadini. La preoccupazione per l’integrità della stirpe spinge ad assicurare obbligatoriamente solo alcune categorie di lavoratori e, solo negli ultimissimi anni (1943), ad ampliare la provvidenza contro le malattie attraverso un istituto centralizzato: l’Infam Inoltre si provvede al riordino dei servizi sanitari negli ospedali e per tutto il regime si conducono campagne per debellare malattie come la tubercolosi e la malaria, con buoni risultati.  …parallelamente cresce la previdenza PREVIDENZA alcune importanti riforme sono approntate in realtà in epoca pre-fascista, durante e dopo la guerra per mitigare la grave crisi sociale: 1. Si estende l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni ai lavoratori agrari 2. Nel 1919 obbligatorie per tutti i dipendenti: l’assicurazione per l’invalidità e per la vecchiaia, insieme ad una prima tutela contro la disoccupazione …la stessa Ond aveva come membri i dopolavoro aziendali e provinciali, creati dai sindacati fascisti su impulso di Mario Giani, un tecnico che lavorava alla Westinghouse italiana con il regime accade qualcosa di nuovo: tutte queste attività vengono portate dentro lo Stato (vengono di fatto inglobate dentro un ente parastatale affidato direttamente dal partito fascista perché ne faccia uno strumento di organizzazione del consenso In questo modo si sarebbero controllati gli iscritti Nasce così il TEMPO LIBERO DI STATO Ob. di queste manovre non era solo di controllare e irreggimentare meglio le masse. In realtà esse rivelano un cambiamento epocale: i consumi relativi al tempo libero sono diventati così importanti da meritare l’attenzione delle autorità (non sono superflui o riservati all’élite – come era nell’Italia liberale) Gli studiosi Kern e Corbin hanno dim. che ogni epoca e cultura ha una specifica concezione del tempo. Dall’800 in poi il tempo diventa: - più strutturato separiamo rigidamente i tempi dedicati alle diverse attività (es. il tempo del lavoro/tempo del riposo non si sovrappongono più) - più misurabile possediamo strumenti più raffinati per la misurazione es. grazie agli orologi meccanici dalla fine dell’800 si contano anche i minuti - accelerato i trasporti moderni hanno modificato la nostra concezione del rapporto tra lo spazio/tempo - interiorizzatoorganizziamo la nostra vita intorno a molti segnali temporali (sveglie, sirene in fabbrica ecc.) Persino le classi sociali hanno una loro particolare visione del tempo: - indifferenziato per l’aristocrazia - basato sui ritmi cosmici e naturali per i contadini - «calcolato» per la borghesia ed è proprio questo che è prevalso… È il tempo che mette a frutto ogni minuto e che condanna lo spreco (il tempo è denaro!) Se il tempo contemporaneo è così prezioso e misurabile, non sorprende che una delle battaglie operaie e sindacali più lunghe sia stata quella per la riduzione dell’orario legale di lavoro (passato da 15/12 ore al giorno alle attuali 8) e per la conquista delle ferie e del sabato «inglese» – non a caso introdotto dal regime come «sabato fascista» Ma, dato che in questo modo i lavoratori acquisiscono più tempo per se stessi, cosa se ne fanno di tutto questo tempo libero? Corbin ts.  l’Occidente ha ereditato 2 diverse tradizioni: 1. l’otium: il tempo libero individuale, tipico delle élite 2. la ri-creazione: il tempo per le attività collettive, tipico della forza lavoro. Agli occhi delle classi dirigenti novecentesche l’ozio non era certo indicato per le classi popolari; inoltre si era convinti della necessità di «impiegare utilmente» il tempo del riposo, anche seguendo le suggestioni provenienti dagli Stati Uniti. Ecco allora che il tempo della ri-creazione, il tempo dedicato allo svago e alla cultura (che oltretutto potevano avere un’importante ricaduta economica!) diventa un’attività socialmente apprezzabile. Il gioco è fatto: I CONSUMI CULTURALI RICREATIVI HANNO PRESO IL LORO POSTO ACCANTO AI CONSUMI DI BASE TRADIZIONALI. Il fascismo non fa che concretare tutto questo, aggiungendovi di suo la connotazione politica. I risvolti economici e di controllo sociale sono evidenti, ma ciò che più importa notare è come questo nuovo disegno politico abbia legittimato tutte le attività connesse al tempo libero, aprendo la via ad una loro inserzione nell’ideale di vita a cui aspirare. Non sorprende che le attività dopolavoro siano state, tra quelle proposte dal regime, le più popolari! Es. si consideri l’azione del regime nel settore teatrale il teatro è un tipico es. di consumo culturale riservato alle classi alte  Il regime comincia negli anni 20' sciogliendo tutte le associazioni musicali e di prosa ritenute d’ispirazione politica e fa confluire le restanti nell’Ond  Parallelamente vengono istituti nel 1929 i Carri di Tespi: teatri mobili da spostare in continuazione per presentare spettacoli nelle aree rurali prive di sale Le rappresentazioni NON erano di tipo propagandistico. Anzi, ad essere messi in scena erano i grandi successi del teatro italiano contemporaneo e famose opere liriche Molti ritengono che sia una delle iniziative più fortunate del regime in campo culturale, riscosse un enorme successo! …e il fatto di non presentare opere propagandistiche NON ne limitava il valore politico: ovunque parve come un dono del Regime!  Nel 1936 il ministro per la Stampa e la Propaganda istituisce a sua volta spettacoli teatrali nell’ambito del sabato fascista, riservati a operai, dipendenti subalterni, venditori ambulanti e impiegati con stipendi mensili inferiori a 800 lire: è un successone!  Dal 1937 tutte le attività sono riorganizzate nell’Estate Musicale Italiana, gestita dal ministero della Cultura Popolare, unitamente al partito, a province e comuni, e all’Ond. I numeri sono anche qui molto alti, ma il pubblico è più eterogeneo. Certe fasce sociali «protette» (lavoratori, rurali, giovani) godono di forti agevolazioni nel prezzo e nella distribuzione dei biglietti.  Negli stessi anni prendono il via anche i concerti di fabbrica – organizzati direttamente nei grandi impianti operai del nord, nei porti e nelle miniere. IL REGIME PORTA DUNQUE IL TEATRO, TIPICO CONSUMO D’ÉLITE, A FASCE PIÙ AMPIE DI POPOLAZIONE NELL’AMBITO DI UN PROGRAMMA DI INTEGRAZIONE NAZIONALE (si torna quindi alla creazione di uno spazio nazionale dei consumi …non a caso l’unica prerogativa richiesta per la rappresentazione delle opere era l’italianità) Un discorso simile può essere fatto anche per lo SPORT (che ha un significato non solo di classe, ma anche di genere) La società italiana dell’epoca vede il nascere di una timida politica di educazione sportiva femminile; delle prime manifestazioni pubbliche di ginnaste. Pensiamo all’impatto che può aver avuto la partecipazione di atlete italiane alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Giunti sin qui molti studiosi si sono posti la seguente domanda: questo sforzo di allargare i consumi culturali quanto è servito a rafforzare il regime? O meglio, quanto il regime ha legittimato socialmente questi consumi? Stando a quanto ci dicono le cifre MOLTO (considerato che la partecipazione resta sempre volontaria, anche se fortemente consigliata) Il regime diffonde in tal modo la fruizione di consumi «alti» come il teatro e popolarizza generi come lo sport, il cinema e la radio (novità di quegli anni!) Questo NON significa che l’adesione sia totale ed omogenea da parte delle diverse classi sociali, che possono aver interpretato queste nuove esperienze alla luce di una loro cultura specifica. Ognuno può aver preso quello che voleva. Ma che cosa voleva? Gli studiosi dei sistemi organizzati ci dicono che l’adesione volontaria a un’organizzazione / associazione dipende prnc da 2 fattori: - INCENTIVI SELETTIVI (MATERIALI es. la possibilità di usufruire di beni e servizi altrimenti fuori dalla portata economica delle classi medio-basse; per qualcuno anche il raggiungimento di posizioni di potere e di status) - INCENTIVI COLLETTIVI (che possono consistere per es. nel sentirsi parte di un gruppo, nella solidarietà, nel riconoscersi in una specifica identità – come l’italianità – e spesso nell’accettare i presupposti ideologici dell’organizzazione) Si può quindi dire che ci sia stata una fruizione su più livelli Una cosa è certa: l’opera del regime, diffondendo dall’alto questi consumi, contribuì a dar loro una forte patina di legittimazione sociale, contribuì a farli ritenere parte di quel «pacchetto» di beni e servizi cui ogni cittadino aveva diritto. Il punto semmai era un altro: questo allargamento dei consumi passava solo attraverso l’azione dall’alto (le forme collettive ed organizzative proposte dal regime) o vi erano altre modalità? Il dubbio era legittimo perché anche solo all’interno del «sistema dei media», creatosi sotto il regime fascista, un consumatore dell’epoca avrebbe potuto osservare modelli concorrenti. 1. Se si sfogliano le riviste illustrate o si guardano i cinegiornali Luce, si resta colpiti alla costante presenza della nobiltà quale modello di rif. riguardo ai consumi Nelle serate mondane, ai concorsi ippici, alle prime del cinema ecc. …insomma, gli esponenti dell’aristocrazia (ovviamente oltre a quelli del partito!) sono sempre in prima fila S.A.R. il principe di Piemonte Umberto spicca in molte occasioni... …e accanto a lui c’è sempre la bella Maria José. Ma non presenziano solo i nobili di antiche origini, anche la contessa Edda Ciano Mussolini è una presenza costante. È il modello dell’ARISTOCRAZIA INIMITABILE che si propone come guida: vestiti esclusivi, gioielli, pellicce, eventi mondani, macchine di lusso ecc. È un modello molto presente nell’Italia fascista. + NON vediamo le scarpe – nascoste sotto ghette e galosce (per il freddo e perché il cuoio «autarchico» non è di grande qualità)  i capi devono durare e in genere sono fatti dai sarti / gli abiti confezionati sono solo il 20% del totale e spesso non sono di buona qualità e costano cari  la camiceria è il primo comparto ad industrializzarsi le camicie sono di produzione industriale, vengono vendute con i ricambi per colletto e polsini, proprio perché gli abiti devono durare Importanti camicerie sorgono a Milano e a Torino, anche se le camicerie più famose sono quelle inglesi Le taglie vere e proprie si svilupperanno solo dopo, per la necessità delle uniformi militari.  industriale è anche l’impermeabile o trench – a ricordo della sua origine nelle trincee della Prima guerra mondiale 2. la CAMERIERA Si riconosce subito per l’aspetto dimesso e campagnolo: indossa un camice azzurro e tacchi bassi Esce per accompagnare a scuola i due BAMBINI (grembiule nero per tutti e due, lui con un grande colletto bianco e il fiocco azzurro/ lei con il fiocco rosa + da sotto il grembiule spuntano i calzoni corti, come si usa fino all’adolescenza) Corrono, sono in ritardo… E certo bisogna andare a piedi a scuola! !!! i figli sono solo due nonostante tutte le campagne del regime, l’andamento demografico nazionale è decrescente 3. …dobbiamo aspettare ancora un po' perché esca la MOGLIE È molto elegante: porta un vestito a fiori aderente e un lungo cappotto scuro con un piccolo collo di pelliccia + un cappellino in tinta unita, piccolo e indossato quasi di sbieco è un segno di classe: le popolane non portano nulla o mettono un fazzoletto annodato + calze velate con la cucitura centrale dietro (magari della milanese Santagostino, la più grande fabbrica dell’epoca!)  i suoi abiti sono opera di una delle molte sarte locali o il prodotto su misura di una casa di moda (il primo asse attento alla qualità sartoriale si forma intorno a Roma e a Firenze; mentre per le produzioni in serie spicca l’asse Milano-Torino) …ma siamo solo agli albori di quello che sarà il sistema della moda italiana.  calze e vestito ci ricordano l’evoluzione dei tessuti che avviene negli anni 30', con l’introduzione delle fibre artificiali L’eccezionale sviluppo di imprese come la Snia-Viscosa (dietro la quale c’è Riccardo Gualino) o la Soie de Chatillon (nata su impulso di Leopoldo Parodi Delfino), porta il settore al secondo posto a liv. mondiale, producendo rayon, fiocco, lanital e altri prodotti che danno un forte impulso al tessile e alle confezioni. Questo consentì di produrre capi di buona qualità ad un prezzo contenuto, anche in regime di autarchia  la nostra signora segue la modanel gusto e nei materiali – cosa che il regime non disdegna affatto, purché sia la moda italiana!  legge qualche rivista per essere aggiornata (es. «la Donna» di Mondadori o «Lei» di Rizzoli; o, se è molto sofisticata, «Lidel» di Lydia De Liguoro) Entriamo in casa Notiamo grande pulizia e ordine, un gran senso del decoro fra le due guerre l’industria chimica fa passi da gigante e offre nuovi prodotti di consumo per la pulizia della casa e della biancheria In Italia il leader del settore è la Mira Lanza – specializzata in candele e saponi Sono ancora poco noti i colossi esteri: - l’americana Procter & Gamble - la tedesca Henkel - l’inglese Lever E non mancano altri prodotti: vanno di gran moda le bibite rinfrescanti (come l’aranciata frizzante lanciata dalla San Pellegrino) e l’acqua frizzante (es. l’ «acqua di Vichy») Ed eccoci in cucina notiamo subito che si tratta della CUCINA ECONOMICA: - sull’ampio ripiano ci sono i fornelli (su uno dei quali c’è sempre un recipiente per l’acqua calda) - sotto un ampio forno a carbone o a legna la forma è squadrata e moderna, l’uso è semplice e serve a scaldare la cucina (molto meglio del vecchio fornellino L’inconveniente è l’alto costo: sulle 1000 lire! (molto più di un medio stipendio da impiegato. Solo un dirigente può sperare di giungere a 15-20'000 lire lorde annue.. per tutti gli altri le cifre si aggirano intorno ai 10-15'000 lire) - sul lato notiamo una vecchia e pesante stufa da riscaldamento, ma vicino a questa c’è una nuova stufetta elettrica (viene accesa poco, dato l’alto costo dell’elettricità) - ci sono molti altri strumenti elettrici (es. bollitore) - il lampadario diffonde una tenue luce sia sull’ampia tavola sia su pavimento - …in questa casa ci sono poi molti servizi moderni:  acqua corrente  elettricità  gas ! questi beni e servizi, che riteniamo parte integrante degli standard di vita attuali, appartengono alla categoria dei «MONOPOLI NATURALI» (il dibattito sui monopoli era iniziato a fine 800') sono settori in cui un solo operatore lavora in maniera più efficiente e riguardano forniture basilari per la comunità (che sono sottoposte ad uno speciale regime di prezzi e regole) Negli Stati Uniti si è preferito affidarli a privati, imponendo una regolamentazione molto rigida / in Europa, invece, si è consegnata la gestione a imprese pubbliche e parastatali In Italia i grandi protagonisti sono gli enti locali  in epoca giolittiana, dopo un’importante legge del 1903, si assiste alla diffusione di aziende municipalizzate (= gestite direttamente da enti pubblici, locali) che si occupano di energia elettrica (il settore più lucroso), gas, acqua e trasporti urbani (il settore più in perdita) In alcune grandi città i servizi così assicurati sono fondamentali per l’opera di urbanizzazione il fascismo manterrà queste istituzioni, ma SENZA INCREMENTARLE (colpa è la diffidenza politica nutrita verso imprese spesso nate su ispirazione socialista + a causa della politica accentratrice dello Stato) ! eccezione alla gestione pubblica è il caso della Edison: essa forniva l’elettricità e negli anni 30' acquisì anche la fornitura del gas a Milano + fece costruire in un quartiere operaio a nord della città, la Bovisa, enormi gasometri (e questo cambiò il paesaggio urbano) L’immagine della nuova periferia urbana ha come protagonisti gli edifici industriali, le ciminiere, i gasometri, operai in bicicletta ecc. La cucina è uno spazio femminile, dedicato ai lavori della casalinga Dopo la massiccia mobilitazione di manodopera femminile avvenuta con la Prima guerra mondiale, con il fascismo si assiste ad un ritorno a casa che interessa i ceti borghesi e le aristocrazie operaie. Il fascismo rafforza il trend verso l’abbandono del lavoro dopo il matrimonio o dopo il primo figlio (si torna alla vecchia “donna di casa”!) Dunque nella cucina tornano le tradizionali attività legate all’autoconsumo, alla cura del cibo e del vestiario. In un angolo si vedono: - la macchina da cucire Singer nonostante costi sulle 1000 lire, è un attrezzo importantissimo per l’economia di casa: permette di realizzare semplici capi, di cucire e rattoppare e rammendare un po' di tutto! …cosa molto importante in un periodo che valorizza al max il risparmio La macchina da cucire rappr. la versione meccanicizzata di un’antica cultura femminile. - il ferro da stiro elettrico …è uno dei primi e costa molto Nella dispensa troviamo la pasta per fortuna i proclami di Marinetti per la creazione di una Cucina futurista che mettesse al bando la pastasciutta non ebbero un’eco pratica. Le provocazioni degli intellettuali funzionano meglio nei salotti che nelle cucine. L’auto resta perciò un consumo di lusso nel 1938 in Italia si contano circa 7 auto ogni 100 abitanti (neppure raddoppiate in un decennio!) Gli automobilisti sono quasi tutti uomini e tutti residenti in grandi città come Milano, Roma e Torino. Eppure il regime spinge per la motorizzazione di massa e favorisce il miglioramento dei collegamenti stradali 1924  inaugurazione del tronco iniziale della Milano-Laghi, la prima autostrada d’Europa, costruita da Piero Puricelli Un’opera che, secondo la propaganda fascista, rinverdisce il genio costruttore italico! A ciò si aggiungono il notevole sforzo pubblicitario (di automobili e autostrade si trovano originali pubblicità su «L’illustrazione italiana»; le più famose pubblicità di lubrificanti e carburanti sono quelle della società italo-americana Esso) …e la risonanza su radio e giornali delle gare sportive e dei raid automobilistici. (è interessante notare la trasposizione dello sport da uno spazio reale a uno spazio «mitico» come lo def. Georges Vigarello: la passione popolare si scatena più intorno ad eventi mediatici, in grado di accomunare vaste folle disperse nello spazio, che sullo sport effettivamente praticato. E questo vale anche per gli sport alla portata di tutti, come il calcio / il pugilato / il ciclismo) Eppure per l’italiano medio è tutto un sogno. Come è anche un sogno usufruire di altre reclamizzate forme di trasporto, come i PIROSCAFI. Le cronache mondane del periodo sono piene di immagini di grandi navi che assomigliano ad alberghi di lusso (non di imbarcazioni di emigrati e poveri viaggiatori transatlantici) Durante le crociere – tour organizzati di qualche settimana – si svolge la frenetica “vita di società” (cene, feste, balli ecc.) la crociera sui piroscafi di lusso diviene uno dei punti più alti ed esclusivi della mondanità. A tutti gli altri non rimane che «partecipare» a queste esperienze tramite una visione esterna Ancora più selettiva è la clientela dei TRASPORTI AEREI, nonostante il volo rappresenti l’altra grande passione del tempo. Le imprese di Italo Balbo e Francesco de Pinedo, le trasvolate atlantiche e i tanti modelli proposti dalle industrie nazionali alimentano un mito, ma non un mercato. Nel 1938 i passeggeri delle linee aree in Italia sono circa 100'000. Gli sforzi del regime si concentrano sull’aviazione militare, più che su quella civile. I TRENI, con oltre 157 milioni di passeggeri nel 1938, sono il mezzo più utilizzato! …sia per lavoro / sia per gli spostamenti privati, comprese le prime vacanze delle classi medie. Sulla scia delle mode aristocratiche e alto-borghesi, anche i ceti medi scoprono il fascino della natura incontaminata, ben rappresentato dalla moda delle gite in montagna (elem. di rigenerazione fisica e morale); dei bagni termali e marittimi in località sempre più attrezzate, sul modello della cittadina inglese di Bath (famosa per le sue terme romane) e quella belga di Spa, che divenne addirittura sinonimo di stazione termale. Ma anche da questo è esclusa la classe operaia, che potrà solo approfittare di iniziative del regime come quella dei treni popolari (convogli di terza classe scontati dell’80%) per scoprire i benefici del soggiorni marittimi, del sole e dello sport – così come il fascismo afferma nelle sue campagne salutistiche. l’iniziativa dei treni popolari, che prese avvio nel 1931, ebbe un grande successo: treni speciali, organizzati nei giorni festivi, trasportavano migliaia di persone in località turistiche diverse. I biglietti si vendevano dal lunedì e la gita avveniva in giornata (dalle 5-7 del mattino a mezzanotte) La BICICLETTA è il mezzo di trasporto per tutti (contadini, operai, impiegati), è la “migliore” tecnologia acquistabile ce ne sono in giro di tutti i tipi e di tutti i colori: nel 1933 ne circolano già 3,5 milioni! …dalle dispendiose biciclette «inglesi», a quelle più industriali (es. le biciclette di Edoardo Bianchi o della Stucchi –che fabbrica anche motociclette) Non mancano poi le realizzazioni artigianali, aggiustate molte volte per farle durare il più possibile. Ad ogni angolo si trovano negozi con pezzi di ricambio. 2.3 MAGAZZINI POPOLARI Rispetto alla struttura commerciale non ci sono grandi rotture con il periodo precedente: il num. degli addetti al commercio al minuto è aumentato e i 2/3 sono attivi nel campo alimentare. Il che indica: - …che ci sono ancora molti piccoli negozi (in media con due addetti) - …che l’alimentare resta il settore preponderante Quella dei consumi non è però una categoria omogenea, si può infatti delineare una vera e propria GERARCHIA DEL LUSSO, le cui cifre disegnano un triangolo:  Al vertice ci stanno i consumi delle classi agiate (che garantiscono buoni guadagni ai negozi): - alberghi - generi pregiati come i tessuti, lingerie e mercerie, valigie e pellicce; - costosi generi coloniali (che ci fanno pensare ai viaggi) - spese di lusso per abiti e casa  Al centro ci stanno: - caffè e bar per la vita sociale - ferramenta e tarraglie per un modesto arredo casalingo - poche spese per l’istruzione  Alla base ci stanno i consumi di prima necessità, sopr. alimentari …si va al massimo in trattoria! Notiamo subito che nonostante i negozi alimentari siano i più diffusi, essi sono anche i più poveri (a causa della scarsa rendita dell’attività) nel 1930 hanno in media una rendita lorda di 12'000 lire annue Peggio di tutti stanno le rivendite di frutta e verdura (solo 6'500 lire) A liv. intermedio ci stanno i pubblici esercizi, ma con grandi differenze: - molto in su gli alberghi (quasi 40'000 lire annue!) - seguono pasticcerie / bar / caffè - da ultimo le trattorie (solo 10'000 lire) I negozi non alimentari sono i più ricchi: al vertice troviamo i negozi di tessuti (40'000 lire) / alla base cartolerie, librerie e negozi di materiale elettrico (14'000 lire) I luoghi di consumo sono quindi specchio fedele della società. Questa fitta struttura commerciale si spiega anche con le dinamiche demografiche (sopr. con la densità di popolazione sul territorio) Ma i GRANDI MAGAZZINI di inizio sec. che tanto avevano colpito l’immaginazione che fine hanno fatto? Non c’è stata espansione. Nel 1938 essi rappresentano solo lo 0,8% delle vendite (1/7 rispetto alla Gran Bretagna!) …e le cose non vanno meglio per le poche catene di negozi specializzati nella penisola, in genere rivendite di affermate imprese industriali o librerie. Alle imprese commerciali si aggiungono poi molte realtà locali e cittadine, oltre alla presenza di cooperative e spacci aziendali. La prnc causa di questo ristagno risiede nel basso potere d’acquisto dei consumatori, accentuato dalle crisi economiche ricorrenti e dalla politica di contenimento salariale attuata dal regime. In più il fascismo intraprende presto una politica di controllo sugli ambienti economici: - Legge del 1926 per aprire un negozio occorre possedere una licenza che è rilasciata dal comune in base ad una valutazione sulla sua effettiva necessità, considerati gli aspetti urbani e demografici, la presenza di altri negozi simili e di mercati rionali. - Pochi anni dopo viene emanata una legge simile anche per le fabbriche ma, data l’opposizione di Confindustria, non avrà lo stesso impatto e sarà poi sospesa con la guerra Le difficoltà degli anni 30' fanno sì che la nuova legge serva ben poco a razionalizzare una crescita che non si verifica; piuttosto la norma diviene uno strumento per legare politicamente la caotica platea dei commercianti. Questi, da parte loro, “subiscono” il nuovo ordinamento perché sono preoccupati per una novità: i MAGAZZINI A PREZZO UNICO o «magazzini per tutti». La più antica foto dei nuovi empori è quella che ritrae l’ingresso del primo magazzino Upim l’iniziativa è di Senatore Borletti, che nel 1928, dopo aver rilevato dai fratelli Bocconi la Rinascente, crea una seconda catena di distribuzione: la Upim (Unico Prezzo Italiano di Milano). L’imprenditore aveva trasformato la Rinascente in un grande e sfarzoso magazzino, rivolto ad una fascia prevalentemente alta della clientela, che cercava non solo abiti confezionati, ma anche prodotti di pregio. Ora, con l’ob. di non perdere la fascia medio-bassa della clientela (che rappr. tra l’altro la maggioranza della popolazione), crea questa catena parallela: quello della Upim è un magazzino molto più semplice, diverso dallo sfarzo esibito nella Rinascente. Forse è proprio per via del loro aspetto modesto e del loro rientrare nella «normalità» del paesaggio urbano che non abbiamo molte testimonianze iconografiche delle origini di questi nuovi magazzini. Comunque, sappiamo che la prima Upim offre ai suoi clienti 4'000 articoli a prezzo fisso (cioè a 2,3 o 4 lire) – ricalcando una formula inventata dall’imprenditore americano Frank W. Woolworth nel 1879 e ampiamente diffusasi in Europa tra le due guerre, complice la crisi economica La formula era: “Five-and-Dimes” (negozi da 5 o 10 centesimi) I due marchi sono perciò ben distinti. La Upim consente ai consumatori colpiti dalla crisi e dalla compressione salariale di costruirsi un variegato paniere di consumi, di minor qualità e prezzo, ma ugualmente rispondente ad uno schema di consumi (ad uno standard di vita) «occidentale». Infatti: si rivolge ad una clientela popolare piccolo-borghese, pur non rinunciando del tutto ad una patina di status sociale (i suoi manifesti vengono realizzati dal pubblicitario Marcello Dudovich e rimandano a un’idea di moda pratica, cura del corpo femminile, viaggi – magari in treno) ha arredi interni funzionali Persino i danni materiali si rivelano un incentivo positivo non a caso i paesi che registrano le migliori performance economiche sono quelli usciti sconfitti e più danneggiati dalla guerra: Giappone, Germania e Italia Italia e Germania registrano una crescita media del 5% - ben al di sopra della crescita media europea (se nel 1950 il reddito pro-capite di un italiano è pesantemente sotto la media europea, nel 1973 l’Italia ha triplicato il suo reddito pro-capite ed è vicina alla media europea e alle nazioni prnc) 4. Come era avvenuto a fine 800, anche ora un elemento che innesca profondi cambiamenti nei consumi è l’aspetto demografico: LA GENERAZIONE DEL DOPOGUERRA DÀ VITA AL baby boom uno sconvolgimento demografico che porta un rapido aumento della popolazione e sopr. ad una crescita delle classi d’età più giovani, bambini e ragazzi. Massimo Livi Bacci: siamo di fronte ad una nuova fase nell’andamento demografico novecentesco se con la Seconda guerra mondiale si chiude un primo periodo, caratterizzato - dall’alta mortalità, seguita al primo conflitto - dalla fine delle grandi emigrazioni transoceaniche - dall’isolamento demografico Questa seconda fase vede invece un INCREMENTO DEMOGRAFICO (complice la crescita economica dei paesi occidentali e la ripresa delle migrazioni interne e internazionali, sopr. intereuropee) È un periodo che si chiuderà agli inizi degli anni 70', con una nuova stagnazione demografica. Questo consente un significativo incremento della speranza di vita (altro indicatore dei migliorati standard di vita): nel 1970in Italia si vive fino a 72 anni (più che in Germani e in Gran Bretagna) - mentre per tutto il sec. la speranza di vita in Italia era stata decisamente più bassa, rispecchiando fedelmente il divario nelle condizioni socio-economiche. ! il miglioramento è più marcato per le donne che per gli uomini Altro importante fenomeno demografico è la RIPRESA DEI FLUSSI MIGRATORI certo, non si tratta più delle imponenti migrazioni di inizio sec. Ora ci si sposta prnc DAL SUD AL NORD: dall’Europa meridionale a quella settentrionale (Germania in testa) …e anche in paesi con una frattura economica interna (come Italia e Spagna), ci si sposta dalle regioni più povere a quelle più industrializzate. L’emigrazione è indotta dal boom industriale: in Italia 1,7 milioni di persone lasceranno le campagne per cercare occupazione nelle fabbriche o nel piccolo commercio L’ATTIVITÀ AGRICOLA PRECIPITA NEL GIRO DI UNA GENERAZIONE Tutto ciò comporta un mutamento nel profilo demografico dell’italiano medio, che ha un’immediata ricaduta sui consumi: la presenza di giovani e di nuove coppie che si sposano, hanno figli e creano una famiglia nucleare e che vivono in luoghi geografici lontani dalla famiglia originaria e si sposano con facilità, dà vita ad una FORTE DOMANDA DI BENI DI CONSUMO. Si sono così create le premesse sociali per un mutamento nella struttura dei consumi. 5. legato ai fattori economico-sociali c’è il CAMBIAMENTO CULTURALE: - migliaia di persone avevano abbandonato il consueto orizzonte rurale per venire a contatto con inusuali spazi geografici e una cultura urbana molto differente. - all’interno della famiglia iniziavano a ridefinirsi i ruoli, in base al genere e all’età; - l’improvvisa affluenza rimescolava gli antichi confini di classe e di status; - le tradizionali istituzioni erano sempre meno fonte di legittimazione e di rif. a confronto dei nuovi mass media; - strani ogg. di consumo apparivano ogni giorno e il significato del loro uso era mutevole. …ma quello che dava più fastidio era che, dopo i duri anni della ricostruzione all’insegna del risparmio, si era diffusa una sorta di febbre, per cui tutti ora erano convinti che la loro condizione potesse migliorare, che potevano avere un’esistenza più prospera, una vita piena di «cose» Era un sogno che veniva dall’America …era come in un racconto di Moravia: in America, come si legge sulle riviste, la felicità è accessibile a tutti! Nelle vetrine ogni felicità ha il suo cartellino con il prezzo scritto in elegante corsivo. Dopo anni che ci dicono che in Italia non c’è la felicità, ecco che tutto a un tratto aprono addirittura un negozio dove non si vende altro! Nell’Italia del miracolo economico era venuta l’ora di comprare la felicità Magari per via della diffusione di un modello di benessere individualistico, dove il consumo privato è il vero segno del successo e dell’integrazione sociale (come avveniva, appunto, in America); o magari perché già il fascismo aveva posto le premesse culturali per il consumo di massa (ma non aveva avuto abbastanza mezzi perché questo si potesse realizzare) …cosa comprano gli italiani? Si può parlare di miracolo rispetto ai consumi? SI! Basti pensare che i consumi privati pro capite, che avevano impiegato dal 1890 al 1956 per raddoppiare, impiegano solo altri 14 anni per raddoppiare di nuovo! In termini complessivi, la spesa per i consumi era di oltre 10'000 miliardi nel 1950 e sfiora i 30'000 nel 1970: UN SALTO ENORME, CHE CONSENTE AI CONSUMI DI CRESCERE A RITMI RECORD! (pur restando al di sotto di quelli di reddito nazionale lordo e investimenti fatto che riduce la propensione al consumo e favorisce l’accumulazione e lo sviluppo) E tutto ciò sullo sfondo di prezzi stabili e di aumenti nella produttività, che consentono un incremento nel potere di acquisto dei consumatori e nei profitti industriali. All’interno di questa crescita dei consumi assistiamo però ad uno sconvolgimento: LA TRIADE DEI CONSUMI DI BASE APPARE FORTEMENTE RIDIMENSIONATA. IN FORTE CALO GLI ALIMENTARI ! per la prima volta le spese alimentari non assorbono più la gran parte delle risorse disponibili e scendono ben al di sotto della metà (nel 1970 sono circa il 40% del totale) Il consumatore medio del 1970 può finalmente godere di un’alimentazione ricca e variegata: lascia da parte i miseri ingredienti del passato, ma non per questo rinuncia ad alcuni alimenti che caratterizzano la trad. culinaria italiana (es. consuma ancora moltissimo frumento e pomodori) La dieta cambia profondamente, infatti: - diminuisce la consumazione di alimenti «poveri»: riso e legumi secchi cedono il posto ad alim. freschi / il lardo e lo strutto al burro e all’olio ecc. - ed esplode il consumo di alimentari «ricchi» (prima troppo costosi e riservati all’elite) il nuovo consumatore si butta decisamente sulla CARNE! - rispetto agli anni 30ʹ raddoppiano tutti i prodotti caseari (latte e formaggio) e le uova - cresce il consumo di vino e di birra - salgono 3 prodotti simbolo: 1. carne bovina 2. zucchero 3. caffè Il consumatore di questi anni ha poi scoperto la passione dei condimenti, tanto da usare abbondantemente OLIO (sia d’oliva che di semi) e BURRO. Il tutto sempre accompagnato da un buon VINO (che resta la bevanda nazionale) …e ha dato sfogo alla sua passione per il CAFFÈ e i DOLCI: si arriva a 3 chili di caffè all’anno (nel fascismo non si raggiungeva nemmeno il chilo / a inizio sec. circa mezzo chilo) e lo zucchero viene consumato 4 volte più che durante il regime e ben 10 volte più che nel primo 900! Insomma si tratta di un consumatore che apprezza una dieta ricca e variata, con molti alimenti dolci e calorici e con un alto consumo di prodotti freschi. una vera e propria trasposizione alimentare dell’abbondanza e dello sfrenato ottimismo degli anni del miracolo economico Ma cosa fa il nostro consumatore dei soldi restanti? - RESTANO STABILI LE SPESE PER IL VESTIARIO E LE CALZATURE + PER LA CASA (si aggirano intorno al 10%) - in CRESCITA le spese per GLI ALTRI CONSUMI: trasporti e comunicazioni / beni durevoli / spese per l’igiene e la salute / altri beni e servizi …che arrivano a coprire il 35% del reddito a disposizione! si assiste quindi ad uno spostamento nelle scelte e alla progressiva sostituzione di quote tradizionalmente spese nell’alimentare per la motorizzazione privata, per i beni durevoli (arredamento e primi elettrodomestici), per la cura e la bellezza del corpo e per l’acquisto di servizi. La prnc novità in questo quadro è la presenza di BENI DUREVOLI nelle famiglie un’indagine della Banca d’Italia del 1966 sulla presenza dei beni durevoli nelle famiglie disegna una precisa gerarchia: 1. Il 60% delle famiglie possiede frigorifero e TV 2. Il 30% lavatrice e automobile 3. Il 15% aspirapolvere e motocicletta 4. Solo l’1% la lavastoviglie (queste tendenze sono confermate da precedenti indagini, come quella della Doxa nel 1958, che rileva come la prima diffusione di frigorifero, lavatrice e TV in Italia dipenda da 3 elem. Nell’ordine: - classe sociale - grandezza dei Comuni - ripartizione geografica) Tuttavia le scelte non sono omogenee se si cfr le diverse classi di REDDITO:  le famiglie più povere privilegiano la TV rispetto al frigorifero, mentre i benestanti il contrario …in percentuale entrambi spendono quote spropositate di reddito per l’acquisto di questi due beni (succederà lo stesso molti anni dopo con i primi arrivi di extra-comunitari, percepiti indistintamente come nordafricani o marocchini) Quale che sia la loro provenienza e cultura, gli immigrati sperimentano importanti cambiamenti. Innanzitutto la MOBILITÀ in primis la mobilità geografica, che li immette in una realtà diversa. Non si tratta di un totale salto nel buio. Esiste infatti una rete solidale di amici e parenti, già migrati prima, che si attiva per trovar loro una prima sistemazione e un primo lavoro saltuario Trovare una buona occupazione in una grande fabbrica non è così semplice e i lavoretti commerciali o nell’edilizia, sopr. se in nero, sono più alla portata. L’impatto con le città del Nord è dunque molto forte, ma non così traumatico come si potrebbe pensare, perché attutito da questa rete parentale che offre sostegno e che ricerca luoghi e spazi di sociabilità legati alla memoria di origine (e anche ai consumi  negozi, trattorie e ristoranti al Nord ripropongono consumi alimentari tipici dell’Italia centro-meridionale, fornendo così anche una forma di INTEGRAZIONE ECONOMICA) È l’automobile (o meglio l’UTILITARIA) che, più di qualunque altro oggetto, racchiude in sé tutti i significati attribuiti alla mobilità e diviene il simbolo del «sogno italiano» ….a cominciare dalla Fiat 600, che appare nel 1955. Ma che cosa vedono, immigrati e non, in questa vetturetta? È un oggetto scintillante, dalle morbide linee arrotondate, bianca, con sottili profili di metallo e ampi finestrini. Per le sue dimensioni contenute ci appare molto spaziosa (4 comodi posti e un cofano che permette di trasportare i bagagli), consente di raggiungere una discreta velocità per allora (95 km/h) e poi consuma poco! (solo 5,7 litri per 100km) Questa macchina è la risposta ad un sogno, perché è la prima vera auto pensata PER TUTTI. Anche se il prezzo non è poi così abbordabile (590'000 lire un buono stipendio operaio è al max 70-80'000 lire mensili), l’impressione è buona (in fondo la si può acquistare anche a rate!) …e nessuno bada al fatto che la macchina va bene, ma ha il difetto di surriscaldarsi quando c’è una salita ripida. Quest’auto è IL GIOIELLO DELLA TECNICA, è l’icona vista moltissime volte nei film americani. Se ci facciamo largo tra la folla che gremisce una concessionaria Fiat del tempo, non possiamo far a meno di notare le varie fotografie appese e il poster realizzato da Felice Casorati per il lancio dell’auto. Una Torino notturna, punteggiata di piccole luci, da cui spuntano la Mole Antonelliana e in fondo le montagne scure, la luna e la striscia dorata del Po. In primo piano spicca la 600, chiara, lucente, con i fari accesi e circondata da uomini, donne e bambini. Un’immagine questa che pone l’auto in ideale sintonia con la tecnica (le luci elettriche, i fari, i lampioni), la natura (la luna, i monti, il fiume) e l’umanità (la gente e i passeggeri che si intravedono all’interno) La Fiat 600, come ci svela lo sguardo sempre fisso di impiegati e operai che non si stancano di ammirarla, è il sogno - di un MONDO NUOVO - di una LIBERTÀ DI MOVIMENTO SENZA LIMITI (magari sull’onda del primo turismo di massa o per godere la «villeggiatura») - e di una nuova LIBERTÀ PERSONALE. Questo oggetto è lo status symbol - di un CONCRETO MIGLIORAMENTO DELLA PROPRIA VITA - di un SENSO DI APPAGAMENTO CHE per la prima volta VIENE PIÙ DAL CONSUMO che dal lavoro - della SODDISFAZIONE che possono provare gli immigrati che tornano al paese d’estate con la prova del loro successo e della loro vita più ricca di «cose» Il successo della 600 (in 3 anni ne circolano già quasi 400'000!) porta a proporre nuovi modelli: - la 600 multipla (a 6 posti) - nel 1957 la Fiat 500! Un’utilitaria ancora più piccola (in origine aveva solo 2 posti!) e dalle caratteristiche molto spartane (la carrozzeria esterna era priva delle cromature tanto apprezzate negli anni 50' e, per quel che riguarda gli interni, dietro ai due sedili vi era solo una panchetta; mancavano levette e accessori vari) Davvero una macchina no frills, ma con una linea tondeggiante a guscio che piaceva molto, una buona tenuta di strada, una velocità discreta (fino a 90 km/h) e il prezzo più basso mai visto: 415'000 lire! (nella versione più spartana) …cominciavano ad apparire molte versioni (economica, normale, sport ecc.) e anch’essa diverrà una macchina simbolo. In vendita fino al 1975, venderà quasi 4 milioni di vetture! Ma quanti immigrati (e non) compreranno davvero l’auto? Quanti coroneranno il sogno? Per molti di loro esso rimarrà un sogno. I dati statistici di dicono che la diffusione dell’auto inizia lentamente: nel 1950 le autovetture sono appena 340'000. La crescita accelera incredibilmente dagli anni 60'. Da lì in poi, infatti, ogni anno la circolazione cresce di un milione di veicoli …fino a toccare nel 1970 i 10 milioni di veicoli! Cifra che finalmente comincia ad avvicinarsi a quella dei prnc paesi europei e che trova riscontro nelle ACCRESCIUTE SPESE DELLE FAMIGLIE PER I TRASPORTI. È da notare, tuttavia, l’atteggiamento ambivalente che suscita l’automobile. Siccome non si tratta solo di passare da un prodotto all’altro, ma di modificare valori e atteggiamenti di cui quel prodotto è espressione, anche l’automobile, come tutti i nuovi beni è oggetto di critiche. Essa è, infatti, sia il bene più desiderato dagli italiani sia il più criticato. L’automobile: - È L’ICONA DEL NUOVO PAESAGGIO URBANO E INDUSTRIALE DELLA CONTEMPORANEITÀ - esprime MOBILITÀ SPAZIALE E SOCIALE - afferma il valore dell’INDIVIDUALITÀ - inaugura NUOVE MODALITÀ DI LAVORO E DI CONSUMO …ma, nel momento stesso in cui inizia a divenire un consumo diffuso, ecco che si sollevano critiche e obiezioni. L’automobile è circondata da una specie di DUBBIO MORALE. Sottoufficiali e graduati dell’esercito (fino al grado del maresciallo) ancora negli anni 60' non hanno il permesso di acquistarne una; preti e monaci lo possono fare, ma solo dopo l’esplicita autorizzazione dei loro superiori; per i frati e per gli ordini femminili valgono restrizioni ancora più rigorose. Sui giornali e nelle conversazioni, le donne sono oggetto di scherni: si dibatte sulla loro naturale inettitudine alla guida per via della loro emotività, disattenzione e avversione a tutto ciò che è tecnico. E lo stesso vale per i giovani, del tutto immaturi di fronte alla responsabilità della guida. Sono tutte categorie su cui si punta il maggior controllo sociale: l’automobile è vista come un mezzo per sfuggirvi, per trasportare questi soggetti «deboli» in luoghi sconosciuti, lontano dal beneficio controllo delle autorità. L’automobile, quindi, SOVVERTE I MECCANISMI DEL CONTROLLO SOCIALE. Così, nell’immaginario collettivo, la macchina diventa un LUOGO DI PECCATO e di ILLECITA SESSUALITÀ. Inoltre, l’auto è PERICOLOSA perché materializza la velocità: già vediamo migliaia di utilitarie sfrecciare a inaudita velocità sulle autostrade nuove di zecca (l’Autostrada del Sole, iniziata nel 1956, si inaugura nel 1964) Nei discorsi pubblici si evidenzia l’aumento degli incidenti che coinvolgono automobilisti smodati e pedoni innocenti. Fatalità e obsoleto assetto viario non sono mai citati, tutto deriva da una colpa morale degli automobilisti (e allora si cercherà di esorcizzare il pericolo con la benedizione dell’auto di Santa Rita) la velocità urbana si contrappone alla lentezza contadina Senza parlare dello STRESS derivante dalle macchine e dal traffico cittadino! In più c’è un’evidente CARATTERIZZAZIONE DI GENERE La costruzione della mascolinità è stata data spesso per scontata. In realtà anche l’identità maschile conosce specifici processi di formazione (es. se pensiamo al fascismo è evidente che nel 900' uno dei modelli di rif. dell’identità maschile è ancora quello del soldato) Ma quali modelli ci sono stati in seguito? Per alcuni studiosi il periodo degli anni 50-60 è centrale nella costruzione di nuove identità maschili, perché la cultura di massa – con il suo rif. ai consumi e ad una supposta e temuta femminilizzazione della società – mette in crisi i ruoli tradizionali. In questo periodo, infatti, emergono gli scandali sessuali, le prime rivendicazioni omosessuali e, più in generale, si sfida la tradizionale separatezza dei generi. Tutto ciò crea una diffusa ansietà sul proprio ruolo, alla quale si reagisce cercando NUOVI RUOLI MASCHILI (es. negli artisti anticonformisti, negli uomini d’azione come i cow-boy dei film western, playboy, negli eroi sportivi, nei giovani ribelli ecc.) È l’inizio di un processo che porterà a leggere nell’habitus fisico l’incorporazione della maschilità e quindi a studiare specifiche posture, abbigliamento, discorsi. In questo processo di RI-CREAZIONE DELLA MASCOLINITÀ, l’automobile riveste un ruolo importantissimo. Essa, infatti, comunica molti tratti “maschili”: sicurezza sociale, aggressività, esuberanza fisica, competenza tecnica ecc. Anche le agenzie pubblicitarie se ne accorse e reagirono, per contro, accostando frequentemente l’automobile a figure femminili. È molto interessante comprendere il ruolo che ha giocato un ogg. come l’automobile nell’usuale schema di consumi. Dato il suo prezzo e il suo significato sociale, si può considerare l’auto un BENE DI LUSSO. Si sa che storicamente il lusso è il «marcatore» di status delle classi più agiate, quindi ci si chiede: con che significato il lusso entra nei consumi dei ceti medi e popolari? Ci si poteva adattare ad alloggi di fortuna un po' degradati in città, ma più spesso si cerca una soluzione fuori. Ed ecco che nelle PERIFERIE URBANE sorgono migliaia di abitazioni abusive, a volte vere e proprie baracche che abbracciano i centri urbani. Anche i baraccamenti creati per i profughi nell’immediato dopoguerra sono rioccupati. In alcune città si parla di «borghetti» o di «borgate» – come a Roma; in altre di «coree» – come a Milano (ispirate alle sventure causate dalla guerra coreana) Se anche alcuni di essi resteranno luoghi di degrado, abitati via via dalle fasce sociali marginali e dai nuovi emigranti, con gli anni questi posti diventeranno veri e propri quartieri inglobati nelle città e cambieranno la loro fisionomia …ma ci vorranno decenni prima che questo accada e nel frattempo gli abitanti continueranno a vivere in realtà e in condizioni molto difficili. Nessuna amministrazione comunale è in grado di gestire tale emergenza, complici le pressioni della speculazione edilizia. Non lo è Torino, che arriva a concentrare più della metà dell’immigrazione totale in un piccolo territorio, divenendo così la «terza città» del Sud; non lo è Milano, dove ai drammatici sventramenti del tessuto storico urbano per realizzare assi viari moderni si unirà un’enorme espansione periferica (900'000 nuovi vani, in gran parte realizzati con continue deroghe al piano regolatore); non lo è Roma dove l’abusivismo di condomini e palazzine, occupati da gente del centro e del sud, sopravanzerà l’edilizia legale, realizzando nella vasta periferia 1/3 degli alloggi disponibili. Tutto ciò è anche conseguenza della scarsa presenza dell’edilizia pubblica nell’Italia dei 30 anni dopo la guerra. Lo sforzo per acquistare una casa è fortissimo nelle fasce popolari urbane. Un’inchiesta del 1963-64 mostra che gli operai sopravanzano di poco gli impiegati e i funzionari nella proprietà di un alloggio, anche se si accontentano di appartamenti piccoli (nonostante i loro nuclei familiari siano molto più estesi) e di condizioni abitative molto più precarie (solo il 45% delle case operaie ha un bagno!) La parola d’ordine è chiara: una casa, quale che sia! Qual è la molla che sta dietro tutto questo? Perché un immigrato dovrebbe volere appropriarsi di questi nuovi beni di consumo (casa, macchina e ogg. tecnologici)? Secondo il giornalista e scrittore F. Alberoni non si tratterebbe né di una forma d’imitazione dei consumi delle classi superiori, né di un voler ostentare qualcosa, tantomeno di un’alienazione indotta dal consumismo. Niente di tutto ciò. GLI IMMIGRATI SONO ATTORI CONSAPEVOLI CHE, GRAZIE A QUESTI CONSUMI, CERCANO UN’INTEGRAZIONE NELLA SOCIETÀ MODERNA. I nuovi beni comunicano nuovi valori: - la TV è il simbolo dell’uscita da una comunità ristretta e chiusa - la macchina e la moto testimoniano l’autonomia e la mobilità spaziale e sociale - la casa (non quella vecchia, grande e polverosa, ereditata dal paese e condivisa con altri nuclei parentali, ma il PICCOLO E NUOVO APPARTAMENTO… anche se modesto) è il luogo dove creare una nuova domesticità per la famiglia nucleare, una nuova intimità e una nuova gerarchia di spazi È perciò una forma di integrazione che prescinde dalle organizzazioni sociali, è cercata dal singolo per se stesso/famiglia Nelle nuove realtà urbane del miracolo economico, i beni materiali rappresentano la negazione di un passato di miseria e la realizzazione del sogno italiano! 1.3 DONNE (E UOMINI) Entriamo in un appartamento nella semiperiferia di una grande città. È nuovo, in un piccolo condominio a cubo. Non è bello esteticamente (probabilmente è anche stato costruito con materiali di seconda scelta), ma ha un suo fascino di modernità. All’ingresso, un piccolo spazio quadrato, si notano un grande specchio, un attaccapanni e un tavolino con sopra un telefono grigio Sip a disco. Il lungo corridoio che portava alle stanze, dividendole funzionalmente, non c’è più. Tutto è ridotto. Sulla destra notiamo una piccola stanza con al centro un grande tavolo coperto da una tovaglia e le sedie intorno. Ai lati ci sono due mobili bassi, eredi del vecchio buffet …ma questi sono chiusi e non mostrano stoviglie e bicchieri in parata come una volta. La CUCINA si è trasformata in un «cucinino» lungo e stretto, con la finestra in fondo (per sfruttare al massimo lo spazio) La cucina, Rex modello 720, assomiglia alle precedenti cucine economiche, ma nasconde nuove funzioni. Questo luogo, infatti, contiene un concentrato dei nuovi prodotti tecnici: gli ELETTRODOMESTICI. Sono tutti bianchi e perfettamente allineati, di fronte ad una fila di mobiletti pensili. Le 2 grandi novità sono:  il FRIGORIFERO è un frigorifero Ignis Si trova vicino al tavolino in fòrmica (nuovo materiale che «non teme l’uso, non teme il tempo») e ha le forme arrotondate (tipiche degli anni 50'), l’apertura meccanica a maniglia e un interno diviso in piccoli ordinati comparti. Il prezzo non è basso (costa 200'000 lire), ma nel giro di 10 anni scenderà notevolmente. È stato il primo nuovo elettrodomestico ad entrare nelle case degli italiani!  la LAVATRICE (anche se allora si preferiva il termine «lavabiancheria») è una Candy Automatic Costa 160'000 lire, ha una linea squadrata, una centrifuga e offre molti programmi di lavaggio. Fa tutto da sola, è semplicissima da usare e fa presto dimenticare la fatica del lavaggio manuale (un giornale calcola che il tempo dedicato al bucato sia sceso da 7 a 4 ore settimanali e che complessivamente gli elettrodomestici facciano risparmiare più di 15 ore di lavoro fisico a settimana…pari a 7 anni nell’arco della vita!) La pubblicità, mostrando il segno di un bacio con il rossetto vicino al’oblò, proclama «grazie Candy» (! sulla stessa linea delle pubblicità Candy si pongono anche quelle famose degli elettrodomestici Philco, ambientate sul pianeta Papalla, dove strane creature a palla godono di tecnologie che migliorano la vita) La tecnologia nelle case non era certo un aspetto nuovo, ma assistiamo ad una svolta! Tempi e modi di diffusione di questi nuovi prodotti assumono un significato del tutto nuovo. 1. innanzitutto per quel che riguarda l’uso del TEMPO Sulla scia degli studi di Gary Becker, alcuni economisti hanno ritenuto che il tempo sia una variabile importante per comprendere il funzionamento delle unità familiari ed hanno diviso gli apparecchi domestici in 2 categorie: - quelli che ci fanno risparmiare tempo (time-saving) es. lavatrice, aspirapolvere e frigorifero (che consente un risparmio di tempo (per la spesa) e nel consumo degli alimenti) - quelli che ci fanno consumare tempo, o meglio impiegare nell’intrattenimento (time-spending) es. radio, giradischi e TV È come applicare le categorie della produzione e del consumo nell’ambito domestico: LA FAMIGLIA SI ADATTA ALLE TECNICHE DIFFUSE NELLA SOCIETÀ. 2. c’è poi un “problema” di GENERE siccome i lavori domestici sono culturalmente legati ai ruoli femminili, gli elettrodomestici time- saving ricadono nella sfera di attività delle donne (e sono posti nello spazio a loro dedicato) Sono oggetti femminili, proprio come le automobili sono ogg. maschili (esistono beni che non hanno una simile caratterizzazione di genere: sono i beni neutri …ma solitamente ogni cultura fornisce una “mappa” precisa di ciò che è ritenuto un consumo appropriato per il genere maschile/femminile Inoltre il confine può sempre spostarsi a seconda delle classi e dei gruppi sociali) Di conseguenza, il basso valore assegnato culturalmente al lavoro delle donne, avrebbe ritardato l’introduzione degli apparecchi domestici time-saving. In effetti, in tutti i paesi c’è uno schema di diffusione ben definito. A parte la radio e la cucina/forno, già diffusi prima della guerra, compaiono in ordine: - il frigorifero: elettrodomestico che compare nelle famiglie italiane ed europee a partire dagli anni 50'. - il secondo posto è diviso tra TV e lavatrice (fine anni 50- inizio anni 60) - per la lavastoviglie bisognerà aspettare ancora 10 anni - e per l’asciugatrice ancora di più! …questo schema evidenzia bene il fatto che l’esigenza di risparmio del lavoro femminile non è stata una molla molto potente nello spingere la diffusione dei nuovi apparecchi. L’home automation procede molto più lentamente dell’office automation. …in fondo donne e ragazze possono sempre sognare il futuro che vedono nel cartone animato americano “I pronipoti”, dove la famiglia del futuro viaggia in astronave e ha una casa dove tutto è completamente automatico. Basta schiacciare un bottone per far muovere qualunque oggetto e un robot (femmina!) si occupa di tutte le faccende domestiche. Nel mondo dei cartoni animati, essi si contrappongono all’altra grande famiglia spostata nel tempo e protagonista della TV: i cavernicoli Flinstones Entrambi i cartoni riproducono, seppur in modo opposto, i modi di vita e i ruoli sociali della famiglia media americana degli anni 50-60, quella che viene etichettata come «i Jones». quello che è interessante è che anche nei cfr degli elettrodomestici si nota la stessa ambivalenza che si era vista nel caso delle automobili. L’accettazione degli elettrodomestici non è sempre facile. All’inizio molte donne temono che siano pericolosi o inutili, come se fossero «concorrenti» da temere perché in grado di mettere in dubbio le loro qualità come donne di casa. La lavatrice è pratica, ma rovina e strappa i tessuti. Si sa, non lascia quel buon profumo che lasciava il bucato di una volta… Meglio lavare a mano! Con la lucidatrice si fa più in fretta, ma il pavimento non viene bene ecc. Il mutamento degli oggetti provoca ANSIA, perché incide sulla costruzione tradizionale di un ruolo sociale; con il tempo, però, L’IDENTITÀ DELLA «CASALINGA MODERNA» SI COSTRUIRÀ INTORNO AI NUOVI ELETTRODOMESTICI. Rispetto alla vecchia massaia, ella è una donna più efficiente, competente, attenta al risparmio e alle differenti esigenze di tutti i membri della famiglia. L’antropologo A. Appadurai sostiene che sì, la nostra comprensione dei significati degli oggetti è sicuramente condizionata da una rete di significati culturali e sociali (non comprenderemmo che cos’è un elettrodomestico senza riferirci ai valori spaziali della casa, al concetto di domesticità ecc.); tuttavia, GLI OGG. HANNO ANCHE UN LORO LINGUAGGIO che proviene: - dalla loro forma - dai loro usi - dalle loro “traiettorie”, cioè dai loro spostamenti nello spazio e nel tempo un elettrodomestico piazzato nella cucina di un paese africano meno sviluppato avrà un significato di status ben preciso …molto diverso dal significato che potrebbe assumere se piazzato come oggetto di modernariato in una cucina del futuro. Spesso non si coglie questo linguaggio perché le moderne società occidentali hanno sviluppato una tradizione comunicativa che contrappone le cose (mute, passive, animabili solo dalle persone) alle parole (attive e comunicative di per se stesse). In realtà questa contrapposizione non è sempre stata vera in Occidente e, come ha notato M. Mauss, non lo è in altre culture. In effetti ANCHE LE COSE COMUNICANO cosa comunicano questi nuovi elettrodomestici con la loro forma fisica?  il loro colore bianco vuole rimandare all’idea di pulizia e ordine, e vuole rinviare idealmente alle ceramiche del lavabo o a quelle del bagno, che devono provare visivamente la loro igiene Il bianco è perciò il colore di questi due ambienti.  la loro forma: si presentano come avvolgenti scatole a forma di cubo o di parallelepipedo, con pochi e semplici dispositivi di comando. Rispetto alle automobili (piene di spie per olio, acqua, luci ecc.) qui non ci sono indicazioni che riguardino il funzionamento: è come se il cuore meccanico di questi apparecchi fosse occultato dalla loro candida carrozzeria. I comandi sono minimi e semplicissimi, è tutto automatico. «Candy sa come si fa, Candy Automatic fa tutto da sola» canta la pubblicità a Carosello. è molto interessante notare che mentre nell’automobile la tecnica è esposta visibilmente e domanda un coinvolgimento dell’utente, negli elettrodomestici resta nascosta e non richiede alcuna forma di interazione. Anzi, spesso esternamente si presentano come una sorta di oggetti d’arredo (in alcune pubblicità ci si rif. loro come ad «un’amica» la personalizzazione degli elettrodomestici è presente in molte pubblicità) Si capisce perciò che i prodotti tecnologici non solo usano un linguaggio diverso, ma COSTRUISCONO anche UN DIFFERENTE RAPPORTO CON LA SFERA MASCHILE (culturalmente caratterizzata da un aperto rif. alla tecnica) E FEMMINILE (attenta ai valori personali, familiari, «umani») a proposito del diverso rapp. del genere con la tecnica, in molte pubblicità si vede il marito che porta all’ignara moglie casalinga l’apparecchio che le risolverà tutti i problemi. Con la negazione della loro tecnica, i nuovi elettrodomestici sono accettati più facilmente dalle donne ed entrano a far parte della loro vita. Lasciamo il cucinotto ed entriamo nella CAMERA DA LETTO. Qui ben poco è cambiato Nonostante i mobili siano moderni, la stanza ha un aspetto intimo che rimanda ad atmosfere antiche È ancora una stanza importante nella struttura della casa, il che riflette il peso della GERARCHIA FAMILIARE Il letto matrimoniale occupa ancora la maggior parte dello spazio ed è affiancato da un grande armadio. Nell’armadio, diviso tra maschio/donna, troviamo:  per lui …secondo la classica ripartizione giorno / sera: - un elegante abito scuro da sera – fatto a mano da un sarto (come ogni altro vestito bello) - giacche e completi grigi e blu per il lavoro – probabilmente confezionati - ci sono poi dei cappotti e un’impermeabile (anche se si tratta di un capo che sta declinando) - dei cappelli - un’ordinata fila di camice confezionate – sono il capo pronto più diffuso - e, infine, molte cravatte ! certi capi mostrano un taglio meno formale, forse sono ispirati allo stile casual americano  per lei, oltre al classico guardaroba fornito di - vestiti e vestitini - tailleur - gonne e camicette - un cappotto, un soprabito e un impermeabile …si trova la vera novità: i PANTALONI! Quello di entrambi è sicuramente un guardaroba pratico ed elegante, PIÙ RICCO DI QUELLO DEL PASSATO comprende infatti molti abiti di pregio, fatti a mano o comprati in boutique che ricordano le linee dell’alta moda francese Nel cassetto della signora troviamo: - BIANCHERIA INTIMA è un periodo di grandi cambiamenti nell’intimo. La novità più grande è la scomparsa della tradizionale sottoveste a favore del REGGISENO, che registrerà un vero e proprio boom …a riprova di una cura del proprio corpo che non riguarda più solo l’aspetto esteriore e sociale. - BIGIOTTERIA (i gioielli veri, se ci sono, sono nascosti da qualche altra parte) - COSMETICI l’uso dei cosmetici era già diffuso come segno distintivo della femminilità e come segno di classe (es. le donne delle classi elevate si truccavano), ma dall’800 – complice anche la spinta alla domesticità privata, sostenuta da una forte campagna moralistica – non si è certo favorevoli alla diffusione sociale dei cosmetici… il trucco è associato a dive dello spettacolo o a prostitute… insomma, a donne di dubbia moralità! Nei decenni successivi – grazie anche a - nuove forme di distribuzione - a strategie commerciali che offrono i prodotti a prezzi molto più bassi - e ad una valorizzazione del corpo femminile – si assiste anche qui ad una democratizzazione del lusso che porta alla diffusione di cosmetici fra la classe media. La rinnovata valorizzazione della donna trova espressione anche in campo pubblicitario ed è legata ai NUOVI RUOLI SOCIALI che la donna è chiamata a svolgere. L’URBANIZZAZIONE moltiplica poi le occasioni di contatto sociale anche per le donne, che si sentono ora pronte ad apparire più curate (e perché no, truccate!) Inoltre, pur all’interno di un tasso di occupazione bassissimo rispetto all’Europa, anche l’Italia negli anni 60 del 900 conosce un breve boom di LAVORO FEMMINILE, concentrato sopr. nelle fasce d’età più giovanili (si tratta sopr. di giovani donne che lavorano fino al matrimonio o alla nascita dei figli) Il rossetto è il cosmetico che più di tutti assume valenze simboliche: - è il simbolo delle nuove ambizioni delle donne - allude alla sensualità della donna Riviste femminili come «Gioia» aspettano gli anni 60 per presentare la pubblicità del primo lipstick …e le rubriche di posta del cuore consigliano l’uso dei cosmetici (anche se con moderazione, accompagnandolo sempre con atteggiamenti moralmente irreprensibili) I cosmetici, insieme ai gioielli «industriali» e ai vestiti sono quindi ogg. utili a costruire una figura femminile più sensuale, più aperta agli spazi pubblici, capace di valorizzare se stessa invece di annullarsi nel sacrificio a favore della famiglia (! non è un caso che dal 68 questi ogg. siano usati come provocazioni simboliche contro il sistema di valori tradizionali) Sul comò della signora troviamo varie bottiglie di profumo, una delle quali è Chanel N.5 – il profumo di Marilyn Monroe, attrice icona del tempo Non siamo sorpresi, sappiamo infatti (e anche le pubblicità se ne sono accorte) che l’igiene e la valorizzazione del corpo sono sempre più importanti Il suo fascino però è ambiguo, sopr. in Europa (meno in America) Non ci si preoccupa ancora dell’inquinamento ambientale, della tossicità di questo nuovo materiale ecc., ma sono le sue stesse caratteristiche a destare perplessità. Scrive R. Barthes: è un materiale sgraziato, una sostanza andata a male, dall’apparenza torbida, incapace di raggiungere la levigatezza trionfante della natura ecc. Alle antiche opposizioni simboliche della casa (privato/pubblico, maschile/femminile ecc.) se ne aggiungono quindi altre: 1. FUNZIONALITÀ / INEFFICIENZAla funzionalità struttura l’intera disposizione della casa (la casa «moderna» sfrutta al meglio gli spazi!) e trova la sua max espressione nella meccanizzazione degli elettrodomestici 2. NATURALITÀ / ARTIFICIALITÀtutto ciò che si rif. alla natura e all’ antico ha più valore di quello che è artefatto, moderno (es. gli arredi di pregio sono realizzati con materiali nobili come il legno, il marmo ecc. NON CON LA PLASTICA; per i tessuti, meglio le fibre naturali come la seta, il lino, il cotone o la lana NON LE FIBRE ARTIFICIALI o MISTE non è un caso che nelle pubblicità dei tessuti sintetici si insista particolarmente sull’aspetto della qualità) Baudrillard: questa concezione di «natura» è ideologica e culturale. Il legno dei mobili, infatti, è ben diverso da quello esistente in natura. È trattato, dipinto, lucidato ecc. Allo stesso modo i metalli, il vetro o la carta sono innaturali perché lavorati da secoli dagli uomini, eppure vengono accettati in virtù della loro antica presenza fra noi. Se l’ambiente umano è da sempre costruito, perché la pietra dovrebbe essere più autentica (più nobile) del cemento? Inoltre si noti che, mentre la meccanizzazione e la motorizzazione hanno ispirato fiumi di opere letterarie e artistiche, la plastica – un materiale che ha orientato e strutturato l’intero mosaico di oggetti della modernità e che ha cambiato la nostra quotidianità, la nostra domesticità – è poco presente nel panorama artistico e quasi sempre con una connotazione negativa. Come fare quindi per far sì che le famiglie italiane introducano un materiale così ambivalente come la plastica? Semplice! Ci pensa il Carosello! Il successo che seguirà ai suoi spot comici che rimandano ad una rassicurante atmosfera casalinga aprirà le porte di casa a moltissimi ogg. di plastica! Anche i rumori sono cambiati. Non si sentono più lo scricchiolio del parquet e dei vecchi mobili, il ticchettio dell’orologio a pendolo, persino il telefono ha un trillo più delicato ecc. tutto è diventato più soft, più «urbano» MA NON PIÙ SILENZIOSO Sono solo cambiati i rumori: a quelli più forti e secchi del passato, si sostituiscono quelli tenui e continui di sottofondo (es. il ronzio continuo dei motori elettrici che si ricaricano, un indistinto brusio meccanico ecc.) E questa musica, da dove proviene? Il suono ci guida verso l’ingresso del salotto, o meglio del SALOTTINO.È un ambiente molto diverso dal maestoso e ampio salotto di una volta. Questo nuovo salottino è una stanza più piccola della camera matrimoniale ed è arredato a modi platea: - disposti intorno ad un tavolino ci sono un divanetto e due poltrone di velluto; - da un lato un basso mobiletto-bar che mostra un rivestimento interno a specchi (dentro c’è ogni ben di Dio: aperitivi come il Martini, amari come il Ramazzotti, brandy come la Vecchia Romagna ecc.); - dall’altro un moderno mobile con ripiani adibiti a libreria e su di esso un giradischi abbinato alla radio. Nel centro troneggia la TV - sul fondo tende bianche fino a terra. Questi nuovi mobili sono persino più costosi degli elettrodomestici, perciò sono stati acquistati a rate. La disposizione dei mobili e degli arredi è cambiata perché non siamo più nel luogo consacrato alla socialità, dove conversare e ricevere amici. Quel carattere scenografico che aveva l’antico salotto, costruito per la socialità e per l’ostentazione di status attraverso innumerevoli e preziosi soprammobili è SPARITO (…e con esso sono spariti il piano, il camino, il pendolo, i grandi quadri ad olio ecc.) Non c’è più nulla! Ora ci troviamo in uno spazio specializzato nel consumo culturale, anche se si tratta ancora di un consumo molto limitato  per l’intero pacchetto spettacoli-cultura la famiglia-tipo italiana nel 1970 spende circa il6% del suo budget (è l’ultimo gruppo di consumi, dopo le spese igienico-sanitarie) La media nasconde ovviamente delle differenziazioni che sottolineano: - fratture sociali (es. in quegli anni l’80% degli impiegati possiede una TV, contro il 50% degli operai) - frattura tra città/campagna (non più del 15% degli agricoltori possiede una TV e non più del 10% tra i salariati agricoli la TV è quindi un consumo urbano) Si sa, le SPESE PER IL DIVERTIMENTO E PER LA CULTURA ci sono sempre state: 1. nell’Italia liberale la forma dominante era il teatro che, pur restando un consumo d’élite, rispecchiava la cultura dell’epoca 2. negli anni 30/50 del 900 il cinema era diventata la prima vera forma di spettacolo di massa, capace di veicolare nuove aspirazioni e modelli di vita 3. in questi anni i diversi media contribuiscono a rafforzare la cultura del consumo e si assiste a 2 novità:  la tendenza dei consumatori a consumare sempre meno all’esterno (spettacoli dal vivo, cinema, eventi sportivi ecc.) e sempre più nella propria casa ci si rif. quindi ad uno SVILUPPO DEI CONSUMI CULTURALI «DOMESTICI» ! il valore culturale della domesticità e della privacy opera potentemente nell’orientare le scelte culturali: - la RADIO è il primo dei mass media a spingere in questo senso: prima della guerra era ancora un ascolto collettivo, dopo sale vertiginosamente e intorno agli anni 60 raggiunge il picco 6 milioni di abbonamenti, quindi scende rapidamente nel decennio successivo - segue la TV che ha una crescita fulminante: dal suo esordio nel 1954 al 1970 registra quasi 10 milioni di abbonamenti L’alto num. di radio e TV vendute dim. che si tratta dei due mass media che più di altri spingono il pubblico verso una «privatizzazione» del consumo (gli economisti spiegano la diffusione di ogni nuovo mezzo con una curva fatta a S: – lenta partenza – rapidissima diffusione – fase di assestamento perché il bene è ormai molto diffuso (saturazione del mercato) – caduta nella diffusione ! la velocità e l’ampiezza di questi fenomeni variano molto a seconda del mezzo e delle circostanze storiche ed economiche (es. la comparsa di un mezzo concorrente tecnologicamente più avanzato) Nel breve periodo contano molto il prezzo del bene e i redditi / nel lungo periodo gli aspetti culturali)  data la moltiplicazione dei media disponibili, si assiste alla creazione di un MIX DI CONSUMI Quindi per comprendere le dinamiche in corso non possiamo più riferirci solo al consumo di uno specifico mezzo, come avveniva in epoche precedenti, quando le caratterizzazioni sociali di questi usi erano molto nette …ma ci dobbiamo riferire ad un consumo incrociato di diversi media, caratterizzato diversamente a seconda dei gruppi di rif. Non si va più a teatro O al cinema, ma ogni tanto si va al cinema E ogni tanto (quasi mai) a teatro …si ascolta spesso la radio E si guarda sempre la TV. Si può cmq creare una sorta di “mappa” di questi consumi culturali. Con rif. ai consumatori abituali, secondo varie indagini, al primo posto per diffusione all’inizio degli anni 70 troviamo i quotidiani; ad essi segue la TV, seguita da riviste settimanali e radio. Nella parte bassa della classifica troviamo le riviste mensili e i libri, e da ultimo il cinema, che dopo il buon andamento degli anni 50 precipita vertiginosamente ( ! il consumo di manifestazioni di intrattenimento, sportive e di spettacolo dal vivo è troppo basso per rientrare in questa classifica) Il quadro che ne esce è quello di un consumo sovrapposto dei vari media, differente a seconda dell’istruzione, del genere, dell’età e del reddito …quasi avessimo di fronte tanti pubblici diversi. Gli studiosi si sono sbizzarriti nel cercare di classificare i vari gruppi e sottogruppi (e ancor più l’hanno fatto i pubblicitari, alla ricerca del mezzo più idoneo su cui piazzare le pubblicità per un certo target) In questo quadro si nota anche che ad essere avvantaggiato è tutto il settore della carta stampata – sicuramente anche per via della crescente istruzione (lotta all’analfabetismo, aumento dell’obbligo scolastico, scuola media unica ecc.). Oltre all’incrocio, si verifica pure un RAFFORZAMENTO RECIPROCO tra i diversi media (cross-fertilization)
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